sabato 27 aprile 2013

Veloce, troppo veloce

E’ noto che l’accelerazione culturale dell’Homo Sapiens è talmente veloce, che la mutazione genetica non riesce a tenere il passo delle continue variazioni che il fenotipo si trova ad affrontare nell’ambiente e nello stile di vita.
E questo disallineamento può avere conseguenze importanti anche nel campo delicato della salute e delle malattie.
Un libro molto interessante sull’argomento è quello scritto da Randolph M. Nesse e Gorge C. Williams, dal titolo emblematico: “Perché ci ammaliamo? La nuova Medicina Darwiniana”. 
Riporto qui di seguito una breve selezione del testo, tratta dal Blog “Un pianeta non basta” dell’amico Agobit.
LUMEN


<< Cambiamenti comportamentali ed ambientali, specie se rapidi e innaturali, possono determinare l’insorgere di malattie in quanto gli organismi non hanno sviluppato sufficientemente meccanismi adattativi.
Il caso agisce sul genoma producendo cambiamenti neutrali, ovvero né utili né dannosi; è poi il gioco competitivo e l’influenza ambientale che stabilisce i geni adatti che si riproducono. Ma vi sono dei vincoli che impediscono di raggiungere l’adattamento ottimale, perché spesso accade che la vicenda evolutiva ha imboccato un’altra strada da cui è impossibile tornare indietro.

I cambiamenti nel genoma agiscono sui tempi lunghi mentre in genere  l’ambiente si modifica più rapidamente, portando ad incongruenze tra patrimonio genetico, espressione fenotipica e ambiente esterno. (...)
Il nostro corpo si è formato durante milioni di anni trascorsi nelle savane in piccoli gruppi dediti alla caccia e alla raccolta. La selezione naturale non ha avuto il tempo per adattarlo ai rapidi cambiamenti intervenuti negli ultimi 40.000 anni con l’invenzione dell’agricoltura, dell’allevamento e della vita cittadina.

La tecnologia esplosa negli ultimi secoli ha poi rapidamente e ulteriormente modificato l’ambiente e  il nostro corpo non è stato in grado di adattarsi altrettanto rapidamente e di affrontare, ad esempio,  alimentazioni ricche di grassi, di glicidi, le automobili, droghe, luci artificiali e riscaldamento centralizzato.
La maggior parte delle malattie moderne  derivano da questa imperfetta combinazione  tra l’ambiente sviluppatosi  recentemente e la nostra struttura conformatasi in milioni di anni. (…) 

Ci sono geni che rimangono nel genoma nonostante siano causa di malattie. Alcuni dei loro effetti sono “capricci” che risultavano innocui quando vivevamo in un ambiente più naturale.
Per esempio, la maggior parte dei geni che predispongono a malattie cardiache è rimasta inoffensiva per migliaia di anni finché non abbiamo cominciato a mangiare troppi grassi e a vivere in maniera stressante.
I geni che causano la miopia danno problemi solo all’interno di società in cui i bambini, nei primi anni di vita, utilizzano troppo gli occhi per guardare da vicino, come nella lettura.

Alcuni dei geni che causano l’invecchiamento erano soggetti a ben poca selezione quando la vita era molto più breve.
Inoltre, molti geni che causano malattie sono presenti nel nostro corpo perché danno benefici in altre situazioni o altre combinazioni. Il gene della falcemia (una forma di anemia), per esempio, protegge dalla malaria e per questo la malattia è molto diffusa in Africa.  (…)
Questi geni danneggiati vengono continuamente eliminati o tenuti sotto controllo dalla selezione naturale. Ma esistono geni “fuorilegge” che agevolano la propria trasmissione a spese del portatore, dimostrando brutalmente come la selezione agisca a favore dei geni e non dell’individuo o della specie.

Tuttavia poiché la selezione tra gli individui è una potente forza evolutiva, anche questi geni fuorilegge sono difficilmente origine di malattie. (…)
Le modifiche ambientali dovute alla tecnica moderna sono state rapidissime negli ultimi due, tre secoli. Ciò ha causato forti anomalie tra le strutture fisiche del corpo evolutesi durante milioni di anni in ambiente del tutto diverso e i comportamenti richiesti dalla tecnologia.

I comportamenti anormali dei bambini che potrebbero causare uno sviluppo fisico irregolare sono molti.  Stare ore ed ore seduti sui banchi di scuola non è naturale; ai bambini del Paleolitico non era richiesto niente del genere. Quando stavano fermi erano accoccolati, non seduti.
Gli uomini potevano camminare, sedersi, inginocchiarsi e correre quando volevano. Molti  di quelli che oggi soffrono di mal di schiena debbono il fastidio alle tante ore passate in una posizione anormale imposta loro nell’infanzia. (…)

Esiste un meccanismo capace di aumentare la pressione durante la veloce crescita dell’adolescenza (più un corpo è grosso più la pressione deve essere alta). Secondo Weder e Schork nell’ambiente atavico il meccanismo doveva regolarsi su una gamma più ristretta di dimensioni corporee.

Oggi la nutrizione molto ricca determina crescite veloci  e taglie grandi, assai rare nel passato. Il meccanismo che regola la pressione è stato costretto ad adattarsi a variazioni più ampie di quelle per cui si era selezionato, così spesso esagera e alza troppo la pressione sanguigna.

Il freddo può essere considerato un fattore ambientale relativamente nuovo. La diffusione della popolazione umana in ecosistemi con stagioni fredde fu facilitata da progressi tecnologici quali i vestiti e il fuoco, scoperti poche migliaia di anni fa.
Per sopravvivere all’inverno, nella maggior parte della superficie abitata del pianeta abbiamo ancora bisogno di questi elementi artificiali.

