sabato 24 maggio 2014

Verde bandiera

Il dialogo virtuale di questa settimana ha come “vittima” l’ambientalista Jacopo Simonetta. Con lui parleremo della strana evoluzione dei movimenti “verdi”, che sembrano sfaldarsi politicamente proprio quando ci sarebbe più bisogno di loro. LUMEN

 
LUMEN – Dottor Simonetta, a quando risalgono le prime avvisaglie dell’attuale crisi ecologica ?.
SIMONETTA - Già durante gli anni ’70, la possibilità di un collasso socio-economico ed ambientale di scala globale era considerato uno scenario plausibile nel giro di 50 o 100 anni. All’epoca, il movimento ambientalista era forte e sembrava capace di cambiare la storia del mondo. Nelle sue infinite articolazioni, riusciva incidere in maniera marginale, ma avvertibile sulle decisioni politiche, almeno nei paesi occidentali dove esisteva una sostanziale libertà di stampa e di parola.
 
LUMEN – Ed oggi ?
SIMONETTA - Oggi stiamo vivendo le prime avvisaglie di un collasso che appare forse mitigabile, ma oramai inevitabile nel giro probabilmente di 10 o 20 anni. Dovrebbe essere il momento della rivincita: quello in cui al grido di “Lo avevamo detto” orde di ambientalisti si impongono finalmente nelle sedi del potere (governi e parlamenti, consigli di amministrazione, mass-media, ecc.), mentre accade esattamente il contrario. Le associazioni storiche sopravvivono appena, i partiti “verdi” scompaiono, i pochi limiti legali e morali faticosamente posti alla distruzione del pianeta vengono man mano rimossi senza pudori. E’ chiaro che ogni situazione particolare ha la sua storia ed i suoi problemi, ma il declino dell’ambientalismo è un fenomeno globale e, dunque, deve anche avere delle cause globali, oltre a quelle che riguardano, invece, questa o quella organizzazione in particolare.
 
LUMEN – Proviamo allora a porci qualche domanda. C’è stato qualcosa di sbagliato alla radice del movimento?
SIMONETTA - Penso di si, ma non essendo un politologo, posso proporre solo delle riflessioni basate sull'esperienza personale. Nel suo insieme, l’ambientalismo non ha saputo elaborare e divulgare un paradigma politico alternativo ai due che, all'epoca, si contendevano la scena: il liberalismo ed il socialismo. Molto presto infatti, la maggior parte degli aderenti e delle organizzazioni ambientaliste si sono lasciate aspirare e stritolare nella dialettica destra-sinistra che nulla aveva a che fare con il cuore del problema.
 
LUMEN – Quindi, in pratica, il movimento ambientalista si è diviso ?
SIMONETTA – Esatto. Da un lato coloro che hanno pensato che il sistema liberal-capitalista fosse sostanzialmente valido, salvo una serie di correzioni che dovevano esservi introdotte per garantire un adeguato livello di tutela ambientale. Sull'altro fronte coloro che, viceversa, ritenevano che il modello socialista fosse in grado di assicurare pace e benessere ai popoli e, dunque, con alcune integrazioni potesse acquisire anche la capacità di frenare il degrado degli ecosistemi, l’esaurimento delle risorse ecc.
 
LUMEN - In pratica, da entrambe le parti si è pensato di migliorare quello che già era disponibile, anziché elaborare qualcosa di autenticamente originale.
SIMONETTA – Purtroppo è così. Eppure, al di la dei parziali e limitati successi che entrambi gli schieramenti possono effettivamente rivendicare, non avrebbe dovuto volerci molto a capire che si trattava di una posizione perdente a priori.
Sia il capitalismo che il socialismo perseguono infatti il progresso indefinito della società. La differenza fra di essi non è quindi negli scopi ultimi, ma su quali siano i mezzi migliori per perseguirli, quali i modi più efficaci per accelerare il progresso e come ripartirne i benefici frutti. Entrambi i filoni dell’ambientalismo, accettando e facendo proprio il corpus centrale delle due dottrine socio-economiche di rispettivo riferimento, necessariamente hanno fatto proprio il nucleo centrale che le accomuna: il Progresso.
 
LUMEN - Un archetipo, che si porta dietro un vasto corollario di conseguenze.
SIMONETTA - Invece era proprio l’archetipo del progresso che avrebbe dovuto essere messo in discussione., ma ciò avrebbe significato attaccare la radice stessa del pensiero moderno alla cui origine troviamo padri del calibro di Bacone, Galileo, Cartesio, Hobbes, Boyle, ecc. Un filone di pensiero poi sviluppato dall'illuminismo e santificato da 2 secoli di scuola pubblica. Difficile immaginare un compito più arduo.

