venerdì 26 luglio 2019

La fine del debito

E’ opinione diffusa che uno dei principali pericoli che minacciano l’economia mondiale sia costituito dal continuo aumento del debito finanziario, divenuto ormai eccessivo e che nessuno sa bene come affrontare.
Perché – come ci racconta Jacopo Simonetta nell’articolo che segue (tratto da Effetto Cassandra) - le opzioni per contenerlo, teoricamente, ci sono, ma tutte presentano dei limiti o delle importanti controindicazioni.
Quel che possiamo dare per certo è che, prima o poi, qualcosa succederà; ma cosa ?
LUMEN


<< Oggi l’intero sistema [dell’economia capitalista] si basa su di una crescita costante ed equilibrata di debito e PIL. La parola magica qui è “equilibrata”, perché l’intera massa monetaria è formata da debito, pubblico e privato, che dovrà quindi essere restituito con l’interesse affinché si possano fare nuovi debiti e così via, teoricamente all'infinito.

L’idea sottostante è che finché l’economia complessiva (reale e finanziaria) cresce in proporzione al debito, questo sarà ripagato ed il gioco potrà continuare per sempre. E se per fare questo bisogna distruggere risorse ed ambiente, rendere tossiche l’aria e l’acqua, rendere ostile il clima, spazzare via civiltà e culture, sovvertire strutture sociali pazienza; tanto l’ingegno umano troverà sempre il modo di rimediare. Anzi, dal momento che la soluzione dei problemi creati dalla crescita richiede spesso grossi investimenti, i problemi stessi diventano motori di ulteriore crescita. Evviva!

Un giochino che chiaramente funziona solo se non si tiene conto che gli uomini sono oggetti materiali, così come tutto ciò che usano, consumano e scartano; un “dettaglio” che li rende soggetti alle leggi della fisica, della chimica e dell’ecologia, assai più che alla magia dei modelli teorici. Comunque, è un fatto che non solo nelle economie sommergenti, ma anche in quelle emergenti il debito sta crescendo troppo rapidamente rispetto all'economia (o l’economia cresce troppo lentamente rispetto al debito, come si vuole).

Per essere più precisi: in tutto il mondo si vede chiaramente che il rapporto debito-PIL è entrato in una fase di ritorni decrescenti. Significa che per ottenere un medesimo livello di crescita, è necessario un sempre maggiore incremento del debito. Incuranti dei limiti fisici alla crescita, per parecchi anni l’aumento del debito è stato favorito da banche e governi, sperando che ciò rilanciasse la crescita, ma anche quando ha funzionato non è stato abbastanza ed ora tutte le economie nazionali del mondo si trovano alle prese con un debito sostanzialmente fuori controllo.

Che fare? Non è certo la prima volta che degli stati si trovano sommersi da un debito impagabile e ci sono parecchi modi per uscire dalla stallo. Vediamoli brevemente.

L’austerità consiste nel contenere al massimo le spese e, contemporaneamente, cercare di aumentare le entrate con ogni mezzo. Cosa che, nel caso dei governi, significa tagliare i servizi ed aumentare le tasse. In alcuni casi ha funzionato. Per esempio, l’Inghilterra del XIX secolo riuscì in questo modo a ripagare l’enorme (per allora) debito contratto durante le guerre napoleoniche. Ma la cosa richiese circa un secolo e fu possibile grazie al fatto che, in quello stesso periodo, l’Inghilterra era la maggiore potenza coloniale del mondo e la sua economia cresceva comunque, malgrado un livello di povertà estremo per la maggior parte della sua popolazione. (…)

In un contesto di stagnazione o, peggio, di recessione, l’austerità non fa che accrescere le difficoltà delle persone, senza risolvere la situazione debitoria. In altre parole, l’austerità è un eccellente strumento preventivo se usato per rallentare la crescita (oltre che per ridurre il debito) nei periodi economicamente favorevoli, in modo da alleviare la situazione nei seguenti, immancabili, periodi sfavorevoli. Se, invece, la si usa crisi economica durante, può aggravare anche di molto la situazione (Grecia e Italia docunt).

La ricusazione significa che il debitore dichiara che non pagherà determinate somme, appellandosi ad una qualche motivazione legale, oppure mediante un accordo con i creditori o ancora con un'azione di forza. Ad esempio è stato parzialmente fatto per la Grecia (il cosiddetto “haircut”). Inutile dire che ciò è possibile solo in casi molto particolari e parziali. Nel caso degli stati, quando la cosa è trascurabile dal punto di vista dei creditori; oppure se questi hanno una contropartita politica di altro genere. Comunque, bisogna che chi ricusa il debito sia in una posizione di forza nei confronti del creditore o, perlomeno, è necessario sia in grado di concordare con i creditori una strategia di interesse comune poiché, se la ricusazione favorisce chi riduce il proprio debito, danneggia chi vede invece svanire il proprio credito.

