L’intervista virtuale di oggi ha come
vittima Alessandro Gilioli, l’ottimo giornalista de L’Espresso, il cui
blog “Piovono rane” è una delle lettura
più interessanti (e piacevoli) per chi vuole seguire l’attualità
politica. Con lui parleremo dell’evoluzione subita dal mondo del
giornalismo dopo l’esplosione di Internet. LUMEN
LUMEN – Signor Gilioli, voi fate il giornalista da quasi trent’anni e siete ormai un veterano. Com’era la situazione all’epoca ?
GILIOLI - Quando ho iniziato a fare questo mestiere, noi venivamo educati all’idea che i giornalisti
giudicano ma tendenzialmente non devono
essere giudicati.
Era una sorta di immunità
presunta, derivata dal postulato secondo il quale il giornalista
raccontava fatti e/o esprimeva opinioni sempre in buona fede, senza
cointeressenze
personali, senz’altre ambizioni che non fossero quelle di fare il
cronista o di contribuire al dibattito politico, culturale, economico,
etc.
LUMEN – Ed era proprio così ?
GILIOLI
- Era una balla, naturalmente. I giornalisti – in buona parte – non
sono mai stati così, almeno in Italia. Siamo sempre stati una categoria
in cui alle non moltissime schiene diritte
si mescolavano le penne a zerbino: per conformismo, convenienza,
ambizione personale, fedeltà di partito, subalternità ai poteri,
complicità, privilegi piccoli o grandi e altre ragioni ancora. Ed
occorre smontare l’idea che ci sia stata un’epoca in cui in
questo Paese i professionisti dell’informazione facevano i cani da
guardia del potere (con le dovute eccezioni, naturalmente). Poi, per
fortuna, a poco a poco, questa
immunità e questa finzione scenica hanno iniziato a sgretolarsi.
LUMEN – Come è successo ?
GILIOLI
– Io l’ho visto con i miei occhi, questo processo. È iniziato con
un’invenzione tecnologica: la mail. Prima, quando un giornalista
scriveva una sciocchezza (o comunque qualcosa di
contestabile)
al massimo arrivavano in redazione un paio di lettere cartacee che
finivano rapidamente nel cestino. Con la posta elettronica, ecco che le
contestazioni, le rettifiche,
le correzioni (ma anche le prese per i fondelli) hanno iniziato a
moltiplicarsi a dismisura. Poi sono arrivati i blog, il web 2.0, i
social network : insomma qualsiasi cittadino è diventato potenzialmente
produttore di contenuti accessibili in qualsiasi luogo
del pianeta. E la fessura nella diga è diventata un’alluvione: di
verifiche, analisi, attacchi,
debunking etc etc su quello che il giornalista scriveva. Il tutto, appunto, in pubblico.
LUMEN – Un cambiamento epocale.
GILIOLI
- Io me lo ricordo, il trauma, nelle redazioni. La brusca discesa dal
piedistallo. Cacchio: se sparavi balle adesso ti beccavano. Se
scopiazzavi in giro, venivi ridicolizzato in un
quarto d’ora. E quanto stupore nello scoprire che spesso il crowd,
su un determinato tema, ne sapeva più di te! Diciamo la verità: non è
stato indolore, il passaggio. Pochi colleghi
l’hanno colto come strumento per migliorarsi. Molti l’hanno sofferto
come la fine di un’epoca felice. È umano, è normale: per quanto fosse
sbagliato.
LUMEN - Ma non c’è stato solo quello, vero ?
GILIOLI
– No, perché in Italia la ‘caduta dal piedistallo’ della categoria è
coincisa con un cambiamento storico di umore diffuso, di “sentiment”. E
con una fase economica in cui il Paese
si è diviso tra sommersi e salvati. Con l’odio crescente dei primi
verso i secondi. E i giornalisti – tutti, più o meno – sono stati
identificati con i salvati, con la “Casta”, con l’establishment, con la
vicinanza al potere. Ma anche questa era una percezione
solo in parte fedele della realtà fattuale.
LUMEN – In che senso ?
