sabato 25 agosto 2018

Forme di partito e sistemi elettorali

La struttura dei partiti politici dipende da vari fattori, ma è legata soprattutto al sistema elettorale vigente, che può essere, secondo una distinzione di massima, di tipo proporzionale o di tipo maggioritario.
Ce ne parla, con la consueta chiarezza e competenza, un grande esperto come Aldo Giannuli (dal suo sito). 
LUMEN


<< Un partito [che sia stato] “educato” da un sistema maggioritario, ha un modo di essere e di pensare completamente diverso da quello di un partito che agisce in regime proporzionale: cambiano le strategie comunicative, la cultura politica, il rapporto con l’elettorato, soprattutto il modello organizzativo. (…) Per capirlo vale la pena di analizzare la diversa logica dei due sistemi.

Nel sistema parlamentare-proporzionale non è affatto necessario ottenere la maggioranza assoluta o relativa di voti e seggi, quanto, piuttosto, il grado di “coalittività”, cioè la capacità di comporre una coalizione che abbia un numero sufficiente di seggi (…). Quello che garantì alla Dc 45 anni di governo fu la sua maggiore capacità di trovare alleati (di volta in volta Pli, Psdi, Pri, Psi, monarchici) rispetto al Pci che ebbe sempre pochissimi partiti disposti ad allearsi con lui (…).

Ne deriva che i partiti tendono ad un modello di comunicazione meno “generalista” e più mirato a raccogliere il consenso di gruppi particolaristici qualificati (coltivatori diretti, professionisti, insegnanti, artigiani, minoranze religiose, particolari aree culturali eccetera).

Ovviamente i partiti più grandi si orienteranno verso i gruppi sociali maggiori (ad es. pubblico impego in blocco, oppure commercianti o artigiani organizzati nelle rispettive formazioni di categoria) ed al maggior numero di gruppi sociali possibili, per cui essi riserveranno pur sempre una quota del proprio discorso politico ad un approccio generalista, ma coltivando rapporti privilegiati con questa o quella categoria.

Questo perché, per quanto l’ipotesi di ottenere il 51% sia molto remota, il partito maggiore si batte per ottenere il maggior numero di voti possibile che lo ponga in buona posizione per conquistare la guida del governo. Al contrario, il partito minore sa di non avere probabilità di conquistare la guida del governo (…) pertanto è meno attento al discorso generalista che coltiverà solo limitatamente, e punterà le sue carte sulla rappresentanza di un determinato gruppo sociale circoscritto e qualificato (ad esempio i professionisti o gli operatori di borsa o una particolare categoria di operai) o un particolare territorio.

Il partito minore sa di avere un ruolo ancillare, ma gioca sulla possibilità di essere il “partner marginale” cioè quello determinante per una particolare formula di maggioranza ed alzare il prezzo.

Ne consegue che tanto i partiti maggiori quanto quelli minori non puntano ad allargare il proprio seguito elettorale oltre misura e si concentrano sull’elettorato “simpatizzante”, meno distante e più facile da conquistare, destinando all’elettorato più lontano e difficile (antipatizzante) una attenzione residuale o magari lasciandolo a qualche alleato più digeribile da parte dell’elettorato ostile (la Dc sapeva di avere poche speranze di conquistare un elettore laico e delegava questo compito a repubblicani, liberali o socialdemocratici).

Pertanto, nella competizione proporzionale, ciascun partito curerà la maggiore precisione della sua comunicazione, cercando di realizzare il massimo di seduttività sull’elettorato ‘gardè’, mentre i messaggi diretti all’elettorato lontano saranno in secondo piano, meno efficaci e più generici.

Contrariamente a quanto la vulgata maggioritaria di questi anni ha sostenuto, i partiti minori, in un regime proporzionale, non sono meri elementi di frammentazione della rappresentanza, nicchie particolaristiche che ostacolano e rallentano la formazione di una maggioranza solida.

Al contrario, essi hanno la funzione di “fluidificare” la rappresentanza politica e creare più facilmente una coalizione di maggioranza. Infatti, tanto nei regimi proporzionali quanto in quelli maggioritari, la “regola” non è quella delle “grandi coalizioni”, per la banale ragione che i partiti maggiori, normalmente, sono alternativi fra loro ciascuno aspira all’egemonia nella coalizione e, dunque, sono più difficilmente alleabili.