La bassa temperatura non è però il solo stress che dobbiamo combattere alle alte latitudini. I vestiti e le case, che ci permettono di vivere in luoghi come Montreal e Mosca, ci causano altri problemi di salute.
La sintesi della vitamina D dipende dalla superficie della pelle esposta al sole. Stando in casa tutto il giorno e coprendoci con i vestiti quando siamo all’aperto  sintetizziamo una quantità di vitamina D molto più bassa di quella prodotta da un abitante della savana africana che gira nudo, e probabilmente molto inferiore ai nostri bisogni metabolici.  La sua carenza porta a problemi di salute connessi con il metabolismo del calcio. (…)

L’invenzione dell’agricoltura fece aumentare la densità della popolazione in un modo che sarebbe stato impensabile in un’economia di caccia-raccolta, e consentì inoltre la nascita delle città.
Queste modifiche nello stile di vita aumentarono il numero di contatti interpersonali che ogni individuo poteva avere, oltre ad accrescerne la vicinanza e la durata. Emersero allora nuove malattie  infettive che potevano diffondersi solo tramite contatto.

L’efficacia dell’evoluzione di nuove difese fu tragicamente dimostrata [in negativo] quando coloni che erano portatori sani di vaiolo invasero territori le cui popolazioni non erano mai state esposte alle malattie occidentali. Gli europei uccisero molti più nativi americani con il vaiolo e l’influenza che con le armi.
Molti problemi psicologici sono causati dalla vita moderna. Nonostante la retorica politica sui valori della famiglia, i bambini allevati in periferie da famiglie nucleari che vivono in villette o in palazzi sono immersi in un ambiente sociale nuovo almeno quanto quelli vigilati da un insegnante precario in un asilo.

Da adulti, ma anche da adolescenti e da bambini, spesso abbiamo a che fare più con burocrazie impersonali che con persone note. Le persone che incontriamo durante il giorno sono perlopiù sconosciuti. Non è questo il mondo in cui sono evoluti i nostri antenati. (…)
Pare inoltre che le caratteristiche degli ambienti moderni aumentino l’incidenza del cancro: raggi X e altre radiazioni ionizzanti, nuove tossine, pesticidi in agricoltura, livelli eccessivi di esposizione alle tossine naturali (come la nicotina e l’alcol), alimentazione e stili di vita stressante.  (…)

Un alimento con una concentrazione elevata di sale o alcol, oppure ricco di carcinogeni come quelli della carne affumicata o alla griglia, aumenta il rischio di cancro dello stomaco o all’intestino.
I composti chimici del fumo di tabacco o dello smog delle città influenzano alla stessa maniera le cellule dei polmoni. Il modo in cui una alimentazione ad alto contenuto di grassi incide sui tumori della mammella e alla prostata è noto. Manipolazioni ormonali dovute a sostanze usate in agricoltura o come additivi nei cibi influiscono artificialmente sui tessuti.  >>

R. NESSE  &  G. WILLIAMS
 

venerdì 19 aprile 2013

Breve contro-storia d’Italia - 2

(Concludiamo l'articolo di Ugo Bardi sulla contro-storia energetica dell’Italia dall’unità ad oggi). Lumen

(seconda parte)

<< Lo stato italiano da poco creato è risultato sorprendentemente resiliente. Naturalmente, l'Italia non è mai stata sufficientemente potente da competere con le grandi potenze, ma ha giocato il ruolo che ci si aspettava nel Mar Mediterraneo.
L'Italia ha fermato i tentativi francesi di espansione in Tunisia e, nel 1911, si è presa un pezzo di terra in Nord Africa sconfiggendo l'Impero Ottomano e annettendosi  (…) la Libia. 
Questo ha creato uno stato cuscinetto fra le sfere di influenza della Francia e della Gran Bretagna in Nord Africa.

Per lungo tempo, l'alleanza fra Gran Bretagna e Italia è rimasta forte (…). L'Italia è rimasta una buona cliente del carbone britannico e meta preferita per i turisti britannici e per gli espatriati.
Ma le cose sarebbero cambiate con la fine della Grande Guerra.
Finché l'Italia poteva importare carbone dall'Inghilterra, la sua economia ha prosperato e l'alleanza con la Gran Bretagna è rimasta forte.
Ma con la fine della Prima Guerra Mondiale, le miniere in Inghilterra hanno iniziato ad avere problemi ad aumentare la produzione e persino a mantenerla ai vecchi livelli. La Gran Bretagna stava attraversando il proprio “picco del carbone”.

In Italia questo evento è stato percepito come un tradimento e gli italiani proprio non potevano capire perché la Gran Bretagna non volesse dar loro il carbone di cui avevano bisogno.
Il risultato è stata una sfiducia generalizzata che è stata trasformata in odio contro la “Perfida Albione”, come la stampa italiana ha cominciato a chiamare la Gran Bretagna negli anni '30. Ma gli insulti contro i perfidi inglesi non potevano essere trasformati in carbone.

L'Italia stava diventando come una bestia affamata chiusa in gabbia: è impazzita (…). 
Negli anni '30, il governo italiano si è comportato come se il suo scopo dichiarato fosse quello di distruggere il paese.Una serie di guerre hanno portato alla bancarotta un'economia già in difficoltà e l'invasione dell'Etiopia nel 1936 è stata una campagna enormemente costosa che ha portato pochi guadagni o nessuno all'Italia (…).
Il governo ha completato il lavoro con la Seconda Guerra Mondiale, dove un'Italia impreparata è stata completamente sconfitta e distrutta.

