“Giochi
senza frontiere” era il nome di un fortunato gioco televisivo di
qualche decennio fa, che vedeva sfidarsi – in buffe gare di varia
abilità - paesi e cittadine di tutta l’Europa.
Sicuramente,
finchè si tratta di giocare e divertirsi, si può anche fare a meno
delle frontiere. Ma nella realtà vera, quella sociale, politica ed
economica di tutti i giorni, è davvero possibile
?
Quelle
che seguono sono le riflessioni sull’argomento che mi ha inviato dalla
Svizzera l’amico Sergio Pastore; una lettura molto interessante.
LUMEN
<<
La
sera del 9 febbraio 2014 in varie città della Svizzera sono sfilati
gruppi di sinistra che protestavano contro il risultato della votazione
sull’iniziativa “Contro l’immigrazione di
massa”. Le scritte dei loro striscioni dicevano: “No border – no
nation”, “Nessuna persona è illegale”, “La vostra Svizzera – ci fa
schifo”.
La
libertà di espressione e di manifestazione è da noi garantita, ma non si
può non osservare che alcuni fanno fatica ad accettare il risultato di
una libera votazione non offuscata da alcun
broglio. Ma vediamo un po’ da vicino cosa davvero significhino certi
slogan.
“Niente
frontiere – niente nazioni”. È possibile l’abolizione delle frontiere e
degli Stati ? E’ auspicabile? Ciò significherebbe davvero la fine di
scontri, guerre, ingiustizie e una più
grande felicità dei singoli e d’interi gruppi, persino dell’umanità
intera?
È
noto che l’Unione Europea ha adottato il regime della libera
circolazione – ma solo all’interno dell’Unione, non esiste ancora un
regime di libera circolazione con l’Africa e l’Asia (e si
capisce bene perché).
Ogni
cittadino della comunità europea può stabilirsi, vivere e lavorare dove
gli pare. A prima vista ciò può sembrare uno straordinario ampliamento
della libertà individuale: non siamo più
legati al paese di nascita, ma possiamo espatriare senza alcun vincolo e
permesso.
A
dir la verità si poteva espatriare anche prima che nascesse l’Unione
Europea: in ogni tempo singoli e gruppi hanno cercato di rifarsi altrove
un’esistenza, sia per necessità per le ristrettezze
del proprio paese che per desiderio di avventura.
Bisognava
però essere accolti in altri paesi: nessun italiano emigrato in
Svizzera o in America ci è entrato da clandestino e ha avanzato pretese,
dovevano anzi sottoporsi a visite talora
umilianti.
Occorrevano
permessi di soggiorno e residenza, col tempo poi si poteva chiedere
persino la cittadinanza – o emigrare di nuovo se la nuova patria aveva
deluso per qualche motivo.
Quanti
non si trovano bene in un paese, di nascita o di adozione, e sognano
altre mete, gente diversa, più aperta e simpatica, luoghi più ameni,
climi più miti! Ma esistono questi posti? E
gli abitanti di questi paradisi mi accoglieranno? Non è detto, non è
sicuro: dipenderà da varie circostanze.
Gli
esodi individuali o di gruppo sono stati però in genere fenomeni
circoscritti e sottostavano a precise regole – sia del paese di espatrio
che in quello d’immigrazione. A nessuna regola
dovevano invece conformarsi i popoli dell’antichità che cercavano nuovi
territori per vivere.
I
tedeschi indicano questo fenomeno con l’espressione quasi poetica di
“Völkerwanderungen” (trasmigrazioni di popoli) mentre i latini usano
l’espressione più consona di invasioni barbare.
Roma
infatti doveva subire queste incursioni: non poteva opporsi perché
ormai troppo debole – e troppo vasta (l’eccessiva estensione è ritenuta
una delle principali concause della caduta
dell’impero romano).
Teniamo
però presente che questi popoli invasori erano costituiti spesso da
poche migliaia di persone: non si pensi a centinaia di migliaia di Goti,
Visigoti e Vandali o addirittura a milioni:
erano gruppuscoli di poche migliaia d’individui, al massimo diecimila. E
avanzavano praticamente in terre vergini o scarsamente popolate, per
non dire disabitate.
