sabato 9 febbraio 2019

Le Elites e la storia – 2

Prosegue il post di Andrea Scarabelli, tratto dal suo blog, sulla teoria politica dell’ “elitismo”. (Seconda parte). LUMEN


<< Questo ci dicono, in fin dei conti, gli autori di cui abbiamo parlato: le élites non vanno demonizzate, ma studiate. Per comprendere in maniera laica quel che siamo stati e quel che siamo, è meglio farci i conti. La storia è una “circolazione di élites”? Benissimo. Ma questo non toglie ci siano élites ed élites. Chiediamoci, dunque, a questo punto: di che stoffa sono le nostre? Per rispondere partiamo da un altro libro di recente (ri)pubblicazione, vale a dire La rivolta delle élite di Cristopher Lasch, scritto nel 1995 e riedito da Neri Pozza lo scorso agosto. Anche il sottotitolo è simile a quello del volumetto di Gog: Il tradimento della democrazia.

Se Pareto, Mosca e Michels setacciano la storia passata, Lasch si tuffa invece nell’attualità, offrendoci un ritratto spietato delle nostre élites. Lo fa partendo dall’arcinoto saggio di José Ortega y Gassett La ribellione delle masse (1930). Assieme agli studi di Le Bon, Canetti e Mosse, è uno dei migliori strumenti per comprendere il fenomeno – tutto moderno – della massificazione. Sennonché, scrive Lasch, a essersi ribellate non sono le masse, quanto piuttosto le élites stesse, «che controllano il flusso internazionale del denaro e dell’informazione, dirigono le fondazioni filantropiche e le istituzioni di ordini superiori, controllano gli strumenti della produzione culturale e definiscono i termini del dibattito pubblico». Ebbene, conclude Lasch, sono loro, e non i popoli, «ad aver perso la fede nei valori dell’Occidente, o in quanto ne rimane». È un tradimento a tutti gli effetti, che sottende l’isolazionismo descritto prima, preludio del crollo degli ordinamenti.

La realtà è che le élites, scrive Lasch, non sono mai state tanto distanti dai popoli come oggi. I gruppi che tengono le redini del nostro mondo globale agiscono tutti all’insegna del consumo e non della produzione, hanno una visione turistica del mondo. Quando si battono per le minoranze (le quali, secondo Lasch, a loro volta non ambiscono a un reale cambiamento ma solo a un posto al sole nello status quo, che andrebbe piuttosto rivoluzionato) lo fanno per catalogarle, brandizzarle, targettizzarle in maniera sempre più capillare. Dividono e segmentano per poi diversificare la produzione, vendendo a ciascuno la propria particolarità, la propria individualità («Tutto intorno a te», «Tu vali» sono i cinguettii del capitalismo creativo), la propria appartenenza a una minoranza. Dietro a velleità umanitarie spesso si cela una sorta di glocalizzazione (Bauman) realizzata su scala antropologica.

Queste classi superiori non sono connotate da un’ideologia specifica ma da uno stile di vita. Il loro è un intellettualismo vuoto e circonvoluto, che tradisce una mancata comprensione di quella stessa realtà che vorrebbero trasformare. A condire il tutto è un nomadismo apolide, conforme a quello del capitale, che sradica e trasferisce da un capo all’altro del mondo popoli e merci, «svuotando le democrazie», come scrisse Giano Accame in un suo famoso – e, ad oggi, purtroppo introvabile – libretto.

Una visione segmentata, dimentica dell’insieme e finalizzata al perfezionamento tecnico delle parti. I membri di questa New Class (la supersocietà di cui ha parlato Aleksandr Zinov’ev) sono giovanilisti e sbarazzini, il loro rapporto col mondo è di natura ludica; sono orgogliosi, ma la loro boria è piuttosto differente dall’orgoglio delle antiche aristocrazie. È l’arroganza di una self-made élite che crede di dover tutto ai propri sforzi. Parlano utilizzando un proprio gergo, comprensibile solo agli “iniziati”, dileggiando quello “volgare”.

A caratterizzare le nuove élites è anche un peculiare rapporto con il tempo. Se la natura dinastica ed ereditaria delle aristocrazie era aperta al passato e al futuro, i membri della New Class sono incapaci di percepire il trascorrere del tempo, che tentano di esorcizzare inseguendo le mode del momento, nonché a suon di lifting e viagra. Un periodico restauro di una giovinezza ormai perduta cui fa da contraltare un “presentismo” intransigente, che incontra enormi «difficoltà a immaginare una comunità prolungata tanto nel passato quanto nel futuro e che comporti una consapevolezza degli obblighi intergenerazionali».

