sabato 31 maggio 2014

Il fondo del barile

Le grandi transizioni energetiche, che hanno accompagnato da sempre la storia dell’umanità, sono sempre molto complesse.
Ma quella che ci attende nel secolo XXI, ovvero la transizione, inevitabile, dai combustibili fossili (petrolio & co.) alle energie rinnovabili, minaccia di essere molto difficile da gestire, anche perché, probabilmente, molto più rapida di quanto ci aspettiamo.
Ce ne parla Luca Pardi, presidente di ASPO Italia, in questo breve post tratto da “Risorse, Economia, Ambiente”.
LUMEN


<< Nell’ultimo numero di “Le Scienze”, il prof. Vaclav Smil [afferma] che la transizione fra fonti fossili e fonti rinnovabili sarà lenta. (…)
In breve, Smil argomenta come segue: l’ottocento non fu, come molti credono, il secolo del carbone, ma (ancora) quello della legna, parimenti il novecento non è stato il secolo del petrolio, ma quello del carbone.
Le sostituzioni sono sempre state lente e quella delle rinnovabili non farà eccezione (…).

Ci sono almeno due motivi per mettere in discussione queste affermazioni: il primo è che è opinabile parlare di sostituzione in quanto le diverse fonti fossili si sono affiancate per soddisfare la domanda crescente di energia.
 Il secondo, e secondo me più importante, riguarda la prevalenza delle diverse fonti nei diversi periodi storici. Se l’affermazione di Smil è vera per quanto riguarda i valori assoluti, non lo è sul piano dell’importanza relativa.

Quest’ultimo punto può apparire più formale che sostanziale, ma in realtà non lo è. E’ vero che in valori assoluti il peso del carbone è minoritario in tutto il XIX secolo, ma il carbone rese possibile le prime fasi della rivoluzione industriale che esordì nell’isola Britannica dove le foreste erano finite.

Lo sviluppo della macchina a vapore e la crescita del settore siderurgico non sarebbe stata possibile con la legna e il carbone di legna. Il XX secolo è il secolo del petrolio non nella quantità assoluta, ma, ancora, nella centralità che questa fonte gioca fin dall’inizio del secolo, soprattutto a partire dalla meccanizzazione dell’agricoltura e dallo sviluppo della mobilità di uomini e merci.

E’ vero che nel XX secolo il carbone resta a lungo la fonte fossile dominante soprattutto per la produzione di energia elettrica. Ma nei paesi industrializzati e con l’accelerazione della globalizzazione economica in tutto il mondo il petrolio diventa in modo crescente la condizione necessaria per ogni altra produzione, inclusa l’estrazione del carbone e del gas, la loro distribuzione, la costruzione e la manutenzione degli impianti.

La questione non ha dunque un valore puramente accademico, ma una profonda valenza geopolitica, sociale ed economica.
La lotta per il controllo e la messa in sicurezza delle aree di produzione del petrolio sono intimamente connesse con l’origine, gli sviluppi e l’esito delle due guerre mondiali e degli altri confronti e scontri internazionali, che, non a caso, hanno come principale palcoscenico il Vicino Oriente sede dei maggiori giacimenti petroliferi conosciuti.

Sono le tensioni sul fronte della produzione petrolifera che innescano le principali crisi economiche nella seconda metà del secolo scorso, ed è una crisi che gioca un ruolo, a mio parere centrale, nell’innesco e nello sviluppo di quella iniziata nel 2007 con la cosiddetta crisi finanziaria dei “subprime”.

Il fatto è che qualsiasi perturbazione del mercato petrolifero manda le sue onde attraverso il sistema economico globalizzato creando inedite e imprevedibili, almeno secondo le scuole classiche di economia politica, figure di interferenza.

Il tempo presente è il tempo degli idrocarburi e, in particolare, del petrolio, per il semplice fatto che senza i suoi prodotti, i diversi tipi di combustibili liquidi, non esiste praticamente nessuna struttura del sistema industriale e non esistono le sue connessioni, il petrolio è la linfa vitale della civiltà attuale.

Possiamo essere d’accordo sul fatto che la sua sostituzione con le rinnovabili possa essere un processo lungo, ma si deve ammettere che il discorso allora si sposta sulla questione dell’esaurimento degli idrocarburi e sui loro effetti ambientali, sull’inesorabile caduta dell’EROEI del petrolio e del gas, sull’imminenza del picco, sull’entità dei suoi effetti e sulla difficoltà delle classi dirigenti globali di vedere il problema a causa della narrativa economica corrente che informa visioni del mondo, a mio modo di vedere, del tutto irrealistiche.

In questo frangente gli scienziati si trovano nella difficile situazione di non poter essere catastrofisti, pena il rischio di essere ignorati, e di non poter nemmeno, come molti, fanno suonare il ritornello del “tutto va ben madama la marchesa”.
Il punto è che se si immagina il mondo andare avanti in configurazione Businnes As Usual (BAU) per tutto il XXI secolo si può anche esercitarsi, come fa Smil, a disegnare il decollo delle nuove rinnovabili secondo una curva di apprendimento analoga a quella seguita dalle altre fonti in passato.

Ma se questo non è realistico, se si conviene sul fatto che il BAU non sia sostenibile, allora il problema è come accelerare il processo di sviluppo delle rinnovabili, di come trovarne di nuove e più efficienti, di come affiancarle a opportuni mezzi di accumulazione e immagazzinamento. Insomma di come creare un’infrastruttura energetica sostenibile che, va da se, si dovrà sviluppare all’interno di strutture sociali altrettanto sostenibili.