Per
quanto labili siano stati spesso i confini nell’antichità, lo stesso
questi confini esistevano e all’interno dei confini vivevano popoli con
ordini e leggi proprie, che parlavano una
lingua diversa, con usi e costumi propri, un’altra religione.
Persino
il cristianesimo che ha dichiarato la sostanziale uguaglianza di tutti
gli esseri umani non ha potuto impedire la formazione di nuovi Stati che
si combattevano aspramente fra loro.
E uno Stato è tale innanzi tutto se ha un territorio in cui vigono le sue leggi. E non c’è territorio senza confini.
Uno
Stato che non ha più un territorio e leggi proprie ha cessato di
essere: è stato cancellato dalla carta geografica e incorporato in un
altro Stato.
Il
processo di integrazione e unificazione degli antichi Stati nazionali
europei dovrebbe sfociare negli Stati Uniti d’Europa, simili agli Stati
Uniti d’America o – si parva licet – alla Confederazione
Elvetica che non è semplicemente una federazione di Stati (cantoni), ma
effettivamente dal 1848 una confederazione, uno Stato unitario, che ha
però lasciato ai singoli cantoni una notevole autonomia (che si
rispecchia, fra l’altro, nel peso che essi hanno
per l’approvazione di modifiche costituzionali per cui è richiesta la
doppia maggioranza di popolo e cantoni).
Non
sappiamo se il progetto dell’UE – la creazione di una effettiva
confederazione, di un Superstato – andrà davvero in porto. Troppo
grandi appaiono le differenze e le divergenze dei singoli
Stati che hanno tutti una ricca storia alle spalle e una propria
lingua.
Il
belga Juncker, ex commissario dell’UE, escludeva alcune settimane fa che
si potesse giungere alla formazione di un tale Superstato o
Confederazione, gli Stati Uniti d’Europa. Lo stesso
Juncker ha però deplorato il risultato della votazione del 9 febbraio
in Svizzera che ha allarmato Bruxelles.
Infatti
la libera circolazione, una delle quattro libertà fondamentali, è il
cavallo di Troia dell’UE: la libera circolazione e tutto ciò che essa
comporta (residenza, lavoro, prestazioni
sociali) svuoterà ogni Stato delle sue prerogative più importanti, per
cui non sarà più sovrano. Se la libera circolazione s’imponesse e
dilagasse, avremo alla fine gli Stati Uniti d’Europa, governati da
Bruxelles (o altra sede, poco importa).
Si
era sperato che la moneta unica – l’euro – e la libera circolazione
potessero accelerare il processo di unificazione. Purtroppo le cose non
vanno come auspicato dalle élite europee: l’UE
versa in gravi difficoltà, acuite dalla crisi economica mondiale, e si
assiste persino a un ripiego degli Stati su se stessi.
C’è
chi pensa che la crisi possa essere superata soltanto con un atto di
coraggio accelerando l’effettiva integrazione politica e l’unificazione
europea; altri invece sono scettici e preferirebbero
tornare alla sovranità nazionale e monetaria. Eurofili ed euroscettici
si contrappongono e non si risparmiano colpi bassi.
Gli
“euroscettici” vengono definiti nazionalisti, conservatori, xenofobi,
razzisti, isolazionisti, estremisti (di destra). Anzi c’è chi li chiama
fascisti e nazisti. Chi si oppone alla forzata
fusione dei vecchi Stati europei è nel migliore dei casi un
“minchione”, ma più probabilmente un fascista o populista, uno dei
termini offensivi più di moda oggi.
Questo
è il linguaggio delle anime belle di sinistra, che come tutti sanno
sono o si ritengono moralmente superiori a tutte le altre formazioni
politiche perché esse mettono il bene comune
al centro delle loro battaglie, mentre gli altri perseguono
esclusivamente i propri egoistici scopi e interessi.
I
confini, le frontiere, i limiti, le barriere danno a molti fastidio.
