Riporto qui di seguito un commento di Luca Pardi sul libro "QUEL FUTUR POUR LE METAUX?" (Quale futuro per i metalli?) di Philippe Bihouix e Benoit de Guillebon, con sottotitolo "la rarefazione dei metalli: una nuova sfida per la società".
La situazione non è per nulla buona e pur facendo meno notizia del picco dei combustibili fossili, anche la curva dei metalli ad uso tecnologico è preoccupante e ci accompagna alla catastrofe prossima ventura.
Ecco il commento del sempre ottimo Luca Pardi.
LUMEN
<< La questione dei metalli non si risolve nel dire che essi sono risorse non rinnovabili per eccellenza e quindi estratte da una riserva fissa, o che si ricostituisce in tempi di centinaia di milioni di anni, il problema è il consumo crescente, la natura dispersiva di molti usi (come ad esempio l'uso dei composti di rame in agricoltura e del cromo e dello zinco come mezzi anticorrosione), i limiti del riciclo che per quanto efficace non può mai essere del 100% e l'espansione dello sfruttamento di metalli rari e rarissimi con le nuove tecnologie. L'insieme di questi fattori pone un limite alla possibilità di espansione delle applicazioni tecnologiche e industriali dei metalli.
Come per tutte le risorse minerarie con i metalli si è passati, nel corso della storia, dallo sfruttamento dei giacimenti a più alta concentrazione a quello di giacimenti con contenuto minore. Così si stima, ad esempio, che, per quanto riguarda il rame (metallo essenziale in molte applicazioni elettroniche ed elettrotecniche) si sia passati dallo sfruttamento di giacimenti al 1,8% in rame (55 tonnellate di minerale per 1 tonnellata di metallo) all'attuale 0,8% (125 tonnellate di minerale per una tonnellata di metallo). E' importante capire che lo sfruttamento di giacimenti a basso tenore comporta anche un consumo energetico più elevato, perché ovviamente, riprendendo l'esempio precedente del rame, ci vuole molta più energia per trattare 125 tonnellate di roccia che per trattarne 55.
E' dunque chiaro che c'è un forte legame fra la questione energetica e quella dei metalli. Il consumo di energia aumenta infatti in modo inversamente proporzionale alla concentrazione. A causa di questa legge si viene ad istitutire un circolo vizioso, il ciclo infernale (...), secondo cui: "Le materie prime sempre meno concentrate, richiedono sempre più energia e l'energia sempre meno disponibile richiede sempre più materie prime per la sua produzione."
(...) La tecnologia ha evidentemente un costo economico oltre che, come abbiamo visto, ecologico. Inoltre è ovvio che l'evoluzione della tecnologia estrattiva implica una moltiplicazione del consumo di materie prime. Ed è questa la riflessione a cui ci spinge il libro di Bihouix e de Guillebon. Per interrompere il circolo infernale c'è una sola risposta non traumatica: l'inizio di un processo di rientro governato dei consumi e della domanda di materie prime ed energia (cioè anche della popolazione).
L'insistenza delle classi dirigenti per il rilancio della crescita è la via maestra verso il collasso. >>
LUCA PARDI
Caro Lumen, come ho già detto in un post al blog di Pardi penso che il problema decrescita vada affrontato dopo il problema sovrappopolazione. Il minor consumo di petrolio, carbone, metalli ecc. non può prescindere "preliminarmente" da una minore pressione antropica. Latouche non mi ha mai convinto perché: 1) non parla mai di decrescita demografica, 2) non dice mai Chi debba regolare la decrescita economica e stabilire - ad esempio - quello di cui io o tu o chiunque altro abbiamo bisogno, 3) non prende in considerazione le conseguenze della decrescita del Pil e dell'economia. Riguardo al punto 1 e' evidente che ogni decrescita economica non accompagnata da una decrescita demografica per un semplice rapporto ricchezza totale/ numero di individui porta all'impoverimento generale. Senza contare la difficoltà a far intraprendere a livello mondiale (l'unico livello valido) una riduzione del Pil: chi glielo va a spiegare ai Cinesi che debbono interromper lo sviluppo del settore auto e tornare all'uso delle biciclette? Io mi rifiuto, ci vada Latouche a dirglielo. Sul punto 2 Latouche che ama tanto gli aggettivi (felice, programmato, ecc.) non usa i sostantivi: Chi regola la decrescita del Pil? Chi obbliga la gente a rinunciare a certi prodotti e a comprarne altri sostenibili? chi stabilisce i bisogni di tutti? Latouche tace, ma la risposta e' evidente ed e' uguale a quella che dava Marx su chi dovesse assicurare l'uguaglianza e la giustizia sociale: lo STATO. Dovremmo dunque affidare non al libero mercato ma a burocrati di stato e funzionari di partito l'economia mondiale e dei singoli stati? BENE, ma ricordiamoci come e' andata a finire l'altra volta. Infine se cala il Pil, cala la produzione, cala la ricchezza, calano le risorse per gli investimenti, per l'ammodernamento, per la ricerca. Aumenta l'inflazione e la
RispondiEliminapovertà. Cala quindi lo sviluppo tecnologico e....aumenta l'inquinamento ambientale. C'e infatti un rapporto direttamente proporzionale tra sviluppo economico e tecnologie Non inquinanti, come dimostra il disastro ambientale nelle economie a bassa crescita (un esempio per tutti i disastri ambientali nei paesi dell'est al tempo del comunismo, tipo Chernobyl o Ddr). Su questo ho intenzione di fare un intervento sul mio blog. Cordiali saluti
Ps: concordo con tutto quello che scrivi a proposito dell'orazione funebre di Sarkosy per i soldati caduti.
Caro Agobit, concordo al 100 %.
RispondiEliminaNon abbiamo necessariamente bisogno di meno tecnologia, ma abbiamo ASSOLUTAMENTE bisogno di meno persone (molte meno persone).
Senza questo non vi è speranza di salvezza.
Il problema è: come arrivarci evitando le (inevitabili) tragedie e rivoluzioni ?
Le singole comunità sono fatte di individui che tendono al massimo benessere e sviluppo individuale, per cui (ahimè) non potrà mai essere la società civile a porsi dei freni.
Devono farlo (e non sai quanto mi costa ammetterlo) gli Stati, mediante l'unica leva che funzioni, ovvero quella della tassazione.
Quindi: tassazione feroce del consumo di energia, dell'inquinamento e anche della prole (oh, yes !).