GILIOLI
- Prima di tutto perché proprio mentre cresceva il disprezzo per i
giornalisti, questi perdevano non solo la loro precedente
immunità,
ma anche gli stipendi che ne avevano fatto, per decenni, una categoria
di privilegiati. Lo sanno bene quelli entrati nella professione di
recente, quasi sempre precari
e spesso con redditi da “call center”. Ma tant’è, ormai la frittata era
fatta. I giornalisti hanno iniziato non solo a essere giudicati per
quello che scrivevano (e giustamente messi ai raggi X parola per
parola), ma sono diventati obiettivo conflittuale nella
lotta alla Casta e all’establishment, proprio come i politici.
LUMEN – Una specie di legge del contrappasso.
GILIOLI
– Che ci può anche stare, diciamo. Nel senso che se guardiamo quello
che abbiamo fatto, come categoria, per tanti decenni, probabilmente
questa condanna ce la meritiamo. Anche se spesso
poi a pagarne il fio non sono quelli che hanno fatto i danni, ma quelli
che non c’entrano niente. Forse però sarebbe ora di arrivare a una
sintesi, superando sia la fase in cui i giornalisti erano tutti
immuni sul piedistallo sia quella in cui invece sono tutti
casta cui sputare in faccia.
LUMEN – E come ci si arriva ?
GILIOLI – Con la buona pratica dell’onestà intellettuale e della trasparenza: cioè della verifica e del confronto tra le
persone per quello che le
persone
fanno e scrivono anziché per la categoria a cui appartengono. Abbiamo
tutti il dovere di essere giudicati. Giornalisti e no. Politici e no.
Tutti quelli che scrivono, sui
giornali o sui social network o in qualsiasi altro posto. Perché
l’informazione migliora solo quando chi la fa viene sottoposto ogni
giorno a un check – anche feroce – su quello che scrive, che fa o che
dice. Ma che sia un controllo concreto, fattuale, puntuale,
onesto, autentico, con una contrapposizione di argomenti, di visioni,
di idee, di fatti; non di “partito preso” o di categorie.
LUMEN – L’esplosione del web ha anche ingigantito il problema del precariato. Chi sono, oggi, i precari del giornalismo ?
GILIOLI
- Bisogna prima di tutto distinguere tra collaboratori esterni e
abusivi. I primi sono colleghi – con o senza il tesserino in tasca - che
non lavorano in redazione, non hanno una scrivania
abituale, un telefono fisso o una casellina mail fornitagli dalla
testata etc. Una volta venivano in redazione «a consegnare il pezzo», da
almeno 10-15 anni ovviamente lo mandano per mail e se si fanno vedere
in redazione è per una chiacchierata alla macchinetta
del caffè, da cui possono scaturire idee, collaborazioni future e
magari a volte anche rapporti professionali e umani di stima. In tutto
ciò, ci mancherebbe, non c’è nulla di eticamente o deontologicamente
scorretto: anzi, per ogni testata è indispensabile
avere un polmone di free lance (magari specializzati su qualcosa).
LUMEN – E gli “abusivi” ?
GILIOLI
- Altra cosa, completamente diversa, sono gli abusivi in redazione,
quelli che svolgono mansioni interne da una scrivania interna: e che
sono illegali, anche se fanno mezza giornata
o due giorni alla settimana. Per quel che ne so – anche grazie alle
ispezioni – la pratica di tenere esterni in redazione è calata negli
ultimi vent’anni, almeno nei gruppi maggiori e nei giornali nazionali.
Non so nelle piccole realtà editoriali e nei gruppi
locali. Ad ogni modo, come sempre, per quanto riguarda l’abusivato
bisogna uscire dal ricatto del «meglio così che niente».
LUMEN - Quanto sono pagati i collaboratori esterni ?
GILIOLI
- Qui il casino è enorme e c’è di tutto, perché a decidere è ovviamente
il mercato (non l’etica) e, come noto, quello dei giornali è un
declining market
che porta a compensi altrettanto declinanti. A tutto ciò si aggiunge il
fatto che molti collaboratori lavorano per siti web che non hanno mai
visto un bilancio
in utile: e come si fa a spiegare al CEO di un grande gruppo editoriale
che deve aumentare i compensi per un sito in “rosso” ? Quindi, VIP a
parte, c’è chi per un pezzo (sul cartaceo) arriva a prendere 500 lordi e
chi (per un sito di solito, ma a quanto leggo
non solo) si ferma a 10 euro o poco più.