Leggevo tempo fa della profonda avversione di Hermann Hesse per i
confini e il recentemente scomparso Claudio Abbado
ha detto in televisione: “Dio, come odio i confini di qualsiasi genere:
la musica li supera tutti!” Certo, possiamo intonare anche noi l’Inno
alla gioia di Schiller: la gioia, scintilla divina abbatte ogni
barriera, ci fa sentire tutti fratelli. Ma per un
attimo.
Poi
torniamo alle nostre faccende, al tran tran quotidiano in cui sentiamo
tutti un vivo bisogno di sicurezza. Non c’è essere vivente che non
disponga di mezzi di difesa, non conosca strategie
difensive, non abbia un proprio territorio in cui sia o si senta al
sicuro. La diffidenza per il diverso è iscritta nei nostri geni, è
un’arma di difesa.
Questo
naturalissimo e non censurabile bisogno può trasformarsi in ossessione,
paranoia: molti cercano di assicurarsi contro tutte le spiacevoli
eventualità dell’esistenza, ma si tratta di
comportamenti patologici, per quanto diffusi, e non possono essere
confusi con il semplice bisogno di sentirsi al sicuro, di non correre
rischi eccessivi, di poter far fronte ai problemi dell’esistenza.
Ognuno
di noi ha dunque bisogno di un territorio, per quanto esiguo, in cui
sia padrone e sovrano. L’ambizione o il desiderio di possesso è la più
naturale delle inclinazioni. Chi non possiede
nulla al di fuori della sua nuda esistenza è in una situazione ben
difficile nella lotta per l’esistenza e ha pochi motivi di rallegrarsi.
Dante
esalta l’amore di Francesco per Madonna Povertà: “Poscia di dì in dì
l’amò più forte.” Ma ben pochi seguirono allora le orme di San Francesco
e nessuno desidera oggi vivere in povertà
o nella miseria. Non si confonda però la povertà con una vita semplice,
frugale, che può essere più soddisfacente di una vita nel lusso
(semplicità e frugalità a cui saremo del resto ben presto tutti
costretti dalle prossime e più gravi crisi).
Dunque non è peccato desiderare, voler possedere qualcosa. L’etimologia di possedere è
potis ‘capace’ (da potere) e sedere
‘stare seduto’: dunque molto concretamente ‘occupare uno
spazio come proprietario’. Si veda anche il corrispondente termine
tedesco: be-sitzen (essere seduto su).
In
senso esteso si possiedono poi tutte le altre cose: non ci siamo seduti
sopra ma sono nostre e disponibili per i nostri bisogni e necessità. Un
bambino impara subito a dire “mio” e “tuo”,
ed elementare e fondamentale è anche la distinzione tra me e te. Il
bambino esplora il mondo in cui si trova inspiegabilmente a vivere e
apprende, riconosce le persone, gli oggetti.
Anche
l’uomo adulto fa sempre nuove conoscenze e scoperte, persino nella
vecchiaia. Ma cosa significa conoscere, riconoscere? Ebbene, significa
isolare un oggetto o un fenomeno dal suo contorno,
metterlo a fuoco. Prima avevamo una massa indistinta davanti a noi, ma
poi guardando meglio scopriamo delle differenze tra un oggetto e
l’altro, a volte minime, ma reali.
Gli
oggetti, le persone (e più tardi le idee, le teorie, i paesi, i mondi,
le stelle, le galassie) sono riconoscibili in quanto hanno dei limiti,
dei confini (altrimenti non potremmo distinguerli).
Conoscere significa dunque distinguere, vedere le differenze, osservare
i limiti di una cosa o di un fenomeno.
Se
le cose e i fenomeni tutti non avessero dei limiti precisi e osservabili
(o una sfera d’influenza anch’essa limitata: gli effetti della bomba
atomica non si estendono all’intero pianeta
ma solo per alcuni chilometri) non sarebbero riconoscibili. Dunque il
limite, il confine, la frontiera sono necessità o dati ineludibili
dell’esistenza. Senza il limite non si dà conoscenza.
Noi
stessi, il nostro essere, è ben delimitato: individuo significa
indivisibile, ognuno di noi è racchiuso in una guaina di pelle e ha dei
tratti inconfondibili che lo distinguono da tutti
gli altri, per quanto apparentemente secondari e insignificanti come il
colore dei capelli, il timbro di voce, la statura, le impronte
digitali, le capacità individuali.
