Ma, per l’umanità, la rivoluzione agricola è stata la scoperta di un mondo nuovo, ricco di benessere e di grandi opportunità, o una trappola senza via d’uscita ?
Juval Harari, l’eccellente storico e saggista israeliano, propende decisamente per la seconda opzione. Ed anche qui, guarda caso, entra in ballo l’aumento incontrollato della popolazione. Da leggere e meditare.
LUMEN
<< Una volta gli studiosi sostenevano che la Rivoluzione agricola rappresentò un grande balzo in avanti per l’umanità. Parlavano del progresso alimentato dalle capacità del cervello umano. Gradualmente, l’evoluzione aveva prodotto individui sempre più intelligenti. Alla fine, gli uomini erano diventati così intelligenti che si sentirono in grado di decifrare i segreti della natura, riuscendo a domesticare le pecore ed a coltivare il frumento.
Appena avvenuto questo, avevano gioiosamente abbandonato la dura, pericolosa e spesso spartana vita del cacciatore-raccoglitore, creando insediamenti stabili per godere la piacevole e saziante esistenza dell’agricoltore.
Pura fantasia. Non c’è alcuna prova che le persone siano diventate più intelligenti col passare del tempo. I cacciatori-raccoglitori conoscevano i segreti della natura molto prima che arrivasse la Rivoluzione agricola, poiché la loro sopravvivenza dipendeva da un’intima conoscenza degli animali che cacciavano e delle piante che raccoglievano.
Invece di annunciare una nuova era di agi, la Rivoluzione agricola fece sì che gli agricoltori avessero un’esistenza generalmente più difficile e meno soddisfacente di quella dei cacciatori-raccoglitori. Questi ultimi passavano il loro tempo in modi più stimolanti e variati, e correvano meno rischi di patire la fame e le malattie.
La Rivoluzione agricola certamente ampliò la somma totale di cibo a disposizione dell’umanità, ma le derrate supplementari non si tradussero in una dieta migliore o in una vita più comoda. Piuttosto, si tradusse in esplosioni demografiche e nella creazione di élite viziate. L’agricoltore medio lavorava più duramente del cacciatore-raccoglitore medio, e per di più aveva una dieta peggiore. La Rivoluzione agricola è stata la più grande impostura della storia.
Chi ne fu responsabile? Né re, né preti, né mercanti. I colpevoli furono una manciata di specie vegetali, compreso il frumento, il riso e le patate. Furono queste piante a domesticare l’Homo sapiens, non viceversa.
Si pensi per un momento alla Rivoluzione agricola dal punto di vista del frumento. Diecimila anni fa, il frumento era un’erba selvaggia, confinata in una zona piuttosto limitata del Medio Oriente. Improvvisamente, nel giro di qualche millennio, esso cresceva in tutto il mondo. Secondo i princìpi evoluzionistici basilari di sopravvivenza e di riproduzione, il frumento è diventato una delle piante di maggior successo nella storia della Terra. (…) Come fu che quest’erba diventò, da insignificante, a ubiqua ?
Il frumento ci riuscì manipolando l’Homo sapiens a proprio vantaggio. Questa scimmia, diecimila anni fa, stava vivendo una vita tutto sommato confortevole, cacciando e raccogliendo; ma poi cominciò a investire sempre più impegno a coltivare il frumento. Nel giro di un paio di millenni, in numerose parti del mondo, gli umani, dall’alba al tramonto, ormai facevano poco altro, a parte prendersi cura delle piante di frumento.
Non era una cosa facile. Il frumento richiedeva che fossero in tanti a occuparsene. Il frumento non amava i sassi e il pietrisco, così i Sapiens si spezzarono la schiena a ripulire campi. Il frumento non amava spartire con altre piante il suo spazio, la sua acqua, le sue sostanze nutritive, così gli uomini e le donne lavoravano durante lunghe giornate, sarchiando il suolo sotto il sole bruciante.
Quando il frumento si ammalava, i Sapiens dovevano stare attenti a tener lontane larve ed epidemie. Il frumento era senza difesa da altri organismi che amavano mangiarlo, dai conigli agli sciami di locuste, così gli agricoltori dovevano tenerlo sotto osservazione e proteggerlo. Il frumento aveva sete, così gli umani fecero scorrere l’acqua dalle fonti e dai ruscelli per abbeverarlo. La sua fame costrinse inoltre i Sapiens a raccogliere le feci animali per nutrire il terreno in cui cresceva.
