lunedì 27 ottobre 2025

Governanti e Governati – 1

Nonostante i suoi indubbi pregi, anche la Democrazia non può evitare i condizionamenti dell'elitismo, con la netta divisione tra coloro che governano ed i semplici cittadini, i quali, pur votando, non hanno mai il vero controllo dello Stato. 
Ce ne parla Lorenzo Mesini in questo lungo, ma interessante, articolo tratto da 'Pandora Rivista' (LINK)  (prima parte di due).
LUMEN


<< Punto di partenza per i teorici delle élite è il semplice fatto che in ogni formazione sociale sono sempre riscontrabili due classi di persone: governanti e governati, dominatori e dominati. I primi costituiscono una minoranza più o meno ristretta, che tende a concentrare nelle proprie mani una grande quantità di potere e di risorse (sia materiali che simboliche). I secondi, invece, rappresentano la maggioranza soggetta al dominio dei governanti, prevalentemente priva di potere e risorse.

Obiettivo principale della teoria delle élite, a partire da Gaetano Mosca e Vilfredo Pareto, è stato quello di elaborare una giustificazione teorica a questa indiscutibile uniformità che, con forme diverse, attraversa la storia e le società umane. La distinzione tra governanti e governati non è tuttavia una scoperta della scienza politica tra Otto e Novecento, ma è sempre stata oggetto delle varie tradizioni che attraversano la storia del pensiero politico. (…)

Il pensiero politico moderno affronta il tema delle élite operando uno scarto radicale nei confronti delle concezioni antiche e medievali della politica. Se l’ordine politico antico e cristiano era concepito come un ordine naturale (oggettivo e gerarchico) posto a stabile fondamento della politica, l’età moderna pensa invece l’ordine come prodotto umano e artificiale, fondato sull’attività razionale degli individui, soggetto al conflitto e al mutamento.

L’idea di fondo da cui muove il pensiero politico moderno (e la sua futura concezione della democrazia) è il rifiuto di ogni gerarchia naturale tra gli uomini. I grandi esponenti del razionalismo politico moderno da Hobbes a Kant, passando per Spinoza, Locke e Rousseau, sviluppano la propria idea di ordine politico a partire dal concetto di uguaglianza, rifiutando l’idea di ogni gerarchia naturale tra gli uomini.

L’assenza di un ordine naturale tra gli individui costituisce il problema da cui muove il pensiero politico moderno: la naturale uguaglianza tra gli uomini è infatti foriera di conflitti virtualmente infiniti (il bellum omnium contra omnes dello stato di natura). La necessità dell’ordine politico nasce quindi dall’esigenza di difendere l’uguaglianza che sussiste naturalmente tra gli uomini, uguaglianza che deve essere tutelata dai suoi stessi effetti collaterali.

Attraverso il dispositivo razionale del contratto tutti gli individui concorrono a edificare lo Stato, ordine politico unitario in cui vige la legge universalmente valida al suo interno. Gli autori del potere (gli individui) tuttavia, non lo esercitano in maniera diretta, ma attraverso istituzioni rappresentative (il sovrano rappresentativo o un’assemblea parlamentare) che sono superiori a coloro che rappresentano. Gli autori del potere non coincidono quindi in maniera diretta con i suoi attori (le istituzioni rappresentative).

Questo elemento di disuguaglianza all’interno del corpo politico moderno non deriva da alcuna superiorità di carattere ontologico o naturale ma è di carattere prettamente funzionale, volta a garantire l’unità dello Stato. In linea di principio nessuna distinzione sociale deve giustificare alcuna distinzione politica, dato che la politica è il prodotto della razionalità comune di cittadini uguali. A esercitare il potere non sono i ‘migliori’, ma coloro che rappresentano l’unità del corpo politico e che governano mediante leggi universalmente valide al suo interno.

Ovviamente nel corso dell’età moderna la nascita e lo sviluppo effettivo dello Stato non è avvenuto senza il contributo decisivo di diverse élite (politiche, amministrative, economiche, religiose) spesso in lotta e in competizione reciproca.

