sabato 27 ottobre 2018

Nazionalismo e Imperialismo

Il post di oggi è dedicato a due termini politico-istituzionali che hanno alle spalle una lunga evoluzione storica, ma risultano oggi di particolare attualità, ovvero “Nazione” ed “Impero”, da intendersi nel loro senso più ampio.
Le considerazioni, molto interessanti e soprattutto non banali, sono di Marco Gervasoni e sono state pubblicate inizialmente su "Atlanticoquotidiano.it (quotidiano on line di approfondimenti economico-politici) e poi riportate da “Il Giornale”. Buona lettura. 
LUMEN


<< [Oggi] lo ripetono tutti (…): la nazione chiude, la nazione impoverisce gli spiriti, la nazione fa provinciale (e anche un po' deplorabile). Quando poi diventa nazionalismo, orrore!, equivale a fascismo, razzismo, xenofobia. E poi il nazionalismo porta inevitabilmente con sé le guerre, non ne ha provocate due nel Novecento ? Meno male che l'Europa c'è ! (…)

I “tòpoi” che reggono questa (povera) ideologia dell'anti nazione sono fondamentalmente tre:
1) le nazioni sono superate;
2) le nazioni portano alla guerra;
3) le nazioni producono il nazionalismo.

Si tratta nei primi due casi di affermazioni storicamente infondate, nel terzo di una vera e propria tautologia. Che le nazioni fossero superate lo sostennero, negli anni immediatamente successivi al crollo del muro di Berlino, una serie di autori statunitensi, come Francis Fukuyama e Thomas L. Friedman, o giapponesi, come Kenichi Ohmae (guarda caso tutti appartenenti a Stati nazione ben solidi). Era un'autentica ideologia, che ha spopolato negli anni Novanta, ma già imbarcava acqua con l'11 settembre, e che è finita affondata con la crisi del 2008.

Già all'epoca qualcuno, come il grande Samuel Huntington, mise in guardia e spiegò che il ruolo delle nazioni, tutt'altro che diminuito, era addirittura cresciuto dopo il 1989, e che si sarebbe ulteriormente intensificato. Cosa che larga parte delle scienze sociali e politiche ha poi confermato nei decenni successivi. Oggi nessuno studioso informato e serio prenderebbe più sul serio le tesi del «superamento delle nazioni».

Quanto al sentimento nazionale che porterebbe alla guerra, anche questa è un'interpretazione dei due conflitti mondiali datata e discutibile: quelli che si scontrarono nel 1914 non erano Stati nazione, ma Imperi (anche quando non si chiamavano così, come la Francia) e la guerra fu prodotta dai conflitti ingenerati dall'espansione imperiale, come già allora videro non solo Lenin ma anche il liberale Hobson.

Per ciò che riguarda la Seconda guerra mondiale, solo chi non conosce il nazismo può definirlo un nazionalismo: Hitler non era un nazionalista ma un imperial-razzista, e le razze non si disponevano nella sua visione all'interno della nazione, ma di spazi post nazionali, cioè imperiali. Basta leggere qualsiasi discorso di Hitler, basta sapere, come tutti dovrebbero, che in caso di vittoria la Germania avrebbe creato uno spazio europeo con una moneta unica, basta immergersi negli straordinari testi sullo spazio imperiale composti da Carl Schmitt durante la guerra (…).

La terza affermazione è infine una tautologia: non ci può esser nazione senza nazionalismo, cioè senza un legame solido, razionalmente emozionale ed emozionalmente razionale, con la propria nazione. Per cui, se correttamente inteso, il nazionalismo è un sentimento da rivalutare; di più, è una virtù. Come ci spiega Yoram Hazony, filosofo politico e biblista israeliano (…), nel libro ‘The Virtue of Nationalism’. Il nazionalismo non è un sentimento negativo e va inteso come una virtù nel senso greco del termine: come una condotta naturale (la natura dell'uomo essendo quella di animale politico) e adesione alla forma più giusta, in senso aristotelico, di comunità politica.

Il libro di Hazony è importante e ricco di spunti, richiederebbe quindi un lungo spazio per analizzarlo bene. Ci sono tuttavia tre punti essenziali. Il primo. Dobbiamo essere riconoscenti in eterno a Israele e riscoprire la Bibbia, cioè l'Antico Testamento [ehm - NdL], come all'origine della nostra tradizione politica. In Italia tendiamo a dimenticarlo, diversamente dal mondo anglosassone, ma l'Occidente è, come scrisse il grande Leo Strauss, sia Atene che Gerusalemme. L'una non deve esistere senza l'altra. Cosa ci ha tramandato Gerusalemme, cioè l'Antico Testamento ? Che l'antico popolo d'Israele è la prima nazione della storia e che questa Alleanza è più buona e giusta di quella dell'altra forma di organizzazione politica, l'Impero.