Dopo la fine della guerra, l'Italia è riuscita a ricostruire la propria economia basandosi sul petrolio greggio. Ma la crisi petrolifera che è iniziata negli anni 70 è stata per molti versi la ripetizione della crisi del carbone degli anni 20.
Senza petrolio a buon mercato, l'industria italiana non poteva semplicemente sopravvivere e questa, probabilmente, è una delle ragioni della vena di follia che pervade la politica italiana ai giorni nostri.
Fortunatamente, stavolta l'Italia non può reagire alla crisi diventando aggressiva, com'è accaduto negli anni 30.

La ragione per cui strutture politiche grandi e complesse, come gli stati nazionali, esistono, è perché danno benefici che giustificano i loro costi.
Ma tutti i sistemi politici sono soggetti a ciò che Joseph Tainter chiama il “ritorno decrescente della complessità”. Con il declino delle risorse che hanno creato il sistema, la complessità cessa di essere un vantaggio e diventa un fardello.
Il risultato normalmente è quella rapida diminuzione di complessità che chiamiamo “collasso”.

L'Italia come stato unificato è un sistema politico complesso che è stato creato a causa di ragioni strategiche ed economiche al tempo della sua creazione. Un governo centralizzato ha prodotto vantaggi in termini di difesa territoriale e di integrazione economica che hanno giustificato il suo costo.
Ma le cose sono cambiate profondamente in entrambe le aree.

Per prima cosa, nell'era delle superpotenze l'Italia non può mantenere un potere militare autonomo.
Oggi, il sistema militare italiano è completamente incorporato nella NATO. In termini di politica estera, l'Italia è parte dell'Unione Europea e possiamo dire ragionevolmente che l'Italia non ha più una politica estera indipendente.

Poi, con la crescita dell'Unione Europea  la nascita dell'Euro, il governo italiano ha perso la possibilità di una politica monetaria indipendente e con questa la propria capacità di intervenire nell'economia nazionale.
Essendo poi parte del WTO (World Trade Organization), il governo italiano ha ulteriori limiti su quanto può fare in termini economici.

Ciò che è rimasto al governo centrale italiano è la capacità di esigere tasse e, infatti, gran parte dell'attuale dibattito politico in Italia è su chi dovrebbe pagare le tasse, quante, e per cosa queste tasse dovrebbero essere usate.
Naturalmente, c'è un accordo generale sul fatto che le tasse dovrebbero essere usate per servizi come la polizia, le scuole, le strade, la giustizia, gli ospedali e cose del genere.
Ma lo stato italiano è una struttura costosa e sbilanciata.

Nonostante il declino del PIL nazionale, le tasse continuano ad aumentare ed oggi gli introiti delle tasse in Italia si mangiano quasi il 45% del PIL (negli Stati Uniti è meno del 30%) (…).
Ciononostante, la qualità dei servizi pubblici è percepita come in declino e agli italiani si chiede sempre più spesso di pagare per servizi che una volta erano gratuiti.
A questo punto, è legittimo chiedersi se questi servizi non possano essere forniti a costi inferiori (e possibilmente con migliore qualità) dai governi regionali; senza il fardello di un sistema di stato centralizzato.

Come è normale per tutti i governi, quello italiano non sa come tagliare i costi e riformare sé stesso. Continua a chiedere sempre più soldi ai cittadini mentre sogna mega progetti incredibilmente costosi, come il ponte sullo Stretto di Messina, la TAV Torino-Lione e molti altri.
Allo stesso tempo, il governo è stato incapace di impegnarsi anche in semplici gesti come la riduzione dei privilegi dei membri del parlamento. 

Questo non avrebbe cambiato molto nel bilancio dello stato, ma avrebbe almeno mandato un segnale agli italiani che i sacrifici sarebbero stati condivisi.
Non c'è da meravigliarsi che i cittadini italiani siano arrabbiati e confusi e che reagiscano con schemi di voto, alle elezioni nazionali, che sembrano confusi (…) [e che manifestano] il bisogno di una redistribuzione dei sacrifici che la difficile situazione economica impone.

Vedremo il collasso dell'Italia come stato centralizzato per dare spazio ai governi regionali?
Questo non sembra essere nell'orizzonte politico al momento, ma non può essere nemmeno escluso, come dimostra la diffusione della visione “revisionista” dell'unificazione italiana.
Quello che possiamo dire con certezza è che la crisi economica italiana sta diventando più profonda e che ci aspettano grandi cambiamenti. >>

UGO BARDI

sabato 13 aprile 2013

Breve contro-storia d’Italia - 1

Sono in molti (me compreso) ad essere convinti che la storia ufficiale, quella che si legge sui libri di scuola, non racconti le cose nel modo più adeguato per una reale  comprensione degli eventi, ma si limiti ad un susseguisti di fatti e di eventi, condizionati dal fatto, ben noto, che la storia la fanno i vincitori.
In questo bellissimo articolo (tratto da Effetto Cassandra), Ugo Bardi rivisita brevemente la storia dello Stato Italiano, dall’unificazione ad oggi, in un’ottica del tutto inconsueta, quella delle fonti energetiche.
E le sorprese non mancano.
LUMEN


<< A scuola, agli italiani viene raccontata la versione standard degli eventi che hanno portato l'Italia a diventare uno stato unificato nel 1861. Questa versione dice che gli italiani hanno combattuto duramente e con passione per l'ideale di un paese unito. Dopo alcuni tentativi falliti, alla fine, un migliaio di volontari coraggiosi hanno seguito il generale Garibaldi nella lotta contro l'arretrato e dittatoriale Regno di Napoli.
Con l'aiuto di molti patrioti napoletani, l'esercito di Garibaldi ha trionfato e questo ha portato all'unificazione dell'Italia in un unico stato governato dal saggio Re del Piemonte. Poco dopo, l'esercito italiano ha trionfato anche contro gruppi di banditi che hanno provato senza successo a resistere al processo di unificazione nel Sud Italia.

