venerdì 26 novembre 2021

Elogio del riciclaggio

Quando si parla di “riciclaggio” in senso giuridico, si intende una attività illecita, consistente nel recupero economico (”pulizia”, in inglese “laundry”) del denaro proveniente da attività criminose.

Ma, se utilizziamo il termine in senso meramente economico, cioè come attività di recupero e riutilizzo dei beni e dei materiali di consumo, ecco che abbiamo un comportamento altamente positivo ed encomiabile, che può rappresentare un freno importante (ed intelligente) al degrado ambientale.

Il testo che segue, scritto da Donato Berardi, è tratto dal sito LA VOCE INFO.

LUMEN


<< Ogni cittadino auropeo consuma in media 15 tonnellate di materie prime all’anno e produce circa 4,5 tonnellate di rifiuti. Un’economia in grado di massimizzare attività come il riuso e la preparazione al riutilizzo potrebbe abbattere contemporaneamente sia lo spreco di risorse sia la produzione di rifiuti.

E cosa c’è di più “circolare” di azioni come la riparazione, la rigenerazione e la preparazione al riutilizzo di materiali arrivati a fine vita? Di azioni capaci di evitare la produzione di scarti non recuperabili e quindi destinati alla distruzione e alla discarica? E di azioni in grado di generare vantaggi economici e ambientali? (...)

Eppure, benché siano al vertice della cosiddetta “gerarchia dei rifiuti” (e dunque tra le opzioni preferibili), riuso e preparazione al riutilizzo non hanno finora goduto di grande considerazione.

Collocandosi in una sorta di “terra di mezzo” tra il mondo dei rifiuti e quello dei non rifiuti, hanno sofferto la mancanza di regole chiare e la carenza di capacità organizzative e imprenditoriali, per finire relegate al ruolo di comprimarie. E, soprattutto, sia dal livello nazionale che locale non hanno attirato quegli investimenti o incentivi economici che avrebbe consentito il salto di qualità in questo ambito, professionalizzando e remunerando le risorse impiegate.

Rispetto alle altre opzioni, sia il riuso che la preparazione richiedono, certamente, qualcosa in più, ossia un vero cambio di approccio, dove l’attenzione si sposta su tutto il ciclo di vita del bene, dalla progettazione fino alla possibilità che attraverso processi di riparazione, rigenerazione, upgrading, disassemblaggio, il prodotto o parti del prodotto possano continuare a svolgere la stessa funzione, o funzioni differenti, all’interno di un nuovo prodotto.

Non è quindi un tema di quantità di beni immessi nel mercato, quanto piuttosto della loro qualità: i beni devono essere concepiti sin dall’inizio per favorirne riparazione, rigenerazione e riciclo.

Qualche passo in avanti si sta facendo. Nel caso degli imballaggi in plastica, ad esempio, il contributo ambientale pagato dai produttori è calibrato in modo da premiare quelli riciclabili. Ma si tratta di una eccezione.

Per le apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee), ove chiaramente esiste un potenziale per rigenerazione e riciclo, gli incentivi alla riciclabilità previsti nel 2016 sono rimasti lettera morta, perché i costi del complesso iter amministrativo superano abbondantemente i benefici (abbattimento dei target di riciclaggio).

Ma vi è una differenza tra riutilizzo e preparazione per il riutilizzo? Sì, e riguarda quel confine che distingue un “prodotto” da un “rifiuto”. Se il primo è già pronto per l’impiego nella catena del valore, il secondo ha bisogno dell’avvio di un percorso di trattamento per tornare a far parte del ciclo produttivo.

Infatti, se il riutilizzo riguarda un prodotto o una componente che non è rifiuto e si colloca, dunque, nell’ambito della prevenzione, la preparazione per il riutilizzo si riferisce a un prodotto – o a una componente – diventata rifiuto, e pertanto necessita di una autorizzazione.

Diverso è il caso della riparazione e rigenerazione, che rientrano nelle attività di prevenzione rispetto alla produzione di rifiuti. Si tratta di operazioni che, come il riutilizzo, riguardano a tutti gli effetti prodotti, non rifiuti, e che pertanto dovrebbero essere preferibili a ogni altra forma di gestione del rifiuto, proprio perché orientate a prevenirne la produzione. (...)

