La locuzione «Conosci te stesso» (in greco 'gnōthi sautón'; in latino 'nosce te ipsum') è una delle massime più famose che ci sono pervenute dalla Grecia classica.
L'esortazione viene collegata al dio Apollo, anche se la leggenda non è univoca nell'indicare la sua origine, che potrebbe essere la sacerdotessa Pizia, oppure uno dei 'sette savi' (Talete, Chilone o Biante), oppure un 'oracolo delfico' (quindi Apollo stesso per interposta persona); oppure ancora una scritta riportata sulla facciata del tempio di Apollo a Delfi, dopo la sua ricostruizione.
Gli studiosi concordano comunque sul significato di questa sentenza, con la quale si ritiene che Apollo volesse intimare agli uomini di «riconoscere la propria limitatezza e finitezza».
Ma il precetto “conosci te stesso” - inteso in un significato più intimo e soggettivo - è un suggerimento prezioso anche in campo psicologico, perchè ci aiuta ad affrontare la vita con più serenità.
E proprio a questo aspetto è dedicato il post di oggi, tratto dal sito Guida-Psicologi. LUMEN
<< Conoscere se stessi è faticoso e, in alcuni casi, un po’ doloroso, ma solamente così possiamo prendere in mano le redini della nostra vita.
«Prima di pensare a cambiare il mondo, fare le rivoluzioni, meditare nuove costituzioni, stabilire un nuovo ordine, scendete prima di tutto nel vostro cuore, fatevi regnare l'ordine, l'armonia e la pace. Soltanto dopo, cercate delle anime che vi assomigliano e passate all’azione», Platone.
Cosa vedi quando ti guardi allo specchio? Sei contento di ciò che vedi, non solo a livello fisico, oppure ti piacerebbe essere una persona completamente diversa? Sei consapevole di come sei? Conosci te stesso?
Non è così facile rispondere a queste domande, non sempre ci conosciamo abbastanza. Tuttavia, tendere ad una maggiore autocosapevolezza è importante, perché essa porta a migliorare ciò che non ci piace di noi, consentendoci di essere più soddisfatti.
Cosa vuol dire conoscere se stessi?
Vuol dire sapersi fermare, nonostante il ritmo frenetico della vita quotidiana, ed imparare ad ascoltarsi, a leggere dei meandri della propria anima, colei che sa chi siamo, colei che cela i nostri desideri, colei che può indicare il cammino da percorrere.
Anima, psiche, cuore, non importa qual è il nome che attribuisci al nucleo di fondo che ti caratterizza, purché tu possa fermarti e farne intima conoscenza. A volte crediamo di conoscerci, ma ciò che di noi vediamo è solo il riflesso di quello che gli altri pensano e dicono di noi.
Se questo è perfettamente normale nell’infanzia, nell’età adulta è necessario fare i conti con ciò che siamo davvero, guardando cosa si cela veramente dentro di noi o rischieremo di agire per compiacere gli altri, regalando a loro la nostra vita.
«Scopri chi sei e non avere paura di esserlo», Mahatma Gandhi.
La necessità impellente di cambiare può celarsi in un momento faticoso, quando le cose non girano, quando ci sentiamo paralizzati. È questa l’occasione per guardare dentro di sé, evitando di sfuggire all’introspezione, gettandosi su altre attività oppure arenandosi seguendo i consigli altrui, imitandone le scelte.
Prendersi in mano, avviare una profonda amicizia con se stessi, darsi il tempo di approfondire la conoscenza del proprio nucleo di fondo, operazione faticosa e, in alcuni casi, dolorosa, ma solo così possiamo prendere in mano le redini della nostra vita e imboccare percorsi evolutivi.
«Conoscere la propria oscurità è il metodo migliore per affrontare le tenebre degli altri», Carl Gustav Jung.
Secondo Tasha Eurich, psicologa e autrice del libro “Insight”, quando qualcosa non va per il verso giusto, la maggior parte di noi si pone la domanda sbagliata (“perché”), mentre la domanda che aiuta a fare un passo in avanti è: “che cosa?”.
Invece di chiederci “perché non sono felice a lavoro?”, proviamo a chiederci “cosa posso fare per esserlo?”. In queso modo, saremo in grado non solo di scoprire più elementi su noi stessi ma anche di conoscere le nostre capacità.
Conoscere meglio se stessi vuol dire avere in cambio benefici reali. Quali sono i principali?
Ve li elenchiamo di seguito: sapere con più certezza cosa vogliamo; avere maggior potere decisionale; avere la possibilità di essere più creativi; essere in grado di individuare con più facilità le cause del nostro malessere; migliorare la nostra autostima; migliorare la qualità delle nostre relazioni sociali e personali.
