mercoledì 8 novembre 2017

A Sua immagine

Il vero aspetto fisico di Gesù Cristo, ovviamente, nessuno lo può conoscere. La sua attuale immagine iconografica, invece, è ben viva nella mente di tutti.
Ecco un breve excursus di Federica Senigagliesi (tratto dal sito dell'Università di Macerata) sulla nascita e l’evoluzione di questa immagine. 
LUMEN


<< A Roma, nelle Catacombe di Commodilla del IV secolo e.v., (…) compare una delle prime immagini del volto di Gesù. Racchiuso tra un'Alfa e un'Omega ("Io sono l'alfa e l'omega, il primo e l'ultimo, il principio e la fine", libro dell'Apocalisse, 22:13), ecco rappresentato il volto che ha segnato l'iconografia cristiana occidentale: il busto di un uomo con capelli lunghi e barba folta.

Per noi contemporanei, questa è un'immagine familiare, automatica, dogmatica: come potrebbe essere il volto di Gesù, se non così?

Quella di Commodilla [però] non è una soluzione figurativa di qualche artista particolarmente ispirato, bensì ricalca la descrizione presente in un testo apocrifo di un funzionario romano in Giudea, tale Lentulo, all'epoca della predicazione del Nazareno.

Lentulo scrive in maniera precisa e dettagliata: "E' un uomo dalla statura alta, ben proporzionata, dallo sguardo improntato a severità. I suoi capelli hanno i colori delle noci di Sorrento molto mature e discendono dritti quasi fino alle orecchie, dalle orecchie in poi sono increspati e a ricci alquanto più chiari e lucenti ondeggianti sulle spalle. La sua fronte è liscia e serenissima, il suo viso non ha né rughe né macchie ed è abbellito da un rossore. Il naso e la bocca sono perfettamente regolari. Ha la barba abbondante, dello stesso colore dei capelli: non è lunga e sul mento è biforcuta. Il suo aspetto è semplice e maturo. I suoi occhi sono azzurri, vivaci e brillanti".
 
Questo "Gesù barbuto" dall'aria seria e ieratica, si imporrà sempre di più nella cristianità fino, appunto, a diventarne l'icona definitiva. Ma il percorso e le ragioni che hanno determinato questa scelta si dipanano lungo i secoli e le vicende storiche che hanno fatto del Cristianesimo una delle religioni monoteistiche più diffuse al mondo. 

Alle origini, il linguaggio figurativo delle prime sette cristiane – che professavano il culto di nascosto, poiché gli appartenenti erano perseguitati con la condanna a morte - si affida ai simboli, proprio perchè deve restare comprensibile solo agli adepti. Cristo viene quindi espresso tramite il monogramma greco XP, o con l'uso di metafore (ad esempio, quella del pesce o dell'agnello).
 
Dopo il 313, anno dell'editto di Milano, che concede la libertà di culto anche ai cristiani e segna la fine della loro persecuzione, nasce l'esigenza di un linguaggio meno criptico e capace di condensare in sé la natura umana e quella divina di Gesù-Cristo, uomo-Dio.
 
Durante i primi secoli del Cristianesimo, quindi, si sviluppano in parallelo due differenti modi di rappresentare il Messia: quello del "divin fanciullo" e quello dell'uomo barbuto. Il primo si rifà al dio Apollo della tradizione classica pagana: pensate ai mosaici ravennati di San Vitale o di Sant'Apollinare, dove Cristo è raffigurato come un giovinetto senza barba, vestito di rosso imperiale, con le braccia allargate in atto di benedire i pani e i pesci.
 
Il secondo, invece, è la diretta traduzione del testo apocrifo, e prevarrà sul "divin fanciullo", per lo meno nel mondo occidentale, anche se ci vorranno secoli prima che ad esso si aggiunga la componente della sofferenza. Ed è proprio questo elemento – l'introduzione della passione - che farà la differenza sostanziale tra l'arte orientale e quella occidentale.
 
In linea generale, si può infatti dire che la cultura orientale-bizantina abbia privilegiato l'astrazione: pose frontali, sguardi fissi verso l'infinito, ori brillanti e rossi porpora servivano per rendere la sacralità di Cristo (sacralità che è passata per la lunga battaglia iconoclasta, che ha segnato le sorti del mondo, non solo in senso artistico). L'arte orientale è, fondamentalmente, "rivelativa", cioè rivela, tramite lo sguardo, l'essenza di Cristo come Uomo-Dio; quella occidentale è invece "narrativa", cioè è interessata a raccontare le storie di Gesù come uomo.
 
Dall'843 – con la fine dell'iconoclastia e il ripristino del culto delle immagini in Oriente – l'arte bizantina si stabilisce definitivamente sui binari dell'ortodossia: una pittura simbolica, sacra, soggetta a rigide regole figurative, che deve sollecitare la venerazione in chi le osserva. L'Oriente fa suo l'aspetto divino di Cristo, mentre l'Occidente adotta quello umano, corporeo, sensibile.
 