Il corpo dell’Homo sapiens dovette evolversi in funzione di questi compiti. Si era adattato a salire sugli alberi di melo e a correre dietro alle gazzelle, non a raschiare i sassi dal terreno e a portare secchi d’acqua. Ne pagarono il prezzo la spina dorsale, le ginocchia, il collo, le arcate dei piedi. Gli studi condotti sugli antichi scheletri indicano che il passaggio all’agricoltura produsse una quantità non indifferente di malanni, come l’ernia del disco, le artriti e le ernie inguinali.
Inoltre, le nuove incombenze imposte dall’agricoltura richiedevano così tanto tempo da costringere la gente a sistemarsi permanentemente vicino ai propri campi di frumento. Questo trasformò completamente i modi di vita. Non fummo noi a domesticare il frumento. Fu lui che domesticò noi. Il termine “domesticare” viene dal latino domus, cioè “casa”. Chi vive nella casa? Non il frumento. È il Sapiens.
Come fece il frumento a convincere l’Homo sapiens a cambiare un tipo di vita piuttosto buono con un’esistenza più miserabile? Cosa offrì in cambio? Una dieta migliore, no di certo. Gli umani, va ricordato, sono scimmie onnivore, a proprio agio con un’ampia varietà di cibi. Prima della Rivoluzione agricola, le granaglie provvedevano solo a una piccola frazione della dieta umana. Una dieta basata sui cereali è povera di minerali e di vitamine, comporta una difficile digestione ed è deleteria per i denti e per le gengive.
Il frumento non conferì sicurezza economica alla gente. La vita dei contadini è meno sicura di quella dei cacciatori-raccoglitori. Questi ultimi, per sopravvivere, potevano contare su decine di specie, e superare quindi gli anni difficili anche senza scorte di cibo. Se si riduceva la disponibilità di una data specie, potevano raccoglierne e cacciarne tante altre.
Fino a tempi molto recenti, le società agricole si affidavano a una varietà assai modesta di piante domesticate per la maggior parte delle calorie da assumere. In molte zone potevano contare su un singolo prodotto, come il frumento, le patate o il riso. Se non cadevano le piogge, se arrivava uno sciame di locuste o se un fungo infettava quel dato prodotto, i contadini morivano a migliaia e a milioni.
Il frumento non servì neanche ad allontanare le guerre. I primi agricoltori furono altrettanto violenti dei loro antenati cacciatori-raccoglitori, se non di più. Gli agricoltori dovevano possedere più cose e avevano bisogno di terra. La perdita di un pascolo preso da vicini incursori poteva costituire la differenza tra la sussistenza e la fame nera, ragion per cui non c’era molto spazio per il compromesso.
Quando un gruppo di cacciatori-raccoglitori subiva dure pressioni da un gruppo rivale più forte, di solito andava via. Era una cosa difficile e pericolosa, ma era fattibile. Quando un nemico temibile minacciava un insediamento agricolo, la ritirata voleva dire rinunciare a campi, abitazioni e granai. In molti casi, ciò condannava i profughi alla fame. Gli agricoltori, quindi, cercavano a tutti costi di restare ai loro posti e di combattere fino all’ultimo.
Molti studi antropologici e archeologici dimostrano che nelle rozze società agricole senza strutture politiche, al di là del villaggio e della tribù, la violenza umana era responsabile del 15 per cento circa delle morti. (…) Col tempo, la violenza umana venne posta sotto controllo attraverso lo sviluppo di strutture sociali più ampie, le città, i regni, gli stati. Ma ci vollero migliaia di anni per creare tali enormi ed efficienti strutture politiche.
Certamente, la vita di villaggio portò ai primi agricoltori alcuni benefici immediati, come una migliore protezione contro gli animali selvaggi, la pioggia e il freddo. Ma per l’individuo medio, gli svantaggi probabilmente superavano i vantaggi. Per le società prospere di oggi, è una cosa difficile da capire.
Poiché noi godiamo di opulenza e di sicurezza, e poiché queste ultime sono costruite sulle fondamenta gettate dalla Rivoluzione agricola, tendiamo a presumere che la tale rivoluzione abbia costituito un miglioramento meraviglioso. Tuttavia è sbagliato giudicare migliaia di anni di storia dalla prospettiva di oggi. (…)
Cosa offrì dunque il frumento agli agricoltori ? (…) Non offrì nulla ai singoli individui, ma assegnò qualcosa all’Homo sapiens come specie. Coltivare frumento consentì di disporre di più cibo per unità di territorio, e quindi consentì all’Homo sapiens di moltiplicarsi in misura esponenziale.