Tuttavia, esiste una versione diversa degli stessi eventi che sembra stia diventando più popolare in Italia in tempi recenti (chiamiamola “revisionista”).
Questa dice che il prosperoso e civilizzato Regno di Napoli è stato pugnalato alla schiena da una banda di mercenari guidati da un avventuriero di nome Giuseppe Garibaldi e pagati con l'oro del re del Piemonte. Con l'astuzia e il tradimento, Garibaldi è riuscito a sopraffare la resistenza disperata dell'esercito napoletano e a spodestare il Re di Napoli dal suo legittimo trono.
In seguito, molti coraggiosi combattenti per la libertà napoletani hanno cercato di ristabilire il loro legittimo re, ma sono stati sterminati senza pietà dalle truppe piemontesi.

Queste, naturalmente, sono delle descrizioni estreme di un dibattito in corso sull'unificazione dell'Italia. Ma queste visioni illustrano almeno una delle molte caratteristiche affascinanti della storia: quanto facilmente proiettiamo i nostri sentimenti moderni sulle persone e gli eventi del passato.
Qui, le versioni sia ufficiale sia revisionista, vedono l'unificazione dell'Italia alla luce di sentimenti che erano probabilmente lontani dal pensiero di quelli che hanno realmente vissuto l'evento.
Ma i limiti di entrambe le visioni non è tanto nel forzare quegli antichi eventi in schemi moderni, ma nella loro tendenza a vedere la storia in una prospettiva puramente italiana. (…)
La politica internazionale, [invece], ha giocato un ruolo fondamentale nell'unificazione, come la ricerca moderna sta iniziando a mostrare.

A partire dal 17° secolo, l'Europa ha iniziato ad essere travolta da un'onda nera. Era un’onda di carbone, una fonte di energia economica e abbondante mai vista prima nella storia. Col carbone, è arrivata la rivoluzione industriale e con essa la crescita economica e il potere militare.
Ma l'onda nera non è arrivata dappertutto allo stesso momento. A causa di eventi geologici remoti, il carbone si trovava principalmente nel Nord Europa. Quindi la rivoluzione industriale è iniziata nel sud della Gran Bretagna e nel nord della Francia.

Avere miniere di carbone non era strettamente necessario ad una regione per industrializzarsi: la fonte nera di energia poteva sempre essere importata. Il carbone era caro da trasportare via terra, ma poteva essere trasportato facilmente sull'acqua.
Così, il bisogno di trasportare carbone era una delle ragioni principali che hanno portato allo sviluppo della rete europea di canali navigabili che hanno cominciato ad essere comuni nel 19° secolo. Ma nelle zone calde e aride, c'erano grossi problemi per costruire vie d'acqua navigabili. Niente canali significava niente carbone e niente carbone significava niente rivoluzione industriale.  (…)
Delle regioni mediterranee, solo il nord Italia e la Catalogna hanno potuto costruire dei canali navigabili. Il resto è stato escluso dalla rivoluzione industriale.

Questo squilibrio di potere economico è stato il fattore chiave che ha generato l'unificazione italiana.
Il Regno del Piemonte (…) nell'Italia nord occidentale, aveva accesso a una rete di canali e, nel 19° secolo, è diventato una potenza militare ed industriale nella penisola italiana, mentre gran parte degli altri stati, specialmente al sud, erano rimasti economie agricole.
Questo squilibrio di potere non era in sé sufficiente a creare l'unificazione italiana, ma una serie di circostanze esterne lo ha reso possibile e forse inevitabile.

Prima della rivoluzione industriale, il Mar Mediterraneo era stato in gran parte un lago turco e, in parte minore, un entroterra dell'Impero Spagnolo. Ma Turchia e Spagna non potevano agganciarsi alla rivoluzione industriale: non avevano né sufficiente carbone né canali navigabili.
Col 19° secolo, l'ascesa delle potenze industriali europee ha creato un vuoto di potere in rapido sviluppo nell'area mediterranea. Gran Bretagna, Francia, Austria e Russia guardavano a sud con l'idea di incorporarsi un pezzo dell'Impero Turco in declino (…).

Napoleone dette inizio ai fuochi d'artificio con l'invasione dell'Egitto nel 1798. Quel tentativo fallì, ma era soltanto un rimandare i piani francesi.
Nel 1830, la Francia invadeva l'Algeria. Gli algerini opponevano una strenua resistenza ma, senza aiuto dall'Impero Ottomano in disfacimento, non potevano che essere sopraffatti dalla superiore potenza di fuoco e dal numero degli invasori. Stavolta era chiaro che la Francia era in Nord Africa per restarci. (…)

Non c'è voluto molto sforzo ai diplomatici britannici per vedere che c'era una soluzione per fermare l'espansione francese che non richiedeva un intervento militare diretto. Ciò che serviva era una forte Italia unificata.
Come stato, l'Italia sarebbe rimasta troppo debole per sfidare le potenze mondiali, ma sarebbe stata abbastanza forte da impedire un'invasione francese e per resistere ai tentativi francesi di dominare ciò che i governi italiani avrebbero visto come la sfera di influenza del paese in Nord Africa.
Così, l'interesse britannico all'unificazione italiana è diventato una forza motrice nella politica italiana.

Ma questo non è stato il solo fattore in gioco. (…) I piani britannici erano perfettamente coerenti con quelli del Piemonte, che puntava ad espellere l'Austria dal Nord Italia e di espandersi al sud nella penisola.
Anche fuori dal Piemonte, gli italiani ricordavano molto bene i tempi, un paio di secoli prima, quando il territorio italiano era stato poco più di un campo di battaglia per potenze straniere che combattevano per la supremazia.
Molti in Italia capivano che solo uno stato italiano unificato poteva mettere insieme sufficiente forza militare per mantenere l'Italia indipendente dal dominio straniero.