LUMEN – Un compito che non ha spaventato, per fortuna, quelli del Club di Roma, con il loro fortunato libro sui “Limiti dello sviluppo”.
SIMONETTA – Un grande lavoro, quello. Il risultato finale del loro studio era chiaro: qualunque risulti essere la dotazione di risorse del pianeta e qualunque sia il livello di tecnologia raggiungibile, il collasso del sistema sarà inevitabile ed il nostro destino tanto più fosco quanto più abbondanti saranno le risorse e potenti le tecnologie. Unica via di uscita dalla trappola era fermare la crescita demografica e la crescita economica prima di raggiungere una soglia critica che non era definibile con certezza, ma che si sapeva non essere lontana. Un messaggio chiaro che andava totalmente e direttamente contro l’intero apparato filosofico ed ideologico della “modernità”, chiudendo definitivamente con il mito delle “sorti magnifiche e progressive dell’umanità”.
 
LUMEN – Già derise da Giacomo Leopardi, nella famosa poesia La Ginestra.
SIMONETTA - Qualcosa di talmente forte che neppure tutti i membri del gruppo erano pronti ad accettarne le conseguenze, a cominciare dalla stessa Donella Meadows che volle mitigare il messaggio, lasciando aperta comunque la possibilità di un miglioramento qualitativo della vita degli uomini. In fondo, si disse, se facciamo sempre meglio con sempre le stesse cose, e non aumentiamo di numero, perché non dovremmo migliorare indefinitamente le nostre vite? In altre parole, si pensò che fosse possibile distinguere fra uno “sviluppo insostenibile” fatto soprattutto di crescita quantitativa ed uno “sviluppo sostenibile” fatto di buone pratiche, solidarietà sociale ed efficienza industriale.
 
LUMEN – Un errore pericoloso.
SIMONETTA - Oggi che “sviluppo sostenibile” ed “efficienza” sono divenute le parole d’ordine dei più folli e disperati tentativi per rilanciare una crescita oramai da un pezzo anti-economica, il loro suono risulta quasi osceno, ma all'epoca furono le parole d’ordine su cui si strutturarono entrambe le anime dell’ambientalismo: quella liberale e quella socialista. Ed esattamente questo fu, a mio avviso, l’errore di partenza che fece smarrire la strada a tutti noi che, a quei tempi, raccoglievamo fondi per salvare la Foca monaca o ciclostilavamo volantini nei sottoscala. Per essere efficace, il movimento ambientalista, avrebbe dovuto capire subito che il nemico non erano il capitalismo o il socialismo, ma i miti fondanti della modernità a cui entrambe queste scuole di pensiero politico attingono. Dunque una rivoluzione ben più radicale di quelle di moda all'epoca.
 
LUMEN – E passiamo alla seconda domanda. Secondo voi, avrebbe potuto andare diversamente?
SIMONETTA - Da subito, il progetto si incagliò su numerosi scogli. A mio avviso, due dei più importanti, che peraltro non vengono mai trattati, furono le conseguenze che politiche efficaci sul piano della sostenibilità avrebbero potuto avere sugli equilibri geo-politici e sulle politiche sanitarie.
LUMEN – Cominciamo dalla geo-politica.
SIMONETTA - Frenare la crescita economica avrebbe infatti comportato la probabilità di un parallelo rallentamento del progresso tecnologico. USA ed URSS (con i relativi satelliti) erano allora impegnati in uno scontro formidabile per il controllo del pianeta e nessuno dei due contendenti era in grado di assumersi un tale rischio, men che meno il blocco occidentale che aveva adottato (con successo) una strategia fatta di un dispiegamento di forze quantitativamente molto inferiore, ma tecnologicamente più avanzato. Così ci si concentrò sull'aspetto demografico e chi non è più giovane ricorderà che, in Europa, la sovrappopolazione era un argomento sulla bocca di tutti.
 