Ecco il secondo punto importante del libro di Hazony. Non esistono infiniti modelli di comunità politica, anzi nella storia ve ne sono solo due: la nazione, e il suo opposto, l'Impero. Quando perciò molti esaltano modelli post-nazionali, globali, federalisti e quant'altro, anche se non lo sanno (o fanno finta di non saperlo) quello per cui essi si battono è un Impero. La stessa Unione europea, come scrive Hazony, è strutturata come un Impero, fallace e fallimentare perché privo di un centro e guidato da un'autorità non politica ma tecnocratica, però pur sempre entità di carattere imperiale. (…).

Qualcuno potrebbe chiedersi cosa vi sia di male nell'Impero. Per Hazony esso mostra almeno tre ordini di problemi: conduce a guerre disastrose, produce una sorta di anarchismo diffuso perché si estende su spazi talmente vasti da non potere, neanche oggi, essere controllabili e infine lede la libertà dei popoli e degli individui e minaccia la democrazia intesa come controllo. Siccome la storia, dagli Assiri fino al 1919, è stata essenzialmente storia di Imperi, tanto in Occidente quanto in Oriente, le affermazioni di Hazony sono tutte verificabili.

Al contrario le guerre condotte dalle nazioni, realtà più ristrette, più omogenee, in cui vige il principio di sussidiarietà tra i vari livelli del potere, sono sempre state più limitate. Altro che il nazionalismo autostrada verso la guerra, è al contrario l'imperialismo che la produce. Basta del resto vedere, nella storia della Ue, dopo che dal 1992 i governi nazionali hanno accelerato il processo di integrazione verso uno spazio post nazionale (imperiale), quanto le tensioni siano accresciute.

Il terzo punto importante del volume di Hazony sta nello scenario di insieme: quello che oggi è in corso è un conflitto su scala mondiale tra Nazioni e Imperi, tra nazionalismo e imperialismo (sotto forma di globalismo). Non è un caso che la nazione più imperialista e globalista del mondo, la Cina, sia al tempo stesso la più favorevole al commercio internazionale senza freni. E anche se le tesi sul superamento delle nazioni non hanno più molto credito, continua a essere egemonica in una larga parte delle élite internazionali l'ideologia imperialista-globalista, che porta a demonizzare, a condannare a priori, a delegittimare tutte quelle realtà che vogliono restare nazionali e non intendono assoggettarsi a spazi imperiali. (…)

Hazony ci dimostra che una delle ragioni per cui una parte delle élite europee e nordamericane oggi odia Israele sta nella sua pervicacia a voler restare nazione, nel difendere i propri confini, la propria religione, la propria lingua e la propria cultura. Israele è lo scandalo: invece di adeguarsi ai valori dell'imperialismo-globalismo, cioè niente cultura nazionale, niente lingua, frontiere aperte, multilateralismo, sottomissione alle agenzie internazionali tipo Onu, Gerusalemme continua a tenere alta la fiamma della difesa del proprio popolo, dell'Alleanza, come nell'Antico Testamento.

Hazony fornisce al concetto di nazionalismo un significato un po' diverso da quello che siamo abituati oggi a sentire in Europa e soprattutto in Italia: la nazione per lui è comunità politica, fondata sulla omogeneità di una etnia, di una cultura e di una lingua principali, che però devono essere aperte, non esclusiviste e ovviamente rispettose delle minoranze integrate nello spazio politico nazionale.

Quanto ai confini, il nazionalismo teorizzato da Hazony è difensivo e non espansivo. È una idea di nazione che rimanda (…) al significato francese di République. Ma è anche tanto simile all'idea di nazione del nostro Risorgimento, che non era destinata, come sciaguratamente hanno scritto alcuni storici negli ultimi vent'anni, a generare il fascismo. Al contrario, l'idea liberale di nazione di Cavour e quella repubblicana di Mazzini hanno ancora molto da trasmetterci. E se non amiamo definirci nazionalisti, perché diffidiamo sempre un po' degli ismi, possiamo però sottoscrivere la tesi di Hazony: il nazionalismo è, indubbiamente, una virtù. >>

MARCO GERVASONI

13 commenti:

  1. Caro Lorenzo, ti ringrazio per il bel commento al quale ho ben poco da aggiungere.
    Credo che il destino delle nazioni, cioè la loro prossima scomparsa, è stato segnato nel momento stesso in cui le elites da nazionali sono diventate apolidi e mondiali.
    Non so dirti se si è trattato di una scelta di convenienza da parte loro, o solo di una evoluzione inevitabile, ma il trend, a mio avviso, è stato quello.