Dunque, nel regime maggioritario la soluzione è quella di trasformare la maggioranza relativa (cioè la minoranza più grande) in maggioranza assoluta, mentre nel proporzionale la soluzione è quella della più efficace politica delle alleanze, attirando intorno al partito maggiore una quantità sufficiente di partiti minori. E’ per questo che il sistema proporzionale è più propenso a valorizzare il principio di rappresentanza, la positività del conflitto sociale e la mediazione politica.

Inoltre, nel regime proporzionale (normalmente accoppiato al sistema parlamentare) l’opposizione non è del tutto esclusa dal processo governativo: ci sono terreni di condivisione (spesso lo è la politica estera) ma, attraverso i regolamenti parlamentari e le commissioni, c’è una continua dialettica fra maggioranza ed opposizione che porta in diversi casi a testi di legge unificati o emendati. (…)

Questa esigenza di mediazione politica spinge i partiti a preparare progetti molto elaborati, che bilancino gli interessi particolaristici fra loro e rispetto al “progetto paese”, che ogni partito cerca di proporre in modo dettagliato, perché nella competizione proporzionale paga il progetto che appaia come il più concreto, preciso ed articolato, più capace di raggiungere i diversi strati sociali e sollecitarne il consenso.

Completamente diversa è la logica del sistema maggioritario, che si basa sull’idea di trasformare una maggioranza relativa in una maggioranza assoluta e, dunque, sacrifica una quota di rappresentanza per favorire la decisione, nel presupposto che una compagine governativa più coesa esprima un indirizzo politico più omogeneo e processi decisionali più rapidi.

Pertanto, il partito del maggioritario, al contrario di quello da competizione proporzionale, non può concentrarsi solo sull’elettorato più vicino, ma deve cercare di sfondare anche in quello “antipatizzante” che deve sottrarre nella maggior quantità possibile al suo avversario e, vice-versa, deve curarsi che il suo competitore non faccia breccia sul suo elettorato, magari perché una sua frangia è ostile a qualche proposta particolare del proprio programma.

Questo ha due conseguenze: in primo luogo il programma dovrà rivolgersi alla maggior parte dell’elettorato e dovrà evitare punte che possano urtare particolari nicchie elettorali. La soluzione sta in un programma prevalente mente generalista, assai vago e retto da uno “slogan di trascinamento” (il milione di posti di lavoro di Berlusconi, gli 80 euro di Renzi, la Flat Tax del centro destra o il reddito di cittadinanza dei 5 stelle eccetera).

La seconda conseguenza è che proprio la vaghezza del programma e il carattere composito degli esponenti del partito, spinge a cercare il punto di unificazione della figura del capo, cui è demandato il compito di “incarnare” lo spirito del partito, garantirne l’unità e sciogliere le ambiguità e vaghezze del programma con le sue decisioni dopo la vittoria.

Dunque lo spirito del maggioritario è quello di esaltare al massimo la delega ai governanti, l’esatto contrario della democrazia diretta ed una concezione molto restrittiva anche della democrazia rappresentativa, quasi una cosa a metà strada fra essa e la dittatura temporanea.

Per questo, la comunicazione politica, nel maggioritario, ha un ruolo preminente sull’ideazione politica: il suo compito è presentare il messaggio del partito nel modo più suggestivo, proprio per colmare “buchi” e vaghezze del programma e la risorsa estrema sarà quella della pubblicità negativa contro l’avversario costantemente demonizzato.

Il messaggio implicito sarà sempre “Anche se il mio programma non ti convince, votami perché l’altro è peggiore: votami per non far vincere il mio nemico che è in assoluto peggiore di me”. Dunque, il confronto politico gradualmente cederà il passo allo scontro sulle caratteristiche personali dei due capi coalizione, allo scandalismo eccetera.

Riassumendo: il sistema maggioritario (e la forma presidenziale del governo cui spesso sii accompagna) privilegia la decisione sulla mediazione, esalta l’autonomia del ceto politico rispetto alla rappresentanza del corpo elettorale, esalta il momento generalista rispetto al consenso sociale qualificato e, di riflesso, deprime la conflittualità sociale e il ruolo dei corpi intermedi (associazioni di categoria, sindacati, ecc.) rispetto alla comunicazione mediatica.