Ma
gli individui non sono monadi, possono comunicare tra di loro con
vantaggio reciproco: grazie a questa capacità possiamo evolvere
culturalmente, ampliare il nostro raggio di azione, migliorare
la nostra vita, approfondire le nostre conoscenze – ma restando sempre
noi stessi, individui unici e inconfondibili.
Se
non lo fossimo saremmo “fungibili” come i lingotti d’oro che affidiamo a
una banca. La banca è tenuta a restituirci un lingotto di pari peso e
valore, ma non proprio quello che le abbiamo
consegnato: un lingotto vale l’altro, ciò che non si può dire di una
persona.
Pretendere
che le frontiere e gli Stati debbano essere abbattuti è un non senso,
cozza contro le più elementari aspirazioni di ogni essere umano. L’uomo
ha cercato e cerca sempre di superare
i limiti imposti dalla natura.
Quel
che era impensabile cento anni fa è oggi realtà: siamo andati sulla
Luna, andremo su Marte, lo colonizzeremo addirittura (sarà una necessità
quando la temperatura salirà eccessivamente
sulla Terra per l’evoluzione del sole).
Nella
storia dell’uomo si sono formati tanti Stati poi spariti, inglobati da
Stati più potenti. Le frontiere sono state spostate, ma non sono
sparite.
Nella
nostra vita associata i beni sono divisi in modo ineguale: alcuni hanno
troppo, altri poco o persino niente: una situazione ingiusta e
intollerabile, foriera di malcontento, rivolte,
rivoluzioni.
Perché
tutti hanno bisogno per vivere di mezzi e di spazio. Spazio in cui
possa dispiegarsi pienamente la sovranità individuale. Per molti, forse
la maggioranza degli esseri umani questo spazio
di assoluta sovranità è per finire la propria casa. My home is my castle, dicono gli inglesi (la mia casa è il mio castello, la mia fortezza, il mio rifugio, la mia salvezza).
La casa è il
sancta sanctorum di ognuno
di noi, il luogo inviolabile, tanto che la violazione di domicilio è
ancora oggi reato grave. Scoprire la casa svaligiata costituisce un
trauma, non tanto o non solo per la scomparsa di
oggetti di valore, venale o affettivo, ma soprattutto perché qualcuno
ha rotto il patto, ha dissacrato il nostro domicilio, annullato la
nostra sovranità.
La
casa, il quartiere, la città, la regione, la provincia, il Paese: sono
in una certa misura i luoghi a cui si estende – per quanto sempre più
attenuata – la nostra sovranità.
Ci
muoviamo in questo spazio con relativa sicurezza e agio perché capiamo
la lingua, conosciamo in parte anche tanti angoli del paese, usi e
costumi: è il nostro paese, la nostra … Che cosa?
Oggi sembra una parolaccia, ma diciamola lo stesso: la nostra patria.
Che
è unica, diversa da tante altre patrie, patria a cui siamo legati e
apparteniamo per nascita prima e poi per tutte le esperienze che vi
abbiamo vissuto e che ce l’hanno resa cara, più
delle altre che magari conosciamo, rispettiamo e magari anche amiamo
per le loro innegabili bellezze.
Ma
la nostra patria – di nascita o anche d’elezione – è il nostro rifugio,
il paradiso. E ha dei confini. Perché volerli cancellare? Ci sentiremo
poi davvero meglio, a nostro agio ovunque,
non più provinciali di vedute ristrette ma “cittadini del mondo”?
Oggi
esistono 194 Stati indipendenti e sovrani, anche se l’interdipendenza
economica di molti di essi è una realtà, peraltro positiva: lo scambio
di beni è un’assoluta necessità. Tuttavia
e nonostante questi scambi tali paesi hanno confini ed eserciti per
difenderli.
Dire
che gli Stati – le individualità statali – rappresentino il Male, siano
all’origine di tutte le nefandezze e ingiustizie è un’opinione molto
“opinabile”. Se abolissimo tutte le frontiere
e adottassimo il principio della libera circolazione universale – come
ha stabilito, unico paese al mondo, l’Ecuador – temo che invece di un
minimo di ordine pace e benessere avremmo il caos.
