mercoledì 25 aprile 2018

Siamo tutti informatici

Dialoghi surreali raccontati dai servizi di assistenza informatica alle prese con utenti disperati (ma anche un po’ imbranati).
Forse sono veri e forse no, ma sono comunque verosimili. Impossibile non ridere, con la speranza che non debba mai succedere anche a noi. LUMEN



Cliente – Mi compare sullo schermo la scritta “Press any key”.
Assistenza – Bene. Esegua pure il comando.
Cliente – E’ una parola. Dove si trova il tasto “any” ?

 

Cliente - La mia tastiera non funziona più.
Assistenza – Ha subito qualche incidente ?
Cliente – No. L’ho solo pulita.
Assistenza – E come ?
Cliente - L’ho immersa in acqua e sapone e l’ho strofinata bene. Poi ho rimosso tutti i tasti e li ho lavati singolarmente.


Cliente - Non riesco ad accendere il mio nuovo computer.
Assistenza – Il PC è collegato alla presa elettrica ?
Cliente – Sì, è collegato.
Assistenza - E cosa accade quando lei preme il pulsante.
Cliente - Continuo a premere su questo pedale ma non succede niente.
(Il “pedale” era il mouse).


Cliente - Non riesco a stampare. Ogni volta che ci provo compare la scritta ‘Stampante non trovata’.
Assistenza – Lei ha una stampante, vero ?
Cliente – Certo. Ho anche preso la stampante e l’ho collocata proprio di fronte al monitor, ma pur avendola lì davanti, il computer continua a dire che non la trova.


Assistenza - Che computer ha ?
Cliente - Uno bianco…


Cliente - Buongiorno. Non riesco a togliere il dischetto dal lettore.
Assistenza - Ha provato a premere il pulsante per farlo uscire ?
Cliente - Sì, chiaro. E’ come se fosse incollato.
Assistenza - Che strano, questa cosa non mi suona bene. Aspetti che apro una scheda…
Cliente - No… Aspetti. Non avevo messo il dischetto ! E’ ancora sul tavolo ! Mi dispiace. Grazie.


Assistenza – Adesso faccia ‘clic’ sull’icona ‘My Computer’ sulla sinistra dello schermo.
Cliente - Alla mia sinistra o alla sua ?


Assistenza - Buongiorno, in cosa posso aiutarla ?
Cliente - Salve. Non riesco a stampare.
Assistenza - Per favore faccia clic su ‘Inizio’ e…
Cliente – Ascolti: non inizi con i tecnicismi ! Non sono un’esperta di computer !


Cliente - Ho problemi per stampare in rosso.
Assistenza – Lei ha una stampante a colori ?
Cliente - Aaah… Ecco !


Cliente - Non riesco a spedire i fax, con il mio computer,.
Assistenza – Che procedura ha seguito ?
Cliente – Ho appoggiato il foglio da faxare davanti allo schermo e poi ho premuto il tasto “invia”.


Assistenza - Ora prema ‘F8’
Cliente - Non funziona.
Assistenza - Che cosa ha fatto esattamente ?
Cliente - Ho premuto otto volte la ‘F’, come mi ha detto lei, però non succede nulla !


Cliente - La mia tastiera non funziona.
Assistenza - E’ sicuro che è collegata?
Cliente - Non lo so. Non arrivo a vedere dietro.
Assistenza - Prenda la tastiera in mano e faccia dieci passi indietro.
Cliente - OK.
Assistenza - La tastiera segue con lei ?
Cliente - Sì.
Assistenza - Questo significa che la tastiera non è collegata. C’è per caso un’altra tastiera lì vicino ?
Cliente - Sì, ce n’è un’altra qui. Cavoli… ma questa funziona !


Assistenza - La sua nuova password è ‘a’ minuscola come Ancona”, ‘V’ maiuscola come Verona, il numero ‘7’…
Cliente - '7′ in maiuscolo o minuscolo ?


