sabato 13 ottobre 2018

Un fantasma per amico - 1

Da dove proviene la nostra inclinazione a credere nel soprannaturale o nelle superstizioni in generale ?
A credere, con sincera convinzione, nell’esistenza di esseri superiori chiamati dei o in una vita dopo la morte ?
Pare che tutto nasca dal fatto che siamo diventati, in sommo grado, dei “dualisti intuitivi”, portati a suddividere il mondo esterno in due grandi categorie separate tra loro: da una parte i ‘corpi’ e dall’altra le ‘menti’.
A questi meccanismi cognitivi, alle loro cause ed alle loro conseguenze, è dedicato l’interessante articolo che segue (diviso in 2 parti), scritto da Giorgio Vallortigara e tratto dal sito della UAAR. 
LUMEN


<< Siamo tutti creduloni, almeno un po’. A tal riguardo l’antropologo cognitivo Scott Atran ha confezionato una divertente messa in scena per i suoi studenti. Egli entra in aula con una scatoletta finemente decorata e dall’aspetto esotico, spiegando che si tratta di un reperto delle sue esplorazioni etnografiche: un oggetto magico che, a detta dei membri della tribù che gliene hanno fatto dono, avrebbe la proprietà di far scomparire qualsiasi oggetto vi venga riposto, qualora l’individuo proprietario dell’oggetto medesimo dubitasse o addirittura osteggiasse gli spiriti che abitano la scatoletta. Scettici e razionalisti quali sono, i ragazzi accolgono l’informazione con manifesta incredulità.

A questo punto, con aria molto seria, Atran lascia la cattedra avvicinandosi a uno degli studenti e, fissandolo negli occhi, lo invita a riporre nella scatoletta la sua patente di guida o a infilarci un dito. E qui succede qualcosa d’interessante. Lo studente ha un attimo di esitazione e spesso esibisce un sorriso tirato, facendo mostra di essere a disagio. Poi di solito fa quel che deve, infilando la patente o il dito nella scatolina magica. Ma quell’attimo di esitazione, che sembra essere un tratto comune riscontrabile negli individui delle culture più diverse, perfino in quelli addestrati ai metodi e alle procedure del pensiero scientifico occidentale, come gli studenti di Atran, è un fenomeno che richiede di essere spiegato.

Come mai – pur asserendo magari di non credere alle superstizioni – cerchiamo di evitare che un gatto nero ci attraversi la strada, facciamo gli scongiuri toccando ferro o leggiamo l’oroscopo sul giornale ? E perché in tutte le culture del mondo le persone hanno sviluppato una serie di credenze relative all’esistenza di entità che violano platealmente alcune fondamentali proprietà del mondo fisico e biologico (fantasmi che passano attraverso i muri, zombie che camminano anche se sono defunti, angeli in sembianze umane capaci di volare, santi in grado di perpetrare varie specie di miracoli, ecc.) ?

Le ricerche condotte in questi ultimi anni da scienziati cognitivi, neuro-scienziati e psicologi evoluzionisti hanno cominciato a gettare un po’ di luce su questi fenomeni. C’è un primo fatto da considerare: gli organismi biologici sono stati foggiati dalla selezione naturale per essere efficientissimi “rilevatori di causalità”. Efficientissimi, ma non accurati. Infatti, i meccanismi che nel sistema nervoso si occupano di rilevare le relazioni di causa-effetto sono basati sulla rilevazione di una relazione di contingenza temporale e, perciò, non sanno davvero se la relazione sia causale o se sia, appunto, una contingenza, una mera correlazione.

C’è un celebre esperimento che lo dimostra. A intervalli casuali si fa cadere un po’ di cibo nella mangiatoia di un piccione. Dopo breve tempo l’animale sviluppa dei movimenti stereotipati, che egli riproduce più e più volte, come per esempio sbattere le ali o girare in tondo su se stesso. Nulla predice l’evento della caduta del cibo nella mangiatoia, ma il piccione si comporta come se le azioni che per caso si è trovato a condurre un istante prima della caduta del cibo fossero la causa della caduta del cibo. Se, per esempio, è successo che poco prima di ottenere il cibo l’animale ha girato il capo per pulirsi le piume del collo, egli in seguito tenderà a ripetere l’azione. Se il premio è elargito con relativa frequenza, accadrà ancora che la pulizia del collo sia seguita, per puro caso, dalla somministrazione del cibo. E questo accentuerà vieppiù il mantenimento dell’azione.