E c'erano anche ragioni economiche. Gli italiani potevano capire senza problemi che solo un paese unificato poteva sbarazzarsi di arcaici confini e pedaggi, costruire una infrastruttura di trasporto snella e creare una singola valuta per facilitare il commercio.
Anche qui, uno stato unificato era generalmente visto come l'unico modo per l'Italia di combattere la minaccia della dominazione straniera.

Gli interessi convergenti di Gran Bretagna, Piemonte e di diversi movimenti di idee in Italia hanno portato all'unificazione dell'Italia nel 1861.  
E' stato il risultato di una serie di campagne militari di successo ed del trionfo delle diplomazie coordinate di Piemonte e Gran Bretagna.
Delle potenze mondiali che potevano opporsi all'unificazione, l'Austria è stata sconfitta e la Francia era placata con un po' di terra (Savoia e Nizza) che valeva molto meno dei guadagni ottenuti dal Piemonte.

Gli altri stati italiani non sono riusciti ad opporre una resistenza significativa; sono stati pacificamente integrati nel nuovo stato o sono stati spazzati via. 
Questo è stato il destino del “Regno delle due Sicilie” (…).
Non era né la dittatura arretrata né la terra prospera e civilizzata descritte oggi dalle diverse visioni della storia. Semplicemente, non si era industrializzato ed era economicamente troppo debole per sopravvivere da solo. >>
 
UGO BARDI
 
(continua)

sabato 6 aprile 2013

Cronache da Nicea

LUMEN – L’Imperatore Costantino ! Quale onore !
COSTANTINO – Comodo, comodo. Anzi, Commodo, Commodo (eh, eh, eh…).
 
LUMEN – Vi vedo di buon umore.
COSTANTINO – Non mi lamento.
 
LUMEN - Stavo leggendo del Concilio di Nicea.
COSTANTINO – Ah, bei tempi, quelli.
 
LUMEN – E’ stato un grande successo politico, ma anche teologico per voi. Soprattutto il “Credo”.
COSTANTINO – Non lo nego. In effetti, abbiamo ottenuto un grande risultato. Adesso tutti i cristiani hanno un punto di riferimento sicuro, in cui credere ciecamente.
 
LUMEN – Beh, proprio ciecamente non direi.
COSTANTINO – Ma cosa dite ? Il Credo è la base della fede cristiana. Tutti lo recitano con profondo rispetto.
 
LUMEN – Lo recitano, certo. Ma non tutti lo intendono alla lettera. Sicuramente non lo fanno i credenti fortunati, che sono la maggioranza.
COSTANTINO – Che storia è questa ? Chi sarebbero questi “credenti fortunati” ?
 
LUMEN – Sono quelli che si prendono il buono della religione, ovvero la consolazione nelle difficoltà e la certezza del paradiso, senza pagarne alcun prezzo.
COSTANTINO – Ma allora cosa pensano veramente di Dio queste persone ?
 
LUMEN – Se volete, ve lo posso spiegare.
COSTANTINO – Ve ne sarei grato. Ai miei tempi queste cose erano impensabili.
 
LUMEN – Ma i tempi cambiano ed oggi è tutto molto diverso.
COSTANTINO – “O tempora, o mores”, come diciamo noi.
 
LUMEN - Allora, voi incominciate a recitare il credo ed io, man mano, vi spiego come ragionano, nel profondo del loro cuore, i credenti fortunati di oggi.

COSTANTINO – D’accordo, cominciamo. Credo in un solo Dio.
LUMEN – Credo in Dio, in Gesù, nella Madonna (anzi nelle Madonne) nei Santi, nei Beati e in tutti coloro che mi possono dare una mano.

COSTANTINO – Padre onnipotente.
LUMEN – Padre onnipotente che, se lo vuole, può anche farmi vincere alla lotteria.

COSTANTINO - Creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili.
LUMEN – Creatore del cielo, della terra e di tutto quanto, anche perché la fisica è così complicata e astrusa che non ci capisco nulla.

COSTANTINO - Credo in un solo Signore, Gesù Cristo, Unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre.
LUMEN – Credo in Gesù Cristo, che è buono, bello, biondo ed ha gli occhi azzurri. Che sia generato, creato, unigenito o consustanziato (che bella parolona) non lo so e non me ne importa.

COSTANTINO - Per mezzo di Lui tutte le cose sono state create.
LUMEN – Le cose sono state create da Dio padre, quello vecchio con la barba bianca. Gesù è arrivato dopo e faceva i miracoli.

COSTANTINO - Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo
LUMEN – Discese dal cielo su una stella cometa,  e nacque in una stalla (o era una grotta ?).

COSTANTINO - E per opera dello Spirito Santo si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo.
LUMEN – Fu partorito da una povera ragazza che si chiamava Maria, che era vergine prima, ma che sicuramente non era più vergine dopo. Maria era la moglie di  Giuseppe, ma rimase  incinta per l’intervento di un angelo .

COSTANTINO - Fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto.
LUMEN – Fu condannato a morte dagli Ebrei, che erano brutti e cattivi, e poi torturato e infine crocefisso dai Romani, anche se Ponzio Pilato aveva cercato di lavarsene le mani.

COSTANTINO - Il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture, è salito al cielo, siede alla destra del Padre.
LUMEN – Il giorno di Pasqua, non si sa come, è uscito dalla tomba, si è fatto vedere dai vecchi amici, che non ci volevano credere, e poi è tornato in cielo a fare il vice di suo padre.