Cliente - Non riesco a collegarmi in Internet, appare errore di chiave.
Assistenza - E’ sicura che sta utilizzando la chiave corretta ?
Cliente - Sì, sono sicura. Ho visto mio marito scriverla.
Assistenza - Mi può dire quale era la password ?
Cliente - Sì. Cinque asterischi. 


mercoledì 18 aprile 2018

Il mito del Risorgimento

Torno a parlare del "mito" del Risorgimento e dell’Unità d’Italia, con le sue luci e le sue ombre, attraverso gli occhi disincantati di un eccellente storico-saggista come Giordano Bruno Guerri (dal libro “Il sangue del Sud”). Lumen  


<< Ciò che accadde nel 1861 realizzava il sogno secolare di poeti, politici e intellettuali. L'Italia «una d'arme, di lingua, d'altare, di memorie, di sangue e di cor», invocata da Alessandro Manzoni, non era più un'astrazione. (…)
 
Realizzata dalla classe dirigente piemontese grazie soprattutto all'abilità diplomatica di Cavour e al temperamento incendiario di Garibaldi, l'Unità integrava davvero identità, culture, tradizioni, persino lingue diverse? Oppure si raggiungeva soltanto l'unità politica?
 
«Si è fatta l'Italia, ma non si fanno gli Italiani», recitava la celebre sentenza di Massimo d'Azeglio, con retorica sufficiente a velare un'intenzione che non c'era - almeno non in tutta la classe dirigente - e non ci sarebbe stata. (…)
 
[Si tratta] di una classe dirigente a cui dobbiamo riconoscere i meriti storici di avere realizzato un processo unitario non più rinviabile. Allo stesso tempo, i padri della patria devono essere giudicati anche sui piedistalli dove, intangibili, li ha collocati la retorica di un Risorgimento popolato solo da piccole vedette lombarde, tamburini sardi e giganti del patriottismo. (…)
 
Il primo guasto del Risorgimento nasce dal distacco tra la classe dirigente e quello che oggi chiameremmo il «paese reale», ovvero il popolo. La moltitudine degli italiani era indifferente all'Italia e chiedeva soltanto un'esistenza più umana. Le esigenze, le aspirazioni dei poveri e quelle degli idealisti non avevano niente in comune.
 
I moti della prima metà dell'Ottocento non furono - a differenza di quelli francesi - il frutto dell'incontro di un'élite con il popolo. La gente chiedeva pane, mentre gli intellettuali volevano la Costituzione, ritenuta un balsamo per ogni male. Invece occorreva prima risolvere il problema del «popolo italiano».
 
Era l'idea fissa di Giuseppe Mazzini, che proprio per questo, a cose fatte, sarebbe diventato l'«apostolo» del Risorgimento. I tentativi precedenti erano falliti – Mazzini era categorico - per colpa delle aristocrazie intellettuali, che non avevano coinvolto gli italiani, aspettando dall'estero il segnale della rivolta. La rivoluzione doveva invece nascere dal popolo, agognato protagonista della storia nazionale.
 
Mazzini, inoltre, opponeva la soluzione di un unico Stato, dalle Alpi alla Sicilia, al federalismo di Melchiorre Gioia e di Carlo Cattaneo, che tenevano conto della storica divisione degli italiani.
 
Gli intellettuali erano pronti a battersi per l'indipendenza e l'unità, senza capire che, al Nord come al Sud, l'unico elemento comune era la povertà. Sul popolo non si poteva contare finché non si fosse affrontato il nodo della miseria e dell'arretratezza. Per dirla con un'espressione oggi abusata, ci si doveva occupare della «questione sociale».
 
Neppure i più progressisti, rivoluzionari e repubblicani, vollero accorgersi che il popolo era affamato. Mazzini, per esempio, viveva all'estero grazie alla filantropica cortesia di aristocratici e mecenati, per lui era facile parlare del popolo: lo conosceva pochissimo e conosceva ancora meno i suoi problemi.
 
Proprio Mazzini commetteva un errore forse più grave illudendosi che la «questione sociale» si sarebbe risolta, presto e bene, una volta liquidata la «questione nazionale». La nazione non era, come gli sembrava, un rimedio miracoloso che avrebbe reso più sopportabili sofferenze e privazioni.
 
