Un famoso slogan politico del Movimento 5 Stelle recitava “Ognuno vale Uno”, ma la realtà, anche in democrazia, appare molto diversa.
La teoria elitista (che io seguo da tempo), afferma infatti che le società sono sempre dominate dalle rispettive Elites e che la volontà delle persone comuni finisce per avere (anche nelle democrazie formali) un'importanza modestissima, per non dire irrilevante.
Contro questa situazione si scaglia in modo appassionato Roberto Pecchioli, nel pezzo di oggi, tratto dal sito 'EreticaMente'.
LUMEN
Contro questa situazione si scaglia in modo appassionato Roberto Pecchioli, nel pezzo di oggi, tratto dal sito 'EreticaMente'.
LUMEN
<< Pochi concetti ci sono estranei quanto l’uguaglianza. Gli esseri umani sono terribilmente diseguali, benché ciascuno nasca, viva, muoia ed esistano esigenze e pulsioni comuni a tutti i conspecifici.
Pure, non condividiamo la sentenza di René Guénon, per il quale il parere della maggioranza non può che essere l’espressione dell’incompetenza. La teoria dell’autore de Il regno della quantità e i segni dei tempi conduce alla dittatura tecnocratica. Solo gli esperti (di un pezzetto piccolissimo dello scibile umano) sarebbero in grado di guidare il destino di tutti.
Siamo invece convinti che esista un buon senso popolare, un sentire comune che va ascoltato. Apprezziamo di più il pensiero di Aristotele: “la democrazia ha origine nell’idea che coloro che sono uguali sotto un qualsiasi rispetto sono uguali sotto tutti i rispetti”.
Insomma, l’uguaglianza - di cui la democrazia è l’espressione politica (teorica) - ha senso solo tra uguali. Poiché tali non siamo il principio non funziona.
Gli uomini decidono secondo interesse immediato, in base a una conoscenza nulla o superficiale, trascinati dal baccano circostante. Ne era convinto perfino Jean Jacques Rousseau, che nel Contratto Sociale scrive: “ se ci fosse un popolo di dèi, si governerebbe democraticamente. Un governo così perfetto non è adatto agli uomini”.
Per il ginevrino, meglio la “volontà generale”; il problema è che non è mai esistito il “buon selvaggio” corrotto dalla civilizzazione e che la società uscita dalle idee rivoluzionarie di cui fu l’alfiere si basa quasi soltanto sull’interesse. Il mitizzato cittadino non è che un “buon consumatore” eterodiretto, a cui si attaglia lo slogan produci, consuma, crepa.
Poiché non crediamo nell’uguaglianza, poco ci entusiasma la democrazia, il cui significato etimologico (governo del popolo) è forse la più antica impostura di cui sia vittima l’umanità.
La stessa idealizzata democrazia ateniese nata nel V secolo avanti Cristo non è affatto tale, come capì Benjamin Constant (La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, 1819). Su una popolazione stimata attorno ai 250 mila abitanti, non più del quindici per cento degli ateniesi decideva per tutti. Erano esclusi i giovani, i metechi (i residenti non ateniesi), gli schiavi e le donne.
Gli stessi storici ellenici riconobbero che il lungo governo di Pericle fu un’autocrazia dominata dalla figura carismatica del grande condottiero e brillante oratore, tra gli inventori della demagogia, l’arte di trascinare il popolo solleticando i suoi istinti più bassi. Già allora avevano grande influenza lo spettacolo – specie il teatro- e la satira politica, sovente pagata dagli avversari di chi ne diventava bersaglio: le prime forme di propaganda.
La democrazia, come metodo di inveramento pratico dell’uguaglianza, nasceva zoppa anche nella forma delle partecipazione diretta. Oggi il rischio – compreso da Constant - è la perdita di interesse della popolazione per i suoi diritti e doveri politici. Anziché uguaglianza, si diffonde indifferenza, un’ulteriore arma di oppressione in mano ai detentori del potere, che la sfruttano a proprio vantaggio.
