mercoledì 23 maggio 2018

Quando ero soldato - 1

La vita quotidiana dell’esercito italiano di leva, nei ricordi un po’ ironici di Lorenzo Celsi (dal suo blog). Per sorridere un poco, ma anche per farsi qualche domanda. Lumen


<< Ho letto distrattamente che qualcuno propone il ripristino della Leva. Non sono entrato nel merito delle proposte ma vi propongo alcune mie riflessioni. Prima di tutto bisogna definire lo scopo della iniziativa.
 
Se si tratta di addestrare i coscritti di un esercito di popolo perché siano efficaci in una eventuale guerra futura, bisogna copiare gli Israeliani, ovvero la Leva deve durare tre anni e bisogna prevedere anche il mantenimento di una forza di Riserva. La ragione è duplice, da una parte gli eserciti moderni richiedono un addestramento prolungato e dispendioso, dall'altra questo investimento non può essere sprecato.
 
Da questa necessità ne derivano altre due, ovvero che bisogna avere la capacità economica, logistica e le competenze per ottenere il livello qualitativo necessario e nello stesso tempo bisogna rendere il servizio militare "vivibile" per un arco di tempo prolungato.
 
Se invece si tratta di una iniziativa "didattica" nel senso della sola "educazione civica", è perfettamente inutile nel migliore dei casi oppure controproducente. Per queste ragioni: primo, i ragazzi arrivano già formati e il fatto che esista l'idea di doverli "educare" significa che sono formati MALE e vanno "rieducati". Quindi andrebbero de-strutturati e ri-strutturati, con necessariamente altissimi livelli di stress e di coercizione.
 
Si tratterebbe di correggere le mancanze o gli errori compiuti di proposito da Famiglia e Scuola e "società" durante i vent'anni precedenti con un periodo di "servizio" di qualche mese. Secondo, quando si pensa che il "servizio", distaccando i ragazzi dal loro ambiente, sarebbe alternativo alle "cattive abitudini" come il consumo di alcol e droga, ci sbagliamo di grosso perché sarebbe l'esatto contrario, sarebbe l'occasione dove queste "cattive abitudini" sarebbero raffinate, concentrate e ulteriormente rafforzate, un po' come succede col crimine in galera.
 
Veniamo alla mia esperienza della Leva. Per quanto riguarda gli aspetti "tecnici" del servizio militare, diciamo che il mio addestramento ed equipaggiamento sarebbe stato appena adeguato ad una guerra convenzionale degli anni Cinquanta, però io mi trovavo agli inizi degli anni Novanta. Questo perché ovviamente nessuno pensava davvero che l'Esercito italiano sarebbe stato coinvolto in una guerra.
 
Inoltre, ci trovavamo nell'imminenza del cambiamento da Esercito di coscritti a Esercito professionale, una cosa che risponde molto meglio a due scopi: fare entrare nel Pubblico Impiego più personale ed eventualmente inviare dei corpi di spedizione numericamente esigui a partecipare a "missioni di pace" come parte di contingenti multinazionali.
 
L'armamento di allora era costituito da fucili BM59 Beretta entrati in linea nei primi anni Sessanta o addirittura Garand adottati negli anni Cinquanta. La buffetteria (cioè cinturoni, giberne et similia) erano ancora quelle inglesi/americane del dopoguerra, l'elmetto era lo stesso del Regio Esercito degli anni Quaranta. I veicoli più moderni erano di vent'anni prima, ma ce n'erano anche di antichi e un certo numero era fuori uso, probabilmente la maggior parte. L'arma principale in dotazione al reparto (prima Gruppo, poi Reggimento) era un obice risalente agli anni Settanta.
 
Per quanto riguarda la logistica, lo stato delle infrastrutture era deprimente. Per tutto l'anno di naja, dall'inizio alla fine, ho dormito in brande di metallo a castello che erano vecchie di decenni con dei sacchi di tela grezza pieni di matasse e bitorzoli di qualche imbottitura che per fortuna non ho mai visto, dentro stanzoni con all'incirca dodici persone, finestroni pieni di spifferi (che però servivano a "bonificare" l'aria dello stanzone).
 