LUMEN - Ma è giusto che si paghi un pezzo pochi euro ?
GILIOLI
- No, è una porcheria, ma soprattutto è un autogol per il giornale (o
sito che sia). Una porcheria per evidenti motivi, ma soprattutto un
autogol perché se una testata valuta un suo
articolo dieci euro, vuol dire che valuta pochissimo se stessa, il
prodotto che offre (e fa pagare ai suoi lettori, direttamente o con la
pubblicità). Vuol dire quindi che se ne frega della sua qualità e che
decide di affogarsi nel mare della comunicazione
scadente anziché cercare le ragioni della sua sopravvivenza e del suo
successo emergendo per qualità, originalità e merito dal rumore di
fondo. Insomma, si vota al suicidio.
LUMEN - Ma perché, un articolo pagato poco dev’essere per forza scarso qualitativamente?
GILIOLI - Non per forza, ma è probabile. Intanto per una questione di tempo: se a un collaboratore vengono dati dieci euro lordi per un pezzo, difficilmente ci investirà molto tempo. Anche perché altrimenti – al netto delle telefonate che deve fare etc – finisce per prendere quasi nulla. Quindi sará il più delle volte un pezzo frettoloso e ‘tirato giù in qualche modo’. Poi c’è ovviamente una questione di investimento emotivo: che incentivazione può avere un collega pagato così poco? ‘Tirerà giú’ il minimo indispensabile, appunto. Terzo: paghe cosí basse riempiono le testate anche di gente che viene illusa di poter fare questo mestiere pur non avendone le capacità.
LUMEN – State dicendo che i precari sono scarsi ?
GILIOLI
- No, c’è di tutto, è ovvio. Ce ne sono di ottimi e a volte mi viene il
sangue caldo a vedere in giro collaboratori più bravi e creativi di
molti mediocri che invece hanno il sedere
al caldo. All’estremo opposto ci sono quelli convinti di poter fare i
giornalisti senza averne minimamente le capacità. In mezzo c’è un po’ di
tutto. Comunque il dumping salariale non è certo una dinamica
meritocratica. A pagare pochissimo difficilmente si
attraggono e si conservano i collaboratori più bravi.
LUMEN – E poi c’è il problema dell’illusione personale.
GILIOLI – Certo, perché
continuare a far lavorare collaboratori
scarsi – solo perché si crede che convengano economicamente – significa
illuderli, far credere loro che potranno fare un mestiere che sognano
ma che non hanno le capacità di fare. Quindi si creeranno infelici e
sottopagati a vita. Molto meglio rendersi conto
a 25 anni che a 40 di aver preso la strada sbagliata.
LUMEN - Nei giornali c’è pure chi lavora gratis, vero ?
GILIOLI - Non solo: vedo che cresce il numero di quanti
si propongono
di lavorare gratis per ‘far girare la firma’ per ‘mettere un piede in
una redazione’ etc. Il che ovviamente non ha nulla a che fare con casi
molto diversi di giornalisti
‘inseriti’ che decidono di fare pezzi gratis per motivi
etico-politici-culturali-ideali etc.
LUMEN – Comunque gli editori non sono tutti uguali.
GILIOLI
– No di certo, e lo dico anche per esperienza personale. Essendo
imprenditori, è ovvio che hanno come obiettivo l’utile in bilancio, non
sono l’Opera Pia. Ma c’è chi lo fa in modo
corretto e chi in modo banditesco. Nella vita ho lavorato anche con un
editore che un bel giorno ha deciso che tutti i borderò del mese di
agosto non andavano pagati. Tutti. Una bella letterina ai collaboratori,
«scusate, c’è la crisi etc etc questo mese non
si paga, confidiamo nella vostra comprensione». Risultato: una buona
metà dei collaboratori ha fatto buon viso a cattivo gioco pur di
continuare a collaborare; un quarto ha semplicemente smesso di
collaborare; un altro quarto ha fatto causa. Con questi ultimi
l’editore ha mediato prima di andare per avvocati, versando circa metà
di quanto loro dovuto. Alla fine era tutto orgoglioso che il mese di
agosto, a conti fatti, gli era costato un decimo della media. Da
vomitare.
