venerdì 1 febbraio 2019

Le Elites e la storia – 1

Gli “elitisti” sono convinti che la storia della civiltà umana non sia altro che la storia delle loro élites – molto diverse tra loro a seconda dei tempi, ma sempre presenti ed ineliminabili - e che quindi il resto della truppa, cioè il popolo composto dalla gente comune, si limiti a seguirle, anche quando, come nel caso delle rivoluzioni, abbia l’impressione di precederle.
Io, nel mio piccolo, la penso esattamente come loro ed ho quindi apprezzato in modo particolare il (lungo) post di Andrea Scarabelli (tratto dal suo blog) che recensisce alcuni interessanti libri sull’argomento. (Prima parte). 
LUMEN


<< “Elites”. (…) Questa parolina, tanto odiata e vilipesa, costituisce il titolo di un libro pubblicato nel 2016 da Circolo Proudhon, poi ristampato da Gog, sua metamorfosi editoriale. Il sottotitolo di Élites – che contiene scritti di Gaetano Mosca, Vilfredo Pareto, Roberto Michels e Antonio Gramsci – è Le illusioni della democrazia. Più che un’antologia è una doccia fredda di realpolitik, se è vero – ed è vero – che «i popoli, salvo brevi intervalli di tempo, sono sempre governati da un’aristocrazia», composta dai «più forti, energici e capaci, nel bene e nel male».

Tuttavia, continua Vilfredo Pareto, «le aristo­crazie non durano, onde la storia umana è la storia dell’avvicendarsi di quelle aristocrazie, mentre una gente sale e l’altra cala». Tradotto: la storia altro non è che il continuo avvicendarsi di gruppi dominanti, «un cimitero di aristocrazie» che si succedono nel tempo. Quando una di esse perde presa sul reale ne subentra un’altra, che ne occupa il posto. Punto.

Un luogo comune, si dirà. Fino a un certo punto: ragionare in questi termini vuol dire negare qualsiasi finalità alla storia diversa dalla “circolazione delle élite”. La storia non procede né verso il meglio né verso il peggio, non ha ragion d’essere al di fuori di quella pattuita dalle élites di turno. Il senso della storia non è “naturale” ma è sempre deciso da qualcuno. È sempre una élite a far capolino dietro rivoluzioni e democratizzazioni, a dettare il tempo ai giri di boa della storia: e l’ambizione di questa “casta” (per usare un termine piuttosto di moda) non è filantropica o quant’altro, ma semplicemente egemonica; non mira a migliorare l’uomo, il mondo o la società, ma più semplicemente a perpetuarsi.

Come scrive Lorenzo Vitelli, curatore del volume, nella sua ricca introduzione, l’obiettivo è «garantirsi la conservazione del po­tere e la stabilità dei rapporti di forza in gioco. È un conformismo nei confronti delle forze che dominano il mondo. La domanda che si pongono le élites non è “cosa voglio?”, ma piuttosto, “cosa devo fare per conservare il potere?”».

Per penetrare nel tessuto sociale, tali gruppi operano mimeticamente, assorbendo i leitmotiv del tempo e facendoli coincidere con i propri. I loro membri si riciclano all’occorrenza operai o migranti, difensori dei valori “tradizionali” (sic!) o moderni, amanti di maggioranze o minoranze, servi o padroni, sempre in ossequio al qui e ora. Ma questa facoltà mimetica non esaurisce il fenomeno delle élites, le quali, nota ancora Vitelli, «operano in bilico tra la libertà e la necessità, sono vittime e detentrici del potere, gli strumenti e i controllori, incarnano le forze vive della storia per diriger­le. E tanto più gli strumenti di esercizio diventano totalizzanti e centralizzati nelle mani di pochissimi, tanto più si allarga lo spazio di libertà delle élites».

La loro posizione è mediana: da un lato partecipano alla storia – che appunto è il gioco del loro alternarsi – dall’altro se ne vorrebbero astrarre. Ebbene, quando la seconda tendenza ha la meglio sulla prima, il secolo è pronto per un ricambio di élite.