Un altro motivo, non meno importante, gli impedì di conquistare consensi e risultati: la sua visione laica dello Stato, la sua aperta opposizione al potere temporale del papa.
 
Per la maggior parte degli italiani era un tabù: potevano immaginare un'Italia libera dagli stranieri, potevano spingersi anche a pensarla unita, ma non avrebbero mai potuto immaginarla orfana del potere del papa.
 
Era un'idea che ripugnava al popolo, alla sua psicologia e al suo narcisismo: perché, nel bene come nel male, la presenza sulla Penisola del papa - e del suo potere - aveva sempre reso gli italiani diversi dagli altri, unici nel mondo intero.
 
Dopo i primi eccessi antireligiosi, la Rivoluzione francese aveva posto le basi dei moderni rapporti fra Stato e Chiesa, ovvero la libertà di culto. In Francia e nei Paesi conquistati furono però presi pure provvedimenti radicali, come la possibilità per i sacerdoti di sposarsi, la nazionalizzazione dei beni ecclesiastici, il divorzio e il diritto di scelta, da parte dei fedeli, di parroci e vescovi.

La Chiesa rigettò in blocco le novità, sostenuta dalla maggioranza degli italiani: l'unica speranza del popolo era il premio che avrebbe avuto dopo la morte.

Quando, nel 1796, il ministro degli Esteri francese chiese ai suoi inviati nella Penisola un parere sulla possibilità di creare una repubblica italiana, gli venne risposto unanimemente che «gli italiani non erano maturi per la libertà, perché corrotti dalla superstizione religiosa e dalla servitù politica». >>

 GIORDANO BRUNO GUERRI

mercoledì 11 aprile 2018

I giganti della fede - Madre Teresa di Calcutta

Questo post è dedicato ad una delle icone del cristianesimo contemporaneo, ovvero la famosissima Madre Teresa di Calcutta, sulla quale Christopher Hitchens ha scritto un pamphlet fortemente critico, dal titolo “La posizione della missionaria - Teoria e pratica di Madre Teresa”.
La prima parte è costituita dalla recensione del libro pubblicata dal sito UAAR; la seconda, invece, riporta le argomentazioni di Hitchens in risposta ad una delle tante critiche ricevute (quella del critico Simon Leys). 
LUMEN 


La recensione del libro 

<< Un libro di forte impatto, un testo scomodo su uno dei personaggi di culto del pantheon cattolico dei nostri giorni. L’immagine della missionaria ne esce a pezzi: Christopher Hitchens, saggista di successo e giornalista per alcune importanti riviste statunitensi, ha scritto questo agile pamphlet dopo aver curato, sullo stesso argomento, un documentario per Channel Four (che mai vedremo in Italia). 

Pagine provocatorie fin dal titolo, che gettano una luce sinistra sulla venerata missionaria, dipinta come una fanatica di scarsa intelligenza. A riprova, racconta l’aneddoto di quando le posero la domanda «cosa avrebbe scelto, fra Galileo e l’Inquisizione ?»: la missionaria ebbe modo di scegliere, senza esitazione, la seconda opzione.

Il suo integralismo la portò a comportamenti che denotano una ben scarsa umanità: dalla convinzione che la sofferenza dei poveri sia di grande aiuto per il mondo, al battesimo praticato in punto di morte a inermi induisti e musulmani, agli standard di assoluta inefficienza dei suoi ospedali (anche se poi, per i propri malanni, si faceva curare in costose cliniche occidentali).

Il testo si sofferma anche sulle fortune economiche dell’Ordine religioso creato da madre Teresa, tanto elevate e ben celate da non permetterne, in pratica, una quantificazione sicura.

Sicuro è invece il suo comportamento sfacciato nella causa contro Charles Keating, reo di aver imbrogliato migliaia di risparmiatori USA. Ebbene, madre Teresa non si fece alcuno scrupolo di scrivere al giudice una lettera in sua difesa, solo perché il truffatore le aveva donato più di un milione di dollari, non suoi, ovvio ! Quanto alle opinioni politiche, il libro cita le diverse occasioni in cui la religiosa ha esplicitamente appoggiato dittatori sanguinari come Duvalier o Hoxha.

