martedì 7 febbraio 2023

Breve storia degli Stati Moderni

La comparsa degli Stati Moderni viene fatta risalire alla metà del Seicento, quando le principali potenze europee stipularono la Pace di Westphalia.
Da allora, molti e diversi equilibri hanno sancito i rapporti tra le varie Nazioni – non solo europee - che si disputavano la scena internazionale.
A questo processo, descritto con amirevole sintesi, è dedicato il post di oggi scritto da Pietro Pinter per il suo blog “Inimicizie”.
LUMEN



<< La nascita degli stati moderni in Europa fu un processo lungo e travagliato – durato 2/3 secoli – che termina molto simbolicamente con la “pace di Westphalia” del 1648, con cui si sancisce la fine della guerra dei trent’anni.

A Westphalia gli stati riconoscono reciprocamente la sovranità e i confini degli altri; si da’ una spinta decisiva a quel processo che vede nascere le prime ambasciate permanenti, e la stesura dei primi trattati di “diritto internazionale” da parte di giuristi come Ugo Grozio e Francisco de Vitoria (che infatti scrive 200 anni prima di Westphalia).

Carl Schmitt definisce il periodo che va da Westphalia alla fine della prima guerra mondiale (con la parentesi napoleonica considerata un’anomalia) come “ius publicum europeum”; un periodo in cui gli stati europei si riconoscevano a vicenda come “legittimi”, e un sistema di norme condivise – accompagnato dallo spostamento delle maggiori tensioni fuori dal continente – permetteva agli stati di limitare la guerra, o quantomeno di provarci.

Nella contemporaneità, questo “reciproco riconoscimento” si sarebbe definitivamente rotto, passando (o meglio, tornando) tramite l'”abolizione della guerra” e la “criminalizzazione del nemico” dallo ius in bello (diritto nella guerra, teso a limitare una guerra ne giusta ne sbagliata) al bellum iustum (la guerra giusta, quindi il diritto alla guerra) una sorta di “guerra santa” dove tutto è permesso; e quindi alla guerra civile globale.

Andando più nello specifico, si può anche tracciare una storia del sistema internazionale (Schmitt lo chiama più elegantemente “Nomos della terra”) che prenda in esame il susseguirsi degli “arbitri” – o delle principali potenze – dello scenario internazionale.

Nella fattispecie, nell’Europa post-westphaliana quest’arbitro è la Gran Bretagna, la potenza che controlla gli oceani, e la cui dottrina geopolitica nei confronti del continente è evitare la formazione di un centro di potere che possa avere ambizioni globali; così da poter di fatto regolare i rapporti delle potenze continentali con il resto del mondo.

Dopo la rivoluzione francese, l’esperienza napoleonica termina con lo strangolamento tramite blocco navale britannico e tramite la soverchiante potenza terrestre zarista, (...) che combattono dalla stessa parte, come nella seconda guerra mondiale.

L’esperienza traumatica della “nazione in armi” francese che marcia dalla penisola iberica alla steppa russa, crea il necessario impulso per la nascita di un nomos più rigido, più codificato, nel 1815.

E’ il “Sistema di Vienna” – architettato dal ministro degli esteri austriaco Metternich – che per la prima volta si arroga anche il diritto di regolare le questioni interne agli stati, tramite il principio di legittimità. Non è un sistema unipolare, riconosce infatti 5 grandi potenze: Gran Bretagna, Francia, Austria, Russia, Prussia; ciascuna con i suoi legittimi interessi. Si può però dire che sia imperniato sull’influenza austriaca nel centro del continente (comprese Italia settentrionale e Germania meridionale) e su quella britannica sugli oceani.

E’ un sistema che ha il merito di garantire una pace duratura in Europa, con l’eccezione della guerra di Crimea (comunque piuttosto periferica) fino alla nascita del “problema tedesco“ (e di quello 'italiano') negli anni ’60 del diciannovesimo secolo.

Dopo la guerra franco-prussiana del 1870 – ovvero il completamento dell’unità tedesca e italiana – si può parlare invece di “sistema bismarckiano” in Europa. Ora l’architetto non è più Metternich, ma il cancelliere tedesco. La sostanza però rimane molto simile rispetto al sistema di Vienna: La Germania come “arbitro” continentale – che media la spartizione del continente africano avanzando poche pretese per se stessa, come l’Austria dopo Vienna – e la Gran Bretagna dominus degli oceani.