È
poi possibile sentirsi bene, a proprio agio, in una massa anonima di
miliardi d’individui o ignorando da quale lontano e oscuro potere
dipenda la nostra esistenza?
Ma lo slogan di certa sinistra pseudo-rivoluzionaria –
no border no nation –
significa a ben riflettere anche altro: no alla proprietà privata, tutto
è di tutti. Un’evidente assurdità: per assicurarsi una fettina di quel
tutto saremo costretti a batterci alla morte
ogni giorno.
Il
buon Rousseau formulò la celebre frase: “La proprieté, c’est le vol.” La
proprietà è un furto. Il principio di proprietà s’impose - dice
Rousseau - perché chi aveva recintato un terreno,
dichiarandolo suo trovò, degli sciocchi che gli credettero.
Però
è un fatto che anche i dimostranti coi loro striscioni dalle scritte
esaltanti – in realtà sciocche - sognano anche loro di possedere
qualcosa.
Ciò
è comprensibile perché per vivere dobbiamo tutti appropriarci qualcosa,
innanzi tutto il cibo, e ovviamente possedere un territorio dove
trovare più facilmente questo cibo.
No,
cari Hesse e Abbado, grandi poeti e musicisti, i confini sono
necessari, dati assoluti. Possiamo solo rivederli, spostarli, anche
ampliarli, ma solo fin qui e non oltre: non puoi superare
la soglia della mia casa contro la mia volontà, è un delitto. E se ci
provi lo stesso dovrò difendermi, mi appellerò alle leggi ancora vigenti
che tutelano la proprietà. In casa mia, mi dispiace, comando io.
Ma
se non hai intenzioni ostili puoi entrare, converseremo piacevolmente,
ci scambieremo anche dei regali – e poi ti congederai. >>
SERGIO PASTORE
Caro Lumen,
RispondiEliminaoggi sarò brevissimo (ma sono già stato prolisso qui sopra).
Totò: "Ho detto tutto". Pure io, non ho niente da aggiungere.
Io invece qualcosa da aggiungere ce l'ho: ed è che l'autodeterminazione dei popoli è forse il principio più importante di tutto il diritto internazionale.
RispondiEliminaPerciò, anche se dietro alla recente indipendenza della Crimea ci sono i maneggi incrociati di USA, Europa e Russia, io dico lo stesso: brava Crimea che hai avuto il coraggio della tua indipendenza !
Scusa se aggiungo anche io qualcosa.
EliminaCome non darti ragione! Però dovresti anche concedere l'indipendenza alla Padania, la Sardegna, la Val d'Aosta, l'Alto Adige (= Sud Tirolo) ecc. se mai la chiedessero (sui confini della Padania ci sarebbe naturalmente da discutere).
È paradossale. "Liberi non sarem, se non siam uni" poetava Manzoni pensando alla frammentazione della penisola. E l'unità si è poi fatta (forse ..) e richia oggi la corte marziale chi attenta all'unità d'Italia (in altri tempi rischiava magari anche la fucilazione per alto tradimento). E adesso c'è un desiderio di ritorno alle piccole patrie perché si constata che i carrozzoni sono ingovernabili, come l'UE, che per ottenere l'unificazione è costretta a comportamenti dittatoriali.
Il fatto è che l'autodeterminazione dei popoli è iscritta nella carta dei diritti umani e questo principio contrasta con il desiderio di egemonia dei più forti.
È vero che l'unione fa la forza, ma è altrettanto vero e profondo il desiderio di autonomia di ogni essere umano e di ogni gruppo o popolo. Che può sì rinunciare alla sua sovranità, in parte o interamente, ma dovrebbe poter recuperarla se la rinuncia si rivela nefasta. È restata memorabile e negli annali la frase dell'ex presidente dell'UE, il belga Claude Juncker che si ricandida a alla funzione: "Facciamo un passettino alla volta. Poi vediamo se ci sono delle reazioni. Se non ce sono ne facciamo un altro. Finché non ci sarà più la possibilità di tornare indietro per nessuno." Non è un caso che nemmeno la Grecia se l'è sentita di uscire dall'euro. Io credo che sia possibile uscire, ma certo non sarà un passo indolore.
