La teoria del “Fenotipo esteso” è stato elaborata dal grande biologo evoluzionista Richard Dawkins ed ha ricevuto notevoli apprezzamenti, ma anche critiche e discussioni.
Ce ne parla Lorenzo Casaccia in questo lungo articolo (tratto da Medium.com), dedicato agli appassionati di evoluzionismo e dintorni.
LUMEN
<< Il concetto di “fenotipo esteso” viene esposto da Richard Dawkins nel 1982. Dawkins era già noto, anche al grande pubblico, per una visione del darwinismo incentrata sul ruolo del gene (si vedano “L’orologiaio cieco” e “Il Gene egoista”). L’idea del fenotipo esteso si appoggia sostanzialmente su due principi:
1) La selezione naturale, nel senso più generale, si applica a “replicatori”, vale a dire entità che sono in grado di copiare se stesse con grandissima precisione. Per gli organismi del mondo che conosciamo, questa entità è il gene. Il gene è quindi, per Dawkins, l’unità principe su cui si esercita l’evoluzione.
2) Il “fenotipo esteso” è la manifestazione dell’organismo al di fuori dell’immediato confine fisico dell’organismo stesso. Ad esempio: la diga è parte del fenotipo esteso del castoro, la ragnatela è parte del fenotipo esteso del ragno, e così via.
Il fenotipo esteso è quindi una delle espressioni del replicatore (cioè del gene). Come noto, i replicatori non vengono selezionati direttamente, ma vengono selezionati sulla base del loro effetto fenotipico. Dawkins quindi mostra come la pressione selettiva agisce sul fenotipo esteso (e non solo sul fenotipo), così da influenzare la scelta del genotipo. La qualità della diga, per tornare all’esempio di cui sopra, è un fattore che influenza la selezione naturale dei castori. Il fenotipo esteso diventa quindi un esempio di azione genetica a distanza.
Il dibattito filosofico/biologico più interessante tra la teoria del fenotipo esteso e le altre branche del darwinismo si è avuto riguardo alla relazione di esso con la teoria della “niche construction” anche detta NCT.
Tale teoria prese le mosse da Richard Lewontin che già dagli anni Settanta poneva l’attenzione sul fatto che gli organismi influenzano l’ambiente circostante, ognuno in modo specifico, così che ogni specie finisce per costruire una sorta di “nicchia” per se stessa. Non esiste quindi un ambiente “fisso”, che filtra gli organismi secondo i meccanismi della selezione naturale. Al contrario, organismi e ambiente co-evolvono: (…) l’evoluzione dell’organismo è una funzione dell’ambiente e dell’organismo stesso; l’evoluzione dell’ambiente è una funzione degli organismi e dell’ambiente stesso. (…)
Siccome, per ammissione stessa di Dawkins, la parte della teoria del fenotipo esteso che è stata più’ studiata e osservata è quella che riguarda la costruzione di artefatti animali (come appunto le dighe dei castori), c’è stata accesa discussione rispetto a “quanto si estende il fenotipo esteso”. Quest’ultima domanda, lungi dall’essere un gioco di parole, è la chiave interpretativa per il dibattito biologico-filosofico di questi ultimi venti anni.
In opposizione alla versione “classica” o “sintetica” della teoria dell’evoluzione, che prevede un ambiente sostanzialmente statico, i fautori della NCT sostengono che gli organismi possono modificare l’ambiente in maniera collettiva, e così’ facendo modificare la pressione selettiva sia su di sé che sugli altri organismi che non hanno partecipato a tale modificazione. Le dighe dei castori, quindi, eserciterebbero una influenza indiretta di più lungo raggio, andando a modificare i meccanismi selettivi di specie “altre” dai castori, secondo meccanismi che sarebbero ancora da comprendere pienamente.
I promotori della NCT sostengono che questi meccanismi affiancano “alla pari” la selezione naturale su base genetica. L’assunto concettuale alla base di questa visione è che esista anche una selezione naturale degli ambienti, cioè che il meccanismo darwiniano si applichi ad un ambiente nella sua globalità. Questo indirettamente significherebbe che esistono altri replicatori oltre ai geni, e questo è l’aspetto più profondamente controverso rispetto a Dawkins.
Nel 2003, Scott Turner (…) pubblica un saggio dal titolo “Extended Phenotypes e Extended Organisms”. Turner sostiene una visione profondamente opposta a Dawkins (pur sempre nell’ambito del darwinismo). Considerare solo il gene come unità riproduttiva sarebbe un grave errore. Si dovrebbe invece risalire alle basi concettuali della teoria di Darwin e da lì ripensare la natura dei replicatori.