LUMEN – Per fortuna; ma, direi, con modesti risultati.
SIMONETTA - Alcuni paesi avviarono anche delle concrete politiche di riduzione delle nascite, in particolare l’India (poi abbandonate) e la Cina (tuttora vigenti in forma attenuata), ma nessuno si sognò neppure lontanamente di mettere in discussione gli effetti demografici che il fulmineo progresso della medicina stava avendo in tutto il mondo. Eppure, non è certo un segreto che la demografia dipende dall'equilibrio fra nascite e morti; e che con animali molto longevi come l’uomo gli effetti di fluttuazioni anche modeste da entrambe le parti hanno effetti complessi, destinati a farsi sentire nei decenni. Un argomento politicamente minato ancor oggi, tanto più allora che avevamo una salubre memoria delle follie criminali di Hitler e Stalin.
 
LUMEN – Due nomi che fanno sempre il loro effetto, anche quando non c’entrano nulla
SIMONETTA - Così, si preferì evitare l’argomento, sperando che la “transizione demografica” avrebbe risolto il problema da sola ed in tempo. In pratica, ci si affidò alla crescita economica per risolvere i problemi che questa stessa creava. Difficile che potesse funzionare ed infatti non ha funzionato. Sarebbe stato possibile affrontare diversamente l’argomento con un minimo di probabilità di successo? Penso di no.
 
LUMEN – Altri motivi ?
SIMONETTA - Un’altra ragione per cui, a posteriori, penso che non avrebbe potuto andare diversamente era la possibilità di comunicare il nostro messaggio. In buona parte del mondo (Russia, Cina e molti altri), semplicemente era vietato. Nei paesi occidentali era invece permesso, ma il nemico da battere si è dimostrato capace di assorbire non solo una parte dei quadri del movimento, ma anche fare proprie la retorica e la dialettica ambientaliste, assorbirne gli slogan modificandone il significato così da renderlo funzionale al proprio scopo fondamentale: la crescita. E poiché il significato delle parole cambia nel tempo a seconda di come queste vengono impiegate, ad oggi è giocoforza ammettere che il capitalismo ha vinto non solo sul piano politico, ma prima ancora su quello semantico, a tal punto che è diventato arduo lo stesso argomentare contro di esso.
 
LUMEN – Una astuzia notevole.
SIMONETTA - Ma anche al di la questi ed altri ostacoli, quali potevano essere le probabilità di successo di un movimento politico che, per essere coerente, avrebbe dovuto predicare la fine del progresso e del benessere materiale per tutti? Fin quando si è trattato di dire ai benestanti cittadini occidentali che dovevano rinunciare a quota parte del loro benessere, in molti si sono fatti avanti a dirlo, anche se con scarsi risultati.

LUMEN – Per esempio il francese Serge Latouche, con il suo movimento per la decrescita.
SIMONETTA - Ma era evidente che sarebbe stato del tutto inutile se, contemporaneamente, tutti gli altri popoli della terra non avessero rinunciato ad acquisire un analogo benessere: una cosa talmente “politicamente scorretta” che praticamente nessuno ha finora avuto il coraggio di dirla. Ma neppure ciò sarebbe bastato. Giunti alle strette degli anni ’70, fermare la crescita demografica era imperativo e non poteva essere fatto senza porre dei limiti al progresso della medicina. Una cosa assolutamente improponibile, con ottime ragioni perché fosse così. Dunque l’ambientalismo politico si trovò da subito stretto in un’impasse che avrebbe potuto essere superata solo con un radicale cambio di paradigma; un salto culturale talmente grande da non essere neppure tentato.

LUMEN -Terza domanda: ad oggi continua ad avere un senso fare dell’attivismo ambientalista? Se si, quale?
SIMONETTA - Bisogna ammettere che oggi è particolarmente imbarazzante fare discorsi ambientalisti. Che dovremmo dire? La maggior parte delle organizzazioni ancora attive continua a “suonare” allarmi ormai consunti dall'uso e dall'abuso. Che senso ha continuare a dire che “se non facciamo questo e quest’altro avverrà una catastrofe”, quando la catastrofe è in corso e non ha spostato di una virgola la direzione del sistema?
 
LUMEN – Purtroppo.
SIMONETTA - L’esempio più facile è quello del clima. 30 o 20 anni fa era giustificato dire: “Se non riduciamo le emissioni il clima peggiorerà e farà dei danni”. Che senso ha ripeterlo oggi, mentre sui teleschermi le immagini di alluvioni e siccità, tornado ed uragani si alternano quotidianamente alla pubblicità dell’industria energetica ed agli appelli per il “rilancio della crescita”? E con tale naturalezza che non ci si accorge nemmeno più della schizofrenia della cosa.