A ciò si aggiunge la forza del denaro, che svuota la democrazia e rende lo stesso processo elettorale- secondo la narrazione dominante, culmine dell’uguaglianza in base al principio “un uomo, un voto” – una farsa dominata da chi può mettere in campo le risorse per orientare- ossia ingannare- la cosiddetta opinione pubblica.
Si tende inoltre a nascondere un elemento decisivo di ogni luogo, tempo e civiltà: la natura oligarchica del potere. Sempre, in barba alle teorizzazioni sull’uguaglianza e all’enfatizzazione del totem democratico, le decisioni sono prese da minoranze la cui capacità di coesione e di azione concertata supera di gran lunga maggioranze divise o prive di direzione.
E’ la legge ferrea delle oligarchie (che solo raramente sono aristocrazie, potere dei migliori) enunciata da Roberto Michels: tutte le organizzazioni complesse – non solo politiche- evolvono da una struttura democratica a un nucleo dirigente ristretto dominato da una oligarchia. Si tratta di una verità negata attraverso l’inganno.
La differenza tra la struttura del potere contemporaneo e quello di altre epoche è che finge di essere legittimato dalla maggioranza in base al principio di uguaglianza, declinato politicamente mediante il voto.
La maggioranza, secondo tale credenza, vince in quanto espressione quantitativa. Una tautologia che non spiega perché l’opinione maggioritaria – anche di un solo “uguale” in più - sarebbe superiore a ogni altro criterio.
Si è spesso sostenuto che i voti si dovrebbero pesare, non contare. Era la convinzione, ad esempio, del romantico Schiller. Vale ancora nell’ambito delle società di capitali e dei condomini, in cui conta la quota di capitale posseduta o i millesimi detenuti in una proprietà. Purtroppo occorre riconoscere che non esistono metodi accettabili per attribuire valore differenziato a un voto, a un’opinione, a un convincimento. Non esiste il peso specifico delle idee, né, come in chimica, il concetto di “valenza”.
Per questo il cammino storico dell’uguaglianza, in politica ha finito per attribuire a ogni essere umano un voto di valore uguale a quello di ciascun altro. Basta essere” cittadini” - per nascita, sangue o certificazione burocratica- e avere una certa età.
Tutto questo in teoria; nei fatti il potere è più oligarchico che mai, la proclamata uguaglianza è simile al principio della Fattoria degli Animali di Orwell, in cui tutti erano uguali, ma alcuni più uguali degli altri. Nel romanzo i maiali, destinati al comando.
Le trasformazioni sociali e il senso comune maturato nel tempo rendono impossibile opporsi al principio “un uomo, un voto” in termini etici, culturali, pratici.
Tuttavia, i più fieri nemici dell’uguaglianza politica sono precisamente quelli che la proclamano ogni dì h.24, con il sostegno di un gigantesco apparato propagandistico. Più è esaltata nei “sacri “ principi, più è negata, compressa, cancellata nella realtà.
Ci piacerebbe poterla pensare come un giurista e poeta spagnolo del XVIII secolo, José Gerardo Hervàs, : “devo seguire la via dei pochi, poiché mendicare il suffragio della plebe comporta danni assai costosi”.
Bisogna invece ragionare con freddezza e prendere atto che l’oligarchia non ha mai dominato in maniera tanto estesa da quando il metodo democratico e il principio di uguaglianza sono diventati intangibili. Li hanno piegati ai loro interessi e la “plebe” è diventata una turba di schiavi felici convinti di contare qualcosa. (…)
[Ci dicono che] sono i mercati che decidono. Gli basta girare la manopola dello spread e in un paio di pomeriggi…puff! Il brutto è che dicono così non per deprecare la fine della democrazia reale, ma per prepararci: comandano i mercati, il potere del denaro. E’ inevitabile, non c’è alternativa. Rassegnatevi, anzi applaudite. >>
ROBERTO PECCHIOLI
Pure, non condividiamo la sentenza di René Guénon, per il quale il parere della maggioranza non può che essere l’espressione dell’incompetenza. La teoria dell’autore de Il regno della quantità e i segni dei tempi conduce alla dittatura tecnocratica. Solo gli esperti (di un pezzetto piccolissimo dello scibile umano) sarebbero in grado di guidare il destino di tutti.