Il secolo XX sarà ricordato come il secolo del petrolio, il XXI, in assenza di una transizione sostenibile, rischia di essere ricordato come quello del collasso della civiltà. E’ arrivato il tempo in cui gli scienziati si devono rendere utili per tutti. Molti lo hanno capito e questo ci da qualche speranza. >>

LUCA PARDI

5 commenti:

  1. In questo frangente gli scienziati si trovano nella difficile situazione di non poter essere catastrofisti, pena il rischio di essere ignorati

    Questa affermazione, che sottintende già ("catastrofisti") un certo modo di vedere la dimensione del problema (cioé non vedendola, non volendola vedere), è il cuore del ragionamento. Io non riesco a capire perché debba farsi carico dell'umana stupidità, e perché questa gli debba impedire di dire esattamente come stanno le cose. Mi ricorda quello che Bardi scriveva di un intervento di Tainter a Barcellona nel 2010

    "dalla platea si sono levate alcune voci un po' angosciate, dicendo "un po' più di ottimismo, per favore!" Ma, purtroppo, il mondo va per la sua strada, indipendentemente dal fatto che uno sia ottimista o pessimista".

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  2. Caro Francesco,
    già Antonio Gramsci, se non sbaglio, aveva evidenziato l'eterno dilemma tra il pessimismo della ragione e l'ottimismo della volontà.
    Pare assodato che l'umanità si mobilita solo se vede la luce in fondo al tunnel.
    Il che non vuol dire che gli scienziati debbano ammorbidire la realtà e negare il buio del tunnel: forse devono semplicemente mostrare, contemporanemanete, sia il tunnel che la luce.
    Ma è un'impresa molto ardua per almeno due motivi: non tutti vedono il tunnel; non tutti sono d'accordo sul percorso da seguire per trovare la luce.

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  3. In poche righe hai toccato tutti gli aspetti del problema, e il più grave mi sembra il penultimo, non tutti vedono il tunnel. C' è questa dannata barriera culturale; e se anche chi ne è esente, si fa poi prendere dal timore di essere ignorato, come sopra, allora si mette veramente male.
    Ora qui, la transazione energetica, con questi numeri è una specie di missione impossibile: popolazione sterminata, danni ambientali che si aggravano anno dopo anno, produzione di energia pulita costosa e dalla praticità limitatissima, questa infrastruttura energetica è una chimera. E se anche trovassimo un modo miracoloso per arginare l'overshoot, l'alleggerimento del debito sarebbe visto come una sorta di incrementata capacità di carico, e ci ritroveremmo punto e a capo. Come se spuntassero nuovi continenti, l'uomo ci sbarcherebbe e si comporterebbe al solito modo. Tagliare alberi, buttare cemento, produrre merci in qualsiasi modo, riversare inquinamento e rifiuti nell'ambiente
    Malthus aveva lanciato il suo avvertimento, la miseria non si può separare dalla condizione umana, non gli hanno dato retta, gli scienziati per primi.

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    1. Prima del petrolio la natura poneva chiari limiti all'incremento demografico. Poi la deriva che continua e non accenna a calare. Ma siccome tutto ciò che avviene è in qualche modo naturale potremmo anche pensare che le cose vanno come devono andare, secondo il piano di Dio sive natura. Allo stato attuale è impensabile che i miliardi di consumatori accettino di ridurre i consumi, anche perché non pochi non hanno nemmeno cominciato a consumare e vogliono giustamente la loro parte. Credo che dobbiamo rassegnarci (al peggio). Ci penserà Dio sive natura a fare ordine, cioè a eliminare un bel po' di esemplari di questa specie abortita (Koestler: "Der Mensch als Irrläufer der Evolution"). Sperare che l'umanità rinsavisca (in tempo) e si dia una regolata è sperare nella Befana. La ggente l'austerità non la vuole, vuole i consumi, la crescita, l'occupazione, pane e giochi, come sempre. Se Renzi si affacciasse al balcone (di Piazza Venezia) e dicesse: "Cari compatrioti, la cuccagna è finita, dobbiamo stringere la cinghia", è chiaro che sarebbe buttato giù dal balcone.
      Dunque mettiamoci il cuore in pace. Noi forse potremo ancora godercela un poco, et après nous le déluge. Volete che liberi Cristo o Barabba? Barabbaaa, risposero, e il sangue di Cristo cada su di noi. Volete una vita sobria e decente e anche bella o pane e giochi? Vogliamo i giochiiii! Stanno per cominciare del resto. Io non li guarderò, giuro. Chi se ne fotte se l'Italia diventa campione del mondo.

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  4. @ Francesco
    << Malthus aveva lanciato il suo avvertimento, la miseria non si può separare dalla condizione umana, non gli hanno dato retta, gli scienziati per primi. >>

    Caro Francesco, questa è la triste sorte di tutte le affermazioni sgradevoli. Sono pochi coloro che accettano la validità di una affermazione vera ma antipatica. La maggior parte delle persone la rifiuta, o, come direbbe Freud, la rimuove. E le conseguenze sono qui, sotto i nostri occhi.


    @ Sergio
    << Prima del petrolio la natura poneva chiari limiti all'incremento demografico. >>

    Esatto, caro Sergio. Diciamo che con i combustibili fossili (ed il petrolio in particolare) è come se l'umanità avesse trovato una seconda terra energetica, formatasi lentamente prima del suo arrivo, con la quale ubriacarsi e gozzovigliare senza limiti.
    Ma ogni festa prima o poi finisce. E noi ci siamo proprio vicini.


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