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  2. << qualcuno sosteneva che le guerre sono necessarie perché consentono di decapitare le elite e sostituirle con altre >>

    Sì, l'ho letto anch'io, anche se non ricordo dove.
    Qualcuno addirittura sostiene che tutta la storia umana (comprese le guerre, le rivoluzioni, i movimenti popolari, ecc.) non è altro che la storia delle sue elites, dei suoi avvicendamenti, delle sue miserie e dei suoi splendori.

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  3. Non so se la gente comune, il c.d. "popolo", sia davvero in grado di determinare da sè il proprio destino o anche solo la propria classe dirigente.
    Gli elitisti (Pareto, Michels, ecc.) sostengono che la divisione tra popolo ed elites è inevitabile, in quanto connaturata alla struttura di qualsiasi gruppo sociale, con il corollario che le elites non sono emanazione diretta del popolo.

    D'altra parte, come sostengono gli psicologi cognitivi (vedi post precedenti), siamo quasi tutti dei notevoli creduloni.
    Il 'quasi' si riferisce ai pochi 'consapevoli', in un rapporto che potrebbe anche non essere molto diverso da quello tra popolo ed elites (direi 90/10 o anche solo 95/5).
    Ma forse si tratta solo di mere ipotesi.

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  4. Nazioni e imperi, nazionalismi e imperialismi. Interessante, probabile che sia così.
    Ma cosa ci mettiamo al posto delle nazioni ovvero dei 193 Stati attuali? Diaz e mi sembra anche Claudio-Claude-Claudianus mi hanno dato del nazifascioleghista perché mi sono permesso di dire che questi 193 Stati attualmente esistenti sono delle individualità ovvero individui con caratteristiche proprie e probabilmente il desiderio di sopravvivere come stati sovrani o parzialmente sovrani, visto che l'interdipendenza economica è destinata a crescere. Se l'economia funziona e anzi stravince certamente l'importanza dei confini diminuirà fino a scemare.
    Comunque non siamo ancora arrivati alla fine degli Stati e all'abbattimento di tutti i confini, premessa della cornucopia universale come sostengono i Foglianti, il Corriere e magari anche il papa.
    Gli Stati, individui e individualità, esistono ancora, e personalmente aggiungo - meno male. Non escludo che un giorno - non so quanto lontano o forse più vicino di quel che pensi, cento o mille anni - avremo effettivamente un governo mondiale, una sola terra, una sola costituzione per l'intero pianeta fondata sui diritti umani (ovviamente ampliati all'estremo). Non lo escludo, chissà forse è inevitabile. Per il momento però questi tanto deprecati Stati esistono ancora e invece di dare addosso ai sovranisti-identitaristi-nazionalisti-fascisti-nazisti sarebbe meglio cercare d'intendersi cooperando ma non fusionando. L'Unione europea farebbe meglio a fare un passo indietro tornando alla CEE (Comunità economica europea) con le sue normali difficoltà e tensioni come ci sono in tutte le attività umane. Al momento attuale considero l'UE un'aggregazione contro natura perché non sviluppatasi organicamente ma con l'inganno e la forza (pensavano che introducendo l'euro e la libera circolazione - che avrebbero essere dovuto essere piuttosto gli esiti finali) si sarebbe creato in quattro e quattr'otto l'Homo europaeus. Agli imperi - e anche la Chiesa ne è uno, anche se non ha eserciti armati - l'individuo non piace. Vogliono la comunità, lo spirito di gruppo, il gregge.

    Un ricordo del collegio, dai salesiani: non erano ben visti i solitari, gli indipendenti, bisognava per forza cercare d'intrupparli. Chi sta per conto suo chissà cosa pensa, minaccia la coesione, il gruppo.

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    1. << Ma cosa ci mettiamo al posto delle nazioni ovvero dei 193 Stati attuali? >>

      Caro Sergio, anzitutto bentornato tra i commentatori on-line.
      La tua domanda è, nella sua apparente semplicità, una vera e propria 'domandona'.
      Premesso che le nazioni non sono esistite sempre, si porebbe dire che il mondo ritornerebbe allo status quo ante, ma è ben noto che la storia non si ripete mai uguale.