Siamo invece convinti che esista un buon senso popolare, un sentire comune che va ascoltato. Apprezziamo di più il pensiero di Aristotele: “la democrazia ha origine nell’idea che coloro che sono uguali sotto un qualsiasi rispetto sono uguali sotto tutti i rispetti”.
Insomma, l’uguaglianza - di cui la democrazia è l’espressione politica (teorica) - ha senso solo tra uguali. Poiché tali non siamo il principio non funziona.
Gli uomini decidono secondo interesse immediato, in base a una conoscenza nulla o superficiale, trascinati dal baccano circostante. Ne era convinto perfino Jean Jacques Rousseau, che nel Contratto Sociale scrive: “ se ci fosse un popolo di dèi, si governerebbe democraticamente. Un governo così perfetto non è adatto agli uomini”.
Per il ginevrino, meglio la “volontà generale”; il problema è che non è mai esistito il “buon selvaggio” corrotto dalla civilizzazione e che la società uscita dalle idee rivoluzionarie di cui fu l’alfiere si basa quasi soltanto sull’interesse. Il mitizzato cittadino non è che un “buon consumatore” eterodiretto, a cui si attaglia lo slogan produci, consuma, crepa.
Poiché non crediamo nell’uguaglianza, poco ci entusiasma la democrazia, il cui significato etimologico (governo del popolo) è forse la più antica impostura di cui sia vittima l’umanità.
La stessa idealizzata democrazia ateniese nata nel V secolo avanti Cristo non è affatto tale, come capì Benjamin Constant (La libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni, 1819). Su una popolazione stimata attorno ai 250 mila abitanti, non più del quindici per cento degli ateniesi decideva per tutti. Erano esclusi i giovani, i metechi (i residenti non ateniesi), gli schiavi e le donne.
Gli stessi storici ellenici riconobbero che il lungo governo di Pericle fu un’autocrazia dominata dalla figura carismatica del grande condottiero e brillante oratore, tra gli inventori della demagogia, l’arte di trascinare il popolo solleticando i suoi istinti più bassi. Già allora avevano grande influenza lo spettacolo – specie il teatro- e la satira politica, sovente pagata dagli avversari di chi ne diventava bersaglio: le prime forme di propaganda.
La democrazia, come metodo di inveramento pratico dell’uguaglianza, nasceva zoppa anche nella forma delle partecipazione diretta. Oggi il rischio – compreso da Constant - è la perdita di interesse della popolazione per i suoi diritti e doveri politici. Anziché uguaglianza, si diffonde indifferenza, un’ulteriore arma di oppressione in mano ai detentori del potere, che la sfruttano a proprio vantaggio.
A ciò si aggiunge la forza del denaro, che svuota la democrazia e rende lo stesso processo elettorale- secondo la narrazione dominante, culmine dell’uguaglianza in base al principio “un uomo, un voto” – una farsa dominata da chi può mettere in campo le risorse per orientare- ossia ingannare- la cosiddetta opinione pubblica.
Si tende inoltre a nascondere un elemento decisivo di ogni luogo, tempo e civiltà: la natura oligarchica del potere. Sempre, in barba alle teorizzazioni sull’uguaglianza e all’enfatizzazione del totem democratico, le decisioni sono prese da minoranze la cui capacità di coesione e di azione concertata supera di gran lunga maggioranze divise o prive di direzione.
E’ la legge ferrea delle oligarchie (che solo raramente sono aristocrazie, potere dei migliori) enunciata da Roberto Michels: tutte le organizzazioni complesse – non solo politiche- evolvono da una struttura democratica a un nucleo dirigente ristretto dominato da una oligarchia. Si tratta di una verità negata attraverso l’inganno.
La differenza tra la struttura del potere contemporaneo e quello di altre epoche è che finge di essere legittimato dalla maggioranza in base al principio di uguaglianza, declinato politicamente mediante il voto.
