(Concludiamo l’analisi di Luigi De Marchi sulle cause psicologiche del fanatismo religioso)
(seconda parte). Lumen
<< Se la dottrina della Caduta e del Peccato Originale implicita nel testo biblico del Genesi colpi crudelmente la donna, l’amore e il libero pensiero, e scatenò nel mondo cristiano un processo tormentoso, e interminabile di colpevolizzazione, la dottrina millenaristica del Nuovo Testamento e della letteratura apocalittica, combinandosi con quella del Peccato Originale, ebbe effetti anche più crudeli e socialmente devastanti.
Come [noto] il cristianesimo (poi seguito dall’islamismo) adottò sostanzialmente lo schema millenaristico zoroastriano della “guerra santa”, interna ed esternalizzata, contro gli Infedeli, i miscredenti, gli eretici, quale premessa e preparazione della Grande Tenzone tra Bene e Male, del Millennio e del Giudizio Universale.
Nel
cristianesimo, l’urgenza di questa lotta implacabile contro le forze
del Male fu a lungo esasperata dalla predicazione apocalittica, che
annunciava ormai imminente la fine del mondo e
il Giudizio Finale.
Al di là delle modalità storiche (…), vorrei analizzare brevemente il meccanismo psicologico che sta alla base di questo (come d’ogni altro) fanatismo millenaristico e della sua ossessiva aggressività, perché esso è stato ed è tuttora un fattore determinante della violenta bellicosità e conflittualità che da millenni tormenta la specie umana.
Alla base, come sempre, sta lo shock esistenziale, la presa di coscienza della morte, la reazione di panico della scimmia umana.
Ma, come si è visto, presto la morte viene vissuta come punizione per un’offesa alla divinità: e il mito biblico testé analizzato è l’esempio forse più famoso e articolato di questa “spiegazione”.
Da
questa interpretazione a base di offese e punizioni non può andare
disgiunto un forte senso di colpa, e difatti una spirale interminabile
di colpevolizzazione ha sempre caratterizzato il
mondo cristiano, ove il processo è stato esasperato dalla crocifissione
del Messia.
Era inevitabile, ed è puntualmente accaduto, che in queste religioni, come il cristianesimo e l’islamismo, ove il rapporto con Dio è costantemente minacciato dal senso di colpa (come attestano i rituali penitenziali sempre più tirannici), si sviluppasse un processo di proiezione paranoicale, con cui la colpa veniva scaricata all’esterno, contro gli Infedeli e quanti osavano ripetere “hic et nunc” quella ribellione o disobbedienza al Vero Dio e alla Vera Fede che il fanatico sentiva gravare sul suo passato. (…)
Se, come ha osservato Laborit, l’animale sottoposto a un forte shock tende a reagire o con l’attacco o con la fuga e se, come ha sostenuti Reich, l’angoscia provoca una mobilitazione del “simpatico” che può trovare sollievo e scarica nell’aggressione, non c’è davvero da sorprendersi che lo shock esistenziale e la forte angoscia di morte dell’essere umano abbiano potuto produrre un più alto livello di aggressività nella specie umana.
La
declinazione paranoicale millenaristica, insomma, potrebbe essere
spiegata non solo in termini di proiezione dei sensi di colpa derivanti
dai propri peccati (passati e presenti), ma ancor
prima da una pura e semplice trasformazione dell’angoscia di morte in
aggressività e distruttività. (…)
L’asserzione dell’immortalità, cioè la negazione della morte, è riconosciuta da tempo e universalmente come il fondamentale denominatore comune di tutte le religioni, dalle più antiche alle più recenti, dalle più semplici alle più complesse. (…) Ciò che colpisce, viceversa, è la scarsezza di elaborazione e di analisi su questo dato (…) e sull’impatto profondo che esso non può non avere avuto sullo sviluppo delle culture umane e sulle loro vicende così tormentate, aberranti, sanguinose. (…)
In particolare, sebbene molti ricercatori riconoscano che la funzione centrale del pensiero magico-religioso sta nell’assicurare la sopravvivenza oltre la morte e una valida difesa dai pericoli mortali nella vita terrena, ben pochi sembrano capire la natura prevalentemente esistenziale (e non socio-politica) dell’enorme influenza esercitata in ogni tempo e in ogni paese dalla religione e dalle sue gerarchie, nè, quindi, la vastità della crisi psicologica aperta nell’uomo moderno dal crollo delle certezze religiose.
Queste certezze furono sicuramente demolite, a partire dal Rinascimento, dall’irruzione del pensiero razionalistico e scientifico, ma questa, a sua volta, fu facilita dalla crisi in cui la difesa religiosa cristiana era piombata alla fine del XIV secolo, proprio per alcune sue intrinseche contraddizioni.
Ancora
una volta queste contraddizioni erano di natura essenzialmente
psicologica: esse consistevano soprattutto nel senso di colpa e nella
fatale escalation dei riti penitenziali e degli
atti riparatori destinati a placarlo.
Al già forte senso di colpa inerente al dogma del peccato originale (necessario a sua volta a spiegare la morte in termini di punizione) il cristianesimo aveva aggiunto il senso di colpa derivante dalla crocifissione del Cristo salvatore.
Inoltre,
vari insegnamenti evangelici, proprio con la loro affascinante
profondità e ambiguità, finivano per gettare un’ombra sempre più lunga e
insuperabile sulla certezza della salvazione.
Basti ricordare il monito di Gesù: “Gli ultimi saranno i primi” o [il fatto] che Dio, nel giorno del Giudizio Finale, avrebbe detto a quanti si ritenevano reprobi: “Venite e sedete alla mia destra” e a quanti si ritenevano giusti: “Siate maledetti! Andate ad ardere nel fuoco della Geenna”.