Notiamo che anche questo sistema, come il precedente, si basa su un’autolimitazione della principale potenza continentale, che scientemente evita sia di perseguire una totale egemonia continentale, sia di sfidare la Corona britannica sul piano navale, e quindi globale.

E’ proprio su questo punto che crolla il sistema bismarckiano e si arriva alla prima guerra mondiale: La weltpolitik della Germania guglielmina; che non accetta di essere relegata alla mitteleuropa, con inglesi e francesi lasciati a spartirsi il resto del mondo indisturbati. Londra non è disposta a condividere il potere sugli oceani, e il fallimento delle trattative navali equivale ad una dichiarazione di guerra.

La fine della prima guerra mondiale vedrà la dirompente entrata degli Stati Uniti negli affari europei, e dunque mondiali. Washington tramite il suo enorme (e incontrastabile) potenziale demografico, economico e navale gradualmente riceve lo scettro di egemone degli oceani dal Regno Unito; con l’incoronazione pienamente compiuta dopo la seconda guerra mondiale e la sconfitta del secondo tentativo egemonico tedesco, o terzo tentativo egemonico continentale se si include anche quello napoleonico.

Il nomos che si delinea dopo la seconda guerra mondiale è quello bipolare noto ai più [USA / URSS] – anche se con germogli di multipolarismo che iniziano a farsi strada – che si conclude nuovamente con il lungo strangolamento della potenza di terra europea (o eurasiatica) (...) e il collasso interno – con resa senza condizioni – dell’Unione Sovietica.

Seguirà un breve “momento unipolare” (anglo)americano, presto però destinato a concludersi. Il mondo in cui viviamo oggi – nel 2022 – è già a tutti gli effetti un mondo multipolare, e un mondo che sta diventando sempre più multipolare. >>

PIETRO PINTER

10 commenti:

  1. A proposito del nuovo mondo multipolare, Pintor si pone alcune domande importanti:
    << Fermo restando che la Cina parteciperà (anzi, sta già partecipando) in un ruolo di prim’ordine alla costruzione del mondo multipolare; quali saranno le “caratteristiche cinesi” che inserirà in questo nuovo ordine?
    Dobbiamo pensare ad un'”eccezionalismo cinese” rispetto agli USA e alle potenze europee che di volta in volta hanno contribuito a cambiare – e creare – il sistema internazionale?
    Oppure dobbiamo guardare alle grandi costanti della storia e delle relazioni internazionali, limitandoci ad applicarle alla geografia ed alla demografia cinesi? >>
    La storia dei prossimi anni ci darà le risposte.

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  2. Dicono che i futuri porporati vengano scelti, individuati, già nei primissimi anni di seminario, ovvero, a mio avviso, già predestinati prima di varcarne la soglia. Ergo, sempre a mio parere, che il mondo cambi apparentemente, muti verso una leadership multipolare piuttosto che bipolare eccetera, non sposta il pallino di un pollice. Ritengo il nepotismo, a tutti i livelli, serva a consentire ad una determinata schiatta di conservare ed esercitare il potere negli ambiti più vari, dal piccolo al grande, si ché gli sventurati ultimi, i pariah, non possano accedere ai livelli significativi. Forse ho capito il senso del motto :gli ultimi saranno i primi sì, ma in paradiso,ove esistente Non qui ragazzi, non qui, e forse neanche in paradiso. Fede e speranza, e brodo lungo. Bisogna credere, etsi deus non daretur, anche se Dio non esistesse. Avanti popolo. Mah!

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    1. << Forse ho capito il senso del motto: gli ultimi saranno i primi sì, ma in paradiso,ove esistente. Non qui ragazzi, non qui >>

      Ovviamente.
      D'altra parte, penso che il Cristianesimo sia stata la prima religione che ai poveri ed ai diseredati ci abbia pensato, ed abbia dato loro una speranza di rivalsa, anche se solo nell'aldilà.
      Le altre non se ne erano mai preoccupate.
      E credo che questa apertura del Cristianesimo, anche se del tutto virtuale, abbia contribuito notevolmene al suo successo millenario.