La maggioranza, secondo tale credenza, vince in quanto espressione quantitativa. Una tautologia che non spiega perché l’opinione maggioritaria – anche di un solo “uguale” in più - sarebbe superiore a ogni altro criterio.
Si è spesso sostenuto che i voti si dovrebbero pesare, non contare. Era la convinzione, ad esempio, del romantico Schiller. Vale ancora nell’ambito delle società di capitali e dei condomini, in cui conta la quota di capitale posseduta o i millesimi detenuti in una proprietà. Purtroppo occorre riconoscere che non esistono metodi accettabili per attribuire valore differenziato a un voto, a un’opinione, a un convincimento. Non esiste il peso specifico delle idee, né, come in chimica, il concetto di “valenza”.
Per questo il cammino storico dell’uguaglianza, in politica ha finito per attribuire a ogni essere umano un voto di valore uguale a quello di ciascun altro. Basta essere” cittadini” - per nascita, sangue o certificazione burocratica- e avere una certa età.
Tutto questo in teoria; nei fatti il potere è più oligarchico che mai, la proclamata uguaglianza è simile al principio della Fattoria degli Animali di Orwell, in cui tutti erano uguali, ma alcuni più uguali degli altri. Nel romanzo i maiali, destinati al comando.
Le trasformazioni sociali e il senso comune maturato nel tempo rendono impossibile opporsi al principio “un uomo, un voto” in termini etici, culturali, pratici.
Tuttavia, i più fieri nemici dell’uguaglianza politica sono precisamente quelli che la proclamano ogni dì h.24, con il sostegno di un gigantesco apparato propagandistico. Più è esaltata nei “sacri “ principi, più è negata, compressa, cancellata nella realtà.
Ci piacerebbe poterla pensare come un giurista e poeta spagnolo del XVIII secolo, José Gerardo Hervàs, : “devo seguire la via dei pochi, poiché mendicare il suffragio della plebe comporta danni assai costosi”.
Bisogna invece ragionare con freddezza e prendere atto che l’oligarchia non ha mai dominato in maniera tanto estesa da quando il metodo democratico e il principio di uguaglianza sono diventati intangibili. Li hanno piegati ai loro interessi e la “plebe” è diventata una turba di schiavi felici convinti di contare qualcosa. (…)
[Ci dicono che] sono i mercati che decidono. Gli basta girare la manopola dello spread e in un paio di pomeriggi…puff! Il brutto è che dicono così non per deprecare la fine della democrazia reale, ma per prepararci: comandano i mercati, il potere del denaro. E’ inevitabile, non c’è alternativa. Rassegnatevi, anzi applaudite. >>
ROBERTO PECCHIOLI
Diciamo che l'equazione democrazia = uguaglianza è, in un sistema neoliberista, priva di logica. E fin qui non ci sono dubbi. Ma la la democrazia non è una "antica impostura", come dice Pecchioli, perché riconosce a tutti libertà (come quella di espressione) e diritti civili e politici. Ne consegue che il concetto di democrazia va oggi considerato in modo più esteso.
RispondiEliminaDiciamo che il termine va arricchito con l'aggettivo 'liberale', per cui da un lato ci sono, appunto, le 'democrazie liberali' e dall'altro le democrazie solo formali.
EliminaCon differenze importanti per i cittadini, che possono essere di vario tipo, anche economico.
Non capisco
RispondiEliminaConoscevo questo testo di Pecchioli ma anche dopo l'ennesima rilettura non so dove voglia andare a parere l'autore. La democrazia è solo un metodo per decidere chi deve governare a tempo, non è vangelo. E che la maggioranza non abbia sempre ragione lo sappiamo, difatti dopo un certo periodo si rivota e si può rimandare a casa il governo in carica. Ma anche la nuova maggioranza ha solo il mandato di governare per una legislatura, non possiede la verità. Meglio di una democrazia, in cui hanno diritto di voto ignoranti, incompetenti w deficienti, sarebbe un sovrano o un governo illuminato che avesse davvero a cuore il bene comune e non il proprio esclusivo interesse. Ma anche questa è un'utopia.