Intorno al 13.000 a.c., quando gli umani si cibavano raccogliendo piante selvagge e cacciando animali selvaggi, l’area intorno all’oasi di Gerico, in Palestina, poteva ospitare, al meglio, un gruppo itinerante di circa cento persone, relativamente in salute e ben nutrite. Intorno all’8.500 a.c., quando le piante selvagge lasciarono il posto ai campi di grano, l’oasi ospitava un ampio ma affollato villaggio di mille persone, che dovevano fare i conti con malattie e malnutrizione.
L’evoluzione non bada né alla fame né alla sofferenza, ma solo a quante eliche del DNA riesce a replicare. Allo stesso modo in cui il successo economico di un’azienda viene misurato solo dalla quantità di dollari nel suo conto corrente e non dalla felicità degli impiegati, così il successo evoluzionistico di una specie si misura col numero delle copie del suo DNA.
Se non restano più copie del DNA, la specie è estinta, così come l’azienda senza soldi fallisce. Se una specie vanta molte repliche del DNA, questo è un successo e la specie prospera. Guardando la cosa da questa prospettiva, mille copie del DNA sono meglio di cento copie. Sta qui l’essenza della Rivoluzione agricola: la capacità di mantenere in vita più gente in condizioni peggiori.
Ma perché gli individui dovrebbero badare a questi calcoli sul meccanismo dell’evoluzione ? Perché mai una persona sana di mente vorrebbe abbassare la propria qualità di vita giusto per moltiplicare il numero di copie del genoma dell’Homo sapiens ? A queste condizioni nessuno sarebbe stato d’accordo: la Rivoluzione agricola fu una trappola. > >
JUVAL HARARI
Brillante e divertente, ma...
RispondiEliminala stessa cosa succede con le scarpe e i cacciaviti, ci hanno addomesticati per riprodursi, e ora, come tutti gli animali addomesticati, senza i nostri addomesticatori scarpe e cacciaviti non riusciremmo piu' a sopravvivere.
Quanto DNA c'e' in un paio di scarpe di fibra sintetica e in un cacciavite?
Sottintendere intenzionalita' in oggetti che non hanno nemmeno un sistema nervoso, non dico auto-plasmabile, e vale per i vegetali non meno che per gli abiti e gli utensili, e' fare giochi di prestigio abusando del linguaggio.
Comunque sulla "fregata" della rivoluzione agricola ha ragione, e' un'idea condivisa da molti studiosi: ma relativamente a questo, si puo' dire lo stesso per tutti gli artefatti umani, l'uomo tendenzialmente diventa schiavo di qualsiasi cosa inventi (basta guardare gli ammennicoli tecnologici da cui siamo circondati, in primis abiti, case, automobili, elettrodomestici: non possiamo piu' farne a meno, e anzi siamo arrivati al punto di doverne costruire e manutenere in quantita' e qualita' inutile se non controproducente solo per tenere in piedi l'apparato tecnologico di produzione - perche' pure di quello siamo diventati schiavi).
E allora come la mettiamo? Ho l'impressione che ognuno si fermi a considerare solo cio' che gli fa comodo per corroborare i suoi memi (una volta detti pregiudizi), tralasciando il resto.
Socrate doveva essere un decostruzionista.
<< sulla "fregata" della rivoluzione agricola ha ragione (...) ma relativamente a questo, si puo' dire lo stesso per tutti gli artefatti umani, l'uomo tendenzialmente diventa schiavo di qualsiasi cosa inventi >>
EliminaQuesto è vero, ma mi sembra di poter rilevare una differenza importante tra le due cose.
Molte delle schiavitù moderne (elettronica, utensili, ecc.) sono tipiche del fenotipo e funzionano nel suo interesse diretto.
La rivoluzione agricola, invece, è stato il classico caso del fenotipo autolesionista che lavorava (inconsapevolmente) per il "re di Prussia".
"La rivoluzione agricola, invece, è stato il classico caso del fenotipo autolesionista"
EliminaMh, a me pare che la differenza sia solo che le cose che facciamo noi adesso ci sembrano giuste, mentre quello che facevano i nostri antenati all'epoca ci sembrano sbagliate. Facile a dirsi col senno di poi, bisognerebbe vedere come la pensavano loro! E a dire il vero non e' detto che sia una differenza, ci scommetto che anche quei nostri antenati avevano lo stesso identico atteggiamento rispetto ai loro antenati, per cui cio' che facevano loro era la cosa giusta, quella degli altri sbagliata. E non darei per scontato che se potessero guardare nel futuro ci invidierebbero, nelle societa' che "stanno meglio" c'e' sempre una montagna di contrappassi di cui non ci si rende conto perche' ci si e' immmersi dentro e si danno per scontati.