Il pensiero politico moderno e la sua idea di democrazia (sia nella sua versione liberale che socialista) traggono la propria forza da: a) l’idea che nessuna differenza pre-politica (naturale o sociale) possa giustificare in linea di principio la superiorità politica di nessun cittadino, b) la necessaria distinzione tra rappresentanti e rappresentati. (...)

L’importanza della distinzione fra rappresentanti e rappresentati risiede nel suo carattere funzionale a garantire la convivenza pacifica tra i cittadini e l’unità dello Stato. Per il pensiero politico moderno risulta infatti illegittima ogni forma di ordine politico in cui i cittadini soggetti al potere non ne siano al contempo gli stessi autori.

Legittimo è quel potere che nasce e si concepisce come autogoverno di cittadini uguali, obbedienti a leggi universali. A questa convinzione, il pensiero politico moderno non può rinunciare, quanto meno a livello teorico. Ogni forma di ordine che voglia trarre la propria legittimità dalla pretesa di rappresentare solo una ‘parte’ del corpo sociale non può che essere considerata dispotica o tirannica.

Nei confronti del razionalismo politico moderno e delle sue principali declinazioni politiche (liberalismo, democrazia e socialismo) i teorici classici delle élite (Mosca, Pareto, Michels) si pongono in maniera fortemente critica e polemica. Muovendo dalla constatazione che in ogni contesto sociale ad esercitare il potere sono sempre gruppi ristretti, i teorici delle élite mostrano come la storia e il reale funzionamento delle istituzioni e della politica smentiscano di fatto la teoria liberale parlamentare, il principio di uguaglianza democratica e le dottrine socialiste.

Gaetano Mosca (1858-1941), con l’elaborazione della teoria della classe politica, è il primo a sostenere in maniera sistematica che ad essere protagonisti della storia e della politica sono sempre state le élite. La distinzione tra governanti e governati costituisce una struttura della politica. La dinamica storica consiste per Mosca essenzialmente nelle lotte combattute tra le diverse classi politiche per assicurarsi maggior potere.

Nella Teorica dei governi e governo parlamentare (1883) si sottolinea come ogni governo consista in una minoranza organizzata (la classe politica) che si impone su una maggioranza divisa e disorganizzata. Mosca distingue inoltre la classe politica in senso stretto (ossia l’insieme di quelle persone che svolgono funzioni propriamente politiche) dalla più ampia classe dirigente che raccoglie coloro che ricoprono ruoli dominanti nei diversi ambiti della società.

Il fatto che ogni corpo politico sia governato da ristrette minoranze organizzate costituisce il punto di partenza per una critica radicale alle tradizionali classificazioni delle forme di governo. Le principali classificazioni tradizionali, quella di matrice aristotelica (monarchia, aristocrazia, democrazia) e quella elaborata di Montesquieu (monarchia, repubblica, dispotismo), vengono a cadere sotto le critiche di Mosca. Le classiche forme di governo non sono semplicemente il risultato di classificazioni false o mistificatorie ma rappresentano la maschera legale dietro la quale si cela il fatto che un piccolo gruppo di persone esercita effettivamente il potere.

Mosca è consapevole del fatto non sia possibile esercitare il potere politico solo mediante metodi coercitivi ma siano necessarie forme di consenso da parte dei governati. Con la teoria della formula politica Mosca intende individuare quelli che a suo avviso sono i principi astratti che consentono ai governanti di giustificare il proprio potere, in accordo con le convinzioni più diffuse nella società. Le ‘formule politiche’ non costituiscono semplici mistificazioni, ma rispondono all’esigenza umana di giustificare la propria obbedienza richiamandosi a norme generali.

Mosca riconduce la molteplicità di formule politiche a due principi: uno soprannaturale e uno (apparentemente) razionale. Democrazia è per Mosca solo una delle formule politiche razionali con cui determinate élite giustificano il proprio potere. Il principio della sovranità popolare è contraddetto nei fatti dalla natura oligarchica di ogni governo.

Al di sopra delle molteplici formule politiche, per Mosca c’è sempre il potere di un’élite. Anche quando i ceti popolari credono di esercitare il potere sono sempre minoranze organizzate ad essere in gioco (partiti popolari o socialisti). Queste, lungi dall’essere promotrici di emancipazione, sono le effettive detentrici del potere. >>

LORENZO MESINI

(continua)

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