FIGLIO – Buongiorno a tutti.
LUMEN – E’ una storia triste la vostra ?
FIGLIO – Beh, triste e allegra, a seconda dei momenti. E comunque a lieto fine, almeno per me.
LUMEN – Bene, raccontateci.
FIGLIO – Mio padre era un ricco allevatore e coltivatore, ed aveva due figli: Figlio Maggiore ed io. Un bel giorno andai da mio padre e gli dissi: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”.
LUMEN – Una bella pretesa. E lui ?
FIGLIO – Mio padre non battè ciglio e divise tra sue sostanze tra me e mio fratello.
LUMEN – Da non credere. Vi sono luoghi in cui va tutto al primogenito.
FIGLIO – Eh, lo so. Dopo pochi giorni, raccolte le mie cose, partii per un paese lontano e là sperperai tutte le mie sostanze vivendo da dissoluto.
LUMEN – Cioè ? Fateci qualche esempio..
FIGLIO – Non è difficile da immaginare: donnine allegre, compagnie, mangiate, bevute, giochi, divertimenti….
LUMEN – Quindi fu un periodo felice, per voi ?
FIGLIO – Molto felice: non mi sono mai divertito tanto.
LUMEN – E poi ?
FIGLIO – Poi, quando ebbi speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed io cominciai a trovarmi nel bisogno.
LUMEN – Una bella sfortuna.
FIGLIO – E chi poteva immaginare ?
LUMEN – Che faceste, allora ?
FIGLIO – Andai a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che mi mandò nei campi a pascolare i porci.
LUMEN – Beh, trovaste comunque un lavoro.
FIGLIO – All’epoca un lavoro lo si trovava sempre; però quello era proprio un lavoraccio.
LUMEN – Non lo nego.
FIGLIO - Avrei voluto saziarmi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno me ne dava. Allora ritornai in me stesso e mi dissi: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame !”.
LUMEN – Giusto !
FIGLIO – “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”.
LUMEN – Una bella faccia tosta ! Ma in effetti, piuttosto che morire di fame…
FIGLIO – Appunto. Partii e mi incamminai verso la casa di mio padre. Quando ero ancora lontano mio padre mi vide…
LUMEN – … e vi corse dietro con un bastone !
FIGLIO – No, no, tutto il contrario. Commosso mi corse incontro, mi si gettò al collo e mi baciò.
LUMEN – Ah, questa poi…
FIGLIO – Io gli dissi: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio”.
LUMEN – E mi pare il minimo.
FIGLIO - Ma mio padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
LUMEN – Un vero gentiluomo, vostro padre.
FIGLIO - E cominciammo a far festa.
LUMEN – Voi, d’altra parte, ci eravate abituato.
FIGLIO – Beh, in un certo senso…
LUMEN – Ma continuate, prego.
FIGLIO – Mio fratello, Figlio Maggiore, si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: “È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.
LUMEN – E vorrei vedere ! Ne aveva tutte le ragioni.
FIGLIO – Mio padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso”.
LUMEN – E cosa rispose vostro padre ?
FIGLIO - Gli rispose: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
LUMEN – Un discorso alto e nobile, non c’è dubbio. Ma, a parte il giudizio morale, c’è una cosa che non mi torna.
FIGLIO – Quale ?
LUMEN – Mi sembra che i calcoli di vostro padre fossero un po’ sballati. Prima vi siete presa la metà del patrimonio; poi rientrando in famiglia siete tornato pari a vostro fratello e quindi padrone della metà di quello che era rimasto.
FIGLIO – Esatto.
LUMEN – Quindi, facendo due conti: tre quarti sono andati a voi, e solo un quarto a vostro fratello, che era un uomo onesto, rispettoso, lavoratore, ed era pure il primogenito. Mi sembra una divisione ben poco equa.
FIGLIO – Cosa volete: mio padre era un sentimentale. Comunque da allora, per coerenza, ho deciso di cambiare nome.
LUMEN – E come vi fate chiamate ora ?
FIGLIO – Il Furbo Prodigo.
LUMEN – E’ una storia triste la vostra ?
FIGLIO – Beh, triste e allegra, a seconda dei momenti. E comunque a lieto fine, almeno per me.
LUMEN – Bene, raccontateci.
FIGLIO – Mio padre era un ricco allevatore e coltivatore, ed aveva due figli: Figlio Maggiore ed io. Un bel giorno andai da mio padre e gli dissi: “Padre, dammi la parte del patrimonio che mi spetta”.
LUMEN – Una bella pretesa. E lui ?
FIGLIO – Mio padre non battè ciglio e divise tra sue sostanze tra me e mio fratello.
LUMEN – Da non credere. Vi sono luoghi in cui va tutto al primogenito.
FIGLIO – Eh, lo so. Dopo pochi giorni, raccolte le mie cose, partii per un paese lontano e là sperperai tutte le mie sostanze vivendo da dissoluto.