<< Però dovresti anche concedere l'indipendenza alla Padania, la Sardegna, la Val d'Aosta, l'Alto Adige (= Sud Tirolo) ecc. se mai la chiedessero >>.
RispondiEliminaMi pare ovvio, caro Sergio.
L'attuale provincia Autonoma di Bolzano, tanto per fare un esempio, è un mostriciattolo giuridico di cui farei volentieri a meno.
La popolazione è in grande maggioranza tedesca e resta legata all'Italia solo perchè ha ottenuto uno statuto speciale che li riempie di soldi (la vil pecunia, oh yes).
Se domani con un referendum chiedessero l'indipendenza e/o la riunificazione con l'Austria, perchè dovremmo essere contrari ?
Sono affari loro, non ti pare ?
Però è anche vero, come dici più sotto, che le nazioni passano dal desiderio di unificazione, quando sono minacciate ed hanno paura, al desiderio di indipendenza, quando le cose vanno bene e non intendono sottostare a qualche carrozzone inefficiente.
E' un dilemma che, con tutta evidenza, non ha una soluzione univoca, ma figlia del suo tempo.
E' un po' l'eterno dilemma di qualsiasi essere umano, che oscilla tra la sicurezza (scomoda) del vivere in società e la tranquillità (indifesa) del restare in solitudine.
"L'attuale provincia Autonoma di Bolzano [...] ha ottenuto uno statuto speciale che li riempie di soldi (la vil pecunia, oh yes)."
EliminaNon sono mai stato da quelle parti ma di questa regione si dice un gran bene: bellezza, ordine, pulizia, prosperità economica. Ma pensavo per meriti propri (non sono italiani!I. Sarebbero invece sovvenzionati dal governo italiano e per questo resterebbero con l'Italia? Mah, negli anni Sessanta fecero saltare dei tralicci, tirava aria di secessione. E all'italai conviene tenersi un popolo di crucchi da mantenere? Solo per il prestigio? Ma penso che gli altoatesini siano bravi, perciò stanno meglio degli italiani (ci sono immensi frutteti mi dicono).
Caro Sergio, gli altoatesini sono gente in gambissima e lo dimostra la cura con cui sono tenuti quei luoghi (ci sono stato in viaggio di nozze con mia moglie) ed il modo eccellente con cui utilizzano i maggior proventi che ricevono da Roma.
RispondiEliminaPerò resta il fatto che i cartelli che trovi sono tutti scritti in tedesco (con la traduzione italiana sotto, in piccolo) e che hanno smesso di far saltare i tralicci solo quando il governo Italiano gli ha promesso un trattamento fiscale privilegiato.
Se domani lo Stato Italiano dicesse loro: siamo costretti a togliervi i benefici fiscali, ma vi lasciamo liberi di fare un referendum sulla vostra sorte, secondo te, cosa sceglierebbero ?
Sai che è una domanda difficile? L'indipendenza non avrebbe molto senso. O si (ri)uniscono all'Austria che penso non lesinerebbe aiuti. Oppure continuano a farsi foraggiare da Roma (e rinunciano all'indipendenza). Del resto è già una regione autonoma.
EliminaToponimi. C'è stato uno studioso di linguistica, Carlo Battisti, che si è inventato etimi latini dei toponimi tedeschi per rivendicare l'italianità storica della regione (sotto il fascismo). C. B. è l'attore principale di «Umberto D.» di V. de Sica. Ho potuto finalmente vedere questo film due anni fa su youtube. Un film veramente da piangere, ma che in qualche modo tiene, si può ancora guardare (Battisti fece il provino per il film, era tutto emozionato, si presentò con due cravatte!). Fu il suo unico film, ma ha fatto bene la sua parte di maestro in pensione morto di fame che vive in una camera d'affitto da una strega. Ha un cagnolino carino che una volta si perde e finisce al canile dove lo stanno per sopprimere, ma lui riesce a salvarlo per un pelo. Si vede una scena spaventosa: la gassazione dei randagi ... Io non l'avevo mai vista ...