Ad esempio, Turner discute nel dettaglio il caso delle macro-termiti e del loro termitaio come fenotipo esteso di un pool di geni che viene sia dalle termiti, che dai funghi presenti nel termitaio (i quali garantiscono l’equilibrio metabolico). Si ha quindi un fenotipo esteso (il termitaio) che deriva da un genotipo “misto” (termiti più funghi). Abbiamo quindi una relazione complessa: il successo del termitaio sembra influenzare nella stessa misura due specie differenti, e quindi due pool di geni differenti.
Turner poi si chiede “perché i geni sono i replicatori ?”. La risposta che si da’ è che sono le entità nel “sistema” che durano di più, vale a dire conservano la stessa informazione per più’ tempo degli altri elementi. Egli però trova dei contro-esempi per indicare che alcune modifiche del fenotipo, in certi casi, possono “durare di più” (ad es. certe modifiche indotte nelle ciglia di alcuni batteri che poi si propagano). In tal caso il meccanismo di selezione si sposterebbe, secondo Turner, sul fenotipo, il che costituirebbe una nozione a suo modo rivoluzionaria (…).
In sostanza, Turner sostiene che la teoria del fenotipo esteso, se sviluppata, porta a risultati opposti a quelli desiderati da Dawkins. Anziché sancire la centralità del gene, riporta l’attenzione su fatto che in natura esista un meccanismo di selezione “variabile”. A seconda dell’elemento che “dura di più” (nel genotipo o fenotipo), si ha selezione basata sui geni, mista o sull’omeostasi [fenotipo]. Ciò facendo, Turner ritiene di avere “riportato l’organismo sulla scena”, dopo settanta anni di centralità del gene.
Nello stesso anno, Kevin Laland pubblica un altro saggio fondamentale “Extending the Extended Phenotype”, dove ribadisce che la NCT (niche construction theory) è essa stessa parte del processo di selezione naturale, non una conseguenza.
Per iniziare, Laland scardina la rigidità della relazione dawkinsiana tra genotipo e fenotipo: l’influenza genetica su un fenotipo è diffusa, siccome non esiste un gene singolo che caratterizza un aspetto del fenotipo, e ancor meno del fenotipo esteso. Ancor più importante è il fatto che alcuni aspetti del fenotipo esteso non sono di natura genetico-ereditaria, ma sono “appresi” e di natura “sociale”.
Laland poi torna al noto esempio dello studio di Darwin sui lombrichi: i lombrichi modificano il suolo e questo ambiente modificato si riproduce e si perpetua per ripetizione e per ereditarietà ecologica. Tale ereditarietà ecologica, in questo caso, dipende semplicemente dalla persistenza del terreno, non da una pressione selettiva su un qualche replicatore.
Un secondo esempio di Laland, altrettanto fondamentale, è quello del consumo di latticini e della capacità di alcuni uomini di tollerare il lattosio in età adulta. E’ ormai assodato che tale tolleranza è di natura genetica. Si sa anche che la prevalenza della capacità di digerire il lattosio si ha in società dove, tradizionalmente, si producono latticini. Ma i documenti storici e l’analisi genetica hanno dimostrato che l’atto di fare latticini ha preceduto la selezione di questo apparato genetico che permette di digerire il lattosio.
In questo caso quindi, alcune società hanno creato un ambiente specifico (ad esempio una organizzazione alimentare incentrata sulla pastorizia), e così facendo hanno creato una nicchia ecologica che ha poi effettuato una pressione selettiva sugli individui stessi. Questo è quindi un esempio di adattamento (o selezione naturale) dove vi è una più’ complessa interazione con l’ambiente, mediata dalle “abitudini sociali”. (…)
Kevin Laland accoglie quindi in pieno la teoria del fenotipo esteso di Dawkins, ma la sviluppa “oltre”, e la considera quindi come una sorta di “resa” di Dawkins stesso a Lewontin (NCT). >>
LORENZO CASACCIA
(continua)
Troppo complicato, meglio una causa unica e ben identificabile come il "gene egoista". Meglio il monoteismo insomma.
RispondiElimina;)
Vero.
RispondiEliminaMa il monoteismo non esclude, come ben sappiamo, il concetto di trinità.
E quindi con la triade "gene, fenotipo e fenotipo esteso", sono a posto anche io. ;-)
Ego, superego, es
EliminaUna bella similitudine.