Vi suona familiare ? Vi è capitato di scendere dal letto e di indossare prima la ciabatta sinistra e poi quella destra e di godere poi di una giornata straordinariamente fortunata ? E di decidere perciò il mattino seguente che, sì certo, i due eventi probabilmente non intrattenevano tra loro relazione alcuna, ma, tutto sommato, valeva la pena di riprovarci, indossando nuovamente prima la ciabatta di sinistra e poi quella di destra ? Eh già …

L’ossessione per le relazioni causali non basta però a spiegare la nostra inclinazione al sovrannaturale. Perché, come abbiamo già visto, la nozione di causa implica l’idea di un agente causale. Ed è a un tipo particolare di agenti causali – spesso invisibili – che è dedicata prioritariamente la nostra attenzione: gli agenti animati. Tra le scoperte più singolari delle ricerche sullo sviluppo cognitivo infantile vi è l’osservazione che i bambini di età prescolare tendono a spiegare gli eventi del mondo come prodotti da qualcuno piuttosto che da qualcosa. A un’interrogazione più attenta, si scopre altresì che questo “qualcuno” non si identifica precisamente con una persona umana, foss’anche la mamma o il papà, ma in un non meglio [specificato] agente intenzionale astratto.

Oltre a ciò, i bambini prediligono le spiegazioni funzionaliste degli eventi. Tendono cioè a concepire gli oggetti del mondo naturale come “costruiti per uno scopo” (pensiero teleologico) e manifestano questa tendenza in modo affatto indipendente da quello che gli adulti possano aver insegnato loro. Naturalmente nell’età adulta nuovi sistemi di credenze causali, veicolati dall’istruzione e in generale dalle conoscenze che si acquisiscono, possono sovraimporsi alle concezioni intuitive predisposte dalla nostra biologia, ma non possono eliminarle.

Per esempio, le psicologhe Deborah Kelemen ed Evelyn Rosset hanno mostrato che le persone adulte, quando sono richieste di fornire velocemente un giudizio di plausibilità scientifica ad affermazioni erronee di tipo teleologico (per esempio, “il sole irraggia la terra perché il calore facilita la vita”), appaiono più propense a giudicarle corrette di quanto non lo siano nei confronti di affermazioni che, seppur sbagliate, sono di tipo non-teleologico (per esempio: “le colline si sono formate a causa della glaciazione delle acque sotterranee”).

Sembra dunque esserci un’universale preferenza nella nostra specie a comprendere e spiegare il mondo in termini di scopi e funzioni, di agenti dotati di obbiettivi e intenzioni. Ma da dove viene questa predilezione per gli agenti intenzionali che agiscono mossi da obbiettivi e scopi ? Per quale motivo gli esseri umani ricercano ossessivamente tracce di “agentività” (agency), captando nel fruscio elettronico prodotto da una radio mal sintonizzata le voci dei defunti o attribuendo le catastrofi naturali alla volontà di qualche dio vendicativo irritato dai nostri comportamenti ?

La storia inizia nella culla, nella distinzione che noi compiamo precocissimamente tra gli oggetti fisici, inanimati, e quelli psicologici, animati. La distinzione è così basilare da essere presente anche in specie molto lontane da noi e senza alcuna forma di apprendimento [6]. Gli oggetti animati sono naturalmente anch’essi entità di tipo fisico, ma si muovono spinti da intenzioni e possono essere tristi o allegri, aggressivi o amichevoli. I bambini possiedono una capacità innata di distinguere gli oggetti animati da quelli non animati. E noi adulti possediamo aree cerebrali specificamente dedicate al trattamento degli uni e degli altri tipi di oggetti. >>

GIORGIO VALLORTIGARA

(continua)

4 commenti:

