mercoledì 1 maggio 2024

Dai Buonisti mi guardi Iddio

Un famoso proverbio ammonisce “Dagli amici mi guardi Iddio, che ai nemici ci penso io”, a conferma del fatto che voler aiutare gli altri 'per forza', solo per sentirsi più buoni, può portare notevoli disastri.
Una versione letteraria di questo principio la troviamo nei Promessi Sposi, nei capitoli in cui il Manzoni ci presenta il personaggio di Donna Prassede.
Una figura che, se vivesse oggi, potrebbe essere inserita d'ufficio nel novero dei 'buonisti' a tutti i costi.
La penna del Manzoni appare, come sempre, scorrevole e leggera, ma graffia come un punteruolo. Buona lettura.
LUMEN


<< Era donna Prassede una vecchia gentildonna molto inclinata a far del bene: mestiere certamente il più degno che l’uomo possa esercitare; ma che pur troppo può anche guastare, come tutti gli altri. Per fare il bene, bisogna conoscerlo; e, al pari d’ogni altra cosa, non possiamo conoscerlo che in mezzo alle nostre passioni, per mezzo de’ nostri giudizi, con le nostre idee; le quali bene spesso stanno come possono.

Con l’idee donna Prassede si regolava come dicono che si deve far con gli amici: n’aveva poche; ma a quelle poche era molto affezionata. Tra le poche, ce n’era per disgrazia molte delle storte; e non eran quelle che le fossero men care.

Le accadeva quindi, o di proporsi per bene ciò che non lo fosse, o di prender per mezzi, cose che potessero piuttosto far riuscire dalla parte opposta, o di crederne leciti di quelli che non lo fossero punto, per una certa supposizione in confuso, che chi fa più del suo dovere possa far più di quel che avrebbe diritto; le accadeva di non vedere nel fatto ciò che c’era di reale, o di vederci ciò che non c’era; e molte altre cose simili, che possono accadere, e che accadono a tutti, senza eccettuarne i migliori; ma a donna Prassede, troppo spesso e, non di rado, tutte in una volta.

Al sentire il gran caso di Lucia, e tutto ciò che, in quell’occasione, si diceva della giovine, le venne la curiosità di vederla; e mandò una carrozza, con un vecchio bracciere, a prender la madre e la figlia. (…)

E per venire alle corte, donna Prassede, sentendo che il cardinale s’era incaricato di trovare a Lucia un ricovero, punta dal desiderio di secondare e di prevenire a un tratto quella buona intenzione, s’esibì di prender la giovine in casa, dove, senz’essere addetta ad alcun servizio particolare, potrebbe, a piacer suo, aiutar l’altre donne ne’ loro lavori. E soggiunse che penserebbe lei a darne parte a monsignore.

Oltre il bene chiaro e immediato che c’era in un’opera tale, donna Prassede ce ne vedeva, e se ne proponeva un altro, forse più considerabile, secondo lei; di raddirizzare un cervello, di metter sulla buona strada chi n’aveva gran bisogno.

Perchè, fin da quando aveva sentito la prima volta parlar di Lucia, s’era subito persuasa che una giovine la quale aveva potuto promettersi a un poco di buono, a un sedizioso, a uno scampaforca [come Renzo Tramaglino], in somma, qualche magagna, qualche pecca nascosta la doveva avere. Dimmi chi pratichi, e ti dirò chi sei.

La visita di Lucia aveva confermata quella persuasione. Non che, in fondo, come si dice, non le paresse una buona giovine; ma c’era molto da ridire. Quella testina bassa, col mento inchiodato sulla fontanella della gola, quel non rispondere, o risponder secco secco, come per forza, potevano indicar verecondia; ma denotavano sicuramente molta caparbietà: non ci voleva molto a indovinare che quella testina aveva le sue idee. E quell’arrossire ogni momento, e quel rattenere i sospiri... Due occhioni poi, che a donna Prassede non piacevan punto.

Teneva essa per certo, come se lo sapesse di buon luogo, che tutte le sciagure di Lucia erano una punizione del cielo per la sua amicizia con quel poco di buono, e un avviso per far che se ne staccasse affatto; e stante questo, si proponeva di cooperare a un così buon fine. Giacchè, come diceva spesso agli altri e a se stessa, tutto il suo studio era di secondare i voleri del cielo: ma faceva spesso uno sbaglio grosso, ch’era di prender per cielo il suo cervello.

Però, della seconda intenzione che abbiam detto, si guardò bene di darne il minimo indizio. Era una delle sue massime questa, che, per riuscire a far del bene alla gente, la prima cosa, nella maggior parte de’ casi, è di non metterli a parte del disegno. >>


<< Buon per lei [per Lucia], che non era la sola a cui donna Prassede avesse a far del bene; sicché le baruffe non potevano esser così frequenti.

Oltre il resto della servitù, tutti cervelli che avevan bisogno, più o meno, d’esser raddirizzati e guidati; oltre tutte l’altre occasioni di prestar lo stesso ufizio, per buon cuore, a molti con cui non era obbligata a niente: occasioni che cercava, se non s’offrivan da sé; aveva anche cinque figlie; nessuna in casa, ma che le davan più da pensare, che se ci fossero state.

Tre eran monache, due maritate; e donna Prassede si trovava naturalmente aver tre monasteri e due case a cui soprintendere: impresa vasta e complicata, e tanto più faticosa, che due mariti, spalleggiati da padri, da madri, da fratelli, e tre badesse, fiancheggiate da altre dignità e da molte monache, non volevano accettare la sua soprintendenza.

Era una guerra, anzi cinque guerre, coperte, gentili, fino a un certo segno, ma vive e senza tregua: era in tutti que’ luoghi un’attenzione continua a scansare la sua premura, a chiuder l’adito a’ suoi pareri, a eludere le sue richieste, a far che fosse al buio, più che si poteva, d’ogni affare. Non parlo de’ contrasti, delle difficoltà che incontrava nel maneggio d’altri affari anche più estranei: si sa che agli uomini il bene bisogna, le più volte, farlo per forza. >>

ALESSANDRO MANZONI

2 commenti:

  1. Ricordo il modo in cui Manzoni "liquidò" donna Prassede: parlando della morte sua e del marito don Ferrante a causa della peste: "di donna Prassede quando si è detto che era morta si è detto tutto"...Un epitaffio adatto al personaggio.

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    1. Ricordi bene.
      Per Don Ferrante, invece, che si piccava di essere un dotto (e quindi di intendersi anche di scienza: in tempi di peste !), il commento del Manzoni è stato molto più articolato e ironico.
      Per chi volesse rileggerlo (il passo è breve, ma godibilissimo) lo trovate in questo mio vecchio post, scritto ai tempi del Covid:
      https://ilfenotipoconsapevole.blogspot.com/2020/08/in-memoria-di-don-ferrante.html

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