LUMEN – Ma non è giusto neppure arrendersi.
SIMONETTA – Certamente no. Che senso può avere andare in giro a dire che tanto oramai non c’è più niente da fare? A parte che ciò facilmente suscita reazioni ostili e gesti osceni, rischia anche di servire da pretesto per rimuovere anche i pochi veli di protezione che ancora mitigano la follia autodistruttiva del sistema economico. La risposta, ritengo, dipende essenzialmente dallo scopo che ci si prefigge. Se ci si danno finalità possibili, c’è sempre un senso a fare qualcosa. Lo scopo di partenza, dirottare il mondo su di un cammino di sostenibilità è fallito, ma abbiamo altre possibilità di azione, almeno tre.

LUMEN – Proviamo ad elencarle.
SIMONETTA - La prima sta venendo di moda con l’etichetta di “resilienza”. In estrema sintesi, si tratta di questo: preso atto dell’inevitabile, possiamo comunque prepararci in una certa misura agli eventi futuri ed aumentare le probabilità di sopravvivenza nostre e quelle dei nostri parenti ed amici. Si tratta di un campo praticamente sterminato, totalmente da inventare in cui ognuno può rendersi utile anche solo proponendo idee e consigli, magari sbagliati ma comunque capaci di stimolare altre idee in altre persone.

LUMEN – Passiamo alla seconda.
SIMONETTA - La seconda è che se non possiamo fare quasi più niente per migliorare il nostro destino, possiamo invece fare tantissimo per peggiorarlo ulteriormente. Anche solo evitare di fare cose stupide sarebbe un grandissimo vantaggio ed in questo penso che rivesta un ruolo importante la divulgazione scientifica. Se si riesce a capire, almeno in parte, cosa sta succedendo e perché, sarà meno facile farsi abbindolare da chi promette l’impossibile, naturalmente a patto di votarlo o di comprare i suoi prodotti.

LUMEN – La terza ?
SIMONETTA – La terza possibilità di azione riguarda il futuro remoto, e può essere descritta con la metafora delle “bottiglie gettate in mare”. Nessuno può sapere quale aspetto avrà il collasso visto dal nostro punto di vista, e neppure quanto tempo prenderà, né quale sarà il nostro personale destino. Ma possiamo contare sul fatto che le doti di resistenza e resilienza della specie umana faranno sì che, quando la vegetazione coprirà le rovine delle nostre megalopoli, ci saranno degli uomini a discutere di cosa siano quei grandiosi ruderi.
 
LUMEN - Possiamo davvero fare qualcosa ora per aiutarli ?
SIMONETTA - Io penso di si. Oggi disponiamo di un patrimonio di conoscenze scientifiche e di arte in ogni forma possibile, che sarebbe veramente stupido e criminale lasciar morire con noi. Io penso che dovremmo preoccuparci di divulgare il più possibile questo immenso patrimonio, proteggerne la parte materiale (opere, monumenti, musei, libri, ecc.) in modo da accrescere le probabilità che parte di tutto questo sopravviva alle fasi più violente e disperate del disfacimento della nostra civiltà. Molte delle opere che ci sono giunte dal nostro remoto passato sono sopravvissute grazie a persone che le hanno copiate, nascoste, protette, tramandate. Noi abbiamo in questo campo una possibilità praticamente infinita di azione.

LUMEN – Un pensiero per concludere.
SIMONETTA - In conclusione, ritengo che il movimento ambientalista fosse in partenza destinato a fallire il suo scopo principale, ma non è stato per questo inutile. Se il filone principale del movimento non ha potuto scalfire i paradigmi della civiltà moderna, l’ambientalismo ha nondimeno influenzato importanti frange del pensiero contemporaneo, creando i presupposti perché dei paradigmi veramente alternativi possano nascere, o rinascere, contribuendo forse in modo importante alla formazione delle civiltà che, probabilmente fra qualche secolo, si diffonderanno sulla Terra.


7 commenti:

  1. Bellissima intervista, tanto che dopo la lettura mi sento meglio e penso che ... non sia detta ancora l'ultima parola, che qualcosa si possa ancora fare, non solo affidare il messaggio alla famosa bottiglia per le generazioni future (certo anche questo può essere di sollievo e conforto in quanto trascende la nostra breve vita e ci fa sentire in un certo senso partecipi di questa incommensurabile vicenda dell'universo).