Chissa' perche' ma in fondo in fondo ci sembra sempre che chi vive diversamente da noi, sia nel tempo passato, che nel tempo presente ma sotto regimi diversi, debba per forza stare peggio, in fondo siamo estremamente sociocentrici e narcisisti.
E estremamente plastici e adattabili, ci adattiamo a tutto, nonostante poi quel tutto a cui ci adattiamo non ci vada mai davvero a genio.
"fenotipo autolesionista che lavorava (inconsapevolmente) per il "re di Prussia""
EliminaSe per "re di prussia" intendi i vegetali che coltiviamo, non credo, in quanto sono vegetali che non esistevano prima in natura, sono creazioni dell'uomo esattamente come i vestiti e i cacciaviti, e non potrebbero continuare a esistere senza il supporto della coltivazione umana, non esistevano prima e si estinguerebbero in breve tempo, molti non sono nemmeno in grado di riprodursi autonomamente (vale anche per il grano primitivo, quello "naturale" fa esplodere la spiga per spargere i semi).
Piu' o meno come gli animali domestici (gatto a parte, che e' in grado di sopravvivere autonomamente poco diverso da cosi' com'e', da cui il suo carattere fiero e solo parzialmente addomesticato).
E siamo solo all'inizio: con il progresso della medicina e la manipolazione del DNA, del nostro DNA, probabilmente evolveremo sempre piu' rapidamente verso una condizione di totale dipendenza dalle macchine, i nostri corpi perderanno ogni capacita' di auto-sostentamento e auto-riparazione. Ma appunto siamo gia' abbondantemente inoltrati per questa strada, e non ci accorgiamo nemmeno che tutti gli animali non addomesticati che ci circondano, saranno anche stupidi, ma non hanno bisogno di NESSUN complesso e costoso artificio tecnologico, abbisognoso a sua volta di essere continuamente migliorato, per vivere e riprodursi.
RispondiEliminaSono come gli inutili clienti dell'imprenditore del nordest Balasso, non gli serve niente, hanno gia' tutto. Gli basterebbe essere lasciati in pace.
Interessante e anche sorprendente. Io pensavo che la rivoluzione agricola avesse costituito un effettivo progresso rispetto al cacciatore-raccoglitore. Possibile che ci fossero frutti da raccogliere e animali da cacciare tutto l'anno? Non è escluso, ma certo non potevano riposare, insomma uno stress continuo. L'agricoltore invece poteva riempire i granai e concedersi il lusso di periodi di tranquillità o di attività meno intensa. Fu un errore, la sua vita cambiò in peggio?
RispondiEliminaIl modello comunque s'impose, segno che aveva innegabili vantaggi agli occhi dei nostri antenati. Favorì apparentemente anche l'incremento demografico che può considerarsi un successo della specie. Certo la vita dell'agricoltore è stata in genere durissima e magra. Ma è anche grazie a loro che siamo quello che siamo e che facciamo oggi una vita comoda, almeno in occidente. Ma come continuerà la storia? Sembra che ci stiamo allontanando sempre di più dalla natura, dipendiamo ormai dalla tecnologia, dalle macchine, ma non si può dire che ciò sia fondamentalmente un male, anche l'era tecnologica ha dei vantaggi a cui non vorremmo più rinunciare.
"facciamo oggi una vita comoda, almeno in occidente"
EliminaMica tanto, tutti fanno una vita comoda: la maggior parte degli occidentali fa una vita superstressata, piena di ansie a angosce, da malato mentale, fin dalla piu' tenera infanzia. Tant'e' che esiste il "mal d'africa": chi dei nostri va in certi di quei posti, rimane affascinato dal fatto che, pur poverissimi, malati, e magari pure affamati, soggettivamente vivono meglio, sono piu' felici e adatti alla loro vita, forse anche perche' anche loro, come noi per le nostre cose, non sanno di essere ne' poverissimi, ne' malati, ne affamati, con la differenza pero' che vivono alla giornata. Bisogna mandargli subito un po' dei nostri sindacalisti, ecologisti, specialisti, e fargli prendere coscienza della loro miserabile condizione! Ecco, gli agricoltori hanno smesso per primi, in quanto tali, a poter vivere alla giornata, hanno dovuto cominciare a programmare il futuro e contare il tempo, e a calcolare il "tasso di interesse".