Un libro “pericoloso” quindi, specialmente se pubblicato in una società aprioristicamente genuflessa come la nostra. Un libro da far sparire, conseguentemente, come ben dimostra la sua vicenda italiana.

Il 3 novembre del 1999 il settimanale Diario della settimana recensì il libro di Hitchens, lamentandone l’improbabilità di una diffusione in Italia. Poco dopo un lettore scrisse alla rivista informando dell’esistenza (dal 1997) della traduzione italiana del libro, che peraltro risultava introvabile.

Il successivo 1° dicembre, l’editore Minimum Fax inviò a propria volta una lettera, della quale si riporta un passo eloquente: «…in realtà il libro non è esaurito né fuori catalogo […] madre Teresa ebbe il cattivo gusto di passare a miglior vita proprio mentre il libro usciva e così le librerie si riempirono immediatamente di testi agiografici sulla “Santa dei poveri” mentre il papa ne proponeva una beatificazione in tempi record. Il nostro volumetto, scalzato da tanta mole di santità a cui dava un po’ fastidio, venne subito sfrattato per tornare prima del tempo, in forma di ‘reso’, alla casa madre». >>

SERGIO D’AFFLITTO


La difesa dell’autore

<< Nel mio libro fornisco la prova che Madre Teresa consolava e sosteneva i ricchi ed i potenti, permettendo loro ogni sorta di lassismo, mentre predicava l'obbedienza e la rassegnazione ai poveri.

In un classico esempio recente di ciò che intendo, [Madre Teresa] ha detto al giornale Ladies' Home Journal dell'aprile 1996 che la sua nuova amica Principessa Diana sarebbe stata molto meglio una volta liberatasi dal suo matrimonio. Disse questo dopo aver appena finito di consigliare agli elettori irlandesi di votare "No" in un referendum nazionale sul diritto al divorzio e al nuovo matrimonio civile. [...]

Prove e argomentazioni di questo tipo, come vedo, non fanno differenza per persone come Mr Leys.[...]

Su altri miei punti correlati — che Madre Teresa non si sia per nulla impegnata a fornire il soccorso medico o sociale richiesto dai suoi benefattori, convogliando invece i loro fondi a costruire chiese e conventi, e che la sua missione sia unicamente religiosa e propagandistica, con l'aggiunta di battesimi surrettizi ai non credenti - ho notato che Mr Leys non controbatte seriamente. [...]

La carriera pubblica di Madre Teresa è stata quasi immune da scrutini o critiche, con grande tripudio dei rispettivi agiografi, cosa che ho enfatizzato sin dall'inizio. Rappresentarla come una donna insozzata dallo ‘sputo’ [dei giornalisti critici] per i suoi atti o credenze è - per impiegare una volta tanto il termine in maniera rigorosa - veramente incredibile. 

Tuttavia si accorda con l'autocommiserazione dei cristiani che dobbiamo sopportare da tante parti in questi giorni. Altre fedi stanno mettendosi in fila con loro, per affermare che ogni critica è abusiva, blasfema e diffamatoria per definizione. [...]

Infine, faccio notare che [Leys] descrive il titolo del mio libro come "osceno" e lamenta che attacca una persona che è "anziana". Mi potrebbe gentilmente dire dove si trova l'oscenità ? Inoltre, dato che ho criticato Madre Teresa sin da quando era di mezza età (e ho denunciato pubblicamente il senile Khomeini nel suo rimbambimento omicida), mi potrebbe consigliare i limiti d'età in cui i fedeli possano considerare ammissibile la critica laica ? >>

CHRISTOPHER HITCHENS

mercoledì 4 aprile 2018

Il genio di Darwin – 3

(Dal libro “Perché non possiamo non dirci darwinisti” di Edoardo Boncinelli” – Terza parte. Lumen)
 

<< Con queste premesse, non desta meraviglia che dal nocciolo originario della proposta darwiniana sia nata una vera e propria scienza, che si è sviluppata e perfezionata nel corso del tempo, attraverso una serie di tappe.
 
