venerdì 2 agosto 2019

La schiavitù dell’automobile

Non è possibile stabilire una data precisa per la nascita dell’automobile, nel senso che alla sua invenzione contribuirono diverse persone in un arco di tempo molto lungo.
La prima automobile in grado di muoversi autonomamente, senza essere trainata da animali, nasce nel 1769 e si chiama il “Carro di Cugnot”. Questa strana automobile, in grado di portare un carico di oltre 4 tonnellate, procedeva lentamente solo per una dozzina di minuti, raggiungendo una punta di velocità stimata inferiore ai 10 km/h.
Da allora, come ben sappiamo, sono successe moltissime cose, sia a livello tecnologico che sociale, compreso (per certi versi) il passaggio dell’automobile da strumento al nostro servizio, a “quasi-padrone” delle nostre vite.
Ce ne parla Marco Pierfranceschi in questo dissacrante articolo tratto dal suo blog (Mammifero Bipede).
LUMEN


<< L’automobile dà dipendenza? La domanda può apparire provocatoria, ma se mi seguirete nel ragionamento finirete col convenire che la risposta non può che essere sì. Dipendenza individuale e collettiva: sul piano del singolo e su quello dell’intera società.

Cominciamo col definire il concetto di “dipendenza”. Dal punto di vista farmacologico si instaura una dipendenza quando, attraverso un processo di assunzione prolungata di una sostanza estranea, un organismo si modifica al punto da andare in sofferenza quando questa sostanza gli viene improvvisamente a mancare.

La sofferenza può essere di natura fisica, come quella prodotta dagli alcaloidi (molecole che si legano alle cellule nervose dell’organismo: caffeina, nicotina, morfina, acido lisergico), o di natura psichica quando l’oggetto della dipendenza venga a colmare un bisogno psicologico dell’individuo.

L’innesco classico delle forme di dipendenza è il piacere, motivo per cui l’individuo procede ad assunzioni ripetute, mentre comportamenti tipici sono l’uso compulsivo e l’assuefazione, ovvero la progressiva necessità di aumentare il dosaggio della sostanza.

La dipendenza individuale dall’automobile si instaura in giovane età, ed è legata sia al piacere edonistico dell’autoaffermazione individuale, sia alla possibilità di svolgere in uno spazio relativamente privato quelle attività sessuali che la cultura diffusa non consente di svolgere in spazi pubblici.

L’automobile diventa quindi uno strumento di affermazione dello status sociale nelle sue diverse forme: al pari dell’abbigliamento le persone utilizzano l’automobile come veicolo di una narrazione pubblica del sé. Non stupisce quindi come ciò finisca con l’instaurare un meccanismo di identificazione psicologica con la propria vettura.

Questo è rilevabile dal fatto che la maggioranza degli autoveicoli in commercio non risponde a criteri di mera efficienza, ma al contrario i fabbricanti concentrino spesso l’appeal del prodotto sull’estetica e/o su prestazioni spesso non necessarie all’acquirente finale, quando non del tutto superflue.

Da un lato abbiamo l’auto sportiva che, almeno nel nostro paese, è da sempre vissuta con desiderio e bramosia nonostante i costi elevati di acquisto e manutenzione, le dimensioni sacrificate degli abitacoli, i consumi spropositati e le velocità di punta inutilmente superiori a quelle massime consentite sull’intera rete viaria.

Più recentemente la moda dei SUV ha imposto come status-symbol veicoli insensatamente pesanti ed ingombranti, oltreché costosi, energivori e del tutto sovradimensionati per gli utilizzi ai quali si è soliti destinarli. Il che dimostra come, in una società ideologicamente basata sul consumo compulsivo, la principale forma di affermazione individuale debba consistere nel consumare, inutilmente, più degli altri.

La dipendenza psicologica dall’automobile e dai suoi “benefici” (la cui percezione, veicolata da campagne pubblicitarie onnipresenti, pervasive e martellanti, è di molto ingigantita rispetto a quella relativa ai danni prodotti) assume diverse gradazioni, laddove il livello base si esprime con l’affermazione classica (ed apodittica): “dell’automobile non si può fare a meno”.

Le forme via via più gravi si caratterizzano con un’attenzione feticistica all’oggetto del desiderio, con la partecipazione emotiva a discipline pseudo-sportive basate sulla guida di autoveicoli, coi pomeriggi passati a lavare a mano l’automobile e tirarla a lucido, con l’acquisto di accessoristica ‘customizzata’ di nessuna reale utilità, con la progressiva cancellazione dall’immaginario personale di ogni possibile forma di trasporto alternativo, con un’attenzione maniacale al mercato dell’automobile, alle marche, ai modelli, alle prestazioni.

