mercoledì 6 settembre 2017

Consenso Popolare

Qualunque regime, anche il più tirannico e dittatoriale, ha bisogno di un certo consenso popolare, ma la democrazia, sicuramente, ne ha bisogno più di tutti. 
Quelle che seguono sono le considerazione di Aldo Giannuli (tratte dal suo sito) sullo stato attuale dei rapporti tra popolo ed élite nell’occidente democratico.  
LUMEN


<< Tutto lascia pensare che [in Europa] si aprirà una stagione di forti conflitti sociali e politici sia fra i ceti dominanti e quelli popolari, sia all’interno delle classi dominanti per la redistribuzione delle quote di potere.
 
La prima linea di frattura, in ordine di importanza, è certamente quella fra classi dominanti e classi subalterne. Per quanto un regime possa essere elitario, per quanto una democrazia possa celare un contenuto oligarchico dietro una maschera, tuttavia le classi popolari hanno pur sempre una quota di potere che le consocia e ne giustifica il consenso. Se questo non ci fosse, il sistema crollerebbe (che è poi quello che sta accadendo un po’ dappertutto in occidente) perché non esiste sistema politico (fosse anche dittatoriale) che può reggersi a lungo senza il consenso popolare.
 
Magari può trattarsi di un consenso meramente passivo di un popolo che si comporta secondo le norme del sistema, influenzato da inganni ideologico-propagandistici, ma pur sempre deve esserci una forma di consenso, senza della quale la disapplicazione delle regole diverrebbe automatica e con essa la fine del regime. E, da questo punto di vista, la democrazia è più fragile degli altri sistemi, perché basata ideologicamente sul fondamento del consenso popolare.
 
Costruendo lo spettro magnetico che tiene unita una compagine sociale, occorre concedere alle classi “dominate” una quota di ricchezza attraverso forme di redistribuzione di essa ed una quota di potere attraverso i meccanismi rappresentativi. Nelle democrazie europee questo è stato il compromesso social-democratico (e negli Usa il compromesso new-dealista) che ha concesso il welfare-state e la contrattazione collettiva e una quota di potere sociale attraverso il suffragio universale, integrato da specifici strumenti di trasmissione della domanda politica, quali i partiti di massa ed i sindacati.
 
Questa formula è stata distrutta dall’ondata neo-liberista, che ha demolito, in tutto o in parte, il welfare e la contrattazione collettiva ed ha emarginato o distrutto i partiti di massa ed i sindacati. La nuova formula di compromesso sociale – che ha sostituito quella del compromesso social-democratico - prevedeva concessioni come l’offerta low-cost di beni e servizi (basata sui bassi salari e la precarizzazione, sia all’interno interno sia, molto di più, nei paesi dove la produzione era delocalizzata), quote residue di assistenza sociale e, soprattutto, la creazione di denaro bancario generosamente dispensato.
 
Il “denaro bancario” ha creato per un certo periodo una liquidità aggiuntiva attraverso la concessione di carte di credito (che, di fatto, hanno procurato un mese in più di retribuzione), di più facili mutui (negli Usa soprattutto per l’acquisto della casa, e dappertutto per l’acquisto auto).
 
In Italia, peraltro, ha sopperito, alla falcidia dei posti di lavoro ed al crollo dei salari, il “welfare familiare” basato sulle retribuzioni dei quaranta-cinquantenni che ancora godevano dei frutti dell’avanzata salariale degli anni settanta, sulla “pensione del nonno” e sui risparmi consentiti dall’epoca d’oro della contrattazione salariale.
 
Sul piano politico si è accentuata la nota video-cratica a tutto danno della partecipazione politica reale e si è data l’ingannevole sensazione di un maggiore potere decisionale attraverso la scelta dell’uomo al comando, che, in realtà blindava il ceto politico attraverso il meccanismo del “voto utile” e mascherava la marginalizzazione del Parlamento, a vantaggio dell’esecutivo e del suo capo. L’Italia è stata un importante laboratorio in questo senso.
 
Con la crisi finanziaria il meccanismo si è rotto: il denaro bancario si è rivelato un meccanismo ingannevole, che “mangiava” le risorse delle generazioni future. In concreto ha rimandato il problema dei bassi redditi di una dozzina di anni, ma solo a costo di una crisi finanziaria devastante e non ancora risolta; i margini assicurati dai resti del welfare e della contrattazione collettiva si vanno consumando e le nuove generazioni sono del tutto scoperte.
 
Di conseguenza anche la truffa della “democrazia plebiscitaria” dove il popolo sceglie solo il semi-dittatore temporaneo, si è dissolta ed i ceti popolari hanno rivolto la loro rabbia contro i rispettivi ceti politici, avidi, incapaci, corrotti.
 
Sin qui la rivolta popolare ha avuto tre aspetti centrali: una rivolta fiscale contro una pressione ormai poco sostenibile, che sta condannando molti paesi ad una recessione permanente, una rivolta contro l’Europa identificata con la cupola “tecnocratico-bancaria” che sta dissanguando le economie nazionali, la richiesta di nuove forme di democrazia (come dappertutto accade con la richiesta di referendum).
 