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    2. Intendevo che non vi è paradiso in terra, diffidare anche dalle dottrine "laiche" che lo promettono, appunto, in terra, come il comunismo, alter ego e costola della religione cattolica, in particolare.... Ergo speranze disattese nell'aldiqua, molto incerte nell'aldilà... Mi ero spiegato male.

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    3. COMMENTO di SERGIO

      La fortuna del cristianesimo.

      Noi tutti, anche i cristiani o credenti in genere,
      siamo attentissimi ai nostri soldi e cerchiamo
      di non farci fregare. Anche un povero di spirito
      sa contare fino a cento e magari mille. Ma poi
      arriva qualcuno che dice che gli asini volano
      e che nell’aldilà ci attendono mirabilie se
      facciamo i bravi (o se no pene eterne). E
      ci credono, anche i non poveri di spirito:
      è davvero stupefacente. Come si spiega?
      Forse col fatto che l’uomo comune (anch’io
      sono tale) è in genere un essere gregario
      che si accoda volentieri a chi mostra
      o millanta virtù e forza (insomma come
      le pecore). La libertà è anche faticosa
      e deleghiamo volentieri la responsabilità
      a chi reputiamo più bravo. Ci sono
      stati eventi nella storia che hanno fatto
      dubitare della Provvidenza e quindi di
      Dio: il terremoto di Lisbona nel XVIII
      secolo che indignò Voltaire, o l’orrore
      di Auschwitz che ha fatto traballare
      per un attimo persino la fede di Ratzinger
      (“Ci chiediamo: dov’era Dio?”). O gli
      untori della peste manzoniana, barbaramente
      torturati e uccisi pur essendo innocenti
      (Manzoni: “Uno deve negare o accusare
      la Provvidenza.”)
      E le 250’000 vittime dello tsunami del 2004
      o le 23’000 vittime del terremoto dei giorni
      scorsi. Dio non muove un dito per salvare
      le sue povere creature. Una volta si ritenevano
      tali eventi dovuti all’ira di Dio per i nostri
      peccati. Oggi i preti non osano riproporre
      questa interpretazione degli eventi. E
      Bergoglio, bontà sua, ha abolito pure l’inferno
      (applausi). Però la fede nel fantomatico Dio
      è dura a morire.

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    4. Vero, la fede in Dio resista abbastanza, ma forse ha cambiato il suo oggetto, passando dalla fede nel Dio delle scritture a quella in un Dio personale.
      Così è ancora più comodo, anche se, per la coesione sociale, non serve più a molto.

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    5. COMMENTO di SERGIO

      Sinceramente non capisco: qual è la differenza tra il Dio delle scritture e il Dio personale
      che farebbe più comodo?
      Mi viene in mente che anche Giuliano Ferrara ha dichiarato che lui crede oggi in un Dio
      personale. Boh ?! Ferrara non crede più in Gesù, Figlio di Dio? In cui del resto non
      ha mai creduto essendo un ebreo (come ho scoperto solo recentemente, che sia ebreo).

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    6. Direi che il Dio ufficiale, quello delle Sacre Scritture, così come rielaborato dalla dottrina della Chiesa, ha delle caratteristiche ben particolari, che possono piacere o non piacere.
      Il Dio personale, invece, è più vago, e può avere attributi diversi a seconda delle proprie necessità: accetta quello che ci piace e condanna quello che non ci piace, e quindi non avrà nessun problema ad accoglierci in Paradiso nell'aldilà (che è la cosa più importante per chi crede).

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  3. COMMENTO di SERGIO

    Mi permetto un’osservazione linguistica:
    La Westphalia non esiste. La regione in questione si chiama in tedesco Westfalen e in italiano Vestfalia (vedi Wikipedia).
    Da dove salta fuori questa Westphalia?

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    1. Onestamente, non te lo so dire (io sono andato dietro all'autore del pezzo).
      Forse è una traslitterazione alternativa che porta la F a diventare PH.
      O forse è solo un piccolo errore. Amen.

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