    In quanto ex sessantottino e Verde della prima ora (anni 70) posso dire che non pochi "sinistri" aderirono all'ambientalismo in quanto sempre ostili al sistema capitalistico (è stato per es. il caso di Cohn-Bendit e - si parva licet - mio). Ma i Verdi furono riassorbiti - come dice bene Simonetta - nella dialettica destra-sinistra e si sono persi, o meglio si sono dimenticati l'ambiente che per la sinistra semplicemente non esisteva (benché Marx avesse già accennato al problema dell'esaurimento delle risorse). La sinistra classica o ha ignorato o ha irriso la questione demografica (ma anche Margherita Hack ha fatto delle asserzioni ridicole in proposito, come la necessità di colonizzare Marte proprio per la questione domografica - ma del resto lei, grande scienziata, era poi una tifosa di Gesù Cristo, per quanto atea, e filocomunista; ciò che dimostra non che basta essere dotati in un campo per credersi in diritto di sproloquiare su tutto il resto, vedi anche Zichichi collega della Hack, ma cattolico, che crede in Gesù Bambino e che siamo soli nell'universo ...).
    Per quanto Verde della prima ora però io ho sempre avuto presente il problema demografico (quando eravamo "solo" tre miliardi) ed è per questo che mi sono sentito sempre meno appartenente al Movimento dei Verdi - che poi in Italia è semplicemente scomparso e non ha mai avuto del resto una grande importanza, al contrario dei Verdi tedeschi, svizzeri e in parte francesi. I Verdi tedeschi sono una rispettabile componente del panorama politico tedesco, ma ormai anche loro sinistrorsi e inconfondibili dalla sinistra classica che persegue ormai anche lei il mito assurdo della crescita indefinita.

    Io comunque spero ancora che la nostra iniziativa popolare riesca ancora a muovere le acque, a far riflettere e chissà a convincere ancora molti che non possiamo continuare così, che è semplicemente impossibile assicurare a tutti un lavoro di otto ore al giorno e - ovviamente - ben retribuito per poter consumare à gogo. È semplicemente allucinante sentire la sinistra invocare redditi più elevati - "dignitosi" - per poter consumare di più e rilanciare così occupazione e crescita in una spirale infinita. Ieri la sinistra denunciava la società dei consumi, oggi vuole consumare anche lei alla grande. E ovviamente questo delirio consumistico si sta espandendo all'intero pianeta, visto che tutti - anche nelle lande dell'Afghanistan - hanno cellulari e smart phones e sanno che quei porci di occidentali stanno consumando tutto il petrolio per assicurarsi il loro standard di vita. E anche loro vogliono naturalmente e giustamente la loro parte di benessere e di consumi. Ma "no, we cannot".



    RispondiElimina
  2. Sì, caro Sergio, le considerazioni di Jacopo Simonetta sono davvero molto interessanti e fanno riflettere.

    Per completezza, siccome le mie interviste "virtuali" sono tutte elaborazioni di altri testi, devo precisare che il post originale di Simonetta è stato pubblicato dal blog di Luca Pardi "Commenti dalla collina" ed ha provocato un bel po' di discussioni, sia sul blog stesso, sia altrove.

    Mi pare un buon segno, perchè oggi più che mai di Verdi ed Ambientalisti seri, ovvero interessati ad un nuovo equilibrio ecologico complessivo (e quindi anche demografico), abbiamo bisogno come del pane.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. "...il post originale di Simonetta è stato pubblicato dal blog di Luca Pardi "Commenti dalla collina" ed ha provocato un bel po' di discussioni, sia sul blog stesso, sia altrove."

      A me sembra invece che di discussioni in merito ai due pezzi di Simonetta non ce ne siano state tante, anzi quasi niente (almeno sul blog di Pardi). Non so a cosa ti riferisci con quell' «altrove».

      Devo confessarti che sono un po' deluso dell'utenza dei tre blog che seguo, Commenti dalla collina, unpianetasolononbasta e Il fenotipo consapevole. Pochi i commentatori, anzi diciamolo pure: non c'è quasi nessuno. Ce la suoniamo e cantiamo da soli. Io sono uno dei più assidui, anche tu intervieni con una certa regolarità. Non so bene cosa pensare, mi sembra tempo perso, anche se ogni tanto leggo dei bei pezzi: non c'è una grossa eco, anzi non ce n'è quasi, almeno nei blog menzionati. Non so come vanno le cose altrove. Anche Ecopop mi delude un po' rispetto alla frequentazione. Il nostro sito pubblica solo ad ogni morte di papa qualcosa o cita qualche articolo di giornale. Troppo poco, non è una cosa viva. Vediamo se avvicinandoci alla votazione (l'anno prossimo) cambierà qualcosa. Comunque non ho nemmeno voglia di frequentare altri blog anche se fossero attinenti alla nostra materia. Ormai tutti parlano e straparlano e gridano e inveiscono e dicono scemenze. Basta, bisogna concentrarsi, non disperdere energie, voler tenere il piede in due, anzi cento staffe. Non se ne può più. Dispersione è anche depotenziamento, quindi frustrazione.

