martedì 18 novembre 2014

Il Dawkins egoista - 4

(da IL GENE EGOISTA di Richard  Dawkins – quarta parte)

<< Così sembra che siamo giunti ad una situazione di stallo, con una grande popolazione di repliche identiche. Ma adesso dobbiamo menzionare un’importante proprietà di qualunque processo di copiatura: non è perfetto. Avvengono degli errori. Spero che non ci siano errori di stampa in questo libro, ma se cercate attentamente potreste trovarne un paio. Probabilmente gli errori non distorceranno seriamente il significato delle frasi, perché saranno errori di “prima generazione”.

Ma immaginate quando la stampa non era stata inventata, e i libri come i Vangeli venivano copiati a mano. Tutti gli scrivani, per quanto attenti, faranno irrimediabilmente qualche errore, e alcuni di essi cederanno alla tentazione di fare qualche “miglioramento” a fin di bene.
Se copiassero tutti da una singola matrice originale, il significato non sarebbe pervertito granché. Ma se le copie sono fatte da altre copie, che a loro volta furono fatte da altre copie, gli errori cominceranno a diventare cumulativi e seri.

Man mano che gli errori di copiatura avvenivano e si propagavano, il brodo primordiale si riempiva di una popolazione non di repliche identiche, ma di molte varietà di molecole replicanti, tutte “discendenti” dallo stesso antenato. Potrebbero alcune varietà essere state più numerose di altre? Quasi certamente sì. Alcune varietà dovevano essere intrinsecamente più stabili di altre. Certe molecole, una volta formate, avevano meno probabilità di altre di dividersi di nuovo.

Questi tipi diventavano relativamente numerosi nel brodo, non solo come diretta conseguenza della loro “longevità”, ma anche perché avevano molto tempo per produrre copie di se stessi. I replicatori ad alta longevità tendevano quindi a diventare più numerosi e, a parità di altri fattori, ci fu nella popolazione di molecole una tendenza evolutiva verso una maggiore longevità.

Ma gli altri fattori probabilmente non erano uguali, e un’altra proprietà dei replicatori, che deve aver giocato un ruolo ancora più importante nel diffondere alcuni replicatori nella popolazione, fu la velocità di replicazione, o “fecondità”.
Se le molecole replicatori di tipo A fanno copie di se stesse in media una volta alla settimana, mentre quelle di tipo B fanno copie di se stesse ogni ora, non è difficile capire che molto presto le molecole del tipo A saranno presto numericamente sovrastate, anche se “vivono” molto più a lungo delle molecole di tipo B. Ci sarebbe quindi probabilmente una “tendenza evolutiva” verso una “fecondità” più alta delle molecole nel brodo.

Una terza caratteristica dei replicatori che sarebbe stata sicuramente selezionata è l’accuratezza di replicazione. Se le molecole di tipo X e di tipo Y durano lo stesso tempo e si replicano alla stessa frequenza, ma X fa in media un errore ogni 10 replicazioni, mentre Y fa un errore ogni 100 replicazioni, Y diverrà ovviamente più numeroso.
Il contingente X della popolazione perderà non solo quei “figli” che commettono errori “personalmente”, ma anche tutti i loro discendenti, veri o potenziali.

Se sapete già qualcosa dell’evoluzione, potreste trovare qualcosa di leggermente paradossale nell’ultimo punto. Possiamo riconciliare l’idea che gli errori di copiatura siano un prerequisito essenziale per l’evoluzione, con l’affermazione che la selezione naturale favorisce un’alta fedeltà di copiatura?
La risposta è che sebbene l’evoluzione possa sembrare, in un certo senso, una “cosa buona”, specialmente poiché noi ne siamo il prodotto, niente “desidera” davvero evolversi. 

L’evoluzione è un effetto collaterale, qualcosa che succede nonostante gli sforzi dei replicatori (e oggigiorno dei geni) di impedire che succeda.  (…)
Per tornare al brodo primordiale, esso dovette divenire popolato di varietà stabili di molecole; stabili nel senso che le molecole duravano a lungo singolarmente, oppure si replicavano rapidamente, oppure si replicavano accuratamente.
La tendenza evolutiva verso questi tre tipi di stabilità va intesa in questo senso: se tu avessi prelevato dei campioni dal brodo in due momenti diversi, il secondo campione avrebbe contenuto una frazione più alta di varietà dotate di alta longevità/fecondità/fedeltà di copiatura.