«Se conosci il nemico e te stesso, la tua vittoria è sicura. Se conosci te stesso ma non il nemico, le tue probabilità di vincere e perdere sono uguali. Se non conosci il nemico e nemmeno te stesso, soccomberai in ogni battaglia», Sun Tzu. >>
LUISA GHIANDA
Finalmente di nuovo un testo comprensibile e interessante, anche se l'argomento è trito e ritrito. Un'occasione lo stesso per alcune riflessioni.
RispondiEliminaNon sapevo per esempio che con la famosa massima - conosci te stesso - Apollo intendesse intimare agli umani: riconoscete i vostri limiti. Di pe sé è un saggio consiglio, ma Apollo evidentemente mira all'assogettamento degli umani.
Oggi però intendiamo la massima in modo più positivo. Conoscere sé stessi significa essere padroni della propria vita, "dominare invece di essere dominati" (vedi Bernazza!). Ma se ci sono i dominatori ci devono essere anche i dominati che apparentemente non conoscono ancora sé stessi! Come la mettiamo?
Comunque la conoscenza di sé stessi significa sentirsi bene, saper stare al mondo. E tuttavia se Lumen mi chiedesse: ma tu conosci davvero te stesso, confesso che esiterei a rispondere, anzi dovrei ammettere che molto probabilmente non mi conosco - ancora? E alla mia età la cosa è piuttosto grave direi.
Ma cerchiamo di chiederci cosa davvero significhi conoscere sé stessi. Ortega y Gasset sosteneva che ognuno ha un destino. Essere infedeli al proprio destino porta a scontentezza e infelicità. Per Ortega persino il grande Goethe non si realizzò pienamente: diventando funzionario a Weimar s'imborghesì e la sua vita fu un mezzo fallimento. Goethe infatti ammise alla fine della sua lunga vita (visse 82 anni) che a conti fatti non "si sentì veramente bene" che per circa tre settimane, per il resto si trovò sempre a remare contro, a spingere un macigno come Prometeo (a cui dedicò da giovane - nel periodo dello Sturm und Drang - una bellissima poesia contro gli déi). Dovremmo concluderne che anche un genio come Goethe non conosceva davvero sé stesso (la cosa non può del resto stupire molto: quanti geni erano nella loro privata e in società dei falliti e infelici o bizzarri? Mi vengono in mente Tolstoi e anche Einstein).
(continuazione)
RispondiEliminaAncora su Goethe. Forse conosceva sé stesso, ma preferì la quiete e l'agiatezza di uomo di fiducia (era Geheimrat - consigliere segreto) del principe. Tra la fedeltà al proprio destino e l'agiatezza preferì la seconda.
Ma essere infedeli al proprio destino si paga con l'insoddisfazione e persino l'infelicità.
Destino è una parola grossa che non mi piace molto. È anche difficile immaginare che gli attuali 8 miliardi di esseri umani abbiano tutti un loro personalissimo destino che li distingue da tutti gli altri. Lo stesso possiamo facilmente immaginare che qualche piccola differenza esista fra tutti gli esseri umani (abbiamo anche tutti impronte digitali diverse). Ecco, se invece di strologare sul destino, ci attenessimo a queste piccole ma significative differenze sarebbe più facile ragionare. Perché per quanto piccole le differenze ci sono e influiscono sulla nostra vita. E conoscere, riconoscere queste differenze ci aiuterà - se non a dominare la vita e gli altri - a essere in pace con noi stessi, a "sentirci meglio o semplicemente bene". E qui riveniamo inevitabilmente al contrasto fra individuo e società. L'individuo necessità della società per la mera sopravvivenza, ma lo società esercita anche un'azione repressiva (la scuola dell'inizio Ottocento ma anche a lungo nel Novecento era altamente repressiva e livellatrice - vedi "Chiudiamo le scuole" di Papini). Le aspirazioni individuali possono rivelarsi in contrasto con le aspettative della società - e generare scontento nell'individuo se obbligato a rinunciare a certe sue vedute. A volte confesso di provare simpatia per l'Übermensch che tende alla piena realizzazione delle sue potenzialità senza curarsi troppo delle ricadute sugli altri (attenzione: ho detto "a volte", se no passo per nicciano e nazista). Il fatto è che la società è non di rado oppressiva e a uno viene voglia di sbaraccare tutto. Non per niente la società permetteva uno sfogo ("semel in anno licet insanire", vedi il carnevale).
Caro Sergio, a mio avviso, conoscere bene se stessi non è collegato tanto al proprio destino (o meglio, per i materialisti come noi, alla realizzazione delle proprie potenzialità), quanto alla serenità interiore.