Avulse dallo spazio (apolidia) e dal tempo (presentismo), sono loro ad aver creato quelle “zone” e “reti” tanto osannate da Robert Reich: ma queste realtà, scrive Lasch, «popolate da nomadi, mancano della continuità che deriva dal senso di appartenenza a un luogo e da standard di condotta coscientemente coltivati e trasmessi da una generazione all’altra». Insomma, stando a Lasch la tanto declamata Upper Class odierna, il conclave di quelli “che si sono fatti da sé”, si rivela essere un coacervo di modaioli à la page, avulsi da passato e presente – forever young in doppiopetto, con il moccolo al naso. Si sentono a casa propria ovunque. Cosmopoliti, si immaginano citizens of the world, «ma senza accettare nessuno degli obblighi che la cittadinanza normalmente comporta». Alla concretezza del genius loci preferiscono l’astrattezza di un mondo privo di particolarità ed asperità.

Un mondo, tuttavia, che al di sotto della patina tutta basic english e creativity pullula di particolarismi e regionalismi, comunità che al disgregarsi dello Stato nazionale scelgono altri principi di individuazione, di natura etnica, religiosa o linguistica – con effetti che sono sotto gli occhi di tutti. Due tendenze del tutto correlate, come nota lucidamente Lasch (non dimentichiamoci che il suo libro è del 1995!): «Il revival del tribalismo, a sua volta, rafforza per reazione il cosmopolitismo delle élite». Trincerate nelle loro torri d’avorio, non riescono a comprendere i cambiamenti di un mondo che semplicemente ha voltato loro le spalle.

Ma quest’alienazione dalla sfera del “pubblico” ha anche ripercussioni sulle categorie che fino a ieri hanno racchiuso lo spettro politico della modernità: «La condizione di crescente “insularità” delle élite significa che le ideologie politiche tendono a perdere i contatti con la realtà». A venir minata è l’antica contrapposizione tra destra e sinistra, la quale «ha esaurito la propria capacità di chiarire i problemi e di fornire una mappa fedele della realtà». Se tale sfaldamento è ben noto alle masse, non si può dire lo stesso per i membri delle élite: «Gli ideologi di destra e sinistra, invece di affrontare gli sviluppi politici e sociali che tendono a mettere in discussione le verità rivelate tradizionali, preferiscono scambiarsi reciproche accuse di fascismo e comunismo», negando l’ovvietà che nessuna di queste due forme rappresenti propriamente il futuro. >>

ANDREA SCARABELLI

(continua)

10 commenti:

  1. Una considerazione molto acuta di Jacopo Simonetta sulle elites contemporanee ed il loro rapporto con la globalizzazione (tratto da Effetto Cassandra):

    << La globalizzazione, fortemente voluta dalle élite di tutto il mondo, ha provocato, o perlomeno accelerato, un parziale cambio della guardia in sella al capitalismo, in cui le classi povere del mondo e quelle medie occidentali sono stati perdenti, mentre i grandi capitalisti globali e la nuova classe media dei paesi “emersi” sono stati i vincenti. >>

    RispondiElimina
  2. «Il vero fine delle élite è di abolire ogni differenza»

    http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/vero-fine-delle-lite-abolire-ogni-differenza-1644505.html

    RispondiElimina
  3. «Intellettuali? Fa rima con criminali»

    http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/intellettuali-fa-rima-criminali-1644504.html

    RispondiElimina
  4. A quasi un secolo dalla sua pubblicazione (1930) "La ribellione delle masse" di Ortega continua ad essere ripubblicato e letto, conserva dunque una sua attualità. La popolarità dell'opera è dovuta anche allo stile dell'autore, pensatore rigoroso (era docente di filosofia e filosofo lui stesso) ma anche brillante saggista. Mentre la lettura di Kant e Hegel - o di fisòlofi moderni tipo come Severino e Cacciari - risulta piuttosto indigesta (si rischia di uscire pazzi) - la lettura di Ortega, uno degli ultimi grandi intellettuali europei, è sempre un piacere, di qualsiasi argomento parli. Ortega o della chiarezza - con Ortega non si esce pazzi. Ortega è il mio ricostituente (è una vita che lo leggo). Pardo si è letto o riletto recentemente dietro mia sollecitazione "La ribellione delle masse" e ne è rimasto affascinato: Ortega, ha detto, è di una rara intelligenza (poi leggerlo in spagnolo accresce il piacere).
    C'è una frase indimenticabile nel libro in questione. Ortega osserva che "al giorno d'oggi è sempre più difficile trovare posto". Le masse hanno invaso ormai ogni angolo e bisogna far la fila (per es. dal medico). Un fenomeno nuovo allora quando eravamo "appena" circa due miliardi su questa Terra. Ortega vedeva fra l'altro in modo estremamente positivo l'incremento demografico in Europa dopo una stagnazione plurisecolare. Ortega muore nel 1955, sarei proprio curioso di sapere cosa ne penserebbe dell'incremento demografico attuale nel mondo (in Europa invece rischiamo di estinguerci, ci dicono). Un miliardo in più di esseri umani ogni dieci anni! Una nuova Cina ogni dieci anni. Un miliardo di nuovi consumatori con parecchie pretese, altro che pane e giochi. Questi vogliono tutto e subito.