LUMEN – Avete qualche idea per migliorare la situazione ?
GILILIOLI
- Sì, tante. Prima di tutto bisognerebbe polverizzare il 90 per cento
delle scuole di giornalismo che ci sono in Italia, il cui unico scopo è
riempire il portafogli dei loro proprietari
e ‘insegnanti’, illudendo tanti ragazzi di poter entrare in una
professione in crisi. Piacerebbe che sparisse anche un’altra
sovrastruttura che serve solo a imporre gabelle e a dare una segretaria a
chi ne occupa le poltrone, cioè l’Ordine. Sarebbe poi utile
che chi vuole fare questo mestiere cercasse di mettere in luce la
propria bravura con un blog o in altro modo autonomo e creativo
piuttosto che andando ad arruffianarsi caporedattori che poi potranno
pagarli dieci euro lordi.
LUMEN – Grazie per la chiacchierata, dottor Gilioli, e tanti auguri per il vostro lavoro.
Un'intervista davvero illuminante ma anche deprimente. Questo Giglioli sembra un tipo in gamba e a posto (cioè onesto), coraggioso pure. Però la situazione che descrive così bene è disperata e non so se ne accorga anche lui. Perché la mail e la rete hanno ormai affossato ogni autorità ed è praticamente impossibile "emergere", farsi un nome. Ti parlavo ultimamente dell'uomo-massa secondo Ortega y Gasset. Ormai siamo tutti uomini-massa, con un'infarinatura di tutto che ci fa credere di essere competenti in ogni ramo del sapere e in grado di dire la nostra, di essere persino capaci d'incidere sulla realtà. Illusi. Come si esce da questa situazione? È impossibile - perché siamo troppi. Una volta la scuola selezionava e autorizzati a parlare erano pochi che acquisivano così anche notorietà e autorevolezza. Oggi abbiamo sette miliardi di professori che sputano sentenze. È impossibile tornare indietro, anzi la situazione è destinata a peggiorare. C'è però nonostante tutto ancora una élite - penso soprattutto agli scienziati - che sono almeno una spanna sopra la massa vociante e nel silenzio dei laboratori fanno avanzare l'umanità. Purtroppo accanto a questa élite c'è anche l'élite del potere che pensa solo a protrarre la sua egemonia e si serve allo scopo anche dell'élite del sapere - che dipende a sua volta dalla politica. Per finanziare il CERN Rubbia e soci hanno dovuto convincere i politici dell'assoluta necessità di questo progetto e quindi anche di foraggiarli.
RispondiEliminaPer tornare terre-à-terre. Oggi un qualsiasi cretinetto di scolaro può mettere in crisi il suo insegnante - perché lui ha sentito, ha letto su Wikipedia, e poi tutti dicono che ecc. ecc. Cosa può fare un povero insegnante? Cambiare mestiere. Del resto - oggettivamente - anche un bravo insegnante sa ben poco. Mi chiedo se la scuola abbia ancora senso. Oggi tutti hanno accesso alla conoscenza. Già quarant'anni fa Ivan Illich propugnava la "descolizzazione" della società.
Forse ci vuole un reset! Un ritorno alla meritocrazia: parlino solo i veri competenti che sono tali per meriti acquisiti, meriti reali. Ma sarà difficile, per non dire impossibile. Ovvero i limiti della democrazia, il potere degli incompetenti.
<< Del resto - oggettivamente - anche un bravo insegnante sa ben poco. Mi chiedo se la scuola abbia ancora senso. >>
RispondiEliminaCaro Sergio, il tuo dubbio è senz'altro fondato, ma io voglio fare l'ottimista e dico che la scuola un senso ce l'ha ancora eccome, solo che non è più quello nozionistico di una volta, figlio di una società diversa, in cui le informazioni di base NON c'erano ed andavano pertanto insegnate sui banchi.
Oggi le informazioni ci sono tutte (anche troppe), per cui forse la scuola dovrebbe insegnare altre cose, a partire dall'amore per la conoscenza, per finire alle tecniche di ricerca ed analisi delle informazioni, con in mezzo tante altre cose utili, come il saper lavorare insieme ed avere rispetto per gli altri.
Ma, probabilmente, sto solo sognando...