In Italia, le attività di preparazione e riutilizzo interessano annualmente tra le 600 e le 700 mila tonnellate di rifiuti, circa il 2 per cento della produzione di rifiuti urbani e che potrebbero essere sottratti al trattamento e allo smaltimento. Da dati forniti dalla Rete degli operatori nazionali dell’usato, il mercato dell’usato in conto terzi muove circa 850 milioni di euro l’anno e riguarda circa 3mila iniziative stabili, mentre il segmento che impiega più persone è quello dell’ambulantato.

Una tendenza in forte crescita, che parzialmente rimpiazzerà i mercati “fisici”, è rappresentata dai mercatini per l’usato on-line. Oltre ad alcuni colossi dell’e-commerce come eBay, che già a metà degli anni Novanta aveva intuito il potenziale della compravendita online di prodotti nuovi e usati, e a Facebook, che dal 2016 ha introdotto un marketplace che coinvolge gli utenti del social network, si moltiplicano le aziende che consentono di vendere e acquistare prodotti usati sul web.

La tecnologia ha favorito negli anni lo sviluppo di questo segmento, consentendo attraverso app mobile di semplificare l’incontro tra domanda e offerta. (…) La sfida da vincere, invece, è quella di trasformare un settore ancora caratterizzato dall’economia informale in una gestione professionale, capace di produrre valore economico e sociale.

Complessivamente, infatti, con la rigenerazione ed il riuso si creano benefici economici, oltre che ambientali, almeno su altri tre fronti.

Primo, per i produttori, che ottengono risparmi sui costi di produzione, potendo erogare servizi ai clienti nelle fasi post-vendita e migliorando la fidelizzazione. Secondo, per i consumatori finali, visti i costi inferiori di un bene rigenerato rispetto al nuovo. Terzo, per l’occupazione in generale, considerato che “rigenerazione / riuso / preparazione al riuso” sono attività ad elevato tasso di manodopera, che può permettere di recuperare parte della disoccupazione originata dalla delocalizzazione produttiva e dall’automazione.

Puntare sempre più in alto, dritti verso il vertice della piramide rovesciata della gerarchia dei rifiuti, non è certo un pranzo di gala, ma un processo faticoso e articolato che richiede volontà, lungimiranza e capacità, fattori che vanno messi in rete e a servizio di una idea di economia circolare concreta e giusta. >>

DONATO BERARDI


12 commenti:

  1. Purtroppo, anche l'idea di una economia fondata sul riciclo ad oltranza ha i suoi punti deboli. Ecco cosa ne scrive Luca Pardi:

    << Il disegno teorico dell’economia circolare nella quale tutto ciò che si consuma ritorna nel sistema attraverso un sempre più efficiente sistema di riciclaggio è largamente illusorio. (...).
    Probabilmente si potrebbe, spingendo al massimo, garantire un riciclo dei materiali intorno al 90%, livello fantasmagorico rispetto al tasso di riciclo attuale, ma anche questo tasso fantasmagorico, mantenendo l’attuale paradigma industriale, sarebbe un mero rallentamento dell’economia lineare, non l’instaurazione dell’economia circolare (...).
    È un problema termodinamico. Spingere sempre più in alto il tasso di riciclo materiale significa andare a raccogliere e differenziare anche le parti più piccole e disperse dei manufatti, separarle dalle altre, identificare la loro natura, depurarle e rimetterle in ciclo.
    Ognuno di questi passaggi richiede un apporto di energia e più si spinge sull’acceleratore del riciclo, quindi più accurata è la separazione, più il costo energetico cresce. Alla fine il sistema non regge tassi troppo elevati di riciclo. >>

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    1. Dunque non si scappa alll'entropia. Ma l'entropia cresce in un sistema chiuso, non aperto. Si tratta di vedere se il sistema Terra è chiuso (e perciò condannato all'entropia) o invece aperto per l'afflusso di energia extraterrestre, a cominciare dal sole. Chiedo agli esperti, io non me ne intendo.

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    2. Per quel che ho letto io, la Terra è, sotto il profilo dell'entropia, un sistema sostanzialmente chiuso, in quanto scambia con l'universo solo energia (soprattutto col sole), ma pochissima materia (pochissima su base cosmica).
      Se però qualcuno ha informazioni più approfondite, è il benvenuto.

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  2. Si, anche secondo il sottoscritto dal punto di vista termodinamico la Terra e' un sistema sostanzialmente chiuso... Secondo la maggior parte degli esperti lo e' addirittura l'intero Universo, che dunque sembra procedere (in tempi peraltro lunghissimi su scala antropica..) verso la definitiva "morte termica" (perfetto equilibrio termodinamico, in cui cessa qualsivoglia scambio materio-energetico)! Qualcuno più "ottimisticanente" ipotizza invece reiterati cicli termodinamici globali... Saluti

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    1. Grazie Claude.
      Per quanto riguarda la sorte ultima dell'universo, anche io (per quel che vale), considero più probabile una 'morte termica' da entropia, piuttosto che un big crunch.
      Ma sono, ovviamente, semplici speculazioni teoriche, fini a se stesse.

