La
vita quotidiana dell’esercito italiano di leva, nei ricordi di
Lorenzo Celsi. Seconda e ultima parte. Lumen
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Ripensando [al mio servizio militare], mi è tornato in mente un
episodio. Qualche mese dopo essere stato assegnato alla caserma dove
avrei trascorso la maggior parte del tempo, un certo giorno, non
ricordo cosa stessi facendo, mi chiamano in camerata, dice che
dobbiamo prendere lo zaino e schierarci nel piazzale. Corri di qui,
corri di la. Ci schieriamo, cioè ci disponiamo su due righe.
Arriva
il tenente, (…) che fa, gigioneggiando sullo stile di Clint
Eastwood: "pronti a muovere in cinque minuti, ca**o !"
Allora, ci caricarono sui camion per andare a cercare un aeroplano
caduto sui monti. Però a parte la vicenda, io, che all'epoca non
avevo diciott’anni, ma ne avevo ventisei, pensai tra me e me,
ancora me lo ricordo, "siamo un esercito di straccioni".
La
prima cosa che saltava all'occhio era l'abbigliamento e le dotazioni.
L'unica cosa nuova, nel senso che te ne davano due all'inizio, perché
semplicemente si distruggeva nel corso dell'anno, era la divisa di
cotone che mettevamo ogni giorno e gli scarponi.
TUTTO
il resto era usato, non solo zaini, cinturoni, giberne, elmetti,
eccetera e dove dico "usato" intendo usato da decenni, ma
anche parti dell'abbigliamento, per esempio gli impermeabili, che in
teoria avremmo dovuto avere nuovi, ma che invece erano quelli dei
soldati congedati prima di noi e sul destino del materiale nuovo
posso solo fare delle ipotesi. (…) Poi le taglie, su tre soldati,
due avevano divise, scarponi, berretti, eccetera, troppo grandi o
troppo piccoli.
In
teoria avremmo dovuto essere equipaggiati per uscire dalla caserma e
stare in giro qualche giorno. Peccato che nessuno mettesse nello
zaino tutte le cose che servivano, per esempio il ricambio di
vestiti, calzini. Nella maggior parte dei casi gli zaini erano vuoti
o c'era dentro della carta o cose cosi, io ero uno dei pochi scemi
che dentro aveva messo una busta con un cambio, la giacca a vento, i
panta-vento e una coperta.
Ci
avevano dato anche il sacco a pelo e altre cose per il "campeggio",
io le avevo ispezionate, il mio sacco a pelo era ovviamente usato,
sporco, meglio non sapere di cosa e la cerniera era rotta, per
fortuna non l'ho mai adoperato. Nessuno controllava, nessuno se ne
preoccupava e se provavi a farlo presente, ti rispondevano qualcosa
come "guagliò, nun scassà 'o ca**o".
I
camion su cui salivamo erano dei mezzi rottami, capitava spesso che
si rompessero per strada. Non avevamo in dotazione nessuna arma, per
ovvie ragioni. Per i servizi "armati" come le guardie
passavamo a prenderle di volta in volta dall'armeria. Fucili (…)
che erano vecchi di trenta, quarant'anni e che avevano più che altro
una funzione simbolica. Notare che le munizioni erano altrettanto
ovviamente contate e ce le aveva in dotazione solo il più alto in
grado in quel momento, che spesso e volentieri, dato che quei servizi
erano una rottura di scatole, era un semplice graduato di truppa,
ovvero un caporale.
Si
faceva un sacco di "autogestione", ci crediate o no. Vi
spiego cosa significa in concreto. I soldati devono andare da A a B
con un camion e hanno il fucile ma i proiettili ce l'ha il caporale
dentro una scatola che tiene nella cabina del camion di cui è anche
capomacchina, cioè deve controllare l'autista.
Mettiamo
che arrivino dei terroristi e vogliano rubare le armi, in teoria il
caporale dovrebbe aprire la scatola, tirare fuori i quattro
caricatori quattro, usarne uno nel suo fucile dare gli altri tre a
tre soldati, facendosi rilasciare da ognuno ricevuta scritta (anche
alla riconsegna, ovviamente) e opporsi eroicamente ai terroristi,
tutto di testa sua.
Che
poi mi sa che al tempo delle BR è anche capitato almeno una volta.