Vero anche questo: basta pensare che un terzo degli occidentali ha bisogno di sonniferi per dormire (mentre i gatti ...). Ma come si fa ormai a "vivere alla giornata"? Aveva un bel dire Gesù: di che cosa vi preoccupate? guardate i gigli dei campi, gli uccelli del cielo: non seminano, non lavorano eppure trovano da mangiare ecc. ecc. E gli ordini mendicanti erano dei veri e propri parassiti degli operosi.
EliminaSiamo presi negli ingranaggi di una macchina infernale, ma non ne possiamo - e nemmeno vogliamo - uscirne.
Qualcuno ci riesce, gli "Aussteiger" occidentali che mollavano tutto per fare una vita più semplice e naturale. Ma come fenomeno di massa "aussteigen" è impensabile, direi impossibile (aussteigen significa semplicemente "scendere, uscire", in senso figurato mollare tutto, rinunciare a carriera e "vita comoda all'occidentale").
"E gli ordini mendicanti erano dei veri e propri parassiti degli operosi."
EliminaTieni conto pero' che l'uomo nel suo insieme, sia formalmente che sostanzialmente, e' stato un parassita della terra proprio finche' viveva di caccia e raccolta, perche' prendeva e basta. Adesso coltiva, e addirittura "inventa", quasi tutto il proprio cibo.
L’invenzione dell’agricoltura
RispondiEliminaNelle opere sull’orticoltura troviamo espressioni di estrema sorpresa per la mirabile perizia dei frutticultori che sono riusciti a ottenere risultati splendidi partendo da materiali di base così miserevoli. Però io sono sicuro che la loro arte è stata semplice e, per quanto riguarda il risultato finale, è stata applicata quasi inconsciamente. Essa è consistita nel coltivare sempre la migliore varietà conosciuta, seminandola e, allorché compare una varietà dotata casualmente di caratteristiche superiori, selezionando questa, e così di seguito.
Charles Darwin, L’origine delle specie
Tom Standage, Storia commestibile dell'umanita':
I cibi come tecnologie
Che cosa incarna la generosità della natura più di una pannocchia di mais? Basta una torsione del polso per staccarla dallo stelo, senza spreco né trambusto. È ricca di chicchi gustosi e nutrienti che sono più grandi e numerosi di quelli di qualsiasi altro cereale, ed è circondata da un cartoccio che la ripara da parassiti e umidità. Il granoturco sembra proprio un dono della natura; è persino impacchettato. Eppure a volte l’apparenza inganna: un campo coltivato a mais, o a qualsiasi altra coltura, è una creazione umana quanto un microchip, una rivista o un missile. Anche se ci piace pensare che l’agricoltura sia una cosa naturale, diecimila anni fa si trattò di uno sviluppo nuovo ed esotico. Per i cacciatori-raccoglitori dell’età della pietra, infatti, una distesa di campi coltivati sarebbe stato uno spettacolo bizzarro e sconosciuto. La terra arata è un paesaggio tecnologico oltre che biologico. E nel grande quadro dell’esistenza umana le tecnologie in questione – colture domesticate – sono un’invenzione molto recente.
Bellissimo questo brano. Ma che fare allora? Bisognerebbe trovare un punto di equilibrio: non possiamo non modificare il nostro ambiente per le nostre necessità (dell'epoca in cui viviamo), ma senza esagerare. Ma l'innato titanismo o hybris dell'uomo vuole sempre di più, specie in regime concorrenziale che è una minaccia continua. Nelle società primitive in cui non circolava contante la concorrenza, se c'era, era a bassa intensità. Ma si moriva anche giovani, si era più esposti alle insidie della natura (ma non necessariamente matrigna come diceva Leopardi, un po' fissato su questo aspetto per le sue condizioni e l'insuccesso delle sue idee irrise a Napoli - "S'arma Napoli alla difesa de' maccheroni suoi").
EliminaA fagiuolo, questo:
Eliminahttps://www.youtube.com/watch?v=3xMnpuAgxhw
Avete sentito della fusione Bayer-Monsanto?
Il bello e' , che di fronte all'invadenza e alla concentrazione monopolistica delle multinazionali del settore, l'italia cos'ha fatto? Ha di fatto proibito la ricerca pubblica nel settore, consegnandolo cosi' ancora di piu' alle multinazionali... (avremmo avuto fior di universita' che se ne occupavano, e una ragguardevole tradizione nel comparto).