<< L'indipendenza non avrebbe molto senso. O si (ri)uniscono all'Austria che penso non lesinerebbe aiuti. Oppure continuano a farsi foraggiare da Roma >>
RispondiEliminaCredo che la proposta di riunificazione con l'Austria vincerebbe a mani basse.
Ma la storia è fatta spesso di casualità e coincidenze, che si fanno beffa di qualsiasi ragionamento geopolitico.
Così, per esempio, ll'Istria è diventata terra straniera, mentre la sua popolazione era molto più italiana del Sud-Tirolo. Succede.
Basta vedi
Sarebbe bello se per opera di magia le mammole di sinistra dovessero vivere mescolate con ogni infestante essere umano procreato su questa terra, gli uni e gli altri, mentre i "fascisti" sarebbero dall'altra parte. Di qua ci sarebbe una distesa di fogne e discariche a perdita d'occhio, niente alberi, dissesto e devastazione ovunque. Se nessuno è illegale, la Terra muore. Dall'altra ci sarebbe ordine, pulizia, regole, verde e aria respirabile, l'uomo avrebbe un peso accettabile sull'ambiente. Io lascerei qualche feritoia contemplativa, così per vedere dove arriva la loro mancanza di spina dorsale. E' che fin quando dura il benessere, è facile fare i fighetti liberali, un giorno non sarà più così.
RispondiEliminaSul Tirolo meridionale, se volessero andarsene certo li capirei, dovrebbero solo farci il santo favore di restituire a Roma tutto quello che da Roma hanno preso. L'unica cosa su cui dissento da voi - da te, caro Lumen - è relativa alla Crimea. Coraggio non ce n è voluto molto, il coltello lo avevano dalla parte del manico. Il vile Yanocovich è cacciato e questi corrono in braccio a Mosca, ma che roba è? E parlando pure di fascisti di Kiev (quando si parla di fascio, è sempre a sproposito). L'elemento degli intrighi internazionali è effettivamente centrale, loro si sono fatti manipolare alla grande.
Caro Francesco, sulla Crimea non posso darti torto, perchè si tratta in effetti di un gioco parecchio sporco, da qualsiasi parte lo si guardi.
RispondiEliminaIl mio entusiasmo era legato al valore simbolico dell'evento, ovvero al fatto che, per una volta, il tanto osannato (e poco rispettato) prinicipio della autodeterminazione dei popoli aveva segnato un punto a suo favore.
Già Huntington, nel suo bellisismo libro "Lo scontro delle civiltà" parlava dell'instabilità intrinseca delle nazioni che si trovano - per loro sfortuna - in bilico tra due diverse civiltà; e citava, tra le altre, proprio l'Ucraina.
Lo strano è che sia l'Ucraina che la Russia partecipano ai Campionati europei di calcio. Ma fanno parte entrambe dell'Europa o no? Fra parentesi vi partecipa anche la Turchia. Il calcio affratella! Si dirà che l'Europa si estende fino agli Urali. Mah! Berlusconi, amicissimo di Putin, voleva anche la Russia nell'EU (ma ci voleva pure Israele, la Tunisia, il Marocco - non ricordo se sognava anche la Libia e l'Egitto nell'UE).
RispondiEliminaGli ex paesi socialisti vogliono tutti entrare nell'UE perché l'UE è prodiga di miliardi (di falsa moneta, la fiat money). Ma alla fine della fiera si tratta di spartirsi quello che c'è. E mi sa che certe beni importantissimi, anzi indispensabili, sono maledettamente scarsi, e scarseggeranno sempre di più. L'acqua per esempio ... (e ho detto tutto).
Caro Sergio, indubbiamente lo sport affratella i popoli, così come tutte le attività ludiche fini a se stesse (arte, musica, ecc.).
RispondiEliminaQuando però passiamo alle cose più serie e concrete, come l'acqua di cui parli tu (ma anche le fonti energetiche, il territorio coltivabile, i diritti di pesca, ecc.,) allora si arriva facilmente ai "fratelli coltelli".
Primum vivere, deinde philosophari....