La bancarotta significa che il debitore non paga perché non può. Nel caso di privati, i creditori si rivalgono sui beni del debitore, finché ce ne sono. Nel caso degli stati, significa che i servizi pubblici, gli stipendi, le pensioni e molto altro svaniscono nel nulla, per poi eventualmente riapparire sotto differenti spoglie, ma comunque drasticamente ridimensionati. Per i cittadini dello stato in questione si tratta comunque di stringere molto la cintura, ma non solo. Il rischio sistemico è che la bancarotta di un soggetto importante può provocare effetti a catena imprevedibili. Il caso di Lehman Brothers è solo il più recente e conosciuto. La bancarotta di uno stato economicamente importante potrebbe scaraventare nel caos la finanza mondiale.

La crescita è considerata la panacea di tutti i mali. Se, infatti, l’economia cresce più rapidamente del debito, questo sarà ripagato senza problemi e con grande soddisfazione di tutti. Solo che se ci sono dei problemi, tipo la progressiva riduzione della produttività dell’energia o l’incremento delle esternalità negative (inquinamento, sanità, bonifiche, ecc.), la crescita economica reale sarà limitata o addirittura negativa (anche a fronte di un PIL positivo). Cioè la crescita, anche quando ci fosse davvero, non può pagare un debito in territorio di “ritorni decrescenti”. In altre parole, il keynesismo ha funzionato nel contesto in cui lavorava Keynes. Nel contesto attuale, almeno in molti casi, no. Anzi si traduce in un ulteriore accelerazione del debito.

La privatizzazione consiste nella vendita a privati del patrimonio pubblico. Una cosa che ha senso solo in misura molto limitata. Abbiamo infatti visto che il patrimonio netto degli stati (perlomeno di quelli occidentali, su cui si hanno dati affidabili) è circa zero in quanto il valore del debito pubblico equivale grosso modo al valore del patrimonio pubblico. Ciò significa che, teoricamente, gli stati potrebbero azzerare il debito vendendo strade, caserme, palazzi ed uffici governativi, navi da guerra, scuole, gendarmerie, ecc. Ma a parte il fatto che per alcuni di questi “asset” non sarebbe facile trovare compratori, una simile operazione comporterebbe che invece di pagare un interesse sul debito, gli stati dovrebbero pagare degli affitti per continuare ad usare le infrastrutture e le attrezzature essenziali al loro funzionamento. Non un grande affare.

L’imposta straordinaria sul patrimonio (alias Patrimoniale) consiste nell'imporre un prelievo massiccio sui patrimoni privati. Piketty valuta che, complessivamente in Europa, un prelievo del 15% dei patrimoni privati sarebbe sufficiente ad azzerare il debito degli stati, liberando ingenti risorse pubbliche per investimenti e/o ridurre la tasse sul reddito. Apparentemente fattibile, specie se la misura fosse ben studiata nel dettaglio, gradualizzandola nel tempo ed articolandola per scaglioni con quote di imposizione fortemente progressive così da proteggere i piccoli risparmiatori e torchiare i super-capitalisti.

Del resto, provvedimenti del genere si sono già visti in casi di emergenza. La tassa straordinaria sui patrimoni imposta dal primo governo De Gaule nel 1945 raggiunse il 25% per lo scaglione più alto. USA ed Inghilterra, durante la II Guerra Mondiale, arrivarono a tassare per il 90% l'aliquota massima dei redditi. Dunque perché non si fa? Lo stesso Piketty (…) ammette che non è così facile come sembra. Intanto i grandi e grandissimi capitalisti sono persone ben addentro alle stanze del potere, dove hanno ampio margine per influenzare le decisioni politiche. (…)

Un secondo motivo è che i grossi capitali finanziari mutano in continuazione di natura e localizzazione, cosicché è praticamente impossibile tracciarli con sicurezza. Ma non basta: anche i capitalisti possono spostarsi con estrema facilità nei paesi che gli offrono le condizioni migliori. (…) Un provvedimento di questo genere, oggi, potrebbe essere efficace solo se concordato e coordinato dai tutti gli stati principali. Diversamente, sarebbe un'ulteriore "stangata" alla classe media, come già avvenuto con le patrimoniali che si sono succedute nei decenni scorsi.