LUMEN – Cioè ? Fateci qualche esempio..
FIGLIO – Non è difficile da immaginare: donnine allegre, compagnie, mangiate, bevute, giochi, divertimenti….
LUMEN – Quindi fu un periodo felice, per voi ?
FIGLIO – Molto felice: non mi sono mai divertito tanto.
LUMEN – E poi ?
FIGLIO – Poi, quando ebbi speso tutto, in quel paese venne una grande carestia ed io cominciai a trovarmi nel bisogno.
LUMEN – Una bella sfortuna.
FIGLIO – E chi poteva immaginare ?
LUMEN – Che faceste, allora ?
FIGLIO – Andai a servizio di uno degli abitanti di quella regione, che mi mandò nei campi a pascolare i porci.
LUMEN – Beh, trovaste comunque un lavoro.
FIGLIO – All’epoca un lavoro lo si trovava sempre; però quello era proprio un lavoraccio.
LUMEN – Non lo nego.
FIGLIO - Avrei voluto saziarmi con le carrube che mangiavano i porci; ma nessuno me ne dava. Allora ritornai in me stesso e mi dissi: “Quanti salariati in casa di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame !”.
LUMEN – Giusto !
FIGLIO – “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni”.
LUMEN – Una bella faccia tosta ! Ma in effetti, piuttosto che morire di fame…
FIGLIO – Appunto. Partii e mi incamminai verso la casa di mio padre. Quando ero ancora lontano mio padre mi vide…
LUMEN – … e vi corse dietro con un bastone !
FIGLIO – No, no, tutto il contrario. Commosso mi corse incontro, mi si gettò al collo e mi baciò.
LUMEN – Ah, questa poi…
FIGLIO – Io gli dissi: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio”.
LUMEN – E mi pare il minimo.
FIGLIO - Ma mio padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e rivestitelo, mettetegli l'anello al dito e i calzari ai piedi. Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
LUMEN – Un vero gentiluomo, vostro padre.
FIGLIO - E cominciammo a far festa.
LUMEN – Voi, d’altra parte, ci eravate abituato.
FIGLIO – Beh, in un certo senso…
LUMEN – Ma continuate, prego.
FIGLIO – Mio fratello, Figlio Maggiore, si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò un servo e gli domandò che cosa fosse tutto ciò. Il servo gli rispose: “È tornato tuo fratello e il padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si arrabbiò, e non voleva entrare.
LUMEN – E vorrei vedere ! Ne aveva tutte le ragioni.
FIGLIO – Mio padre allora uscì a pregarlo. Ma lui rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando, e tu non mi hai dato mai un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che questo tuo figlio che ha divorato i tuoi averi con le prostitute è tornato, per lui hai ammazzato il vitello grasso”.
LUMEN – E cosa rispose vostro padre ?
FIGLIO - Gli rispose: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”.
LUMEN – Un discorso alto e nobile, non c’è dubbio. Ma, a parte il giudizio morale, c’è una cosa che non mi torna.
FIGLIO – Quale ?
LUMEN – Mi sembra che i calcoli di vostro padre fossero un po’ sballati. Prima vi siete presa la metà del patrimonio; poi rientrando in famiglia siete tornato pari a vostro fratello e quindi padrone della metà di quello che era rimasto.
FIGLIO – Esatto.
LUMEN – Quindi, facendo due conti: tre quarti sono andati a voi, e solo un quarto a vostro fratello, che era un uomo onesto, rispettoso, lavoratore, ed era pure il primogenito. Mi sembra una divisione ben poco equa.
FIGLIO – Cosa volete: mio padre era un sentimentale. Comunque da allora, per coerenza, ho deciso di cambiare nome.
LUMEN – E come vi fate chiamate ora ?
FIGLIO – Il Furbo Prodigo.
Be', mi ha fatto piacere rileggere la parabola evangelica che conserva qualcosa di suggestivo: il padre che dimentica il torto del figlio e addirittura ordina feste e canti per lui è pur sempre commovente. Come comprensibile è pure il disappunto del fratello che non ha torto nel ritenere ingiustificati quei festeggiamenti. Ma il padre ha anche lui le sue ragioni - le ragioni del cuore di Pascal - o se si vuole le sue debolezze, un certo sentimentalismo: era perduto e l'abbiamo ritrovato, che bellezza! È stato un farabutto, ha scialacquato? Sì, è vero, ma è tornato, siamo di nuovo tutti insieme e felici. Sarà, pensa, il fratello, però a me non pare giusto lo stesso (e come dargli torto?). Oltretutto si sa che tra fratelli non corre spesso buon sangue, c'è rivalità. In conclusione: una bella, commovente parabola che però lascia il tempo che trova, dunque inutile. A meno che Gesù non voglia dirci che il figlio ritrovato grazie al perdono cambierà radicalmente vita, non mancherà più di rispetto al padre. Dunque il perdono paga. Vero. Sarebbe però interessante vedere i rapporti tra i fratelli dopo il ritorno del prodigo (che i tedeschi chiamano "perduto", der verlorene Sohn). Mi chiedo quanti italiani capiscano il senso della parola prodigo (scialacquatore - ma prodigo fa più fino, è parola più poetica).