RispondiEliminaUno psicologo, una volta, disse che l'uomo non può evitare di mentire con gli altri, perchè le regole e le convenzioni sociali impongono un certo formalismo (che non va confuso con l'ipocrisia), ma che deve assolutamente evitare di "mentire a se stesso", perchè in tal caso finisce per vivere male le proprie pulsioni e, non conoscendole a fondo, gli riesce più difficile tenerle sotto controllo.
Ecco, si parva licet, io sono totalmente d'accordo con quello psicologo e, per quanto mi riguarda, seguo con il massimo impegno questa regola aurea.
E ti posso confermare che, quando riesco a conoscere a fondo me stesso, mi accade veramente di vivere più sereno e più in armonia con il mondo che mi circonda.
Fine del pistolotto autobiografico.
Riporto qui di seguito una citazione di Carl Gustav Jung che mi sembra perfetta per chiarire meglio quello che intendo:
RispondiElimina<< Rendi cosciente l’inconscio, altrimenti sarà l’inconscio a guidare la tua vita e tu lo chiamerai destino. >>
Sì, ma come conoscere l'inconscio? Bastano semplicemente le riflessioni, gli esami di coscienza ecc. O magari ci vuole l'aiutino di specialisti (psicologi e psichiatri)? Chissà, magari basterebbero un contesto propizio, buone letture, un po' di buona volontà ecc. A proposito di letture, quel "tale" ha più volte affermato che le mie sono pessime (e quindi mi sono giocato un jolly).
EliminaBella domanda !
EliminaCredo che il primo presupposto sia quello di esserei atei, il che riduce molto il campo dei potenziali fortunati.
Se infatti uno crede al concetto di peccato, avrà paura ad analizzare i suoi pensieri più reconditi perchè in essi, quasi certamente, troverebbe dei peccati di pensiero.
E allora finisce col rimuovere, rendendo impossibile una vera conoscenza di sè.
L'ultimo post di Gianni Pardo contine un breve passaggio autobiografico che mi sembra illustrare al meglio l'utilità dell'auto-analisi. Eccolo:
RispondiElimina<< Molta gente non osa rispondere all’interrogativo di Nietzsche (...): “Fin dove osi pensare?”
Ancora recentemente, parlando con una donna che aveva mille problemi a causa di una sorella malata, nevrotica, egoista, bugiarda e chissà che altro ancora, io le dicevo che doveva difendersene, e lei mi rispondeva:”Ma io ho il dovere di amarla, è mia sorella!”
Io le rispondevo (inutilmente): “In primo luogo, non si ha il dovere di amare chi non ci ama. In secondo luogo, lei può comandare al suo (proprio) comportamento, non ai suoi sentimenti. Può perfino essere generosa, con sua sorella, ma ciò non vorrà dire che l’ama. Perché non lo riconosce? Lei sua sorella la odia”.
Ma lei continuava a rispondermi: “Ma è mia sorella!” Proprio non osava pensare. E ammettere la verità. >>
Ho letto il pezzo di Pardo, sempre interessante, compreso il dialoghetto con quella povera donna. Ma non sono così sicuro che odi sua sorella benché soffra a causa sua. Da una parte ci sono i cosiddetti obblighi morali ("è mia sorella", i legami familiari sono sacri ecc.), dall'altra il suo reale malessere. Sì, penso che dovrebbe tagliare i ponti con quell'essere insopportabile (forse farebbe bene anche alla sorella, sicuramente tiranna ma infelice pure lei). Non potendo più contare sulla sorella o tiranneggiarla forse rinsavirebbe.
EliminaMa è l'interrogativo di Nietzsche veramente cruciale. Nel nostro caso la signora non osa pensare, la norma dei rapporti familiari sacri è troppo cogente.
Ma noi che siamo o ci crediamo più liberi di pensare l'inimmaginabile stiamo davvero meglio. Ma poi possiamo pensare tutto ciò che vogliamo senza alcun rischio, i pensieri sono ancora liberi (in attesa del Grande Fratello e del chip con cui finalmente le élite ci leggeranno nel pensiero e potranno controllarci meglio). Il problema è che dal pensare al fare ci corre parecchio già ora. Pensare è una cosa (quasi innocua), mettere in pratica le cose magari nefande pensate è un'altra. Ostano alla realizzazione le leggi e il codice penale.
<< Il problema è che dal pensare al fare ci corre parecchio già ora. Pensare è una cosa (quasi innocua), mettere in pratica le cose magari nefande pensate è un'altra. >>
EliminaEsattamente.
Per questo il 'Nosce te ipsum' è così utile: perchè ti da tantissimo a livello psicologico, senza toglierti nulla a livello comportamentale.
Se poi una persona non è in grado di controllare le proprie azioni, allora il problema diventa patologico, ed esula dall'ambito di queste considerazioni.