L’inflazione è da molti considerata l’ultima e più efficace delle medicine, ampiamente usata da tutti gli stati durante il XX secolo. Se il denaro perde di valore ad un tasso superiore a quello dell’interesse, il debito gradualmente diminuirà fino a diventare insignificante; così da permettere l’accensione di nuovi debiti a tassi maggiori che, però, saranno a loro volta surclassati dall'inflazione. E’ sostanzialmente così che tutti i paesi europei si sono sbarazzati degli immensi debiti conseguenti la II Guerra Mondiale e la ricostruzione.

Ed è la strategia che da un paio di anni ha avviato la BCE, su pressante insistenza di parecchi stati dell’UE (fra cui l’Italia). Ma anche questa medaglia ha un rovescio: assieme ai debiti svaporano i risparmi, gli stipendi e le pensioni, tranne per coloro che sono in grado di fare investimenti molto redditizi, o di ottenere aumenti frequenti e consistenti.

Nel periodo del “miracolo economico” postbellico, la combinazione di una forte crescita economica e di agguerrite organizzazioni sindacali fece si che la maggior parte delle persone non ebbero a soffrire dell’elevata inflazione (al netto di qualche vecchio possidente). Viceversa, il contesto di stagnazione (o recessione) in cui vivono e vivranno la maggior parte degli occidentali (e poi anche degli altri) fa sì che l’inflazione oggi non sia che un sistema molto efficace per pompare soldi dalle tasche dei cittadini, al netto di coloro che possono contare su stipendi molto elevati e/o di patrimoni molto importanti.

Insomma, come dicevano sia Keynes che Lenin, l’inflazione è il modo più efficace con cui uno stato può appropriarsi della ricchezza dei cittadini senza che questi si possano difendere. In altre parole, l’inflazione tende a favorire chi ha molti debiti (a partire dallo stato), chi dispone di grandi patrimoni finanziari e chi è in grado di accrescere rapidamente le proprie entrate, mentre danneggia tutti gli altri e soprattutto le “formichine”. (…)

Il debito pubblico e privato stanno schiacciando le economie del mondo, sia pure con situazioni molto diverse a seconda dei paesi. Ci sono molti modi per sbarazzarsene, ma tutti hanno un punto in comune: i super ricchi se la cavano, mentre la gente normale si fa molto male. Finché il debito permane e cresce, si soffre perché bisogna pagarlo (direttamente od indirettamente); quando cessa, invece si soffre perché svaniscono anche buona parte dei risparmi, degli stipendi e delle pensioni. Amen. >>

JACOPO SIMONETTA

8 commenti:

  1. Per chi fosse interessato all'argomento dell'inflazione.

    Questa è una citazione di Keynes:
    << Sia l'inflazione che la deflazione hanno prodotto gravi danni. Entrambi i processi operano sulla distribuzione della ricchezza fra le varie classi e, sotto questo aspetto, l'inflazione risulta peggiore.
    Entrambi i processi agiscono anche come accelerazione o rallentamento della produzione di ricchezza, ma in questo caso più dannosa è la deflazione. >>

    E questa invece è una citazione di Lenin (che vedeva nell'inflazione una specie di arma contro il capitalismo).
    << Centinaia di migliaia di rubli sono stati emessi quotidianamente dal nostro Tesoro.
    Questo non viene fatto per riempire le casse dello stato con carta praticamente senza valore, ma con l'intenzione deliberata di distruggere il valore del denaro come mezzo di pagamento.
    Non vi è alcuna giustificazione per l'esistenza del denaro nello stato bolscevico, in cui le necessità della vita devono essere pagate solo col lavoro. (...)
    Il modo più semplice per sterminare lo spirito del capitalismo è quindi quello di inondare il paese con banconote prive di garanzie finanziarie di qualsiasi tipo. >>

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  2. Una statistica presa dal web (abbastanza recente), a proposito del debito finanziario mondiale:

    << secondo le stime del FMI (Fondo Monetario Internazionale), alla fine del 2013 le attività finanziarie sull’intero globo terrestre assommavano a 993 bilioni di dollari (993 mila miliardi) mentre il prodotto lordo mondiale (World Bank) si attestava sui 75 bilioni di dollari (75 mila miliardi).
    In altre parole, il capitale finanziario era oltre 13 volte il prodotto della economia “reale” (cioè dell’insieme dei beni materiali e dei servizi prodotti sul pianeta). >>

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  3. Post istruttivo e lucidamente inquietante (come in genere quelli di S.): ci si trova un po' nella classica situazione del cane che morde la propria coda: ognuna delle (potenziali) soluzioni al fardello del debito sembra infatti presentare più controindicazioni che benefici, soprattutto per noi "comuni mortali" :(