Quando nel Medioevo si inizia a rappresentare il tema della crocifissione - cioè quando la croce diventa simbolo non più della vittoria sulla morte (la Resurrezione) ma della Passione - il senso del tragico dirompe con tutta la sua forza: del resto, poteva la religione cristiana ignorare la morte violenta, tormentata, sofferta del suo Dio? La "Croce di Gerone" (967-976), opera lignea conservata nel Duomo di Colonia, è la prima immagine che abbiamo del nuovo Gesù sofferente: un Gesù barbuto, coi capelli lunghi e arricciolati, dal corpo stremato e appesantito.
 
Non a caso, è in periodo medievale che si diffonde la convinzione che le stigmate siano segno della grazia divina (pensiamo a San Francesco) e nascono le prime confraternite di flagellanti – ne esistono numerose sparse in tutto il mondo, ancora oggi- che si fustigano in pubblico per riviver la stessa passione del Cristo in croce. Il dolore, in definitiva, diventa il protagonista dell'arte e della cultura occidentale.
 
D'ora in poi, da Giotto a Cimabue, da Piero della Francesca a Mantegna, dai Caracci a Gauguin, Picasso e Warhol, la "divinità umanata" del Gesù barbuto diventa la chiave interpretativa dell'esperienza umana di Dio in terra. L'idealizzazione bizantina viene quasi dimenticata: il corpo è carne straziata dal dolore e così va rappresentato. La violenza, il senso del tragico – nonché del macabro - sono state espresse con tale vigoria soltanto dall'arte occidentale, coerentemente con il credo cristiano. "Non si troverà una testa mozzata in tutta la pittura non dico islamica o ebraica, ma neppure buddhista, taoista o scintonista", ha osservato Flavio Caroli (…).
 
La barba, insomma, nel nostro immaginario collettivo, appartiene, si può dire inevitabilmente, a Gesù. Non solo richiama i tratti mediorientali tipici dell'etnia cui il Gesù storicamente esistito apparteneva, ma, al contempo, denuncia la sofferenza, l'autorevolezza, il sacrificio dell'uomo più ritratto al mondo. >>  

FEDERICA SENIGAGLIESI

2 commenti:

  1. Caro Lumen,
    ma dove sei andato a scovare questo testo della Senigagliesi? Comunque è un testo molto interessante che ho letto con piacere. Non avevo mai sentito parlare di questo Publio Lentulo. Il testo a lui attribuito è naturalmente un falso (figura negli Apocrifi). Strano però che non sia più noto e diffuso perché descrive con precisione l'aspetto di Gesù, cosa che ai cristiani doveva interessare. Quanto alla barba di Gesù non mi ero mai posto la domanda. La diversa rappresentazione del volto di Cristo in oriente e occidente è però interessante. Ieratico e severo in oriente (vedi anche il Pantocrator di Cefalù e Monreale), realistico e più umano quello occidentale che insiste sulla sofferenza del salvatore. Due diverse concezioni del rapporto con l'uomo-dio. L'orientale venera la maestà divina, l'occidentale invece è costretto a considerare, persino con sadismo, la sofferenza e la morte in croce di Cristo di cui è lui colpevole in quanto peccatore. La prima rappresentazione della croce è addirittura del quarto-quinto secolo (porta lignea di Santa Sabina a Roma). Più tardi è un vero pullulare di crocifissioni e di Cristi morti che devono suscitare nello spettatore sgomento e consapevolezza del suo stato di peccatore. Dostoevskij fu colpito dalla sindrome di Stendhal davanti al macabro e orrendo Cristo morto di Holbein a Basilea. La croce, strumento di tortura, è il vero simbolo del cristianesimo, non il sole sfolgorante della resurrezione. Forse il cristianesimo sarebbe stato un'altra religione se invece della croce avesse avuto come simbolo un sole radiante. Croce e crocifissione sono simboli orrendi, il sole invece vivifica. Se Cristo non è risorto la nostra fede sarebbe è vana, dice Paolo. Invece in occidente si è rappresentata in mille e in tutti i modi la passione e morte di Gesù. Per i protestanti addirittura la più grande ricorrenza dell'anno cristiano è il venerdì santo che è anche giorno festivo.

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  2. << Forse il cristianesimo sarebbe stato un'altra religione se invece della croce avesse avuto come simbolo un sole radiante. Croce e crocifissione sono simboli orrendi, il sole invece vivifica. >>

    Gran bella domanda.
    La risposta, ovviamente, non la potremo mai avere, ma resta il fatto che nei lunghi secoli in cui il cristianesimo ha dominato l'occidente, i fedeli avevo molta più paura dell'inferno che non speranza del paradiso.
    Una differenza non da poco.

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