In ogni stanzone c'era la branda a castello con ai lati i due armadietti di metallo dei soldati, sopra lo zaino valigia e lo zaino alpino (quello grande), attaccato in testa alla branda lo zaino tattico (quello piccolo). Pavimenti di vecchissime piastrelle tirate a lucido cosi tante volte che non si doveva più passare la cera, in fondo o in testa alla camerata i bagni comuni con lavandini di acqua fredda e le inevitabili turche, tipo 4 turche ogni cento soldati. La doccia era in un edificio separato e non vi annoio con lo stato dell'arte.
 
Veniamo poi alle dolenti note: il personale. Come può essere il personale di carriera di un esercito di coscritti che è concepito con l'idea di non essere mai davvero impiegato in guerra? I sottufficiali tiravano a campare come ferrovieri o impiegati delle poste. Gli ufficiali erano dilaniati dalla contraddizione tra un immaginario giovanile di ideali e di supposta professionalità e una realtà adulta di sciatteria, degrado, mancanza di risorse e di scopo, data la premessa della guerra impossibile più che improbabile.
 
Inoltre, mentre per i sottufficiali la carriera era faccenda di concorsi e di scatti di anzianità, per gli ufficiali c'erano dei colli di bottiglia per cui i posti di comando erano sempre meno col salire del grado e quindi, qualsiasi fossero le ambizioni, le carriere di molti si arenavano ad un certo livello con nessuna speranza di ulteriore avanzamento. (…)
 
In molti casi, l'invecchiamento rendeva certi militari palesemente inadatti all'incarico, con effetti tra il comico e il patetico. Attenzione, che io non sto parlando di un "ufficio comando" di imboscati o di un reparto di magazzini e logistica, sto parlando di una cosiddetta "caserma operativa" che faceva parte di una Brigata Alpina che a sua volta era una sorta di "unità di elite" dell'Esercito Italiano di allora.
 
Ai miei tempi esisteva la possibilità di optare per l'obiezione di coscienza e quindi per il Servizio Civile. Di solito si trattava di essere assegnati a qualche ufficio comunale, con pernottamento presso qualche sistemazione fornita dal Comune oppure a casa propria, mentre si svolgevano lavoretti tipo accompagnare gli anziani, fare delle consegne, sbrigare pratiche semplici negli uffici, cose cosi. Diciamo, per fare un paragone contemporaneo, era tipo una forma elementare di "volontariato" in qualche associazione.  

Il rapporto tra il disagio della naja e quello del Servizio Civile era tipo 1000:1 però non riesco a vedere l'utilità di nessuna delle due cose. La naja aveva nel disagio il suo unico "valore formativo", da tutti gli altri punti di vista era tempo perso, stante la capacità bellica e per qualcuno, quelli che magari avevano qualche problema di personalità, poteva essere dannosa. Il Servizio Civile, riducendo il disagio a valori molto, ma molto inferiori, era un anno di cazzeggio, non venitemi a raccontare le solite storie di servizi eroici in Croce Rossa eccetera.  

Quindi, partiamo da qui e aggiungiamo che rispetto ai primi anni Novanta la capacità del "sistema" di organizzare un servizio obbligatorio di massa, che sia "militare" o "civile" è inferiore, perché abbiamo le pezze al culo, cosi come molto inferiore è la capacità dei ragazzi di sopportare il disagio e della società di imporglielo, mentre sono aumentate le "cattive abitudini" a cui idealmente si vorrebbe rimediare. >>
 
LORENZO CELSI
 

(continua)

3 commenti:

  1. Visto che si parla di servizio militare, ecco cosa ne dice 'wiki' da un punto di vista storico e antropologico:

    << Nei tempi più antichi non esisteva un insieme di disposizioni che regolassero il servizio alle armi: tutti i maschi di una qualsiasi comunità di individui (ad es. la tribù o la famiglia) che fossero in grado di combattere partivano per la guerra o si organizzavano a difesa in caso di necessità.