<< Bisognerebbe trovare un punto di equilibrio: non possiamo non modificare il nostro ambiente per le nostre necessità (dell'epoca in cui viviamo), ma senza esagerare. >>
EliminaCaro Sergio, direi che il punto è proprio questo: il senso della misura, del limite.
Che il gene egoista NON ha e non può avere, essendo portato alla massima replicazione possibile.
Ma che il fenotipo umano, essendo un essere anche culturale, dovrebbe possedere.
Altrimenti, a che ci serve tutta la nostra conoscenza e la nostra cultura ?
"Che il gene egoista NON ha e non può avere, essendo portato alla massima replicazione possibile.
EliminaMa che il fenotipo umano, essendo un essere anche culturale, dovrebbe possedere."
"Egoista", "portato"...
Attribuire intenzionalita' al gene e' animismo, e se la attribuisci al gene la puoi attribuire a qualsiasi altra cosa, o insieme di cose, con la stessa legittimita', dall'atomo al Tutto.
Di una teoria del genere, cosa vuoi fartene? Non serve a nulla.
<< Attribuire intenzionalita' al gene e' animismo >>
EliminaCaro Diaz, guarda che è proprio il contrario.
La mia teoria non attribuisce intenzionalità al Gene (che ovviamente non sa nulla e non si può preoccupare di nulla), ma si limita a TOGLIERLA, parzialmente, all'homo sapiens.
Nella speranza che non la si debba togliere per intero...
E' sempre la stessa minestra indifferenziata, determinismo sempre e dappertutto. Di fondo, il desiderio di un unico principio che inglobi e spieghi tutto. Ma allora perche' non chiamarlo Dio e la finiamo li'? :)
EliminaPerchè dio è esattamente l'opposto del determinismo.
EliminaE' volontarismo allo stato puro, dato che, per definizione (nostra), deve essere sciolto da qualsiasi vincolo esterno, anche dalle stesse leggi di natura da lui stesso create.
Quindi volontarismo vs. determinismo.
Chi vincerà ?
Io un'ideuccia ce l'avrei...
Hai voglia... se dio/gli dei siano o no vincolati a delle leggi e' una discussione vecchia quanto la religione. E vale anche per le varie interpretazioni del dio dei "popoli del libro".
EliminaAd esempio, nell'800, i creazionisti si opponevano all'ipotesi che i dinosauri si potessero essere estinti, perche' avrebbe voluto dire che Dio, l'essere perfetto, aveva cambiato idea. Impossibile!
EliminaNon erano mica fessi, lo sapevano anche loro che la perfezione implica immutabilita'.
Da cui vedi che il passo dalla perfezione dell'immutabilita' alla perfezione del meccanismo ad orologeria preprogrammato, e' breve.
Da cui forse la maggiore parentela del determinismo meccanicista con la divinita' perfetta, e la grossa, enorme difficolta' che i teologi cristiani hanno sempre trovato nel far convivere Dio col libero arbitrio. Tant'e' che i protestanti il libero arbitrio lo negano.
E pure gli islamici, ma nel loro caso perche' Dio e' come lo definisci tu, liberta': il libero arbitrio e' solo lui ad averlo. Se sbaglia, puo' cambiare idea, insomma.
Non e' cosi' semplice.
Come la giri, qualsiasi idea di dio tu possa elaborare, ci saranno sempre dei punti deboli, delle contraddizioni, degli aspetti inspiegabili.
EliminaEppure basterebbe che lui (anzi Lui) ci spiegasse una volta per tutte come stanno le cose, magari a reti unificate...
Nel piacevolissimo romanzo di Samuel Butler "Erewohn" (anagramma di nowhere 'da nessuna parte'), pubblicato nel 1872 {!!!) l'autore prefigura l'asservimento dell'uomo alle macchine: infatti ne è schiavo dovendo continuamente "servirle" per farle funzionare ...
RispondiEliminaSamuel Butler (1835-1902)
"In uno spirito di "militanza eterodossa" scrisse in tutti i campi della cultura portando un attacco frontale (condotto con grande verve e intelligenza profetica) all'ottimismo trionfalistico della società inglese del suo tempo, all'idolatria del progresso scientifico e della rivoluzione industriale."