EliminaDa riportare magari in quest'ordine: es (gene), ego (fenotipo), superego (f.esteso).
https://it.wikipedia.org/wiki/Georges_Dum%C3%A9zil
Elimina"Dumézil è divenuto universalmente noto per le sue teorie sulla società, l'ideologia e la religione degli antichi popoli indoeuropei, sviluppate comparando tra loro i miti di quei popoli e scoprendovi una struttura narrativa identica che per Dumézil rifletteva essenzialmente una stessa visione della società e del mondo, caratterizzata in particolare da una tripartizione funzionale: la funzione sacrale e giuridica, la funzione guerriera e la funzione produttiva. Oltre che nei miti, questa struttura si ritrova, secondo Dumézil, anche nell'organizzazione sociale di alcuni popoli indoeuropei, a cominciare dalle caste dell'India."
https://www.ibs.it/ideologia-tripartita-degli-indoeuropei-libro-georges-dumezil/e/9788884740274?gclid=EAIaIQobChMIotDZsp2v1QIVoxbTCh3rsQI7EAAYASAAEgJWwPD_BwE
https://it.wikipedia.org/wiki/Tripartizione_dell%27Organismo_sociale
http://ildubbio.news/ildubbio/2017/07/27/la-giovinezza-nella-societa/
"Al centro del libro c’è una figura dimenticata e straordinaria nella storia di questo paese: quella di Adriano Olivetti. Nell’idea di Olivetti, che per una manciata d’anni è riuscita a incarnarsi nel miracolo di Ivrea – una fabbrica giusta inserita in una comunità organica – e nelle tesi politiche del movimento olivettiano espresse dall’ingegnere nel suo saggio L’ordine politico delle comunità. In queste idee Paradisi vede un varco aperto per immaginare un futuro diverso dal presente che ci assedia, indicando l’esperimento olivettiano – una concezione del lavoro e della democrazia piena di bellezza e partecipazione – come un seme ancora capace di generare futuro. Dietro la visione di Adriano Olivetti – che entra in Parlamento nel 1958, con il Movimento di Comunità – non ci sono, secondo l’autore, le ideologie su cui poggiano la sinistra e la destra italiane; “non troviamo né il socialismo livellatore di Marx né la logica del profitto benthamiana, e nemmeno il nazionalismo ottuso del fascismo, ma l’idea di una società personalista e cristiana pensata da Emmanuel Mounier, insieme alla tripartizione dell’organismo sociale di Rudolf Steiner, di cui Olivetti era devoto studioso”. Un futuro possibile e auspicabile. Sta a chi è capace di non darla vinta alla vecchiaia del mondo tenere sempre aperta la rivoluzione della coscienza per tentare di inverarlo. Un’estate invincibile è un libro esistenziale ma anche profondamente politico."
http://www.laconfederazioneitaliana.it/?p=285
"Una costituzione tripartita
Gli ordini delle comunità nella Confederazione italiana
di Geminello Alvi"
<< una stessa visione della società e del mondo, caratterizzata in particolare da una tripartizione funzionale: la funzione sacrale e giuridica, la funzione guerriera e la funzione produttiva. >>
RispondiEliminaMolto interessante.
Aggiungo, per chi ama i dettagli, che anche la santissima trinità cristiana comprendeva, in origine, l'elemento femminile, in quanto in greco la parola "spirito santo" era di genere femminile.
Poi, con la traduzione in latino, il termine è diventando maschile, finendo di non servire più a nulla.
Ecco allora nascere, e dilagare inarrestabile, il culto femminile-materno della Madonna, che andava a riempire un vuoto evidente.
Mi sembra una "ricostruzione" un po' fantasiosa. Ma se non è vera è ben trovata. Spirita santa in greco? Pensavo fosse femminile in ebraico. Quisquiglie, pinzallacchere.
EliminaNon volevo arrivare a tanto, solo mostrare che la "tripartizione" e' una costante antropologica ricorrente, sembrerebbe.
Elimina@ Sergio
EliminaAltro che quisquiglie: ho preso una bella cantonata, e me ne scuso.
Lo spirito (santo) è in effetti femminile in ebraico (ruah), poi diventa neutro in greco (pneuma) e quindi maschile in latino (spiritus).
Volevo fare il saputello, ma la pigrizia mi ha impedito di controllare (bastava wiki).
Ben mi sta !
@ Segio e Diaz
EliminaPerò, tornando a bomba, che nelle varie religioni sia molto spesso presente (ed importante) l'elemento femminile, mi sembra abbastanza accertato.
Ed anche logico, visto che, per quanto le donne possano essere subordinate nelle regole sociali, sempre di loro c'è bisogno per procreare nuove vite.
Resta però la posizione un po' ambigua dell'ebraismo (vedi sopra) e, quella, più inequivocabile, dell'Islam, che di figure femminili (salvo errori) proprio non ne ha.
Piuttosto strano, dal punto di vista antropologico.