Le considerazioni di Aldo Maria Valli (cattolico tradizionalista) sui limiti del dialogo interreligioso tentato dalla Chiesa Cattolica in questi decenni e sul suo sostanziale fallimento (prima parte di due). (LINK).
LUMEN
<< In un recente articolo, don Claude Barthe affronta il tema del cosiddetto dialogo interreligioso offrendo alcuni utili spunti di riflessione.
I tentativi di far dialogare le religioni tra loro si ispirano alle ideologie moderne nate dall’Illuminismo. Tale è l’origine di quell’insieme eterogeneo di cattolici di matrice liberale desiderosi di arrivare a coltivare con le altre religioni un’intesa che tuttavia, stante le radicali differenze, non può avere nulla di dottrinale, ma nasce unicamente da un “romanticismo religioso”.
Un primo tentativo di questo genere sfociò nel Parlamento delle religioni del mondo, che si tenne a Chicago nel 1893. Vi partecipò il cardinale Gibbons, arcivescovo di Baltimora, che aprì la riunione con la recita del Pater noster.
Più tardi, nel 1900, don Félix Klein e don Victor Charbonnel vollero ripetere l’esperimento in occasione dell’Esposizione universale di Parigi, ma il tentativo fallì, anche perché già qualche anno prima Leone XIII aveva fatto sapere di non essere favorevole alla partecipazione di preti cattolici a iniziative comuni di questo genere.
Forme di “dialogo”, ispirate più che altro a mettere le religioni al servizio della pace, continuarono a svilupparsi tra i protestanti, ma si dovette attendere il Concilio Vaticano II e la dichiarazione Nostra Ætate perché avessero pieno diritto di cittadinanza tra i cattolici.
Il nuovo processo – rileva don Barthe – si è dimostrato rischioso per ciascuno dei soggetti coinvolti, ma evidentemente lo è stato prima di tutto per la religione di Gesù Cristo, consapevole di godere della pienezza religiosa. Per il cattolicesimo il rischio più immediato consiste nella perdita non solo della sua forza missionaria ma del senso stesso della missione.
Proprio questo è il punto centrale della critica che si può muovere al dialogo così com’è inteso in Nostra Ætate, con la quale il cattolicesimo viene spinto a riconoscere uno status positivo alle altre tradizioni religiose, dichiarate degne di “rispetto sincero”.
Nostra Ætate non afferma che queste tradizioni siano strade parallele, dotate in sé di una consistenza soprannaturale in grado di procurare la salvezza, però evita di dire che esse sono strade false. Come in altri ambiti, anche rispetto al valore delle altre religioni nell’ordine della salvezza il Vaticano II cerca una posizione intermedia, e quindi ambigua.
Don Barthe ricostruisce tre fasi del dialogo voluto dal Concilio Vaticano II: la fase di Assisi, quando il cattolicesimo invita espressamente le altre religioni al dialogo; la fase bergogliana, quando il cattolicesimo cerca di spiegare alle altre religioni l’idea dell’unità nella diversità; infine la fase in cui il confronto religioso sta ritrovando quella violenza che in realtà non ha mai perso.
Il primo incontro di Assisi del 27 ottobre 1986, organizzato da Giovanni Paolo II, resta la vetrina storica del dialogo interreligioso voluto dal Concilio Vaticano II. Non si trattò di conversare come a Chicago o in altre riunioni simili, bensì di pregare per la pace. E, tenendo conto degli avvertimenti di Leone XIII, si trattava “non di pregare insieme, ma di stare insieme per pregare”. Tuttavia quell’immagine, inconcepibile per gran parte del popolo cattolico, del Vicario di Cristo posto su un piano di assoluta uguaglianza in mezzo alle false religioni, fu molto chiara.
Assisi fu scelta perché, durante la quinta crociata, san Francesco incontrò il sultano d’Egitto Al Kâmil per conversare con lui. Ma si dimentica spesso di ricordare che il santo rischiò il martirio e che il fine di Francesco non era quello di esprimere il suo “rispetto sincero” per l’islam, ch’egli considerava diabolico, bensì di convertire il sultano e, dopo di lui, tutto il suo popolo.
Per giustificare Assisi si fece riferimento anche ai due interventi di Pio XI, che invitò tutti a pregare per la pace nel 1932 (enciclica Caritate Christi) e nel 1937 (Divini Redemptoris). Ma in entrambi i casi Pio XI non invitò mai le altre religioni sul piano istituzionale, bensì i singoli credenti.
L’enciclica Redemptoris missio del 7 dicembre 1990, secondo la quale “il dialogo inter-religioso fa parte della missione evangelizzatrice della Chiesa” cerca in qualche maniera di reinquadrare il problema. Tuttavia continua a insistere sull’esistenza di “tutto ciò che è vero e santo nelle tradizioni religiose” e sulla scoperta in esse, attraverso il dialogo, dei “semi del Verbo”. Più tardi sarà la dichiarazione Dominus Jesus della Congregazione per la dottrina della fede sull’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa, 6 agosto 2000, a cercare di rettificare Assisi, ma senza uscire dalle contraddizioni.
Assisi, con lo choc determinato in molti fedeli cattolici, resta uno sviluppo del Concilio Vaticano II. E, a proposito di choc, non si può dimenticare il bacio dato da Giovanni Paolo II al Corano, offertogli da una delegazione irachena il 14 maggio 1999.
Per quanto il cattolicesimo abbia cercato di porsi sullo stesso piano delle altre religioni, sia nella giornata di Assisi sia in quelle che seguirono nel 2011, sotto Benedetto XVI, e nel 2016 sotto Francesco, non si può negare che è stata la religione cattolica ad aver invitato le altre a riunirsi per pregare in favore della pace.
A questo proposito si è parlato addirittura di un paradossale ritorno a un imperialismo cattolico, o meglio papale, accentuato dal fatto che le altre religioni, a differenza di quella cattolica, non hanno una forma centralizzata e dottrinalmente unificata.
Di qui una circostanza che non si può negare: quando la Chiesa cattolica chiama al dialogo è essa stessa a scegliere gli interlocutori in mezzo a una grande varietà di voci. Dunque, è la Chiesa cattolica ad attribuire una patente di rappresentatività, è lei che fa esistere alcune altre religioni come partner, assimilandole a sé stessa e, in questo modo, proponendosi come modello.
Come per tutte le cosiddette “intuizioni” del Vaticano II, anche nel campo del dialogo con le altre religioni si può andare da una interpretazione minima a un’interpretazione massima.
E con Abu Dhabi (4 febbraio 2019) Francesco si è spinto molto in là: “Il pluralismo e le diversità di religione, colore, sesso, razza e lingua rappresentano una saggia volontà divina”. (...) Durante la visita a Giacarta (5 settembre 2024), Francesco si è mantenuto su quella linea: “Che tutti, tutti noi insieme, ciascuno coltivando la propria spiritualità e praticando la propria religione, possiamo camminare alla ricerca di Dio”.
Poi, a Singapore, il 13 settembre, una nuova accelerata: “Tutte le religioni rappresentano un cammino verso Dio. Esse sono – faccio un paragone – come lingue differenti, come idiomi differenti, per arrivarci. Ma Dio è Dio per tutti. E poiché Dio è Dio per tutti, noi siamo tutti figli di Dio”. (…) >>
ALDO MARIA VALLI
(segue)
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