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  4. @ Lumen

    Letto il testo di Simonetta, ma come dice Claude le soluzioni proposte hanno forse più controindicazioni che benefici. E allora che facciamo? Perché qualcosa bisogna pur fare.
    Da alcuni mesi un lettore ci bombarda regolarmente, in modo ripetitivo e quasi ossessivo, con un messaggio: non c'è crescita senza indebitamento, non ci può essere crescita senza indebitarsi. E consiglia di tornare a Keynes. Sostiene poi che gli aumenti di produttività e di profitti devono tradursi anche in aumenti salariali - senza questi aumenti non c'è domanda eccetera. In Germania infatti i salari ristagnano dopo i favolosi anni Settanta, quelli del boom economico. In compenso, grazie al contenimento dei salari la Germania è campione di export.

    Gli Stati dell'UE, che sono i maggiori datori di lavoro, s'indebitano ogni anno. Il debito non deve però superare il 3% del PIL. Questo limite era stato deciso anche per tenere a bada paesi poco virtuosi come l'Italia. Nel frattempo questo limite non è rispettato più da nessuno, nemmeno dalla Germania.
    Il risultato dell'indebitamento per l'Italia si rivela un disastro, dobbiamo pagare non so quante decine di miliardi d'interesse. Tutti sanno che questi debiti non potranno mai essere restituiti, lo Stato italiano sa benissimo che non potrà mai restituire quei soldi. Un cittadino che sollecitasse un credito con la piena consapevolezza di non poterlo mai restituire deve essere considerato un mariuolo, un imbroglione. Un normale cittadino come te e me dunque è un delinquente se prende soldi sapendo di non poterli mai restituire. Lo Stato invece ...
    E qui veniamo al punto chiave. Il normale cittadino, che sa poco o nulla di finanza ed economia, ma che pur sostiene tutta la baracca con il suo onesto lavoro, è un delinquente e lo Stato no. Come la mettiamo? Dicono che lo Stato non può avere la mentalità della casalinga di Voghera, deve per forza pianificare, gouverner, c'est prévoir. Penso al traforo del Gottardo nel XIX secolo, progetto in più di un privato, Escher. Senza quel traforo la Svizzera sarebbe rimasta tagliata fuori dal traffico internazionale. Lo Stato non è un privato cittadino, la casalinga di Voghera (che però con la sua onestà, i suoi risparmi, il suo comportamento tiene anche lei in piedi la baracca). D'accordo, però lo Stato che s'indebita come l'Italia prima o poi va a sbattere. Lo Stato è spendaccione, non ha la mentalità dell'imprenditore. Difatti non può fallire, perciò le pazze spese per accontentare mezzo mondo.
    Fra parentesi, nonostante il debito mostruoso la crescita lascia a desiderare. Quel lettore che ripete: senza indebitamento niente crescita dovrebbe considerare il caso italiano (ma anche il Belgio ha un mare di debiti).

    A questo punto mi viene in aiuto Pardo con un bell'articolo che ho archiviato perché mi è piaciuto: "Fare debiti non è un affare". Penso che l'avrai letto o lo trovi nel suo sito (è stato pubblicato il 20 giugno). Pardo osserva, secondo me giustamente, che un imprenditore non deve affatto indebitarsi per lanciarsi in una nuova impresa. Se era un imprenditore vero e assennato avrà accumulato capitale con cui finanziare il nuovo progetto, non deve per forza sollecitare crediti.
    Pardo ha naturalmente, come me (forse anche te?) la mentalità della casalinga di Voghera: niente debiti (devi restituirli con gli interessi) o il meno possibile e con la volontà di restituirli.

    (continua)

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  5. (continuazione)

    Ieri il professor Panebianco, una delle penne del Corriere, ha di nuovo inveito contro il governo giallo-verde ritenendolo oltre al resto colpevole della mancata crescita. La crescita come soluzione di tutti o quasi tutti i problemi. Un socialista delle mie parti disse persino: quando l'economia tira stiamo tutti meglio (anche noi socialisti). Ma l'economia tira non grazie ai socialisti bensì malgrado loro.
    Ma fino a che punto può tirare l'economia, può esserci crescita? Siamo forse già oltre il punto di non ritorno e vogliamo continuare a crescere!
    Ma che cosa deve crescere? È la domanda che pongo e ripongo sempre. Domanda stupida ovviamente: la crescita è un valore in sé, vogliamo tutti star meglio, è nella natura umana non accontentarsi mai (vedi la crematistica di Aristotele). Se c'è crescita c'è ovviamente occupazione e quindi pace sociale e benessere (ci saranno almeno briciole per tutti, non possiamo mica aspirare tutti alla ricchezza di Bill Gates o Berlusconi).
    Dunque ancora e sempre crescita. Maddeché? Lo Stato si dà da fare anche lui perché ci sia crescita - e come? Indebitandosi fino al tracollo.