COSTANTINO - E di nuovo verrà, nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà fine.
LUMEN – E poi forse un giorno tornerà sulla terra, ma chissà quando.

COSTANTINO - Credo nello Spirito Santo, che è Signore e dà la vita, e procede dal Padre e dal Figlio.
LUMEN – Dello Spirito Santo non mi sono mai interessato molto, perché in fondo si tratta di una semplice colomba, anche se bella e bianca.

COSTANTINO - Con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e ha parlato per mezzo dei profeti.
LUMEN – I Profeti sono roba vecchia e superata. Esistevano ai tempi della Bibbia, poi sono spariti dalla circolazione.

COSTANTINO - Credo la Chiesa, una santa cattolica e apostolica.
LUMEN – Vado in Chiesa quasi tutte le domeniche (se non ho altri impegni) e poi a Natale e a Pasqua. E quando il Papa passa in televisione non me lo perdo. E’ un vero spettacolo, con tutte quei paramenti sacri ed i vestiti colorati. E poi, la Basilica di San Pietro è proprio bella.

COSTANTINO - Professo un solo Battesimo per il perdono dei peccati.
LUMEN – Quando ero piccolo mi hanno battezzato, ma non credo che fosse per i peccati, perchè ero appena nato. Comunque, adesso, per il perdono dei peccati vado dal confessore e mi trovo benissimo.

COSTANTINO - Aspetto la risurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà.
LUMEN – Non ho capito bene se in Paradiso ci andrò subito dopo la morte, o in un momento successivo. Ma io, in Paradiso, ci finisco di sicuro. Perché sappiamo tutti che Dio è immensamente buono e siccome, in fondo, non ho mai ammazzato nessuno, perché non dovrebbe perdonare anche me ?

COSTANTINO – Per la Santissima Trinità ! Ci sono dei Cristiani che pensano queste cose ?
LUMEN – Proprio così. E sono la maggioranza.

COSTANTINO – Ma questa gente non andrà mai in Paradiso.
LUMEN – Su questo sono d’accordo con voi. Ma loro non lo sanno.

sabato 30 marzo 2013

Lo strano caso del Dr. Dennett e di Mr. Homunculus

Homunculus, chi era costui ? Ma che domande, l’Homunculus siamo noi stessi.
In campo cognitivo, infatti, si parla di Homunculus Cartesiano per indicare la parte più intima del sè, secondo l'idea che dentro di noi, da qualche parte nel nostro cervello, viva una persona che guarda il mondo attraverso i nostri occhi e comunica attraverso la nostra bocca.
Si tratta di un concetto affascinante, a cui facciamo inconsciamente riferimento quando parliamo di noi stessi, ma la cui validità scientifica è messa in forse (o addirittura demolita) da molti studiosi della mente.
Tra questi vi è lo scienziato americano Daniel Dennett, alle cui teorie è dedicato questo post. Il testo, in forma di breve compendio, è tratto dall’ottimo sito IL DIOGENE, a cui rimando per eventuali approfondimenti.
LUMEN


<< La conclusione di Dennett è che l'intenzionalità si basa su nozioni che possono essere definite pseudo-spiegazioni, poiché le convinzioni, i desideri o gli atti volitivi a cui essa fa riferimento, non costituiscono la vera causa del comportamento umano, ma sono semplici etichette per descrivere ed, eventualmente, prevedere il comportamento stesso.

L'intenzionalità, che deriva dalla psicologia del senso comune, non rappresenta un adeguato concetto esplicativo, dal momento che non può fare a meno di evocare una sorta di homunculus (eredità che ci deriva dalla concezione di Cartesio), posto alla base del nostro agire intenzionale e cosciente.

L'unico modo per eliminare l'homunculus è quello di ignorare la soggettività dell'individuo, concentrando la nostra attenzione sulla struttura reale del cervello.
In tal modo si può sostituire l'homunculus con tanti sottosistemi (folletti), ognuno dei quali svolge operazioni elementari: invece di parlare di fini o di intenzioni, analogamente a quanto avviene nei calcolatori, si può fare riferimento a sub-routine di un programma a cui vengono assegnati compiti semplici e ben specifici.

Dennett (…) ritiene che non ci sia una sostanziale differenza tra il modo di operare di un calcolatore e quello del cervello umano. In entrambi i casi si tratta di sistemi fisici, composti da un certo numero di sottosistemi. Non ha importanza il tipo di materiale con cui tali sistemi sono costruiti, bensì la funzione che essi svolgono.
Dennett non nega l'utilità di attingere dati dalla soggettività individuale, ma nello stesso tempo ci invita a considerare con sospetto questi dati.

L'evidenza con cui essi si presentano a un determinato soggetto non costituisce affatto una garanzia circa la loro veridicità. La capacità introspettiva della coscienza potrebbe addirittura essere frutto di un'illusione e noi non avremmo modo di smascherarla se ci affidassimo soltanto ad essa.
In una delle sue numerose argomentazioni, Dennett si richiama a Hume, all'analisi da questi condotta sul processo casuale.

Prima di Hume, tutti i tentativi di spiegare perché si crede nella casualità muovevano dal presupposto che, quando si osserva una causa e poi un effetto, non si fa altro che vederne la necessaria connessione.
Hume cercò di capovolgere questa impostazione, osservando che essendo noi tutti stati condizionati ad aspettarci l'effetto allorché vediamo una causa, siamo irresistibilmente portati a trarre l'inferenza, e ciò fa sorgere l'illusione di vedere la connessione necessaria che lega il succedersi dei due eventi.