Molto interessante. Leggo il commento di "marco" su ibs:
Elimina"In un'epoca così vittima di tecnologia come la nostra Erewhon è un romanzo più che mai da leggere. Il protagonista si trova improvvisamente in un paese d'impossibile individuazione geografica (se leggete il titolo al contrario avrete nowhere, ossia da nessuna parte) dove la gente ha deciso di compiere un passo indietro nello sviluppo tecnologico mettendo quanto inventato in un museo e tornando a una vita più naturale. Gli erewhoniani pensano che l'uomo sia il mezzo di riproduzione delle macchine così come le api lo sono per i fiori, ragion per cui non vogliono più agevolare la riproduzione di ciò che potrebbe diventare più potente di loro."
Resta il fatto che nelle api non c'e' intenzionalita', quella che c'e' e' solo genetica, quindi non propriamente tale, mentre nell'uomo c'e', l'uomo prefigura i vari scenari e perlomeno prova a scegliere.
Interessante anche la faccenda degli aussteigen.
L'800 e' un secolo in cui sono state fatte interessantissime analisi socioeconomiche da fior di pensatori, a cui ben poco ha aggiunto il nostro secolo, se non tanta confusione. Probabilmente grazie al fatto che loro, avendo visto il mondo anche com'era prima, avevano piu' chiari i termini della questione, li avevano davanti agli occhi in entrambe le manifestazioni.
<< Gli erewhoniani pensano che l'uomo sia il mezzo di riproduzione delle macchine così come le api lo sono per i fiori, ragion per cui non vogliono più agevolare la riproduzione di ciò che potrebbe diventare più potente di loro." >>
EliminaCaro Diaz, sostituisci il termine "macchine" con "genoma" ed ecco che hai in pieno il senso del mio blog.
Perchè io ci avrò anche la fissa per queste cose, ma non sono l'unico a pensarla così (e per fortuna).
I due termini non sono intercambiabili, esistono macchine che non sono genomi, e prodotti del genoma che non sono macchine.
EliminaOvvio, i termini non sono intercambiabili.
EliminaMa il meccanismo forse sì.
Dio lo vuole.
EliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
RispondiEliminapreso nota, cancella!
EliminaE perché "cancella"? Per non espormi ai rischi di spam? C'è gente che fa incetta di indirizzi email per massacrare poi gli ingenui? In che mondo viviamo. In effetti ho già cambiato più volte il mio indirizzo proprio per sottrarmi ai molestatori. E da oltre un anno sto in effetti in pace.
EliminaNon e' gente, sono programmi automatici che esplorano le pagine web a caccia di indirizzi, che poi vengono usati per mandare pubblicita'. Per questo quando si scrive un indirizzo in un luogo pubblico si tende a scriverlo in modo che un non umano non lo veda come tale, tipo indirizzoquavalaochiocciola.eccetera.
EliminaNel mondo postmoderno dei memi, poter raggiungere piu' gente possibile con i propri, procura soldi e potere. Peraltro, una delle regole per raggiungere la massima visibilita', note nell'ambiente del marketing, che ha fior di studiosi, e' abbassare al minimo la qualita' della comunicazione... sarebbe bene che lo sapessero quelli che si affollano nei luoghi piu' visitati, che sono in cosi' tanti proprio perche' non valgono nulla in primo luogo secondo coloro che li ospitano....
Avete presente la storia dell'1 per cento della gente che possiede il 90 per cento della ricchezza, no? Meta' di loro risiede nella silicon valley e possiede facebook, google, amazon, trip advisor, e in genere i cosiddetti "social", compreso questo, che e' di google. Google da sola si pappa il 20 per cento dei proventi pubblicitari mondiali, grazie alla sua "pubblicita' mirata". I siti per le prenotazioni si dividono in pochi nomi il 10 per cento della spesa mondiale nel turismo (tanto pretendono di provvigione da chi, se vuole avere clienti, perche' ormai il luogo di scambio, la piazza, e' quella, si serve dei loro siti).
Ve le ricordate le "Pagine galle" ai tempi della bolla della nuova economia, che erano andate a valori altissimi perche' avevano annunciato la loro "discesa in campo" nel web, spediva i rappresentanti dalle vecchiette con la botteguccia a offrire il sito web a 500 mila lire, mentre google preparava "server farm" con centinaia di migliaia di hard disk, e si diffondeva mondialmente col metodo del "tutto gratis", come del resto TUTTI i software, anche quelli a pagamento, che ora dominano monopolisticamente il mercato mondiale, in modo tale che non si puo' piu' tornare indietro? Quanta ingenuita' e pressapochismo... uniti peraltro ad avidita' di guadagno molto maggiore di quelli che ora sono diventati i padroni del mondo dell'informazione a livello globale.