Questo è essenzialmente ciò che i biologi intendono per evoluzione quando parlano di creature viventi, e il meccanismo è lo stesso — la selezione naturale.
Allora dovremmo chiamare “viventi” le originali molecole replicatori? Chi se ne importa? Io potrei dire a voi “Darwin fu l’uomo più grande mai vissuto” e voi potreste rispondere “No, fu Newton”, ma spero che questo diverbio non durerebbe a lungo.
Il punto è che il modo in cui risolviamo il nostro diverbio non influenza la realtà delle cose. I fatti della vita e delle imprese di Newton e di Darwin rimangono totalmente immutati, non importa se li etichettiamo come “grandi” o meno.

Similmente, la storia delle molecole replicanti avvenne probabilmente in modo simile a come la sto raccontando, non importa se decidiamo di chiamarli “viventi”.
Troppa sofferenza umana è stata causata per l’incapacità di capire che le parole sono solo strumenti al nostro servizio, e che la semplice presenza nel dizionario di una parola come “vivo” non significa che si riferisca necessariamente a qualcosa di preciso nel mondo reale. Non importa se chiamiamo “vivi” i primi replicatori, essi furono gli antenati della vita; furono i nostri padri fondatori.

Il prossimo passaggio importante nell’argomento, passaggio che lo stesso Darwin enfatizzò molto (sebbene lui stesse parlando di animali e piante, non di molecole) è la competizione. Il brodo primordiale non era capace di dare sostentamento a un numero infinito di molecole replicanti.
Tanto per cominciare, la terra ha dimensioni finite, ma anche altri fattori di limitazione devono aver giocato un ruolo importante. Nella nostra immagine dei replicatori che agiscono come stampini, abbiamo ipotizzato che essi fossero immersi in un brodo ricco di piccoli blocchi costitutivi molecolari necessari per produrre copie.

Ma quando i replicatori divennero numerosi, i blocchi costitutivi dovevano venire usati a una frequenza tale da divenire una risorsa preziosa e scarsa. Le differenti varietà, o linee, di replicatori devono essere stati in competizione per queste risorse. Finora abbiamo considerato i fattori che potevano aumentare il numero di tipi favoriti di replicatori.
Ora possiamo vedere che alcuni tipi meno favoriti devono essere diventati meno numerosi a causa della competizione, e alla fine molte delle loro varietà devono essersi estinte.

Ci fu una lotta per l’esistenza tra le varietà di replicatori. Non sapevano che stavano combattendo, né se ne preoccupavano; la lotta si conduceva senza alcun sentimento di rancore, anzi senza sentimenti di alcun tipo.
Ma stavano combattendo, nel senso che qualunque errore di copiatura che producesse un livello più alto di stabilità, o un nuovo modo di ridurre la stabilità dei rivali, veniva automaticamente preservato e moltiplicato.

Il processo di miglioramento era cumulativo. I modi di aumentare la stabilità e di diminunire la stabilità dei “rivali” divennero sempre più elaborati ed efficienti.
Alcuni replicatori potrebbero persino avere “scoperto” come distruggere chimicamente le molecole delle varietà rivali, e utilizzare i blocchi costitutivi così rilasciati per produrre le loro proprie copie. Questi proto-carnivori ottenevano cibo e allo stesso tempo eliminavano i rivali.
Altri replicatori forse scoprirono come proteggersi, o chimicamente, o costruendo un muro fisico di proteine attorno a sé. Potrebbe essere stato così che apparvero le prime cellule viventi.

I replicatori cominciarono non soltanto ad esistere e basta, ma a costruire per sé stessi dei contenitori, dei veicoli per assicurare la loro esistenza continuata. I replicatori che riuscivano a sopravvivere erano quelli che costruivano delle macchine di sopravvivenza per abitarci dentro.
Le prime macchine di sopravvivenza non erano probabilmente niente più che strati protettivi. Ma sopravvivere diventava sempre più difficile, man mano che i rivali producevano macchine di sopravvivenza migliori e più efficaci. Le macchine di sopravvivenza divennero sempre più grandi e più elaborate, ed il processo era cumulativo e progressivo.