Dennett propone una spiegazione analoga per la coscienza: «ci scopriamo a voler dire innumerevoli cose su ciò che sta accadendo in noi, e questo fa sorgere le varie teorie che spiegano come siamo capaci di dare resoconti introspettivi, tra le quali, ad esempio, quella ben nota ma semplicistica secondo la quale "percepiamo" questi avvenimenti con il nostro "occhio interiore"». (…)

Dennett critica la tendenza diffusa tra i ricercatori a pensare che i sistemi percettivi forniscano "segnali in ingresso" a una qualche area centrale del cervello, la quale, a sua volta, utilizzi tali segnali per impartire comandi relativamente periferici che controllano i movimenti del corpo.
Questo modello presuppone l'esistenza di un centro nel cervello verso il quale tutti i segnali convergono dando luogo al fenomeno della coscienza. Dennett chiama questa concezione Modello del Teatro Cartesiano, poiché andrebbe appunto fatta risalire a Cartesio.

Essa afferma l'esistenza di un ordine, di una linea d'arrivo in una parte definita del cervello, a seconda della quale l'ordine d'arrivo in quel punto corrisponde all'ordine con cui le esperienze "si presentano" al soggetto, poiché ciò che accade lì è precisamente ciò di cui diveniamo coscienti.
Il fatto è che noi non abbiamo esperienza diretta di quanto avviene sulla nostra retina, nelle nostre orecchie, sulla superficie della nostra pelle. Nella nostra effettiva esperienza rientra soltanto il prodotto finito di questi diversi processi di interpretazione.

Dennett riporta alcune situazioni sperimentali che mostrano come possiamo essere ingannati da ciò che appare.
Ad esempio, dati due fenomeni collegati tra loro in rapida successione, in certi casi accade che nel nostro vissuto soggettivo il secondo influenzi il primo, ancor prima di essersi verificato. (…)

L'unica spiegazione accettabile è che la percezione dei due eventi sia il risultato di una rielaborazione successiva. Le due esperienze distinte non fanno a tempo ad essere colte dalla coscienza come tali o, se ciò accade, esse vengono subito "spazzate via dalla memoria e sostituite da un documento falsificato" che ci presenta l'influenza del secondo evento sul primo come qualcosa di operante sin dall'inizio.
Alla luce di questi indizi sperimentali, Dennett giunge a concludere che non esiste un luogo centrale, un Teatro Cartesiano dove "tutto converge" per essere esaminato da un osservatore privilegiato.

La coscienza non sarebbe quindi una questione d'arrivo a un determinato luogo cerebrale, quanto piuttosto di attivazione che supera una certa soglia sull'intera corteccia o su larga parte di essa.
Al posto della concezione del Teatro Cartesiano, in cui opera un flusso lineare di processi che si succedono in maniera ordinata e sequenziale, Dennett propone quella delle Molteplici Versioni, costituita da un certo numero di circuiti in stretta interconnessione tra loro, che operano in parallelo.

Secondo tale concezione, l'unità dell'esperienza cosciente non viene ottenuta riconducendo l'attività dei diversi moduli in cui può essere idealmente suddivisa la corteccia cerebrale a un centro finale, che agisce da "collettore", bensì deriva dal loro funzionamento strettamente integrato e interdipendente.
In questa prospettiva, il Sé, l'Io a cui ciascuno di noi fa riferimento, si rivela essere soltanto una valida astrazione, una funzione teorica, piuttosto che un osservatore interno con il compito di raccogliere messaggi che provengono dalle varie zone del cervello.

Detto questo, il passo successivo discende quasi come una logica conseguenza.
Se il Sé - scrive Dennett - è soltanto il Centro di Gravità Narrativa, e se tutti i fenomeni della coscienza umana rappresentano soltanto i prodotti dell'attività di una macchina virtuale realizzata con connessioni variamente modificabili del cervello umano, allora, in linea di principio, un robot opportunamente "programmato" con un cervello costituito da un calcolatore al silicio, sarebbe cosciente, avrebbe un sé.

Dennett osserva che molte persone trovano molto poco credibile che un robot possa essere cosciente; esse sono portate a considerare tale ipotesi come una pura e semplice assurdità.
Effettivamente è piuttosto difficile immaginare come un calcolatore o una qualsiasi macchina cibernetica possa sviluppare la coscienza. (…)
Ma, secondo Dennett, è altrettanto difficile immaginare come un cervello umano organico possa sostenere la coscienza. Come potrebbe un complicato ammasso di interazioni elettrochimiche tra miliardi di neuroni equivalere alle esperienze coscienti ? (…)

Per concludere, la qualità dell'essere coscienti, per Dennett deriva unicamente da un certo tipo di organizzazione funzionale, e non dal fatto che si abbia a che fare con un cervello organico piuttosto che con un cervello costituito da un calcolatore elettronico.
Egli non trova una differenza sostanziale tra le due realizzazioni, essendo le loro attitudini legate all'insieme dei processi fisici che si svolgono in esse e non al materiale con cui sono costruiti. Non c'è altro da considerare, poiché le esperienze coscienti si identificano totalmente con gli eventi portatori di informazione al loro interno. >>


P.S. - Personalmente, nonostante l’attendibilità delle teorie di Dennett, continuo a restare affezionato al mio piccolo “homunculus” interiore, al quale non ho nessuna intenzione di rinunciare (anche perché, in fondo, ci conosciamo da una vita…).

LUMEN

sabato 23 marzo 2013

Chi fa da sè, fa per tre - 2

Concludiamo l’articolo di MASSIMO DE MAIO sull’autarchia economica vissuta dall’Italia durante il periodo fascista, Lumen
 
(seconda parte)
 
<< Il merito dell'esperienza autarchica [italiana] è forse quello di aver liberato la tecnologia dalla catena che la tiene legata all'obiettivo della crescita dell'output produttivo e dei profitti.

