sabato 6 luglio 2019

Evoluzione a 4 zampe

Una delle locuzioni latine più conosciute in campo naturalistico è probabilmente “natura non facit saltus”, un detto che – anche se coniato da Leibniz con riferimento alla natura atomistica della materia - venne ben presto utilizzato in campo biologico, per indicare il flusso lento e costante delle variazioni naturali (soprattutto darwiniane).
Di questo principio, e delle conseguenze che i suoi limiti pongono (indirettamente) al nostro immaginario fantastico, ci parla con competenza, ma anche con leggerezza ed ironia, l’ottimo Marco Pierfranceschi in questo breve pezzo tratto dal suo blog (Mammifero Bipede).
LUMEN


<< Uno dei più grossolani “mis-understanding” sull’evoluzione è l’idea che questa proceda per salti. Ad esempio nella saga super-eroistica X-MEN della Marvel si ipotizza la nascita di individui dotati dei poteri più disparati a causa di un “salto evolutivo”. Purtroppo (per la credibilità del fumetto) la natura non “salta”.

L’evoluzione attua un percorso di adattamento progressivo nel quale ogni “mutazione” deve essere immediatamente vantaggiosa, pena la sua scomparsa. Strutture complesse come le penne degli uccelli, ad esempio, non appaiono dal nulla, ma derivano dalla progressiva trasformazione di strutture più semplici. Come peli, che successivamente si ispessiscono e diventano piume (molti dinosauri ne erano ricoperti, consentiva un migliore adattamento termico), e finalmente, una volta conseguita la capacità di volare, si trasformano in penne.

Il corno del rinoceronte è l’evoluzione di un singolo pelo, le ali degli uccelli sono l’evoluzione degli arti anteriori di creature in origine quadrupedi e successivamente divenute bipedi. Tutti i vertebrati discendono dai pesci attraverso un adattamento alla vita in ambienti asciutti (anfibi, rettili, uccelli e mammiferi), e tutti gli animali terrestri appartengono al sub-phylum dei tetrapodi: animali dotati di quattro arti. In pratica tutta l’evoluzione terrestre si è sviluppata a partire da una struttura a quattro arti, che sono diventati di volta in volta quattro zampe, due zampe e due ali, due zampe e due braccia, per addirittura ridiventare nuovamente pinne nei cetacei.

Per quale motivo non esistono vertebrati a sei zampe mentre ne hanno un tale numero gli insetti, ed addirittura otto gli aracnidi? Non si sa, ma quello che ci insegna l’evoluzione è che la natura ha una pazienza sconfinata e scale temporali enormi, e che molto poco avviene per caso. Quello che possiamo provare ad attuare è una sorta di “reverse engineering”, ovvero dedurre dalla situazione attuale quali possano essere stati gli eventi che vi hanno condotto, ricostruendo i numerosi “pezzi mancanti”.

Quindi l’assenza di vertebrati esapodi ci offre un primo indizio, e ci spinge a ragionare sui motivi per cui il processo evolutivo non ha potuto seguire quella strada. Un secondo indizio sta nel fatto che la meccanica del movimento delle zampe negli insetti è spesso molto rudimentale (le zampe avanzano a tre a tre, due su un lato ed una sull’altro, alternandosi). Un ulteriore indizio è dato dalla presenza, nel cervello, di aree dedicate per ogni arto.

Avere una coppia di zampe in più, nei millenni in cui i pesci provavano a colonizzare gli ambienti asciutti, non deve aver rappresentato un vantaggio, probabilmente perché richiedeva una maggior complessità nelle strutture cerebrali a danno di qualcos’altro, ed obbligava ad una complessità di coordinamento che ne rendeva il moto meno efficiente. Per lo stesso motivo un paio di arti in più non può ricomparire più avanti nel processo evolutivo, o se ricompare rappresenta una mutazione immediatamente svantaggiosa, che non ha tempo e modo di evolvere in una creatura funzionale.

Cosa scompare sotto questa “falce logica”? Di fatto buona parte delle creature fantastiche di ogni tempo e luogo. Non possono esistere i centauri, ad esempio, perché quattro zampe e due braccia sono sei arti. Non possono esistere (in natura) creature come gli angeli dell’immaginario cristiano, perché due ali, due braccia e due gambe sono di nuovo sei arti. Non possono esistere i draghi volanti, le sfingi e nemmeno l’ippogrifo.