Ora, è ovvio che lo scopo vero era di non dare niente in mano ai
soldati, i quali di conseguenza non avevano in realtà nessuna
funzione militare ma paradossalmente, siccome nessun sottufficiale o
ufficiale voleva essere della partita, si addossava al caporale la
poca o tanta responsabilità concreta.
Avevamo
le radio, che nessuno ci aveva spiegato come usare. Coi walkie-talkie
te la cavavi ma con quelle più grosse erano abbastanza cavoli, mi
avessero almeno dato un manuale. Un'altra cosa palese era il grado di
scolarità estremamente basso. In tutti, nei militari "di
carriera" ma anche nei soldati di leva, tanto che nella mia
caserma quelli con un diploma o un curriculum universitario si
contavano con le dita di due mani e venivano immediatamente assegnati
a garantire la "autogestione" di cui sopra. (…)
Vi
racconto un altro esempio classico. I primi tempi, che non ero ancora
smaliziato, mi assegnarono di corvè a pulire l'ingresso e il
piazzale dell'adunata con un carrello che conteneva un bidone e un
paio di ramazze. Il piazzale era abbellito da alcuni abeti che
ovviamente scaricavano le foglie. Io portai il carretto sul piazzale
e cominciai diligentemente a spazzare avanti ed indietro.
Dopo
un paio d'ore, che avevo già le vesciche alle mani, si apre una
finestra dell'ufficio comando, si affaccia IL GENERALE e mi chiama.
Io corro li, saluto, mi presento e lui mi fa il cazziatone perché
non vuole vedere un soldato stare tutto il giorno a ramazzare il
piazzale. "Comandi, signorsì", saluto, la finestra si
chiude e io prendo il mio carretto e trotterello dietro l'angolo
dell'edificio, mi siedo e aspetto la sera.
Più
avanti, diventato "anziano", non fui più assegnato a
servizi del genere ma se mi fosse capitato avrei fatto un giretto di
dieci minuti sul piazzale con la ramazza in mano e poi sarei andato
diritto a nascondermi in qualche angolo.
Quindi,
per me l'esperienza del servizio militare è stata prevalentemente
una scocciatura, perché per un anno non ho avuto nessuna privacy,
(…) ho dormito poco e male. Ma è stata anche una esperienza
triste perché nell'immediato mi sono reso conto che le Forze Armate
erano una finta, una cosa tanto per fare, una commedia tipo gli
armigeri che inseguono vanamente Zorro con strepito di ferraglia,
nessuno ci credeva davvero e poi mi sono anche reso conto che erano
l'immagine dell'Italia con cui poi avrei dovuto convivere, una
sezione della "società". (…)
Ah,
un'altra cosa. Il primo mese, al CAR, ti spiegavano i rudimenti, per
esempio come smontare il fucile e solo quello, niente altro. Quindi
non devi toccare niente altro. Non ti spiegavano perché o quando
bisogna smontare il fucile, perché tanto lo preleverai e lo
riconsegnerai in armeria, firmando la ricevuta, senza doverlo
adoperare mai davvero. Il fucile si smonta perché deve essere pulito
quando lo usi e lo porti in giro.
Quando
poi andavamo in polveriera e stavamo due o tre settimane sotto la
pioggia, al ritorno i fucili erano dei catenacci arrugginiti, non
solo perché nessuno li puliva ma anche perché a nessuno avevano
spiegato che se ci entra l'acqua dentro un fucile che hanno portato
in giro per quarant'anni, si arrugginisce. Vi chiederete perché non
li fanno inossidabili. Bè, adesso li fanno di alluminio o di
materiali compositi per alleggerirli però le parti in acciaio non
sono inossidabili per via della lega metallica che deve avere certe
caratteristiche.
Un'altra
cosa divertente è che non ci hanno mai spiegato come fare quello che
gli Americani chiamano "zeroing", cioè impostare gli
organi di mira delle armi perché sparino dritto e come eventualmente
impostarli per regolare l'alzo in base alla distanza e il "windage"
per compensare il vento traverso. Quindi quando andavamo al poligono
o il fucile era già impostato dall'armeria oppure sparavamo due
metri sopra o due metri sotto la sagoma. >>
LORENZO
CELSI
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