Questo miglioramento graduale, nelle tecniche e negli artifici usati dai replicatori per assicurare la loro stessa sopravvivenza nel mondo, era forse destinato ad avere fine? Avevano molto tempo a disposizione per migliorare. Quali strani meccanismi di auto-preservazione sono stati prodotti nei millenni?
Quattromila milioni di anni dopo, quale è stata la sorte degli antichi replicatori? Essi non sono morti, perché sono campioni assoluti nell’arte della sopravvivenza. Ma non cercateli ancora mentre galleggiano nel mare; da molto tempo hanno rinunciato a quel genere di libertà.

Adesso vivono in enormi colonie, al sicuro all’interno di enormi robot torreggianti, completamente sigillati dalle insidie del mondo esterno, e comunicano con esso per vie tortuose ed indirette, manipolandolo con dei comandi a distanza.
Si trovano dentro di voi e dentro di me; ci hanno creati, sia i nostri corpi sia le nostre menti; e la loro preservazione è il motivo ultimo della nostra esistenza. Hanno fatto una lunga strada, questi replicatori. Adesso hanno il nome di geni, e noi siamo le loro macchine di sopravvivenza. >>

RICHARD DAWKINS
 

10 commenti:

  1. Che barba! Sarà! E chi se ne frega! Che cosa ciò ha che fare con me, con la mia vita, le mie idee, le mie preoccupazioni, i miei desideri? Chi vuole si appassioni pure a queste cose, a me dicono ben poco, anzi proprio niente. Forse una volta potevano servire a dimostrare che la cosiddetta vita nasce dalla materia e non c'è bisogno di alcun soffio divino. Posso anche capire che studiare i meccanismi di formazione e replicazione delle molecole possa avere un certo interesse. Magari è qualcosa di fondamentale per sconfiggere il cancro, chi lo sa. Ma io non riesca ad appassionarmi e nemmeno a interessarmi un po' a queste cose. Invece i Ricordi di un entomologo di Jean-Henri Fabre sono una delle mie letture preferite (benché non sia un entomologo e vi si parli di insetti che nemmeno conosco).
    Gli insetti si vedono e sono belli o interessanti o bizzarri e attraggono la mia attenzione, mi piacciono. Le molecole non si vedono ... Sì, vabbè, senza le molecole non ci sarebbero nemmeno gli insetti e noi stessi.
    Comunque adesso faccio lo stesso una domanda: perché o come molecole e batteri si replicano? Anche i virus ecc.
    Ovviamente in base a qualche legge fisica. La chimica non è una branca della fisica? Le trasformazioni della materia (lo zucchero che si scioglie nel mio caffè) non sono dovute in ultima analisi a forze fisiche (di attrazione e ripulsione).
    Adesso, per non uscire pazzo, vado a leggermi un racconto di Cechov.

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  2. << La chimica non è una branca della fisica ? >>

    Mi sembra di aver letto da qualche parte che la "fisica" si occupa delle interazioni tra le particelle elementari che compongono gli atomi, mentre la chimica si occupa delle aggregazioni di atomi che compongono le molecole.
    Ma sono un profano e potrei aver detto una sciocchezza.

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  3. "Ci fu una lotta per l’esistenza tra le varietà di replicatori. Non sapevano che stavano combattendo, né se ne preoccupavano; la lotta si conduceva senza alcun sentimento di rancore, anzi senza sentimenti di alcun tipo".

    Quando vedo sui vari TG la gente che scende in strada e rivendica diritti veri o fantomatici per "tutti", anche qui, mi sembra che le cose non siano cambiate. L'uomo della strada, anche quello con la laurea, non sa che sta combattendo, oppure non lo vuole sapere. La differenza può essere solo nei sentimenti. Scarseggiando in risorse e largheggiando in prolificità, non può esserci altro che lotta.
    La spiegazione è comunque perfetta, e perfettamente accessibile. Non è a misura di cattolici (ci sono professorucoli che, pur ammettendo l'evoluzione, contestano la casualità dello svolgimento... ah, il finalismo...).
    Caro Sergio, questi discorsi ancora oggi servono a dimostrare che la vita nasce dalla materia, o meglio, è materia. Per spazzare via la metafisica e tutta l'ignoranza cattolica, servono ancora oggi. In biologia niente ha un senso se non alla luce dell'evoluzione (mi pare lo dicesse Dobzhansky). E quindi la materia vivente si riproduce in base ai meccanismi descritti dalla biologia, mentre quanto al perché, io oppongo sempre l'inesistenza del Newton kantiano:)