Questa dipendenza individuale dall’oggetto automobile in quanto proiezione di sé e della propria identità, non essendo pubblicamente disapprovata ma, al contrario, socialmente accettata e financo incoraggiata (grazie alla quantità ingente di denaro e domanda di manodopera messi in movimento dal mercato dell’auto), ha finito col produrre una deformazione irrecuperabile nell’intera struttura sociale e ancor più nell’organizzazione delle attività individuali e nella sistemazione degli spazi urbani. (…)

Appare evidente come la scelta di adottare l’automobile privata come principale mezzo di spostamento, ed il conseguente progressivo declino delle forme di trasporto collettive ben più efficaci sotto il profilo dei consumi energetici, dell’occupazione di suolo pubblico, della qualità dell’aria e della vivibilità degli spazi urbani, abbia prodotto un adattamento dell’organismo sociale alla “sostanza estranea” tale che una riduzione del dosaggio, o una totale e drastica eliminazione, darà inevitabilmente luogo ad una “crisi d’astinenza” dagli effetti imprevedibili e potenzialmente devastanti. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

7 commenti:

  1. E fai bene.
    Io l'auto ce l'ho, per una serie di motivi, ma è una piccola utilitaria e non faccio più di 1.000 km all'anno.
    Poi uso moltissimo i mezzi pubblici.

    RispondiElimina
  2. Fino ad un certo punto.
    Se sei inserito in un nucleo famigliare è ovvio che non puoi comportarti come un eremita che decide solo per sè. Devi trovare dei compromessi.
    Tutta la nostra vita sociale è una rete di compromessi.

    RispondiElimina
  3. Nel caso mio, il compromesso automobilistico è molto semplice: io odio guidare per cui, se fosse per me, l'auto resterebbe sempre in garage.
    Però, se un mio famigliare ne ha bisogno (caso comunque raro), lo accompagno.

    RispondiElimina
  4. Odi guidare? A me è sempre piaciuto. Ciò che odio è il traffico, le code. Ma guidare è piacevole e ti permette di arrivare in posti difficilmente raggiungibili, come per es. la Sacra di S. Michele ad Avigliana (dalle tue parti!). Comunque l'automobile è un problema, è vero (produzione, inquinamento, ampliamento della rete stradale con conseguente aumento del traffico, consumo di petrolio, uso inconsulto del mezzo, specie in Italia, uno dei paesi più motorizzati del mondo). Ma finché ne ho una anch'io non posso fare il moralista. Trovo Gaia ammirevole per la sua coerenza (rifiuta persino dei passaggi). Lorenzo non so perché non ha l'automobile. Io comunque la uso ormai soltanto per andare a fare la spesa (centro commerciale a 5 km) e dal medico. Insomma, non intralcio il traffico, eppure lo stesso macino 7-8000 km all'anno. Per tre anni non ho avuto la macchina e tornavo dal centro commerciale con 20-25 kg di roba sul groppone, con in più una salita micidiale fino a casa mia. Non so come ho fatto e sono contento di avere di nuovo un'automobile (poi ho anche una certa età).

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Sergio, l'importante è che l'automobile resti un semplice strumento al nostro servizio, da usare con parsimonia, e non diventi mai il nostro padrone.
      Come (quasi) sempre, è la misura che fa la differenza.

      Elimina
  5. L'automobile è un artefatto tecnologico, quindi in quanto tale è né buona nè cattiva: dipende dall'uso che se ne fa. E' stato soprattutto il peso politico della grande industria automobilistica e di quella petrolifera a indurre i decisori pubblici a privilegiare il trasporto su gomma rispetto (ad es.) a quello su rotaia, con le ben note conseguenze (non solo) ambientali delineate anche nell'Art.lo qui riportato. L'auto elettrica (peraltro comparsa x la prima volta ben un secolo fa ca. negli Stati Uniti e da allora mai definitivamente "sdoganata") e la 'self driving car' potrebbero a breve-medio termine modificare radicalmente l'attuale scenario... Saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. In effetti la trazione elettrica e l'auto senza guidatore potrebbero sicuramente migliorare la situazione attuale, magari anche riunite tra loro in un nuovo paradigma di mobilità.
      I cui limiti tecnologici ci aiuterebbero a superare il vecchio mito futurista della velocità e della potenza fini a se stesse.

      Elimina