Ne derivano ulteriori differenze fondamentali. [Mentre] il sistema proporzionale privilegia il ruolo del partito come aggregatore della domanda politica e, pertanto produce partiti a gruppo dirigente collegiale, al contrario, il sistema maggioritario esalta il ruolo del singolo capo: l’”uomo forte” che incarna il progetto del partito e che “sa comunicarlo” meglio degli altri.

Pertanto lo stesso partito viene ridotto alla funzione di comitato elettorale di supporto al capo, attivo solo in campagna elettorale, e pertanto è incline ad una passivizzazione dei cittadini: la partecipazione politica è sempre più ridotta all’attimo in cui il cittadino deposita la sua scheda nell’urna. >>

ALDO GIANNULI

7 commenti:

  1. Caro Lorenzo, mi è piaciuta molto la tua frase conclusiva: in effetti la democrazia può dare molto ai cittadini, ma è faticosa ed impegnativa.

    Aggiungo però, data la mia adesione alla scuola elitista, che la democrazia "vera" è praticametne impossibile, perchè la legge ferrea dell'oligarchia (Robert Michels) non perdona.

    Resta comunque molto meglio vivere in una democrazia, anche se solo formale ed elettorale (con l'affascinante rito delle libere elezioni), ma godersi la pace e la ricchezza che le elites democratiche consentono, piuttosto che vivere in una dittatura, nella quale (per una serie di motivi) si finisce per rimanere cornuti e mazziati.

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  2. Caro Lorenzo, anzitutto ti ringrazio per l'interessante excursus storico, che ho apprezzato.

    Temo però che tu abbia equivocato sulle mie preferenze politiche.
    Io sostengo (seguendo la scuola elitista) che le società umane sono SEMPRE guidate da una oligarchia.
    In fondo anche la democrazia greca dei tempi d'oro lo era, visto che gran parte della popolazione ne era esclusa.

    Data questa premessa, non posso che preferire una oligarchia parlamentare (che chiamiamo democrazia) ad una oligarchia da cooptazione (che chiamiamo dittatura).
    Nel primo caso la sostituzione delle elites avviene per via pacifica, nel secondo per via violenta, con tutte le conseguenze del caso per il popolo che la subisce.
    Ma sempre di oligarchia si tratta.

    Ed anche le rivoluzioni, di cui è ricca la storia, nonostante il sangue versato per i più nobili ideali, non hanno fatto altro che sostituire una oligarchia con un'altra.

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    1. << Per cui "democrazia" non è la facoltà MIA di auto-determinarmi, è la facoltà di una elite di definire come deve essere l'Essere Umano e tutto il resto. >>

      Su questo mi trovi d'accordo.
      Ed infatti ogni periodo storico ha le sue elites e, per conseguenza, i suoi diversi sistemi istituzionali.

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    2. Beh, però allora sul campo ci rimanevano anche i soldati dell'esercito, che erano figli del popolo.
      Oggi è tutto molto più pacifico, per loro, ma anche per noi.

      P.S. - Tra Soros e Veltroni resta comunque una certa differenza: il primo fa parte integrante delle elites; il secondo, in quanto politico, ne è solo uno strumento (transitorio).

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    3. Caro Lorenzo, ti ringrazio per le interessanti precisazioni storiche.
      In effetti, mi mancava qualche passaggio.
      E, soprattutto, non bisogna mai interpretare la storia con gli occhi di oggi.

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  3. Sembra di notare nell'Autiore una chiara propensione per il sistema proporzionale, che però ad es. il buon vecchio Pannella (liberaldemocratico doc) riteneva una delle cause primarie della persistenza del regime partitocratico (non solo) italiano: al di là dei tecnicismi (evidentemente contano anche la formula a uno o due turni, gli equilibri fra i poteri, ecc. ecc.) la "matassa" mi sembra tutt'altro che agevole da sbrogliare...

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    1. Caro Claude, per quanto riguarda l'autore ho avuto anch'io la tua stessa impressione.
      Per quanto riguarda invece le mie preferenze personali, sono dubbioso come te, perchè c'è il pro e il contro in entrambe le opzioni.

      Si potrebbe però anche rovesciare la prospettiva e concludere che sia le forme di partito che i sistemi elettorali sono figli del sistema mediatico.
      Ed il sistema attuale, così legato all'immagine esasperata ed al semplicismo espositivo, mi pare sempre meno congeniale ai partiti proporzionali di vecchio stampo.

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