Un’inclinazione, come ha scritto Gaetano Mosca, connaturata all’élite stessa, che per natura è dinastica, ereditaria ed entropica: «Tutte le forze politiche hanno quella qualità, che in fisica si chiama forza d’inerzia, cioè la tendenza a restare nel punto e nello stato in cui si trovano». La propensione ad accentrare il potere è insomma connaturata a ogni gruppo politico in quanto tale. Ed è una tendenza che non si esercita per via morale, filosofica, culturale e via dicendo: «Quando vediamo in un Paese stabilita una casta ere­ditaria che monopolizza il potere politico, si può es­ser sicuri che un simile stato di diritto fu preceduto dallo stato di fatto. Prima di affermare il loro diritto esclusivo ed ereditario al potere, le famiglie o le caste potenti dovettero tenere ben saldo nelle loro mani il bastone del comando, dovettero monopolizzare as­solutamente tutte le forze politiche di quell’epoca e di quel popolo in cui si affermarono».

Prima dello stato di diritto c’è sempre uno stato di fatto. Ecco svelato l’arcano: prima si prende il potere, poi lo si legittima. Prima si occupano gli scranni della società, poi si elaborano filosofie, utopie, teologie politiche e altre sciocchezze del genere. È un passaggio fondamentale, ben noto ai positivisti giuridici: ogniqualvolta sentite parlare di principi “assoluti”, diritti “inalienabili” o “naturali”, validi per tutti e per sempre, ricordatevi che essi non sono caduti dal cielo, ma sono stati formulati da qualcuno. Sono sempre figli di un certo tempo (e di un certo luogo). In sostanza, se qualcuno vi propone di aderire a ideologie universalistiche, è molto probabile che vi stia fregando. Anche i princìpi che vorrebbero essere universali sono in realtà particolari. Particolarissimi. Cinismo? È la Storia, bellezza.

E la storia dell’umanità, continua Mosca, si risolve nella lotta fra due forze, una centripeta e l’altra centrifuga: da un lato, la volontà propria agli «elementi do­minatori di monopolizzare le forze politiche e trasmetterne ereditariamente il possesso», dall’altro la deriva «verso lo spostamento di queste forze e l’affermazione di forze nuove». Le vecchie élites decadono quando «non possono più esercitare le qualità per le quali arrivarono al potere, o queste perdono ogni importanza nell’ambiente sociale in cui vivono». Guai se le élites perdono forza, isolandosi dal mondo circostante e impedendone il ricambio: «Le classi superiori divengono deficienti di caratteri arditi e pugnaci e ricche di individui molli e passivi».

Nascono allora fenomeni singolari, che ricordano da vicino la fase storica che stiamo vivendo: «Una specie di cultura tutta astratta e convenzionale» prende il posto «del senso della realtà e della vera ed esatta conoscenza della vita umana»; gli uomini perdono ogni forza e dilagano copiosamente buonismi, «teorie sentimentali ed esageratamente umanitarie sulla bontà innata della specie umana, specialmente quando non è guasta dalla civiltà, e sulla preferenza assoluta da darsi, nelle arti di governo, ai mezzi dolci e persuasivi piuttosto che a quelli rigidi ed imperiosi».

Dietro a quest’umanitarismo zuccheroso e stucchevole – sovente esercitato, tra l’altro, da individui ben poco rousseauiani – si cela dunque il logorio di una élite. Nemmeno il democratismo sfugge a quest’analisi. Nell’antologia edita da Gog è Roberto Michels l’“élitista” incaricato a smascherarlo, ne La legge ferrea dell’oligarchia: «Per fare atto di presenza in parlamento non c’è, per il ceto dei signori, che un mezzo solo: atteggiarsi a democratico nell’arena elettorale, chia­mare fratelli e compagni i contadini ed i lavoratori del suolo, e cercar di persuaderli che i loro interessi economici e sociali concordano coi suoi».