Oggi come all'inizio della rivoluzione industriale, la tecnologia in ambito economico ha due obiettivi: l'innovazione di processo e l'innovazione di prodotto. Entrambi gli obiettivi vengono perseguiti senza tenere conto dei limiti ecologici alla crescita economica, cioè della scarsità di risorse non rinnovabili e della limitata capacità degli ecosistemi di assorbire gli scarti dei processi di produzione e consumo.
 
Le “innovazioni di processo” sono finalizzate al mero incremento della capacità produttiva, cioè della quantità di merci prodotte per unità di tempo. Le “innovazioni di prodotto” sono strettamente legate alla funzione di marketing e finalizzate ad introdurre sul mercato prodotti sempre nuovi in modo da rendere forzatamente obsoleti quelli esistenti.
 
Ma se si introduce il vincolo posto dalla scarsità di risorse disponibili, l'obiettivo della tecnologia cambia e diventa quello di utilizzare al meglio ciò di cui si dispone, mettendo al primo posto la riduzione dei consumi di materia e energia e subito dopo la copertura del fabbisogno energetico mediante fonti reperibili sul territorio nazionale. Che in Italia non possono che essere rinnovabili e pulite.
 
È così che negli anni dell'autarchia il sapere tecnico-scientifico viene organizzato in enti di ricerca che interpretano la lotta agli sprechi come una vera e propria crociata da intraprendere nell'interesse della Nazione. (…)
 
L'avversione fascista per il liberismo in economia offre una ulteriore spinta in questa direzione: il sapere tecnico scientifico doveva essere messo non al servizio della singola impresa in un'ottica di mercato, ma al servizio di obiettivi autarchici nazionali.
 
Se l'obiettivo prioritario era quello di ridurre le importazioni di carbone, i tecnici dovevano impegnarsi a rendere più efficienti sia le locomotive che i forni industriali. La riduzione dei costi di produzione, che pure viene ottenuta per mezzo di tecnologie autarchiche, è un effetto secondario. L'effetto macroeconomico più importante è la riduzione del consumo complessivo di fonti fossili e inquinanti.
 
Gli anni dell'autarchia sono stati liquidati forse troppo sbrigativamente come quelli in cui il caffè aveva il sapore della cicoria. Erano, invece, anni in cui si assisteva ad una grande vivacità tecnologica. Pochi sanno che in quegli anni ci fu un grande interesse per l'energia solare e che molte delle tecnologie che oggi vengono proposte per migliorare l'efficienza delle macchine o per sfruttare fonti rinnovabili di energia (…) vennero ideate e sperimentate in Italia nel periodo dell'autarchia.
 
Tra le numerose invenzioni dell'epoca troviamo un “motore solare” per far funzionare pompe in ambito agricolo (…) e il “silex”, un materiale isolante per forni industriali capace di ridurre i consumi del 20%.  Sempre in quegli anni si cominciò a parlare di corretto orientamento degli edifici per sfruttare al massimo gli apporti solari e si misero a punto i primi collettori in grado di produrre acqua calda da utilizzare per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria.
 
Nel campo tessile ci fu ampio ricorso alle fibre naturali e vennero inventate nuove fibre come il Lanital, sostitutivo della lana ottenuto dalla caseina del latte, e la Cisalfa, costituita da sostanze cellulosiche. Dunque, anche le fibre “artificiali” avevano una origine naturale e rinnovabile essendo prodotte con sostanze vegetali o animali presenti sul territorio nazionale.

In 10 anni la capacità di generare elettricità da salti d'acqua fu quasi raddoppiata. Le potenzialità idroelettriche furono sfruttate ovunque fosse possibile, anche su piccola scala. (…) Quando ci si rese conto che l'Italia aveva un elevato potenziale di produzione idroelettrica, addirittura superiore ai consumi dell'epoca, si cominciò a puntare sulla mobilità elettrica per ridurre la dipendenza dalle fonti fossili importate dall'estero.

Nelle città furono realizzate linee per i filobus. (…) Ma lo sforzo di elettrificazione maggiore fu compiuto in ambito ferroviario. (…)  I treni sempre di più venivano alimentati dall'energia prodotta dai bacini idroelettrici e la riduzione dei consumi di carbone era enorme.

Il quadro della mobilità sostenibile si completava con una decisa promozione della bicicletta in ambito urbano. Il riciclaggio fu un ulteriore obiettivo autarchico. Nel 1938 a Milano era in vigore una raccolta differenziata dei rifiuti molto spinta e domiciliare molto simile all'odierno sistema “porta a porta”. Nel capoluogo lombardo si riciclava il 100% dei rifiuti urbani. (…)
 
In un filmato dell'Istituto Luce (…) si percorre tutto il ciclo di gestione dei rifiuti urbani a Milano nel 1938: dalla raccolta domiciliare alla selezione prima meccanica e poi manuale dei vari materiali riciclabili, fino all'ottenimento di prodotti riciclati come la carta.  Negli stessi anni l'incenerimento dei rifiuti venne giudicato dagli ingegneri autarchici come una pratica inefficiente in quanto distrugge risorse preziose che possono essere recuperate e riciclate. E venne scartata dalle opzioni possibili.
 
Alla luce di queste esperienze, occorre mettere in discussione un luogo comune che per molto tempo ci ha accompagnato. L'autarchia, non è da considerarsi uno scenario di regresso tecnologico e scientifico. Al contrario, ha bisogno di uno sforzo di creatività e innovazione nettamente superiore a quello richiesto dal perpetuare in modo pigro e acritico il modello. >>
 
MASSIMO DE MAIO