LA GINESTRA o il Fiore del Deserto
di Giacomo Leopardi
Qui su l'arida schiena
del formidabil monte
sterminator Vesevo,
la qual null'altro allegra arbor né fiore,
tuoi cespi solitari intorno spargi,
odorata ginestra,
contenta dei deserti.
Qui sulla pendice riarsa del tremendo e distruttore monte Vesuvio, che nessun altro arbusto o fiore allieta, tu odorosa ginestra spargi i tuoi cespugli solitari intorno, appagata dai luoghi deserti.
Anco ti vidi
de' tuoi steli abbellir l'erme contrade
che cingon la cittade
la qual fu donna de' mortali un tempo,
e del perduto impero
par che col grave e taciturno aspetto
faccian fede e ricordo al passeggero.
Già ti vidi un’altra volta abbellire con i tuoi steli le solitarie contrade che circondano la città di Roma, la quale fu un tempo dominatrice di popoli, e sembra che con il loro cupo e silenzioso aspetto, testimonino e ricordino al viandante il grande impero perduto.
Or ti riveggo in questo suol, di tristi
lochi e dal mondo abbandonati amante,
e d'afflitte fortune ognor compagna.
Ora ti rivedo in questo suolo, tu che sei amante di luoghi tristi e abbandonati dal mondo, e sempre compagna di grandezze decadute.
Questi campi cosparsi
di ceneri infeconde, e ricoperti
dell'impietrata lava,
che sotto i passi al peregrin risona;
dove s'annida e si contorce al sole
la serpe, e dove al noto
cavernoso covil torna il coniglio;
fur liete ville e colti,
e biondeggiàr di spiche, e risonaro
di muggito d'armenti;
fur giardini e palagi,
agli ozi de' potenti
gradito ospizio; e fur città famose
che coi torrenti suoi l'altero monte
dall'ignea bocca fulminando oppresse
con gli abitanti insieme.
Questi campi cosparsi di ceneri sterili e ricoperti dalla lava impietrita, che risuona sotto i passi del viandante; dove si annida e si contorce al sole il serpente, e dove all’abituale tana sotterranea torna il coniglio; furono città opulente e campi coltivati, e biondeggiarono di messi, e risuonarono di muggiti di mandrie; furono giardini e ville sontuose, soggiorno gradito all'ozio dei potenti; e furono città famose che il vulcano indomabile, eruttando torrenti di lava dalla sua bocca di fuoco distrusse insieme con i loro abitanti.
Or tutto intorno
una ruina involve,
dove tu siedi, o fior gentile, e quasi
i danni altrui commiserando, al cielo
di dolcissimo odor mandi un profumo,
che il deserto consola.
Ora invece una sola rovina avvolge tutto quanto, là dove tu dimori, o fiore gentile e, quasi compiangendo le altrui miserie, emani un profumo dolcissimo che sale verso il cielo e che consola questo luogo di desolazione.
A queste piagge
venga colui che d'esaltar con lode
il nostro stato ha in uso, e vegga quanto
è il gener nostro in cura
all'amante natura.
Venga in questi luoghi colui che suole esaltare con enfasi la nostra umana condizione e guardi quanto la natura amorevole si curi del genere umano.
E la possanza
qui con giusta misura
anco estimar potrà dell'uman seme,
cui la dura nutrice, ov'ei men teme,
con lieve moto in un momento annulla
in parte, e può con moti
poco men lievi ancor subitamente
annichilare in tutto.
Dipinte in queste rive
son dell'umana gente
le magnifiche sorti e progressive.
E qui potrà anche giudicare esattamente la potenza del genere umano, che la natura, crudele nutrice, quando l’uomo meno se lo aspetta, con una scossa impercettibile in parte distrugge in un momento, e può con scosse un po’ meno lievi annientare del tutto all'improvviso. In questi luoghi sono raffigurate le sorti splendide e in continuo progresso dell’umanità.
Qui mira e qui ti specchia,
secol superbo e sciocco,
che il calle insino allora
dal risorto pensier segnato innanti
abbandonasti, e volti addietro i passi,
del ritornar ti vanti,
e procedere il chiami.