    RispondiElimina
  5. L'uomo-massa

    Nel suo libro più popolare, ma non il più bello, Ortega y Gasset descrive un nuovo tipo umano sempre più diffuso ai suoi tempi e non proprio raccomandabile, anzi pericoloso: l'uomo-massa. Caratteristica principale dell'uomo massa è la sua incompetenza abbinata alla protervia di voler intervenire in ogni questione.
    Attenzione: uomo-massa può essere anche un premio Nobel, un rispettabile intellettuale e uno scienziato allorché pretendono di aver ragione in campi di non loro competenza, insomma quando fanno i tuttologi. Ma oggi siamo un po' tutti tuttologi, grazie ai nuovi mezzi d'informazione abbiamo tutti almeno un'infarinatura di ogni ramo della conoscenza e della scienza. Ma vale sempre "ne sutor ultra crepidam" (ciabattino, fa' il tuo mestiere). Prendiamo la questione del clima: sono davvero in corso cambiamenti notevoli e catastrofici riconducibili all'attività umana? Assistiamo alle manifestazioni di giovani che invocano misure per prevenire esiti funesti. Ma che ne sanno davvero? Sono climatologi, hanno davvero meditato a lungo sul problema? Difficile crederlo. Io non so più cosa pensare sull'argomento e mi taccio. Però manifestare è bello, ti senti protagonista e sostenuto da una tantissimi correligionari, insomma sei nel vero. gli altri sono unicamente dediti ai propri interessi.
    Dice Lorenzo Cesi: chi non ha oggi una formazione tecnico-scientifica è un analfabeta anche se plurilaureato. Perbacco.

    RispondiElimina
  6. << uomo-massa può essere anche un premio Nobel, un rispettabile intellettuale e uno scienziato allorché pretendono di aver ragione in campi di non loro competenza, insomma quando fanno i tuttologi. Ma oggi siamo un po' tutti tuttologi. >>

    E' una cosiderazione molto acuta, questa, caro Sergio, alla quale mi permetto di aggiungere un paio di corollari.

    Il primo è che la struttura stessa della democrazia finisce inevitabilmente per trasformare i cittadini in tuttologi.
    E questo non solo nei (rari) casi di democrazia diretta, come nei referendum, ma anche nella democrazia rappresentativa, in quanto, anche se le decisioni ultime vengono prese dai politici di professione, essi tengono sempre conto dell'opinione pubblica, cioè del parere dei cittadini su quell'argomento.
    I quali, pertanto, non possono non avere le loro opinioni (fondate o meno che siano).

    Il secondo corollario è legato invece alla moderna società dell'immagine ed ai famigerati talk show televisivi.
    E' evidente che per fare spettacolo devi chiamare i grossi nomi, i quali però, anche solo per semplice narcisismo, finiscono facilmente (e spesso anche volentieri) di uscire dal loro orticello professionale.
    Con la conseguenza che il sutor, oltre alle scarpe, si mette a fare anche le cose che non conosce.
    Ma la gente si diverte lo stesso.

    RispondiElimina
  7. Ma quante élite ci sono?

    "Le élite politiche e le élite giornalistiche sono diverse, e ancor più diverse rispetto alle élite sindacali o alle élite giudiziarie, o finanziarie, economiche, scientifiche, e via enumerando."

    Il resto qui:

    http://temi.repubblica.it/micromega-online/ragionamenti-fuori-luogo-1-il-popolo-che-non-ce/

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Penso che ogni categoria abbia le sue elites, ma le elites vere e proprie, quelle che dirigono davvero la baracca, sono quelle economico-imprenditoriali, che hanno i soldi veri.
      Le altre (comprese quelle politiche) fanno solo servizi ancillari.

      Elimina
  8. C. Lasch è stato definito 'un conservatore di sinistra': un ossimoro? Forse no (si pensi ad es. all'appoggio dato da Togliatti alla conferma del Concordato clerico-fascista nella Costit.ne repubbl.na ital.na), ma mi chiedo se/quanto ne siano consapevoli tanto i conservatori (di Destra) quanto i fans della Sinistra (soprattutto di quella massimalista)... Saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. << Lasch è stato definito 'un conservatore di sinistra': un ossimoro? Forse no. >>

      Lo penso anche io.
      A sinistra sanno essere conservatori come e più che a destra (se serve).

      Elimina