Una truffa bella e buona, insomma, che vede l’aristocratico farsi simile a quel popolo che non ama, che in fondo disprezza e ha sempre disprezzato: «Tutto il suo essere reclama autorità, mante­nimento di suffragi ristretti e, ove esso sia in vigore, abolizione del suffragio universale». Eppure, vedendo che lo spirito dei tempi è cambiato, si ricicla in democrat, «fa di necessità virtù ed implora la massa plebea di dargli la maggioranza. Lo spirito conservativo dell’antica casta dei signori ha bisogno d’avvilupparsi in un ampio manto dalle pieghe democratiche». Anche il sistema democratico, secondo Michels, è organizzato su base aristocratica: la tendenza all’oligarchia sembra in qualche modo connaturata allo stesso divenire storico. >>

ANDREA SCARABELLI

(continua)

9 commenti:

  1. Che dire? Se davvero le cose stanno così tanto vale cercare di opporsi, ragionare, filosofare, prendersela, disperarsi o addirittura fare l'eroe, immolarsi per una causa. Mi sembra chiaro che noi non facciamo parte dell'élite o di una delle élite di varia natura in combutta fra di loro. Ma direi che non fanno parte della élite o delle élite neanche i teorici dell'élite qui sopra (Pareto, Michels ecc.). O magari ne fanno indirettamente parte anche loro in quanto incaricati di spiegare al popolo la ragion d'essere delle élite, la loro funzione, la loro necessità e l'inutilità di contestarle o di volerle eliminare.
    Un filosofo o intellettuale che mi sono scelto come autore di riferimento, Ortega y Gasset, sosteneva anche lui che la gerarchia è insopprimibile, che il popolo deve essere guidato. Ma nemmeno lui faceva parte dell'élite, o al massimo apparteneva all'élite intellettuale che apparentemente è non solo tollerata, ma persino promossa dalle vere élite, le detentrici del potere vero, con la finalità di intrattenere e rabbonire le masse. La chiesa è diventata Chiesa con Costantino che aveva l'effettivo potere. È diventata così élite anche lei, ma di secondo livello, è sta ora per essere scaricata dalle élite che contano e a cui non serve più. Per intrattenere e tenere a bada le masse ci sono oggi i consumi e lo smartphone, e la Chiesa era persino d'impaccio con il suo pauperismo, anticonsumismo, sessuofobia e spirito di rinuncia. Non pare peregrina l'ipotesi che Ratzinger* sia stato obbligato a dimettersi per far posto al primo gesuita papa, filomassone e fautore di una religione universale meglio adatta alle esigenze del mondialismo.
    * Ratzinger e la Chiesa erano per la scomunica di chi denunciasse casi di pedofilia e causasse così danni d'immagine irreparabili all'istituzione. Rischiava un processo, era forse ricattato, e ha preferito dimettersi. Adesso la Chiesa si è fatta mosca cocchiera della lotta alla pedofilia, ma forse troppo tardi.

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    1. << La chiesa è diventata Chiesa con Costantino che aveva l'effettivo potere. È diventata così élite anche lei, ma di secondo livello >>

      Secondo me, ma posso sbagliare, per lunghi secoli la chiesa (almeno ai suoi vertici) era da considerarsi elite del primo livello.
      Non per nulla i vescovi esercitavano nelle loro provincie sia il potere spirituale che quello temporale.
      Certo, c'era sempre qualche Re o qualche Imperatore che guidava formalmente la società, ma il clero era ben sistemato al suo fianco, per non parlare di Roma dove il Papa era il padrone assoluto di tutto.

      Forse la Chiesa è passata ad elite di secondo livello con la rivoluzione industriale, che ha consentito alle elites laiche di arricchirsi ed acquisire un novtevole potere tramite le industrie ed i grandi commerci.
      Adesso però come dici giustamente tu, rischiano di perdere anche la posizione seocndaria, e nulla lo dimostra meglio delle continue esternazioni del nuovo Papa, la cui unica funzione sembra quella di mantenere un minimo di visibilità in un mondo sempre più indifferente al loro magistero.