Qui guarda ed ammira rispecchiato te stesso, secolo superbo e stolto, che hai lasciato la via percorsa fino ad ora, prima di te, dal pensiero risorto con il Rinascimento e, tornato indietro, per di più ti vanti del procedere a ritroso e lo chiami progresso.
Al tuo pargoleggiar gl'ingegni tutti,
di cui lor sorte rea padre ti fece,
vanno adulando, ancora
ch'a ludibrio talora
t'abbian fra sé.
Tutti gli uomini d'ingegno, di cui la sorte malvagia ti rese padre e queste tue manifestazioni di infantile insensatezza, vanno applaudendo la tua follia, benché, talvolta, nel loro intimo, ti scherniscano.
Non io
con tal vergogna scenderò sotterra;
ma il disprezzo piuttosto che si serra
di te nel petto mio,
mostrato avrò quanto si possa aperto:
ben ch'io sappia che obblio
preme chi troppo all'età propria increbbe.
Di questo mal, che teco
mi fia comune, assai finor mi rido.
Ma a me non accadrà di lasciare questa vita macchiato di una simile vergogna, ed avrò prima mostrato nel modo più esplicito il disprezzo che è chiuso nel mio animo verso di te, benché io sappia che chi non piacque al proprio secolo è destinato alla dimenticanza.
Di questo male dell’oblio, che condivido con te, fin da ora non mi importa nulla.
Libertà vai sognando, e servo a un tempo
vuoi di novo il pensiero,
sol per cui risorgemmo
della barbarie in parte, e per cui solo
si cresce in civiltà, che sola in meglio
guida i pubblici fati.
Così ti spiacque il vero
dell'aspra sorte e del depresso loco
che natura ci diè.
Sogni la libertà e nel contempo vuoi servo il pensiero, in virtù del quale soltanto risorgemmo in parte dalla barbarie medioevale e in nome del quale soltanto è cresciuta la civiltà, che sola guida i destini dei popoli verso il progresso. Al punto che ti spiacque la verità relativa alla sorte dolorosa e alla condizione miserevole che la natura ci ha dato.
Per questo il tergo
vigliaccamente rivolgesti al lume
che il fe' palese: e, fuggitivo, appelli
vil chi lui segue, e solo
magnanimo colui
che sé schernendo o gli altri, astuto o folle,
fin sopra gli astri il mortal grado estolle.
Per questo volgesti le spalle al pensiero illuminato che lo rivelò e, mentre fuggi, definisci vile chi segue queste dottrine e magnanimo colui che esalta fino alle stelle la condizione umana, illudendo se stesso o gli altri, e mostrandosi così o astuto o folle.
Uom di povero stato e membra inferme
che sia dell'alma generoso ed alto,
non chiama sé né stima
ricco d'or né gagliardo,
e di splendida vita o di valente
persona infra la gente
non fa risibil mostra;
ma sé di forza e di tesor mendico
lascia parer senza vergogna, e noma
parlando, apertamente, e di sue cose
fa stima al vero uguale.
Un uomo di umile condizione ed infermo, che abbia grandezza d’animo e nobili sentimenti, non si vanta né si illude di essere ricco o forte e non ostenta ridicolmente una vita splendida o un fisico in piena salute fra la gente; ma si lascia vedere, senza vergognarsene, debole e povero, e si dichiara tale apertamente e mostra la sua condizione secondo la realtà.
Magnanimo animale
non credo io già, ma stolto,
quel che nato a perir, nutrito in pene,
dice, a goder son fatto,
e di fetido orgoglio
empie le carte, eccelsi fati e nove
felicità, quali il ciel tutto ignora,
non pur quest'orbe, promettendo in terra
a popoli che un'onda
di mar commosso, un fiato
d'aura maligna, un sotterraneo crollo
distrugge sì, che avanza
a gran pena di lor la rimembranza.