La prima di queste risale agli inizi del Novecento. Si riscopre la grandiosa opera di Mendel e si gettano le fondamenta della nuova scienza della genetica.
 
Si comincia a parlare di geni e di mutazioni e si tenta di inserire queste nuove nozioni all'interno della proposta darwiniana, con grandi successi, ma anche con alcune difficoltà. Rimane per esempio ancora irrisolto il problema della nascita di organi complessi come l'occhio o dell'origine, più o meno repentina, delle grandi suddivisioni tassonomiche.
 
La questione della discontinuità e dei grandi cambiamenti fu uno degli argomenti principali a interessare i riscopritori della genetica all'inizio del Novecento. Ci fu chi introdusse per esempio il concetto di super-mutazione, un'ipotetica mutazione particolarmente ricca di conseguenze, poiché sembrava impossibile o improbabile che si procedesse sempre attraverso piccoli cambiamenti, ma si trattava di una teoria troppo speculativa che non ha retto alla prova del tempo.
 
Nello stesso periodo accadono però due fenomeni fondamentali per la vicenda che stiamo raccontando: da un lato si assiste al fiorire rigoglioso di ampi studi naturalistici sul campo, dall'altro alla nascita della biologia matematica, e in particolare della cosiddetta genetica delle popolazioni, a opera di grandi autori come Ronald Fisher e John Haldane in Inghilterra e Sewall Wright negli Stati Uniti.
 
La matematica dell'evoluzione e la genetica delle popolazioni richiederebbero un capitolo a parte.
 
Non è questa la sede per tale approfondimento, ma possiamo dire che è con l'affermarsi, negli anni Venti e Trenta del Novecento, di questa disciplina che nasce, finalmente, un evoluzionismo scientifico e verificabile sul campo: si postulano ipotesi precise, si segue in dettaglio l'evolversi di determinate popolazioni, si calcola la fitness dei diversi gruppi di individui e l'azione della selezione naturale attraverso un coefficiente numerico, per giungere infine a una conclusione.
 
La proposta darwiniana dell'evoluzione diventa quindi una teoria scientifica a tutti gli effetti.
 
Gli esempi di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente potrebbero tranquillamente essere riproposti da un punto di vista matematico, ipotizzando in questo caso la fitness dei nostri immaginari erbivori di dimensione media o di taglia più piccola in un determinato ambiente, e osservando come questo coefficiente potrebbe variare con il passare del tempo o con il mutare delle condizioni ambientali.
 
Nel caso poi di fenomeni reali molto studiati come la falcemia o la talassemia, si conosce con grande precisione il coefficiente di selezione degli individui normali, dei falcemici omozigoti e degli eterozigoti.
 
Tutto questo fervore teorico e pratico crea, dunque, intorno agli anni Trenta e Quaranta del Novecento, i presupposti per lo sviluppo di un nuovo darwinismo, che prende il nome non felicissimo di “sintesi moderna”.
 
Allo sviluppo di questa danno il loro contributo grandi naturalisti come il genetista Theodosius Dobzhansky (cui si deve la celebre frase: «Niente ha senso in biologia se non nella luce dell'evoluzionismo»), il botanico Ledyard Stebbins e gli zoologi Geoge Gaylord Simpson ed Ernst Mayr.
 
Si giunge così alla vigilia dell'avvento del DNA e della biologia molecolare con una versione aggiornata, arricchita e «quasi» perfetta della proposta darwiniana. (È curioso notare come l'uomo creda sempre di aver raggiunto la perfezione nelle teorie scientifiche più diverse, salvo accorgersi, solo qualche tempo dopo, di essersi sbagliato, o almeno di aver corso troppo.) 

Questa versione aggiornata convinse all'epoca moltissime persone in tutto il mondo che la teoria di Darwin, unita alla genetica e in particolare a quella applicata alle popolazioni, fosse una scienza ormai matura e quasi definitiva, anche se permanevano parecchi interrogativi. >>

EDOARDO BONCINELLI
 

 (continua)