martedì 15 luglio 2025

L'Immigrazione come Problema Sociale

Il post di oggi riporta le considerazioni del movimento progressista 'Fronte del Dissenso' (pubblicate dal sito di Sollevazione - LINK), sul problema dell'immigrazione eccessiva in Italia.
Come si vede, non è necessario essere dei biechi reazionari 'di destra' per rendersi conto del tragico problema sociale che ci attende.
LUMEN


<< Ci sono problemi sociali che possono trovare soluzione senza sovvertire il sistema sociale che li ha prodotti. Altri, data la loro natura e dimensione, possono invece avere soluzione soltanto con la fuoriuscita dal sistema che li ha generati.

Il fenomeno delle migrazioni, degli esodi di massa, dello sradicamento di intere popolazioni, siccome connaturato al sistema capitalistico, non può trovare una soluzione definitiva nel suo seno.

La peculiarità del capitalismo è che gli esseri umani sono considerati una merce, forza-lavoro, manuale o intellettuale, la cui essenziale funzione è valorizzare il capitale. (…) È una legge inesorabile quella per cui la forza lavoro debba spostarsi dove il capitale chiama.

Più è grande la calamita del capitale più forte la sua capacità d’attrazione e ampio il suo raggio di cattura e saccheggio. Il capitale è un vampiro che si sposta ovunque trovi migliori opportunità, la dove ci siano umani a cui poter succhiare sangue per metterlo a valore e trarne profitto, ovunque possa depredare risorse naturali per alimentare la sua vorace macchina produttiva.

Più intenso e veloce il ciclo di “crescita” economica, tanto maggiori sono il disordine e il livello di entropia sistemica, e tanto più massicci saranno i fenomeni migratori.

Nel contesto della ultima globalizzazione capitalistica, segnata dal più radicale libero-scambismo e dal più prodigioso sviluppo delle sue forze produttive, il fenomeno delle migrazioni è diventato una piaga di dimensioni globali: intra e trans-continentale, tra le diverse nazioni, interno alle nazioni.

Possono mutare o addirittura invertirsi, a seconda dei movimenti e delle delocalizzazioni del capitale, le direzioni dei flussi, non il loro carattere sistemico. D’altra parte, come la forza-lavoro è destinata a inseguire il capitale, vale anche il movimento in direzione opposta, ciò accade ove il trasferimento e la delocalizzazione del capitale si presenti più agevole e prometta migliori risultati.

L’emigrazione non è dunque un fenomeno naturale bensì storico-sociale. In natura non esistono il giusto e l’ingiusto, il buono e il cattivo, e per questo non ha valore esprimere giudizi etico-morali o politici; i fenomeni sociali non solo meritano ma esigono che siano sottoposti alla valutazione etico-politica.

Ogni umana comunità, tra gli altri fattori, si fonda sulla dualità oppositiva tra ciò che è bene per la società e la singola persona e ciò che non lo è, tra condotte giuste e condotte sbagliate e nocive, di qui le leggi e le relative prescrizioni, dunque le sanzioni nei casi di trasgressione.

Così come sarebbe aberrante confondere la facoltà di muoversi e spostarsi liberamente con la condanna al confino o all’esilio, così è inaccettabile, come fa la retorica globalista, scambiare il diritto alla libera circolazione con gli attuali esodi di massa causati dalle ingiustizie e dalle storture abissali che il capitalismo più cresce più produce.

Emigrare per sfuggire alla miseria, abbandonare la propria comunità, la propria famiglia, il proprio Paese, non è esercitare un diritto di libertà, è una condanna all’esilio, una deportazione camuffata. A maggior ragione non saranno pertanto tollerate organizzazioni che pratichino il trasferimento programmato di migranti con la scusa di prestare soccorso in mare.

Non dimentichiamo né l’amara sentenza di Hegel, quella per cui la storia è simile ad un mattatoio “in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli stati e la virtù degli individui”, e con lui non possiamo non chiederci “a vantaggio di chi, e di qual finalità ultima siano stati compiuti così enormi sacrifici”.

Sappiamo che gli indiscutibili progressi conosciuti dall’umanità si sono realizzati a costo di privazioni e sofferenze indicibili per i popoli e gli oppressi. Questo dato di fatto non può tuttavia essere utilizzato come alibi per giustificare che la storia continui ad essere il banco di un macellaio. (...)

Occorre contrastare il fenomeno delle migrazioni caotiche e forzate di massa non solo per ragioni etico-morali, ma politiche e sociali: esso infatti, mentre impoverisce e depreda i paesi ed i popoli che producono l’esodo, generano nei paesi che lo subiscono guasti crescenti: aumento delle povertà, forme di sfruttamento neo-schiavistiche che concausano l’erosione di salari e diritti per i lavoratori tutti, marginalità sociale, tribalizzazione conflittuale su basi etno-linguistiche e/o religiose.

Come Giano la tradizione ideologica capitalista ha due facce, quelle del nazionalismo e quella del cosmopolitismo (che certa sinistra transgenica scambia con l’internazionalismo). Così come contestiamo entrambi respingiamo con la medesima fermezza le due loro specifiche ramificazioni: la xenofobia razzista e la xenofilia caritatevole.

Se è inammissibile respingere a priori l’immigrazione in base all’idea reazionaria della difesa “purezza etnica” e/o di una concezione mistica della patria, altrettanto sbagliata è la posizione dell’accoglienza indiscriminata, universale, senza regole: ciò che avviene infatti in nome del rifiuto delle sovranità statuali e della cancellazione delle identità nazionali e culturali, ovvero l’ideologia che il massimo progresso sarebbe il melting pot.

Tra le opposte utopie del “respingimento” e della “accoglienza” indiscriminata c’è lo spazio dell’azione articolata per frenare, regolamentare, quindi governare i flussi migratori, non solo in entrata ma pure in uscita visti i gravi danni che produce al Paese ed al suo futuro il fenomeno dell’emigrazione di giovani italiani all’estero.

Governare un fenomeno richiede la capacità di sapere con esattezza quali siano i bisogni della società sul medio lungo periodo, richiede un calcolo quanto più preciso delle risorse pubbliche e private disponibili, richiede che l’economia sia programmata e non lasciata in balia delle cieche leggi di mercato, richiede quindi farla finita col neoliberismo.

Tutte azioni che implicano uno Stato che non sia subordinato ma sovraordinato rispetto alla sfera economica, un governo effettivamente sovrano che metta al primo posto il bene comune, che quindi protegga la nazione dalle scorrerie delle multinazionali, che attivi un processo di sganciamento dalla globalizzazione e l’uscita dall’Unione Europea. >>

FRONTE DEL DISSENSO

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