Non credo che sia un essere nobile, ma stolto colui che, nato per morire, cresciuto in mezzo ai dolori, dice: sono stato fatto per essere felice e stende scritti pieni di orgoglio disgustoso, promettendo esaltanti destini e nuove felicità, quali persino il cielo intero ignora, a popoli che un maremoto, una pestilenza o un terremoto può distruggere in un modo tale, che a stento rimane il ricordo di essi.
Nobil natura è quella
che a sollevar s'ardisce
gli occhi mortali incontra
al comun fato, e che con franca lingua,
nulla al ver detraendo,
confessa il mal che ci fu dato in sorte,
e il basso stato e frale;
quella che grande e forte
mostra sé nel soffrir, né gli odii e l'ire
fraterne, ancor più gravi
d'ogni altro danno, accresce
alle miserie sue, l'uomo incolpando
del suo dolor, ma dà la colpa a quella
che veramente è rea, che de' mortali
madre è di parto e di voler matrigna.
Nobile creatura è invece quella che ha il coraggio di guardare in faccia il destino umano e apertamente, senza togliere nulla al vero, ammette il male che ci è stato dato in sorte e la nostra insignificante e fragile condizione; quella che si rivela grande e forte nelle sofferenze, e non aggiunge alle sue miserie gli odi e le ire fraterne, più gravi ancora di ogni altro danno, incolpando l'uomo del suo dolore, ma dà la colpa alla natura, che ne è davvero responsabile, che è madre dei mortali perché li ha generati, ma ne è matrigna nel comportamento.
Costei chiama inimica; e incontro a questa
congiunta esser pensando,
siccome è il vero, ed ordinata in pria
l'umana compagnia,
tutti fra sé confederati estima
gli uomini, e tutti abbraccia
con vero amor, porgendo
valida e pronta ed aspettando aita
negli alterni perigli e nelle angosce
della guerra comune.
Chiama questa nemica, e pensando che contro costei sia unita, come realmente è, ed ordinata fin dalla sua prima origine, la società umana, ritiene che tutti gli uomini siano alleati fra loro, e tutti abbraccia con amore vero, prestando valido e sollecito aiuto e aspettandolo nei pericoli che minacciano or gli uni or gli altri, e nelle sofferenze della lotta che li accomuna.
Ed alle offese
dell'uomo armar la destra, e laccio porre
al vicino ed inciampo,
stolto crede così qual fora in campo
cinto d'oste contraria, in sul più vivo
incalzar degli assalti,
gl'inimici obbliando, acerbe gare
imprender con gli amici,
e sparger fuga e fulminar col brando
infra i propri guerrieri.
Ed armarsi e porre insidie e ostacoli per contrastare un altro uomo, pensa che sia cosa stolta, così come sarebbe sciocco in un campo di battaglia circondato da nemici, nel più aspro infuriare degli assalti, dimenticandosi dei nemici, aprire ostilità crudeli e feroci contro i propri compagni e fare stragi con la spada tra i propri soldati.
Così fatti pensieri
quando fien, come fur, palesi al volgo,
e quell'orror che primo
contra l'empia natura
strinse i mortali in social catena,
fia ricondotto in parte
da verace saper, l'onesto e il retto
conversar cittadino,
e giustizia e pietade, altra radice
avranno allor che non superbe fole,
ove fondata probità del volgo
così star suole in piede quale star può quel
ch'ha in error la sede.
Quando siffatte considerazioni saranno, come furono un tempo, evidenti al popolo, e quel terrore che per primo spinse agli esseri umani a stringere legami sociali contro la natura malvagia sarà ricondotto a una vera sapienza, allora i rapporti civili ispirati ad onestà e rettitudine, la giustizia e la pietà, avranno un ben diverso fondamento, che non le fantasie piene di presunzione e prive di consistenza; basandosi sulle quali la probità del popolo sta in piedi malamente, così come può stare in piedi tutto quello che si fonda sull’errore.
(segue)
Incomprensibile la parafrasi dei versi di Leopardi! Ma ci prendi per scemi? 😡
RispondiEliminaMa veramente ?
EliminaMi sambrava una cosa passabile, anzi persino interessante.