Mah, non voglio fare il fenomeno, ma la pubblicità non mi ha mai fatto paura, perchè ho imparato da tempo ad ignorarla nelle mie decisioni di acquisto (e vi prego di credermi).
EliminaI banner e i pop-up che infestano il web, al massimo, di danno un (modestissimo) fastidio.
Quello che mi fa molto più paura è il furto di dati personali ad uso truffaldino (phishing & co.), per i quali l'attenzione e la cautela non sono mai abbastanza.
Io non mi sono mai accorto della pubblicità di Google, non la vedo proprio, strano. So che Google e Facebook vivono di pubblicità, ma io non la vedo. Non sono su Facebook.
RispondiEliminaMa forse non mi servo di Google? Io ho un Mac con il browser Safari.
Caro Sergio, Facebook è un orgia di pubblicità, diretta ed indiretta.
EliminaSu Google, certo, le cose sono più sfumate, ma l'ordine di estrazione dei risultati, quando fai una richiesta, può essere facilmente condizionato da meccanismi pubblicitari.
"ma l'ordine di estrazione dei risultati, quando fai una richiesta, può essere facilmente condizionato da meccanismi pubblicitari"
EliminaL'obiettivo N.1 dei pubblicitari e' di raggiungere il target, cioe' consegnare il messaggio miratamente a chi e' potenzialmente interessato, perche' con gli altri e' tempo sprecato (e soldi).
In altre parole, si cerca di offrire ad ognuno cio' che vuole, il che tutto sommato e' molto liberale: e' cioe' nella definizione di mercato guidato dalla domanda (il contrario di mercato liberale, e' il mercato imposto dall'offerta: chi produce qualcosa ti costringe a consumarlo, che e' cio' che succede nei mercati regolati come il nostro, dove il "lavoro" su cui e' fondato il sistema impone il suo punto di vista, il punto di vista del produttore: si e' obbligati al consumo per poter permettere al produttore di esprimere la sua qualita' - l'economia "greeen" tanto di moda attualmente persegue lo stesso obiettivo).
Gente che riceveva 50 mail di stronzate al giorno, in mezzo a pochi messaggi buoni me ne e' capitata, ma adesso succede piu' raramente, perche' i vari provider filtrano bene lo spam (in qualche caso eccezionale cancellando anche messaggi buoni).
RispondiEliminaPubblicita' ce n'e' molta nei cellulari, dove le applicazioni "gratis" lo sono ma solo in cambio di visualizzazioni pubblicitarie. Il business di massa, adesso, che tutti cercano disperatamente di monopolizzare, e' il mercato degli smartphone, perche' non solo sono MOLTO piu' diffusi dei PC, ma dal punto di vista dell'audience sono l'equivalente della TV, sono in uso di utenti molto piu' influenzabili dalla pubblicita' rispetto a un hacker misantropo che lavora ancora con la finestra del terminale in modalita' testuale.
La fa da padrone google che controlla android, il sistema operativo dell'85 per cento dei terminali smartphone.
Dal punto di vista della creazione dell'"inconscio collettivo", questi affari sono molto piu' potenti della vecchia TV, perche' attraverso essi passa TUTTO, e soprattutto sono molto meno direttamente controllabili dagli Stati rispetto ad essa. In un secolo siamo passati dalla carta stampata che solo pochi erano in grado di leggere, a questa roba pervasiva, istantanea, e senza confini. Chi lavora in questo ambito, sta cambiando il mondo e lo sa (anche se non sa ancora come, di preciso).
<< Chi lavora in questo ambito, sta cambiando il mondo e lo sa >>
EliminaTu dici ?
Io credo che stia solo cercando di fare più soldi possibile.
Sono ragazzi di vent'anni, i soldi sono un effetto collaterale, non se ne fanno niente.
EliminaMah, forse sono attratti più dal successo e dalla realizzazione di sè che non dai soldi, ma i soldi non fanno schifo neppure ai ventenni.
EliminaL'idea di cambiare il mondo (in modo spesso casuale e non lineare) credo che venga dopo.
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EliminaMi manca parecchio pregresso, questo articolo è magnifico, e la logica che racchiude è inappuntabile.
RispondiElimina"Perché mai una persona sana di mente vorrebbe abbassare la propria qualità di vita giusto per moltiplicare il numero di copie del genoma dell’Homo sapiens ?", domanda che evidenza impietosa la stupidità generale dei singoli individui. Che bravo, questo autore israeliano.