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  2. Sì, certamente la Chiesa in alcuni momenti della sua lunga storia era al massimo livello, non per niente si parlava di cesaropapismo, la Chiesa era la massima autorità, scomunicava e destituiva imperatori.
    Hai mai letto il dictatus papae di Gregorio VII (quello di Canossa)?
    Lo trovi su Wikipedia, è un testo brevissimo ma eloquente, una testimonianza di megalomania. Bei tempi per la Chiesa, ma tempi passati.

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    1. Caro Sergio, non conoscevo il 'dictatus' e quindi gli ho dato un'occhiata.
      In effetti qui siamo ai livelli più alti mai assurti dalla religione Cristiana.

      Le mie 2 preferite sono:
      -Che una Sua sentenza non possa essere riformata da alcuno; al contrario, Egli può riformare qualsiasi sentenza emanata da altri.
      -Che Egli non possa essere giudicato da alcuno.

      Ovviamente, sopra di lui restava sempre il potere supremo di Dio, ma sapevano bene che dell'intervento diretto di Dio non era il caso di preoccuparsi troppo.

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  3. Io vedo una differenza fra aristocrazia ed oligarchia, non di merito, ma di struttura mentale. Le aristocrazie ragionano per caste e per dinastie. Possono quindi essere miti o feroci, capaci od incapaci, ma strutturalmente sono lungimiranti.
    Gli ologarchi pensano invece per individui. Anche loro possono essere miti o feroci, capaci o incapaci, ma comunque sono strutturalmente miopi. Anche quando si preoccupano di trovare un buon lavoro per il figlio.
    Per questo, di solito, le aristocrazie sono politicamente più longeve delle oligarchie che, però, risultano vincenti nei periodi di estrema instabilità come quello in corso.

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    1. Caro Jacopo, ti ringrazio per il tuo intervento, che trovo assolutamente centrato.
      L’aristocrazia e l’oligarchia, in effetti, sono entrambe “elìtes”, ma non sono affatto la stessa cosa e la differenza è proprio quella che hai indicato tu, con tutti i corollari che ne conseguono.
      Mi viene in mente una vecchia battuta sui politici (facilmente estendibile alle elites in generale) che diceva: i politici sono tutti ladri, ma non sono tutti uguali: ci sono quelli che sono ‘solo’ ladri e quelli che sono ‘anche’ ladri.
      Nel senso che questi ultimi, oltre a fare i propri interessi diretti, tentano di fare anche quelli generali della nazione.
      E sotto questo profilo, le aristocrazie, proprio per il loro orizzonte temporale più lungo, possono (a volte) dare risultati più utili.

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  4. Premesso di non amare le teorie complottistico-cospirazioniste (oggi peraltro di gran moda), probabilmente il problema NON sta tanto nella presenza delle Elites (in qualche modo, necessarie o almeno inevitabili) quanto nel fatto che la loro 'circolazione' risulta spesso basata non sulle competenze & sul merito bensì su altri fattori (censo, familismo, auto-referenzialità, ecc.)... Saluti

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    1. Io penso che, nella gran parte dei casi, le elites non elaborano particolari complotti o strategie oscure, ma si limitano ad individure le linee naturali di tendenza della società, per poi piegarle, grazie al potere di cui dispongono, ai loro particolari interessi.
      Ma posso sbagliare.

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  5. "Le elites non elaborano particolari complotti o strategie oscure"

    Infatti: i complotti demo-giudeo-pluto-massonici, le scie chimiche degli Illuminati di Baviera e le trame dei Rettiliani conviene lasciarli a romanzieri come D.Brown e affini: le Società (non soltanto occidentali) contemporanee risultano così complesse/complicate da rendere sostanzialmente IMPOSSIBILE un controllo globale "top-down" da parte di qualsivoglia Gruppo o Ente misterioso, viceversa bastano e avanzano i controlli esercitati dalle "tradizionali" elites economico-politico-religose e massmediatiche (inter)nazionali il cui limite principale sembra appunto consistere nello scarso turn-over interno ed esterno...

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