Oltretutto, se questo processo ha avuto luogo sul nostro pianeta, non c’è motivo perché, a parità di struttura genetica (l’unica possibile) non abbia avuto luogo ovunque si siano create analoghe condizioni favorevoli allo sviluppo della vita. Quindi tali creature non potranno esistere nemmeno su altri pianeti. E se anche proveremo a realizzarle in futuro con l’ingegneria genetica, dotarle di strutture cerebrali in grado di gestire sei arti sarà molto, molto meno banale che farglieli crescere artificialmente.

Quindi salutiamo i nostri bizzarri amici che ci hanno tenuto compagnia nei secoli, e con loro anche creature chimeriche più semplici come ad esempio i fauni. Il fauno tecnicamente è un tetrapode, ma ha arti troppo diversificati: due mani umane e due zampe dotate di zoccoli. Quello che osserviamo negli animali esistenti ed esistiti è una sostanziale somiglianza strutturale nei quattro arti. Le nostre mani hanno cinque dita come i nostri piedi, e tutte le dita hanno le unghie, mani e piedi. Quelle delle mani ci servono ancora, quelle dei piedi no, ma non possiamo perderle a causa della codifica che ne fa il DNA.

Apparentemente il DNA forma delle strutture similari per i quattro arti, e le diversifica nel corso dello sviluppo embrionale. Strutture ossee analoghe, strutture muscolari analoghe, più o meno sviluppate a seconda della funzionalità dell’arto. Il massimo della diversificazione si ha negli uccelli, dove le dita degli arti superiori sono lunghe, hanno membrane e penne, e diventano ali, mentre quelle degli arti inferiori restano zampe.

Ma gli uccelli rappresentano un caso atipico, perché il volo è del suo un grosso successo evolutivo, tale da giustificare gli adattamenti successivi. Mentre tutti i quadrupedi hanno strutture analoghe negli arti superiori ed inferiori, probabilmente perché il grado di complessità raggiunto dal DNA è tale da non consentire una ulteriore diversificazione che possa essere funzionale sul breve periodo. Un processo evolutivo tale da produrre una diversificazione tanto drastica tra arti superiori (mani) e inferiori (zoccoli) richiederebbe tempi estremamente lunghi e situazioni di contorno molto forzate, difficili da prodursi spontaneamente. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

6 commenti:

  1. Post indubbiamente interessante & istruttivo, forse integrabile con un cenno alla parzialmente alternativa teoria evoluzionistica degli 'equilibri punteggiati' (Gould & Eldredge) e cmq. esposto al rischio di venire bollato di 'materialismo/riduzionismo scientista' da parte di un "gentiluomo" (forse nostalgico del Creazionismo duro e puro) quivi da qualche tempo straripante... Saluti

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    1. Non direi che la teoria degli equilibri punteggiati sia davvero alternativa al neo-darwinismo classico.
      Lo stesso Dawkins, che con Gould ha avuto un rapporto professionale decisamente burrascoso, sosteneva la compatibilità dei due concetti.

      La sintesi prevede che, fermi restando i ritmi lentissimi della variazione genetica, a volte ci sia un rallentamento, quasi una stasi, ed a volte una accellerazione.
      Ma resterebbe assodato il fatto (su cui - si parva licet - sono d'accordo anch'io), che l'evoluzione da un lato non si ferma mai, dall'altro "non facit saltus".

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  2. Pare invece che sia possibile falsificare la teoria evoluzionistica, mediante il ritrovamento di fossili cronologicamente incongrui, cosa che però, ad oggi, non si è mai verificata.
    Quindi possiamo considerarla, con i limiti del caso, una teoria scientifica a tutti gli effetti.

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  3. Pro Darwin (e Lumen):

    "In Biologia NULLA ha senso se non alla luce della (teoria della) evoluzione" (T. Dobzhansky, 1900-75, autorevole biologo statunitense di origine russa)

    "Dove c'è Biologia NON c'è Ideologia, e viceversa"
    (E.Boncinelli, fisico di formazione, autorevole genetista e divulgatore scientifico di successo)

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    1. "L'unica cosa che fa dell'evoluzione una teoria così meravigliosa è che essa ci spiega in che modo la complessità organizzata possa derivare dalla semplicità primordiale."

      Richard Dawkins

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  4. Una specie, per quanto mi risulta, è un gruppo di individui inter-fertili.
    O meglio, per essere più precisi, un gruppo di individui capaci di accoppiarsi e produrre una prole fertile.
    (Tipico esempio di scuola è quello del mulo, che viene prodotto da due specie diverse, ma, come conseguenza, rimane sterile).

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