    Tale regola pratica sopravvisse per secoli nelle popolazioni nomadi e in quelle che, genericamente, venivano definite barbare dalla civiltà romana, oppure altre volte si ricorreva a truppe mercenarie, famose furono quelle costituite da mercenari svizzeri.

    Per avere una codificazione dei doveri dei singoli, degli obblighi specifici di ciascuno, delle cause d'esenzione dal servizio militare, occorre attendere tempi più recenti: la storia ci parla della regolamentazione per come essa avveniva in antica Grecia e nell'antica Roma.

    Antropologicamente il servizio militare viene considerato un rito di passaggio. >>

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  2. Per lavoro vado spesso in ambienti degradati della periferia romana. Entro nelle case per visitare e mi trovo di fronte a spettacoli di un profondo degrado, che non e' solo povertà' economica, ma direi di disperazione spirituale. Quello che mi colpisce di più' sono pero' i giovani. Non parlo della criminalità' dilagante e della tossicodipendenza diffusa. Parlo del degrado psicologico e morale in cui vedo affogare questi ragazzi (che a volte non sono ragazzi: spesso trovo quarantenni che dormono a mezzogiorno, che non hanno alcun ideale o aspettativa, in puro bivacco...), dove la disoccupazione e il disinteresse per qualunque cosa abbia a che fare con la comunità' e il civismo e' evidente negli sguardi e negli atteggiamenti. Spesso alla disperazione si aggiunge lo scivolare verso l'aggressività' o la violenza, non avendo nulla in cui credere e nessuna autorità' da riconoscere. Molti sono ai domiciliari. Penso che tutto ciò' derivi dal venir meno di tre pilastri che invece contribuivano alcuni decenni fa alla creazione di un contesto civile: la famiglia, la scuola, il servizio militare. Si perché' negli anni 60, ad esempio, c'era molta povertà' ma non c'era il degrado materiale e spirituale che si vede nei giovani di oggi. La famiglia e la scuola allora c'erano, mentre oggi hanno perso l'autorità' e non servono più' a dare ideali e valori. I giovani non guardano più' con ammirazione al padre che lavora o alla mamma che si sacrifica per loro, e forse e' finito ogni sentimento di solidarietà' familiare in un mondo che distrugge tutto e polverizza gli affetti. Ne' la scuola ha più' la minima capacita' di instillare valori e di formare il carattere dei giovani. Il 68 purtroppo ha distrutto senza costruire e ha lasciato il deserto di valori e di cultura. Il fatto che si prendano a cazzottate i professori e' solo un indizio di tutto questo. Ma il terzo elemento, la fine della leva obbligatoria, ha dato un grande contributo al degrado. Non credo nel servizio civile, sono balle. Credo che la leva militare era per molti giovani l'incontro con il senso dello Stato e con lo spirito di servizio e spesso di sacrificio nel nome di una comunità' nazionale che veniva percepita ancora come valore civico fondativo. Serviva eccome il servizio militare ,che andava riformato ma non abolito. Dava ai giovani disciplina e formazione materiale e spirituale, il senso della comunità' e del servizio. Se oggi non esiste più' la patria e la comunità' che ci identifica come popolo italiano e' in gran parte dovuto al crollo di quel servizio che non a caso era ricordato dai giovani di allora per tutta la vita. Oggi al posto di quei ricordi ci sono solo sguardi vuoti, sguardi disperati di giovani lasciati a se stessi

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    1. caro Agobit,
      non posso che ringraziarti per il tuo bellissimo intervento e le tue profonde considerazioni.

      Sì, stiamo proprio vivendo un momento di degrado intellettuale, civile e morale, in cui i vecchi punti di riferimento, giusti o sbagliati che fossero, sono evaporati per lasciare il posto al nulla più assoluto.
      La famiglia è stata atomizzata, la scuola svuotata di ogni significato formativo e lo spirito di servizio alla nazione deriso.

      Non voglio dire che si stava meglio a quei tempi, perchè quel mondo e quella mentalitàa vevano mille difetti, però allora il re era ancora vestito (o meglio era già nudo, ma non lo sapevamo) e questo dava un senso al tutto.
      E per l'essere umano, come insegnano gli antropologi, la ricerca di un senso è (quasi) tutto.

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