      Le opzioni, in teoria, sono tante: si va dal neo-feudalesimo al tribalismo, dall'impero mondiale all'anarchia generalizzata, senza contare l'impatto che avrebbe sulle strutture istituzionali l'evoluzione dei problemi ambientali ed energetici.
      L'ipotesi che ritengo più probabile è quella imperiale, ma non nel senso di un unico impero mondiale, quanto nel senso di più imperi (3 o 4) che si dividono il pianeta, scontrandosi un giorno sì e l'altro pure.
      Un'ipotesi che, per certi versi, richiama le previsioni di Samuel Huntington, nel suo bellissimo libro "Lo scontro delle civiltà".
      Vedremo.

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    2. << Se lo chiedi me, ti rispondo che non c'è bisogno di sostituire gli Stati >>

      Se è per questo, non li sostituirei nemmeno io.
      Ma la cosa potrebbe verificarsi ugualmente.

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  5. << Con la "psicologia" ci incarto le cozze. >>

    Eh no, questa non te la passo.
    La psicologia è una delle discipline fondamentali per l’uomo, tanto è vero che NON viene insegnata nelle scuole.
    Ma le elites, che la conoscono e la padroneggiano molto bene, la usano a piene mani,
    Altro che ‘cozze’…

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  6. Ma è proprio per questo che è importante.
    Se la conosci bene, la puoi usare per difenderti meglio.
    Altrimenti ti bevi tutto e non te ne accorgi neppure.
    C'è un piccolo libretto di psicologia applicata che si intitola "Piccolo trattato di manipolazione ad uso degli onesti".
    Il libro non è niente di speciale, ma il titolo è assolutamente delizioso.

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  7. "Una Nazione è una Società unita da un ERRORE comune riguardo alle proprie origini e da una comune AVVERSIONE nei confronti dei vicini."
    (Alfred L. Haddon e Julian S. Huxley)

    PS: Contrariamente a quanto qlcn. potrebbe pensare, questa sintetica ma istruttiva affermazione NON è stata espressa da una coppia di oscuri 'gomblottisti' al soldo della BCE o di 'Big Pharma' o dei Savi anziani di Sion o dei Cavalieri templari o dei Rettiliani ma da due eminenti scienziati britannici primonovecenteschi, il cui unico grave "torto" è quello di avere analizzato in termini laico-razionali un concetto di matrice idealistico-romantica e dunque abbondantemente intriso di irrazionalismo retorico e misticheggiante come quello di Nazione (e conseguentemente di Nazionalismo). En passant, mi permetto di aggiungere che Julian S. è discendente diretto di Thomas H. Huxley, acuto e tenace sostenitore/divulgatore dell'Evoluzionismo darwiniano (che al buon Lumen dovrebbe ricordare qlcs.) Saluti

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    1. Interessante.
      Certamente il passaggio dalla Tribù (che si fonda su una comunanza reale, in quanto genetica) alla Nazione (che ha base esclusivamente culturale) deve passare tramite qualche forzatura, a cui possiamo anche dare il nome di errore (storico).
      Ma una volta usciti dal tribalismo (superato per una serie di motivi che qui sarebbe troppo lungo sviscerare) la dicotomia impero/nazione non mi sembra poi così irragionevole.

      P.S. - Grazie per la citazione cult. Huxley, per un darwinista, non è certamente un nome qualunque.

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    2. "(...) La dicotomia Impero/Nazione non mi sembra poi così irragionevole"

      Anche al sottoscritto tale dicotomia (in quanto tale) non sembra particolarmente irragionevole, soltanto alzerei il "rating" dell'I. e abbasserei quello della N.
      Si potrebbero fare numerose altre osservazioni al rig.do, ad es. sul concetto di Federalismo, frettolosamente inserito da Hazony-Gervasoni nel "calderone" degli Imperi, ma mi fermo qui per non scatenare "l'ira funesta" di Lorenzo e di Sergio... Saluti

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    3. In linea teorica, sicuramente tra il federalismo e l'imperialismo c'è una differenza notevole.
      Però, l'esperienza storica insegna che è molto difficile, in un sistema federalista, mantenere un rapporto paritario tra tutte le entità componenti.
      Il rischio, infatti, è che una di esse (la più grande, la più ricca, la più ambiziosa, ecc.) prenda il sopravvento, ricadendo così in una sorta di imperialismo camuffato.

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  8. "Facciamo finta di non conoscere ... il progetto para-massonico del Nuovo Ordine Mondiale"

    Ah,la perfida Albione (Della serie: a volte ritornano)!
    Così perfida e pericolosa da NON rendersi conto (se non ampiamente fuori tempo massimo) dell'auto-castrazione economico-politico-sociale costituita dalla Brexit...

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