Comunque, per completezza, sono costretto a pubblicare anche la seconda parte.
Ti sarà sufficiente saltarla.
Nel contesto della discussione, molto interessante, e altrettanto contraddittorio, dati gli sviluppi della situazione dai tempi di "Leo".
RispondiEliminaA fagiolo, di qualche settimana fa, pure questo, che non ha tutti i torti:
http://pardonuovo.myblog.it/2016/07/06/il-poeta-creditore/
Marinetti, nel fango delle trincee in russia, ebbe modo in vita, seppure negli ultimi scampoli, di riconsiderare il soddisfacimento dei suoi desideri di giovane irruento.
Avevo già letto il pezzo di Pardo, ma sono andato a rileggermelo - con grande soddisfazione. Pardo scrive bene - le style, c'est l'homme - e dice cose semplicemente giuste e mai banali. Da questo articolo anche il nostro caro Giacomino esce un po' ridimensionato - almeno concettualmente. Pardo gli riconosce qualità artistiche e anche di pensiero ("notevole pensatore" - che però è anche un po' riduttivo). Leopardi accenna sovente al suo "sistema" (filosofico), ma una vera e propria filosofia non l'ha sviluppata e difatti non figura in nessuna storia della filosofia, anche se Severino lo pone in cima alla piramide del pensiero filosofico, subito dopo Severino stesso.
Elimina"Serve" ancora Leopardi? Ma servono ancora Dante, Petrarca, Goethe ecc. ecc.
Fra parentesi, c'è pure chi ha visto in Leopardi un "protosocialista", forse per quella "social catena" della Ginestra! Una social catena contro la natura matrigna! No, qui non possiamo seguirlo, Leopardi erra, la natura non è matrigna, ma nemmeno dispensatrice di beni come sentiamo nella Kleine Freimaurerkantate di Mozart ( ... die alle Schätze spendet, die gütige Natur ...).
Scommetto, caro Lumen, che non hai mai letto Paralipomeni della batrocomiomachia. Un vero peccato, perché è divertentissimo e bellissimo, pur nel suo estremo pessimismo. Del resto è un'opera completamente trascurata dalla critica, mentre per il traduttore contemporaneo tedesco Endrulat è un vertice assoluto (e la sua traduzione - con testo a fronte - è quasi più bella dell'originale).
"e la sua traduzione - con testo a fronte - è quasi più bella dell'originale"
RispondiEliminaIl vantaggio delle traduzioni delle opere classiche e' che sono in lingua moderna! Leggere la lingua colta (e ampollosa...) di secoli fa puo' essere piuttosto fastidioso per i non addetti ai lavori.
Ma contemporaneo di chi, nostro o di Leopardi?
EliminaProbabilmente ho frainteso, comunque vale sempre l'osservazione.
Helmut Endrulat è nostro contemporaneo. La pubblicazione della sua traduzione in una splendida edizione è stata resa possibile dal generoso sostegno dal Centro nazionale di studi leopardiani a Recanati.
EliminaQuanto alla lingua moderna delle odierne traduzioni di classici, sì e no: è chiaro che noi vogliamo leggere testi scorrevoli, facilmente comprensibili e perciò in lingua moderna. Tuttavia certi vezzi o arcaismi dell'originale non guastano. Wolde per es. traduce Leopardi in un tedesco classicheggiante che ricorda l'originale, Endrulat o Helbling invece sono più moderni, leggibili e comprensibili, ma quasi prosaici ... preferisco Wolde. Del resto anche Leopardi preferiva termini insoliti, ma per lui più poetici (augelli invece di uccelli). Non so se donzella e donzelletta fossero già ai suoi tempi arcaismi, poetici. Oggi donzelletta fa solo ridere o rimanda appunto a Leopardi. È un fatto che Leopardi, in poesia, ma anche nella prosa, è antico. Poteva prendere lezione da Manzoni (di cui non apprezzò I promessi sposi - in un primo momento: rivide il suo giudizio dopo aver fatto la conoscenza di Manzoni a Firenze). A Napoli aveva una persona in gran uggia, ma quando seppe che la tal persona aveva parlato bene di lui volle subito andare a trovarla! Potenza dei complimenti.