  1. COMMENTO DI SERGIO

    Ricordo che persino F. d’Arcais, in un dibattito
    che ti avevo segnalato, sostiene che “siamo portati
    a credere", sembra che sia una tendenza innata.
    Ma la cosa mi sembra naturalissima, e anche noi
    gente più o meno istruita crediamo un mucchio
    di cose in base all’autorità che afferma certe cose.
    Io non saprei da dove cominciare per dimostrare
    che la velocità della luce è davvero di ca. 300’000
    km/sec (in realtà 270’000 e rotti). O non saprei
    come misurare la distanza Terra-Luna. Noi assumiamo
    per certe, dimostrate, non più discutibili un sacco
    di cose in base al solo principio di autorità. Che
    è naturalmente un sano principio, la nostra vita
    sarebbe impossibile se non ci potessimo fidare
    di qualcuno.
    E il bambino “naturalmente” si fida ciecamente
    dei genitori che sono per lui onnipotenti, vere
    divinità. Quello che dicono è vero, non possono dubitare,
    è impossibile immaginarsi un bambino critico.
    Sembrerebbe che anche la materia vivente
    non possa far altro che imitare. I bambini
    imitano i gesti dei genitori, fanno come loro,
    tendono a identificarsi. Così comincia la nostra
    vita e così prosegue finché non ci accorgiamo che
    i genitori non sanno tutto, non sono onniscienti.
    Ma all’inizio c’è la “necessaria” e assoluta fiducia
    e l’imitazione. Perciò per la Chiesa era fondamentale
    la pratica religiosa in famiglia - che è accolta
    dal bambino senza mugugni e domande. Ed è
    anche in relazione all’educazione - religiosa o meno -
    che i bambini apprendono dell’esistenza di esseri
    invisibili ma reali. A supporto i genitori possono
    far credere che certe cose siano avvenute proprio
    per l’intervento di tali esseri. Di cui non è lecito
    dubitare. Ma prima del dubbio - che inevitabilmente
    sopraggiungerà - c’è l’atto di fede. Prima nelle
    capacità dei genitori e degli insegnanti e poi
    nelle cose che loro affermano e che c’inducono a
    credere. Un classico è la famosa affermazione:
    il diavolo è furbo e il massimo della sua malizia,
    per fregarci meglio, è di farci credere che non esista.
    Poi nell’età adulta del diavolo e del padreterno
    hanno dubitato in molti, ma per paura solo pochi
    hanno avuto il coraggio di dirlo, i dubbi se li tenevano
    per sé. E abbiamo perciò avuto potenti della Terra
    e autentici geni che erano credenti come i più
    sprovveduti (e avevano il terrore di finire all’inferno).

    In conclusione: è vero che siamo portati a credere
    per natura, è un’inclinazione assolutamente naturale
    e necessaria alla sopravvivenza biologica e poi
    anche al nostro stato sociale. Ma poi si arriva alla
    critica, altrettanto naturale e necessaria (vediamo
    che noi e tutti ci sbagliamo, siamo costretti a rivedere
    le nostre opinioni). Consideriamo matura e/o intelligente
    una persona che sa distinguere la verità, la realtà, da pure
    congetture. Tuttavia anche le persone più intelligenti
    e ipercritiche conservano anche loro quella tendenza
    iniziale e naturale. Immagino che nessuno abbia dubitato
    della realtà di un attentato alle Torri gemelle. Eppure
    circolano voci che si sia trattato di un “autoattentato”
    del governo americano (io non ci credo, non ci posso credere
    (come vedi anche qui uso il verbo credere, non dico
    io so che la tesi dell’autoattentato è una balla). C’è
    anche chi dice che lo sbarco sulla Luna non c’è mai stato.
    Per la gente semplice
    fa autorità la televisione o la carta stampata.

    Il famoso imprinting dell’anatroccolo che considera
    suo padre o sua madre il primo essere vivente che
    vede può anche farci capire che “la fede viene prima
    della critica”.
    Dunque, sì, siamo portati naturalmente a credere,
    ma specialmente noi umani sviluppiamo presto anche
    la facoltà di dubitare, di rivedere certi giudizi.
    Fra parentesi, non c’è persona più antipatica di
    chi per principio mette sempre tutto in dubbio:
    non ci credo, a me non la si fa, tutte balle.
    Una persona normale oscillerà sempre tra la
    fede e il dubbio prima di acquisire la certezza.

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    1. Caro Sergio, certamente per le persone più colte e consapevoli non è una grande sorpresa che esistano delle basi biologiche alla nostra notevole facilità di credere, che condiziona, nel bene e nel male, tutta la nostra vita sociale.
      Ma sono sicuro che per molte altre persone potrebbe esserlo.
      Ed alcune di queste potrebbero addirittura rifutare il suddetto collegamento, in quanto sminusce la 'grandezza mentale' dell'homo sapiens ed il suo mitico libero arbitrio (che viene direttamente dal 'dio' creatore e quindi... guai a toccarlo).
      Io sono convinto invece che se abbiamo consapevolezza delle nostre debolezze biologiche, siamo meno costretti a subirle e possiamo diventare più forti.

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  2. Forse vale la pena di aggiungere che alcuni anni fa il bravo Vallortigara con lo scienziato Girotto e il filosofo Pievani ha pubblicato un importante saggio (eloquentemente intitolato 'Nati per credere') in cui gli Autori non solo approfondiscono in maniera esauriente e convincente la tesi fondamentale esposta nell'Articolo qui riportato ma anche/soprattutto sottolineano la (paradossale ma non troppo) origine & valenza adattativo-evolutiva della credenza non solo nelle spiegazioni di carattere finalistico ma anche in entità sovrannaturali tout court... Saluti

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    1. Grazie per la segnalazione.
      Deve trattarsi sicuramente di un libro interessante, che non mi dispiacerebbe leggere.
      Oltretutto si tratta di un argomento che, per una serie di motivi, non sembra molto esplorato dagli studiosi.

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