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    1. Eppure, chissà ... se un piano c'è! Lungi da me appellarmi al ”Disegno intelligente" però che sia tutto frutto del caso non si può nemmeno affermare con assoluta certezza. Io indulgo ancora al determinismo più assoluto - che sembra fuori moda, addirittura ridicolo (secondo i neofilosofi - i moderni fisici che chi li capisce è bravo). E il determinismo dice semplicemente che non c'è effetto senza causa. Per cui dobbiamo risalire per forza alla causa prima aristotelica - che non chiameremo Dio (men che meno uno e trino) ma pur sempre un principio, la Legge Suprema. Un islamico mi divertì affermando che non importa come lo chiamiamo Dio, possiamo dire anche Forza di Gravità, invece di Dio, ma sempre Dio è. Sia come sia un assoluto c'è, la Legge Suprema appunto. Da cui discende tutto, anche l'assoluzione del mio lontano parente Stephan Schmidheiny ieri a Roma (che ho accolto con immensa gioia - Guariniello, tiè!).
      Le religioni sono tutte interpretazioni fantasiose e spesso ridicole della realtà. Ma che qualcosa sia non si può negare: noi, tutto quello che ci circonda, che vediamo e non vediamo (visibilia et invisibilia, c'è pure nel Credo cattolico). Adoriamo dunque - o più profanamente - rispettiamo la Legge. Che però non si rivela mai in tutta la sua pienezza, donde errori di ogni tipo. Adoro te devote, latens Lex? Certo che questa Lex del cavolo è pure dura, e ce ne accorgiamo!

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    2. La scienza e' il metodo moderno con cui si soddisfa la fame di conoscenza dell'uomo, che un tempo era soddisfatta dai miti di creazione. Una volta costruivamo cattedrali, oggi sonde spaziali, ma lo spirito e' lo stesso. Abbiamo affinato il metodo.

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  4. @ Francesco
    << In biologia niente ha un senso se non alla luce dell'evoluzione >>

    Giusto. Ma anche qui, in fondo in fondo, c'è un senso solo per modo di dire, in quanto nessuno ha chiesto di nascere o di evolversi. E' successo e stop.


    @Sergio
    << Un islamico mi divertì affermando che non importa come lo chiamiamo Dio, possiamo dire anche "Forza di Gravità", invece di Dio, ma sempre Dio è. >>

    Davvero divertente. Come se sottostare (per necessità) ad una forza cieca ed indifferente, fosse la stessa cosa che rivolgersi (implorando) ad un essere volitivo e finalistico.
    Religione, quante sciocchezze si dicono in tuo nome !

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  5. "Come se sottostare (per necessità) ad una forza cieca ed indifferente ..."

    Ma allora la forza cieca e indifferente esiste, non si può negare. È già qualcosa, un buon - anzi direi ottimo punto di partenza. Purtroppo poi le diramazioni sono infinite, difficile, quasi impossibile ricondurle tutte a quel punto di partenza. Che però è innegabile. Forte di questa incontrovertibile verità e certezza affronto ora la giornata fortificato e baldanzoso (sicuro di sbattere la testa contro qualche ostacolo).
    Ma questa neocorteccia cerebrale aiuta o non aiuta? Non si direbbe. Il tasso di felicità-infelicità sembra lo stesso, anche se riusciamo a posarci su una cometa dopo averla rincorsa per dieci anni e centinaia di milioni di chilometri. Ma cos'è la felicità, come definirla? Più facile forse definire uno stato di benessere: equilibrio psico-fisico, con chiara percezione della realtà esterna su cui poter agire. Ma com'è che viviamo in un mondo di squilibrati (compreso il sottoscritto)?

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  6. @ Winston Diaz

    << La scienza e' il metodo moderno con cui si soddisfa la fame di conoscenza dell'uomo, che un tempo era soddisfatta dai miti di creazione. >>

    E' vero, ma con una notevole differenza: che i miti erano falsi e portavano facilmente a comportamenti errati, mentre le scoperte scientifiche portano a conoscenze più aderenti alla realtà e, quindi, a comportamenti più adeguati.
    Non è una cosa da poco.

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  8. @ Sargio

    << Ma com'è che viviamo in un mondo di squilibrati ? >>

    Forse perchè senza "squilibrio" non ci sarebbe progresso. Saremmo ancora tutti placidi e tranquilli sotto le fronde a mangiare bacche e radici. :-)

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