    Io da buon sinistro ero da giovane contrario al capitalismo e alle centrali nucleari che servivano ad ottenere tutta quella energia senza la quale non ci possono essere crescita e capitalismo. L'Italia è stata uno degli ultimi paesi a introdurre la tivù a colori - perché secondo La Malfa senior la tivù a colori faceva parte dei beni voluttuari e quindi non necessari alla crescita (un mio amico napoletano mi chiedeva invidioso: ma tu vedi le partite a colori? E com'è, vedi davvero il verde del campo?). In realtà anche la produzione e vendita di televisori a colori fa aumentare il prodotto lordo, La Malfa sbagliava.

    Più crescita, più benessere - maggiore felicità? Non ci credo troppo. A forza d'indebitarsi Stato e imprenditori hanno creato nella popolazione aspettative crescenti. Ormai abbiamo "diritti acquisiti" e quindi sacrosanti (in natura non esistono diritti, a parte la legge della giungla). L'Europa o l'UE hanno è dei migliori stati sociali del mondo, che nemmeno gli USA - che pure sono il paese ancora più ricco (con cinquanta milioni di poveri) e più inquinante del mondo.

    (continua)

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  6. (continuazione)

    Diritti acquisiti e "welfare" (questa parola inglese si usa solo in Italia). Il filosofo (dei miei stivali) Flores d'Arcais sogna uno Stato dal welfare spinto perché ormai la modernità può produrre beni in misura esponenziale e tutti hanno diritto a ... tutto.
    Sarà. Comunque ammettiamo pure che tutti abbiano davvero diritto almeno al minimo - che però mi pare il massimo, e cioè: diritto alla vita (ovvio, ma poi c'è l'aborto), all'istruzione, alla sanità, al lavoro, alla casa, a una vita dignitosa, allo "sviluppo integrale della personalità" (se ne occupa persino il Vaticano). Forse ho dimenticato qualcosa d'importante, che so, diritto alla laurea (con insegnanti di sostegno per i meno dotati), a una moglie o a un marito (chiedere ai Cinesi), al numero di figli che si vogliono (fa parte dei diritti dell'uomo) e altro ancora. Bene, mettiamoci d'accordo e assicuriamo a tutti tutte queste belle cose (non sarà facile temo). Non è una cosa davvero impossibile, del resto lavoriamo già oggi in occidente fino a giugno per lo Stato e la collettività. Ma una volta assicurate a tutti queste cose avremo ancora bisogno di ulteriore crescita? E che ne sarà del capitalismo senza crescita? Un imprenditore che si accontenta di sopravvivere non è più un imprenditore e un capitalista, ma un semplice amministratore della sua azienda. Crescita e profitto sono inerenti al capitalismo, è normale, naturale, non c'è niente da condannare. Ma di crescita si può forse anche morire (i fiori di loto crescono e crescono e a un certo punto occupano la metà dello stagno, ma poi lo stagno è pieno di colpo e addio fiori di loto e stagno).
    Forse un'idea sarebbe di garantire a tutti il dovuto e di lasciare il campo anche all'imprenditoria che produrrà cose nuove che rivoluzieranno magari la vita.
    Insomma, l'economia sociale di mercato potrebbe anche andar bene (del resto ce l'abbiamo già e funziona abbastanza bene, specie nell'Europa settentrionale - paesi nordici, Germania, Svizzera, Austria). Ma basta con questa ossessione della crescita ad ogni costo. Sopravvivere è già qualcosa (Rilke: "Wer spricht von Siegen? Überstehen ist alles." Chi parla di vittorie? Resistere, sopravvivere è tutto.

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  7. "Basta con questa ossessione della crescita ad ogni costo"

    A cominciare da quella demografica.
    Già che ci siamo: lunga vita alla mentalità della 'casalinga di Voghera' (con buona pace delle femministe, che vogliono "tutto e ancora di più")...

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  8. Cari amici, mi pare ormai evidente (basta leggere le statistiche in materia) che la crescita economica sta finendo, per cui l'enorme debito finanziario accumulato nel mondo non potrà mai essere ripagato.

    Potrà succedere con l'inflazione opppure con il default, ma la sorte dei nostri presunti risparmi è segnata.
    E quando la gente se ne accorgerà, potrebbe diventare anche molto arrabbiata.

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