      Elimina
  3. Sì, forse sono stato un po' troppo entusiasta.

    Comunque Luca Pardi ha anche una sua pagina facebook, sulla quale gira tutti i post del suo blog, e lì qualche discussione interessante c'è stata.
    Io frequento poco FB, perchè non mi ci trovo, ma oggi, a livello di comunicazione, è una risorsa importante, perchè può raggiungere persone che sui nostri blog di nicchia non andranno mai.

    Poi ne ha parlato anche Agobit, sul suo blog.

    Ho notato inoltre che Jacopo Simonetta ha incominciato a collaborare anche con Effetto Risorse, un altro blog interessante, e mi pare un buon acquisto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Facebook una risorsa importante? Ma va'! Allora anche Twitter. Allora anche tutti gli stramaledetti aggeggi che tutti si portano dietro, per strada, nell'autobus, in treno - probabilmente anche al cesso e quando scopano - per non perdersi nulla, ma proprio nulla di quello che succede nel mondo, per "essere informati". Permettimi di esprimere almeno qualche dubbio, anzi insofferenza: a me sembrano dei decerebrati, ultradipendenti dai meravigliosi mezzi di comunicazione. Io ho subito annullato la mia iscrizione a Facebook, come ti ho già scritto, perché mi è sembrato un covo di dementi, di chiacchieroni, esibizionisti ecc. Ma questo è l'andazzo, inutile opporvisi, e qualche utilità ce l'ha lo stesso? Non è un caso che i politici siano tutti su Facebook.
      Mah, non so, questo mondo non mi piace più. Sarò ormai troppo vecchio e non capisco più i giovani, come è sempre successo ? Un certo Jonathan Franzen, un americano, ha scritto che questa tecnologia distruggerà la civiltà perché non ci sono più gerarchie, si pretende che ogni espressione valga un'altra, una cacofonia pazzesca.
      E se tutti questi chiacchieroni invece leggessero di nuovo un libro? Tanto le chiacchiere sono sempre quelle, sempre le stesse, un parlarsi addosso senza remore.

      Elimina
    2. P.S. Proprio dopo il mio ultimo messaggio qui sopra leggo sul Corriere della sera questo piccolo florilegio di opinioni su Facebook. Be', ho la piccola consolazione di non essere il solo ad avanzare riserve sulle delizie della modernità.

      "Ma come si fa a pensar che ci sia mai stata privacy su un social studiato apposta per fare gossip?

      Facebook un contenitore dove ci si mette in mostra senza badare a quello che dicono gli altri. Un contenitore dove ci si parla sopra senza saper ascoltare.

      Facebook è solo finanza pura, niente genialità o tecnologia, il loro principale asset e quello di essere quotati e spinti da molte banche anche se dietro c'e' il nulla.

      Troppo tardi. Facebook, google, apple e gli altri membri del programma PRISM hanno perso qualunque credibilità in merito alla tutela della riservatezza dei propri utenti, le loro promesse sono prive di alcun valore. L'unica cosa intelligente da fare è NON avere un account coi servizi online di queste aziende, sic et simpliciter. Oppure averlo, ma con dati falsi. Del resto internet era sempre stata una rete anonima (salvo tracciamento dell'indirizzo IP) prima di facebook, e tale deve tornare ad essere. Ancora una volta grazie ad Edward Snowden per aver rivelato tutto.

      Facebook,pieno di notizie inutili e gente inutile ed esibizionista............

      per ora stanno facendo solo marketing per frenare l'emorragia di utenti che hanno abbandonato Facebook in seguito allo scandalo NSA.

      Elimina
  4. Caro Sergio, in effetti il narcisismo su FB dilaga, ma per fortuna non c'è solo quello.
    Io, come detto, su FB ci sono, ma non mi trovo molto a mio agio. Però, in certi casi, può essere un modo per tenere i contatti con amici e conoscenti. Magari, come nel caso mio, con gli ex colleghi che non vedo più quotidianamente.
    Inoltre, credo che FB abbia comunque un certo impatto a livello di opinione pubblica (politica e commerciale), ma posso sbagliare.

    RispondiElimina