RispondiEliminaComunque non sono d'accordo con la battuta finale: il Furbo Prodigo.
Insinui che il figliuol prodigo sia un calcolatore e abbia così fregato il fratello. Questo non lo sappiamo, è tornato piuttosto perché era disperato, moriva persino di fame. Non sappiamo poi se al momento di dividere l'eredità si terrà o meno conto che il cattivo figliolo ha già avuto la sua parte e non gli spettà di nuovo la metà, ma molto meno, magari niente.
Ma non escludiamo nemmeno che i fratelli nel prosieguo della storia si siano riconciliati e vogliano di nuovo fraternamente dividere i beni (improbabile, ma non impossibile).
"In illo tempore dixit Jesus". Mi dispiace ma non poche cose, anzi molte, di quelle che dixt Jesus in illo tempore" lasciano il tempo che trovano per il sottoscritto, sono cioè inutilizzabili: non sono parole né divine né nemmeno segno di profonda saggezza. Alcune cose però mi piacciono, semplicemente perché sono abbastanza sensate e ragionevoli, niente di più.
Come ti ha detto ho rivisto con grande interesse e piacere "Il Vangelo secondo Matteo" di Pasolini, un gran bel film - per alcuni uomini di Chiesa il più bel film su Gesù di tutta la storia del cinema - , ma Gesù non mi piace, è troppo cattivo (minaccia 70 volte l'inferno a chi non farà la volontà del padre suo - all'anima del Gesù misericordioso!)
<< Insinui che il figliuol prodigo sia un calcolatore e abbia così fregato il fratello. Questo non lo sappiamo, è tornato piuttosto perché era disperato, moriva persino di fame. >>
RispondiEliminaCaro Sergio,
non dico che il Figlio prodigo sia stato un calcolatore sin dall'inizio: era, evidentemetne, solo uno sventato.
Ma forse lo è diventato dopo il ritorno e l'incredibile accoglienza del padre.
Il vangelo avrebbe potuto dirci che il figlio prodigo, caduto folgorato dai propri errori, aveva poi rinunciato al suo status e magari anche alla sua parte in favore del fratello buono.
Ma non l'ha detto, perchè la parabola è tutta incentrata sul perdono e non sulla giustizia.
Ed è questo che non mi è piaciuto e che ho voluto mettere alla berlina.
*Ma non l'ha detto, perchè la parabola è tutta incentrata sul perdono e non sulla giustizia.
RispondiEliminaEd è questo che non mi è piaciuto e che ho voluto mettere alla berlina."
Mi sembra dunque che tu privilegi la giustizia - che è in effetti irrinunciabile. Il perdono è sicuramente qualcosa di bello, ma una "questione privata". Nessuno lo può pretendere, il concederlo o meno dipende da troppe variabili. Difatti credo che non sia nemmeno oggetto della giurisprudenza, non può esserlo (almeno così mi pare).
Un mio amico cattolico mi diceva recentemente che il saper perdonare è l'atto più eroico e meritorio di una persona. Era un discorso che mi faceva ad personam (si augurava che io ne fossi capace). Si riferiva anche a una storia vera del suo paese di un figlio che non era riuscito a perdonare il padre ed era morto nella disperazione. Io gli ho risposto che il gesto di perdonare non mi sembra per niente eroico, dipende da varie circostanze, e in genere è capace di perdono chi è in una posizione di forza e può perciò permettersi il bel gesto. Il perdono è "discendente", è il più forte che perdona il più debole (non ha senso che io perdoni il papa o il re).
Cesare sapeva perdonare i suoni nemici (legandoli così a sé). Ma era Cesare. Non ricordo che qualcuno invece perdonasse Cesare ...
E pur tuttavia penso che il perdono disinteressato in uno slancio di umanità sia qualcosa di positivo. Forse abbiamo persino bisogno di questi slanci, ma non si possono pretendere o programmare, come la solidarietà che quando la pretendi non è più tale (è imposizione, tasse).
<< E pur tuttavia penso che il perdono disinteressato in uno slancio di umanità sia qualcosa di positivo. Forse abbiamo persino bisogno di questi slanci, ma non si possono pretendere o programmare, come la solidarietà che quando la pretendi non è più tale (è imposizione, tasse) >>
RispondiEliminaSono d'accordo con queste tue considerazioni, che trovo ineccepibili.
Il perdono è un atto difficile ed anche meritorio (altrimenti si cade nella faida e nella vendetta) ma è anche profondamente personale.
Le regole sociali, invece, non possono prescindere dalla ricerca della giustizia.
Che può essere più o meno difficile da ottenere, e più o meno opinabile da individuare, ma è la base della convivenza sociale.