Che fare allora? Il pericolo di manipolazione da parte delle élite è un dato di fatto, non credo si possa negare. Non resta dunque che cercare di capire, informarsi, allearsi con qualcuno. È necessaria eterna vigilanza, non ci si può mai riposare sugli allori. Vinta una battaglia o un'elezione bisogna prepararsi per il prossimo scontro.
Sulle élite dominanti e quasi onnipotenti non sono tanto d'accordo. Le gerarchie si formano naturalmente, ma possono essere contrastate, chissà talvolta anche battute. Davvero onnipotenti non sono. Berlusconi con tutti i suoi miliardi ha passato dei brutti momenti. Mi si dirà che Berlusconi non faceva parte delle élite, era solo un parvenu, un pesciolino a paragone di un Bill Gates. Che anche lui sembra faccia parte non delle vere élite, ma di un'élite di secondo o terzo grado.
Vacci a capire. Lo stesso non disperiamo, lottiamo, siamo vigili.
<< Le gerarchie si formano naturalmente, ma possono essere contrastate, chissà talvolta anche battute. Davvero onnipotenti non sono. >>
EliminaCerto, ci mancherebbe.
Ma i pericoli per loro non vengono dal popolo, dalla gente comune, ma solo dalle altre elites, o aspiranti elites, che vogliono prendere il loro posto.
Il popolo, al massimo, può essere usato come 'carne da cannone' per le rivoluzioni; le quali non cambiano la loro vita quotidiana, ma si limitano a sostituire la vecchia eliote con una nuova.
Gli esempi storici sono lì a dimostrarlo.
Parafrasando Churchill, la moderna Democrazia (liberale) di matrice occidentale è il peggiore sistema di governo, ad eccezione di tutti gli altri sperimentati finora...
RispondiEliminaSono d'accordo con te, a patto però di non avere aspettative troppo elevate sulla presunta volontà popolare.
EliminaChe può avere una sua incidenza a livello mediatico, ma non, seconde me, a livello politico.
Per fare solo un esempio tra i tanti: sono sicuro che, oggi, la maggioranza degli italiani è contraria ad un escalation dei rapporti conflittuali con la Russia, ma le decisioni politiche sembrano andare nella direzione opposta.
Presumibilmente se alla popolazione italiana/europea venisse adeguatamente spiegato che la Russia oggi costituisce una minaccia esiziale per la sopravvivenza stessa delle ns democrazie liberali (che il governo russo ha esplicitamente definito ormai obsolete e piu' volte duramente attaccato in nome della difesa/imposizione ben noti valori tradizionali clerico-nazionalisti), cambierebbe in larga parte idea... Saluti
RispondiEliminaNon credo che la Russia, oggi, abbia ancora intenzione di esportare il suo comunismo.
EliminaPertanto credo che possa rappresentare una minaccia per alcuni dei paesi limitrofi (come appunto l'Ucraina), ma solo per motivi geografici, e quindi non per la UE.
Opinione mia, ovviamente.
Esportare il Comunismo "old style" anche a me sembra inverosimile, direi piuttosto un modello fortemente autoritario e collettivista, per meta' neo-sovietico e per meta' neo-zarista e cmq decisamente anti-illuminista, anti-moderno e dunque anti-occidentale (come del resto lo stesso Cremlino ha più volte affermato pubblicamente: da qs punto di vista anzi l'attuale leadership russa e' stata più "onesta" della maggior parte dei suoi numerosi fans occidentali rosso-bruni e clericali)... Saluti
RispondiEliminaCaro Claude, io credo che Putin abbia già abbastanza da fare per tenere sotto controllo il suo potere interno, che riguarda - non dimentichiamolo - uno stato molto vasto e multi etnico.
EliminaPer questo, non credo che vagheggi l'espansione del suo modello (che è sicuramente autoritario e collettivista come dici tu) fuori dai confini.
La pressione che lui pone suugli stati limitrofi potrebbe essere dettata solo dal desiderio di crearsi una zona cuscinetto, per migliorare il controllo interno.
Se questo è vero, noi occidentali potremmo stare tranquilli.
Se invece non è vero, dovremmo effettivamente preoccuparci.