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    2. In effetti, mai come in quel caso ci si trova ai confini non soltanto della Conoscenza (attuale) ma anche del Conoscibile (in quanto tale)... Cmq sempre meglio delle antiche (sebbene a volte simpatiche) mitologie cosmogoniche...

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    3. Cosmogonie che poi, a ben vedere, non spiegavano nulla.
      Ma i popoli antichi ci si accontentavano.

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  3. Ma l'universo e ora anche il multiverso "sono" sicuramente (dubitarne è impossibile, dovremmo dubitare anche di noi stessi) e costituiscono la totalità dell'essere una volta attribuita a Dio). A noi è dato di conoscere una minima parte della totalità, qualcosa del passato e del presente, e sul futuro possiamo fare congetture più o meno fondate e niente di più. Come finirà l'universo non lo sappiamo con certezza. Ma finirà, può finire? Impossibile, direi. In qualche modo la "storia" deve continuare (big crunch e nuovo big bang, "infiniti" crunch e bang?). Ma c'è davvero stato un inizio, il big bang appunto, oppure lo stato della materia è un'oscillazione continua, senza inizio né fine?

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    1. Sono domande che fanno, in effetti, vacillare.
      Se c'è stato un big bang (ipotesi ormai prevalente) e tutto è iniziato in qul momento, prima non c'era nulla.
      Ma allora la materia da dove è scaturita ?
      Dall'energia, si potrebbe dire, data la formula di equivalenza scoperta da Einstein.
      E l'energia ? Boh, non lo sappiamo.
      L'unica cosa certa è che Dio, poveretto, è finito fuori gioco e la sua 'idea' diventa sempre più favolistica.

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    2. Senza contare che secondo numerosi filosofi & scienziati all'Universo inteso come Totalita'le ns usuali categorie/coordinate spazio-temporali semplicemente NON sono applicabili... Saluti (Claude)

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  4. COMMENTO DI GPVALLA

    Mi pare che le problematiche relative al riuso e al riciclaggio siano diverse e indipendenti: un bene può essere estremamente durevole ma, una volta non più funzionante, impossibile da riciclare; oppure può guastarsi subito ma essere al contempo perfettamente ed integralmente riciclabile
    Quanto al riciclaggio, c'è ben poco da aggiungere a quanto esposto da Pardi: è impossibile giungere ad una economia perfettamente circolare.
    In ordine al recupero/riuso, sarò cinico ma credo che lo sviluppo del settore abbia poco a che fare con un'accresciuta coscienza ambientale, ma che sia piuttosto uno dei sintomi del protratto impoverimento di gran parte della popolazione, almeno in Italia. Le motivazioni ecologiche che spesso compaiono nella pubblicità televisiva delle app per la vendita di abiti e oggetti usati sono inserite solo per indorare la pillola.
    In generale comunque non credo che il maggior recupero dei beni usati possa incidere in modo significativo sulle problematiche ambientali: occorrerebbe una completa ridefinizione della struttura economica mondiale.
    È significativo del resto che non siano state finora adottati provvedimenti per combattere l'obsolescenza programmata dei beni. Al contrario, molte politiche cosiddette "verdi" della Unione Europea vanno di fatto nella direzione opposta. È il caso della pretesa di sostituire a breve le auto a benzina con quelle elettriche, o delle normative sempre più stringenti contro l'inquinamento, che porteranno inevitabilmente alla rottamazione di un gran numero di autovetture perfettamente funzionanti, che avrebbero potuto essere utilizzate ancora per anni.

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    1. Caro Beppe, condivido le tue osservazioni, soprattutto quella sul riuso causato non da nobili motivi ecologici, ma dal più banale (e triste) impoverimento della popolazione.
      Riuso che era già la strategia ordinaria dei nostri nonni, i quali della limitatezza delle risorse dovevano fare virtù.

      Centratissimo anche il richiamo all'obsolescenza programmata, che da sempre rappresenta una delle strategie trainanti della società dei consumi.
      Su questo aspetto si potrebbe fare molto, a livello normativo, ma gli interessi delle elites industriali vanno, ovviamente, nella direzione opposta; e la politica si adegua.

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