Guardate in un secolo come sono cambiati i tempi (pare che l'autore l'abbia scritta, vecchio, sul letto di morte, poco prima di morire)
RispondiEliminaQuarto d’ora di poesia della X Mas
1944
F.T.Marinetti
Salite in autocarro aeropoeti e via che si va finalmente a farsi benedire dopo tanti striduli fischi di ruote rondini criticomani lambicchi di ventosi pessimismi
Guasto al motore fermarsi fra Italiani ma voi ventenni siete gli ormai famosi renitenti alla leva dell’Ideale e tengo a dirvi che spesso si tentò assolvervi accusando l’opprimente pedantismo di carta bollata burocrazie divieti censure formalismi meschinerie e passatismi torturatori con cui impantanarono il ritmo bollente adamantino del vostro volontariato sorgivo a mezzo il campo di battaglia
Non vi grido arrivederci in Paradiso che lassù vi toccherebbe ubbidire all’infinito amore purissimo di Dio mentre voi ora smaniate dal desiderio di comandare un esercito di ragionamenti e perciò avanti autocarri
Urbanisti officine banche e campi arati andate a scuola da questi solenni professori di sociologia formiche termiti api castori
Io non ho nulla da insegnarvi mondo come sono di ogni quotidianismo e faro di una aeropoesia fuori tempo spazio
I cimiteri dei grandi Italiani slacciano i loro muretti agresti nella viltà dello scirocco e danno iraconde scintille crepitano impazienze di polveriera senza dubbio esploderanno esplodono morti unghiuti dunque autocarri avanti
Voi frenatori del passo calcolato voi becchini cocciuti nello sforzo di seppellire primavere entusiaste di gloria ditemi siete soddisfatti d’aver potuto cacciare in fondo fondo al vostro letamaio ideologico la fragile e deliziosa Italia ferita che non muore
Autocarri avanti e tu non distrarti raggomitola il tuo corpo ardito a brandelli che la rapidità crudele vuol sbalestrarti in cielo prima del tempo
Scoppia un cimitero di grandi Italiani e chiama Fermatevi fermatevi volantisti italiani avete bisogno di tritolo ve lo regaliamo noi ve lo regaliamo noi noi ottimo tritolo estratto dal midollo dello scheletro
E sia quel che sia la parola ossa si sposi colla parola possa con la rima vetusta frusti le froge dell’Avvenire accese dai biondeggianti fieni di un primato
Ci siamo finalmente e si scende in terra quasi santa
Beatitudine scabrosa di colline inferocite sparano
Vibra a lunghe corde tese che i proiettili strimpellano la voluttuosa prima linea di combattimento ed è una tuonante cattedrale coricata a implorare Gesù con schianti di petti lacerati
Saremo siamo le inginocchiate mitragliatrici a canne palpitanti di preghiere
Bacio ribaciare le armi chiodate di mille mille mille cuori tutti traforati dal veemente oblio eterno
Marinetti, forse al contrario del nostro in oggetto, pare sia stato uno straordinario anticipatore. Qualche anno fa ho letto una sua ottima biografia di G.B. Guerri, perche' ero curioso di capire quanto fosse stata intensa la tensione dell'epoca verso il progresso tecnico-macchinistico, fino a giungere all'apologia della guerra industrializzata, e mi chiedevo cosa penserebbero oggi gli stessi nel constatarne il successo oltre ogni loro aspettativa e immaginazione.
In un caso e nell'altro, comunque, Leopardi e Marinetti, si vede come si siano invertiti i termini della questione, nella nostra sensibilita' contemporanea: Leopardi che invita all'unione degli sforzi dell'umanita' contro la natura ostile e matrigna, Marinetti che celebra entusiasta il macchinismo tecnico e la velocita' (salvo forse revisionarsi nella maturita' con "l'illusione di sentirsi meccanico quando si e' solo carne piangente" (Aeropoema di Gesù).