Era
inevitabile che si producesse nel cristianesimo, o almeno in quella
forma di cristianesimo paranoicale che storicamente prevalse, un
ossessivo aumento della paura della dannazione e un
parallelo ossessivo aumento dei cerimoniali propiziatori e
penitenziali.
La difesa religiosa cristiana, diffusasi rapidamente ed estesamente come antidoto al terrore della morte, in quanto annichilimento totale della persona, fini per sviluppare un terrore anche più insostenibile: il terrore della morte come dannazione e tormento eterni.
La psiche delle popolazioni cristiane si trovò così a essere letteralmente allagata da questa nuova ondata d’angoscia. (…)
Beninteso, l’angoscia della morte era sempre stata, come si è visto, alla radice del pensiero religioso e della cultura umana in quanto tale. Durante il Medioevo cristiano, però, la difesa religiosa aveva funzionato sufficientemente bene, assicurando la certezza che una vita condotta secondo i principi dettati dall’autorità ecclesiastica poteva salvare dai tormenti della dannazione eterna.
Via via che le condizioni da soddisfare per ottenere la salvezza venivano complicate e inasprite per i meccanismi tipici di ogni rituale ossessivo penitenziale o propiziatorio, però, l’angoscia della dannazione divenne sempre più insopportabile.
E
qui va cercata la fonte delle ossessioni penitenziali, delle
auto-flagellazioni, dei cilici, come anche dell’ossessiva
rappresentazione della morte nella pittura e nella letteratura devota.
(…)
Insomma, come spesso accade anche nelle nevrosi individuali, la difesa religiosa contro l’angoscia di morire finì per produrre un’angoscia - l’angoscia di dannazione - anche più intollerabile di quell’angoscia di morte che essa voleva esorcizzare. Il risultato fu che la difesa religiosa divenne troppo costosa e cominciò a essere gradualmente abbandonata.
Così (…) con l’Umanesimo ed il Rinascimento si cominciarono ad apprezzare i vantaggi dello scetticismo religioso. (…)
Un’altra fonte tipicamente religiosa di incremento dell’angoscia cristiane di morte e di dannazione fu la Riforma Protestante. (…)
Uomo
di grande religiosità, Lutero visse con disperata serietà il suo
rapporto con Dio. Per vari anni, all’inizio del suo periodo monastico,
egli si sforzò di conquistare il favore divino
con un ascetismo sempre più esigente, ma era continuamente turbato dal
timore di non aver fatto abbastanza, di non esseri sottoposto a
penitenze e discipline sufficienti.
Egli era quindi caduto nella tipica trappola della difesa ossessiva contro l’angoscia, di cui abbiamo testé parlato. Nemmeno il ricorso alla confessione sembrava aiutarlo, perché il povero Lutero non riusciva proprio a ricordare e tanto meno a riconoscere tutti i suoi peccati. (…)
Egli cominciò quindi,ad avvicinarsi alla teoria della predestinazione, che attribuiva la salvezza o la condanna a un imperscrutabile atto di volontà divina, anteriore alla nascita degli esseri umani.
Questa
teoria aveva del resto nella tradizione giudaico-cristiana precedenti
illustri e antichi. Nell’Antico Testamento, sono numerosi i passi che si
riferiscono implicitamente alla predestinazione
(…).
Nel Nuovo Testamento, si possono ricordare i brani del Vangelo di Giovanni in cui si afferma che Iddio onnipotente ha dato a Cristo i nomi degli uomini “chiamati alla salvezza”.
Ma
fu soprattutto con la predicazione paolina e agostiniana che il concetto
di predestinazione assunse un’articolazione e un’autorità particolari.
“Quelli
che ha predestinati - scrive Paolo nella Lettera ai Romani - li ha pure
chiamati; e quelli che ha chiamati, li ha pure giustificati, li ha pure
glorificati.” (…)
A sua volta sant’Agostino sostenne che la stessa vocazione era un atto sovrano e imperscrutabile di Dio che non dipendeva dall’accettazione umana ed era non solo vocazione alla grazia ma anche alla gloria.
Chiaramente,
di fronte a questa imperscrutabilità dei disegni divini, tutto quanto
l’uomo poteva fare era appunto di affidarsi totalmente alla fede.
La teoria protestante della salvezza attraverso la fede ha dunque la sua prima radice nella profonda angoscia di morte e di dannazione del giovane Lutero: angoscia di dannazione che, del resto, abbiamo visto essere comune a tutto il mondo cristiano verso la fine del Medioevo.
Su
quest’angoscia di dannazione, le gerarchie ecclesiastiche cattoliche
avevano scoperto la possibilità di imbastire un’autentica industria: il
cosiddetto commercio delle indulgenze, che era
divenuto uno dei massimi cespiti della Chiesa di Roma.
Lutero fu testimone di questo scandaloso commercio (…) ed indignato per questo baratto (…) pubblicò infine le sue “Novantacinque Tesi” (…) con cui ebbe inizio la rivolta protestante contro l’infallibilità papale. (…)
Alla
radice della Riforma Protestante (e forse più ancora delle sue
esasperazioni calviniste e zwingliane) sta quindi, ancora una volta,
l’angoscia di morte e l’esito paradossalmente angoscioso
che aveva avuto, alla fine del Medioevo, la difesa eretta contro di
essa dalla religione cristiana. >>
LUIGI DE MARCHI
Sì, un'argomentazione plausibile, logica e convincente - ma a cui ho obiettato già qualcosa in privato (e che - su tuo suggerimento - potrebbe costituire argomento per la prossima puntata del blog).
RispondiEliminaOttima idea. Vediamo quello che ne viene fuori.
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