Su tutto questo si è sovrapposta la reazione anti immigrazione, determinata da un insieme di cause: la sensazione che questa gente sottragga risorse ed occasioni di lavoro ai nativi, il timore per la sicurezza che indica negli immigrati una massa di criminali, ma soprattutto una reazione identitaria che teme di vedere sopraffatta la propria cultura. (…)
 
La globalizzazione, al contrario delle aspettative che immaginavano una crescente convergenza delle diverse identità culturali verso un modello unico, ha avuto, per ora, l’effetto opposto di una generale rivolta identitaria di ciascuno dei soggetti coinvolti. (…) E’ difficile dire che evoluzioni avrà il fenomeno, ma è evidente che è uno dei principali terreni di scontro nel prossimo futuro.
 
La proposta dei poteri finanziari per spegnere la protesta è quella del “reddito di cittadinanza” o, se si preferisce ”di sussistenza”, in cambio dell’accettazione dell’attuale ordinamento da parte delle classi subalterne. Si concede qualche briciola dei profitti della de-localizzazione, della speculazione finanziaria, del sotto salario generalizzato, in cambio della rinuncia a mettere in discussione gli aspetti di potere esistenti, ma si sbaglia chi pensa che si tratti del classico “piatto di lenticchie”, questo è meno di un piatto di lenticchie.
 
E’ interessante notare come questa proposta sia tanto popolare anche a sinistra (e parlo della sinistra radicale): trenta anni di diseducazione politica e di svalutazione culturale del lavoro hanno generosamente posto le premesse di questo naufragio politico ed ideale della sinistra.
 
Realisticamente, il cuore dello scontro sarà un altro e riguarderà la qualità del sistema democratico. Sbaglia chi pensa che gli equilibri istituzionali attuali di democrazia più o meno basata sullo Stato di diritto, sulla rappresentanza e sulle libertà di espressione, sciopero ecc. possa restare come è. Dopo i brividi procurati dalla Brexit, dall’elezione di Trump, eccetera, non è realistico pensare che le classi dominanti accettino di mantenere questi margini di partecipazione popolare: la prima misura da mettere in conto è la limitazione crescente dell’istituto referendario.
 
Dopo verranno, in un modo o nell’altro, misure di ridimensionamento del suffragio universale: c’è chi propone una ulteriore riduzione di potere dei parlamenti a tutto vantaggio delle élite tecnocratiche, (…) chi vorrebbe una seconda camera tutta di nomina dall’alto, chi progetta riforme del sistema elettorale pensate per blindare il blocco tecnocratico di centro. (…)
 
Dall’altro lato, la protesta popolare ormai chiede maggiore potere decisionale e, soprattutto, di controllo. Non si tratta solo della rabbia contro la cupola tecno-finanziaria della Ue, ma dell’esigenza di garantire la domanda politica dei ceti subalterni attraverso meccanismi che vadano oltre la democrazia rappresentativa.
 
Si tratta di innestare sul tronco delle nostre democrazie forti elementi di democrazia diretta che lo rivitalizzino, si tratta di estendere la democrazia oltre la sfera politica, facendola penetrare anche nella produzione, nella cultura, nella ricerca, nell’informazione.
 
E si tratta anche di “mettere al guinzaglio” i poteri extrapolitici, a cominciare dai poteri finanziari che godono oggi di una libertà inconciliabile con il bene comune, di una impunità penale e di una franchigia fiscale ormai intollerabili. Ed insieme ai poteri finanziari occorre mettere “sotto controllo” anche la classe politica troppo spesso incline ad entrare il rotta di collusione con i poteri finanziari e con la borghesia mafiosa, e troppo facile a corrompersi.  

Dunque, delle due l’una: o i nostri regimi prenderanno la strada di una trasformazione in senso partecipativo e democratico, oppure l’involuzione elitaria, finanziaria e para-criminale del sistema finirà per compiersi. >>
 
ALDO GIANNULI

8 commenti:

  1. Secondo me Giannuli parla di un mondo che non esiste piu', che esiste solo nella sua fantasia, o meglio negli "inganni ideologico-propagandistici" che la sua parte politica ha messo in piedi nel corso del secolo e mezzo passato, e che se potevano avere qualche contatto col mondo reale allora, oggi non ce l'hanno piu' del tutto.

    Mi spiego meglio, o perlomeno ci provo.

    Queste narrazioni che racconta, potevano fornire un contorno ideologico credibile, per quanto arbitrario, quando il 90 per cento degli abili al lavoro lavoravano, o meglio DOVEVANO lavorare, in agricoltura per sopravvivere loro stessi e far sopravvivere il resto della popolazione, marginale, appartenente alla "classe inutile". Poi quel 90 per cento e' passato in parte dal lavoro diretto nell'agricoltura a quello attorno alle macchine che servivano a far funzionare l'agricoltura, sempre con un 10 per cento o giu' di li' di "classe inutile".

    Ma oggi la percentuale si e' rovesciata, la "classe inutile", a cui appartiene lo stesso Giannuli, e apparteniamo noi, e appartengono quasi tutti, e' il 90 per cento della popolazione.

    Per "classe inutile" intendo quella parte di popolazione che, se se ne stasse a letto tutto il giorno, non cambierebbe nulla, anzi diciamoci la verita', il mondo starebbe migliore e sarebbe molto migliore la vita di tutti (noia a parte, ma MOLTO meglio annoiarsi che suicidarsi perche' non si e' riusciti a far fronte agli inutili e quindi assurdi obblighi burocratici, come accade quotidianamente oggi)).

    Le considerazioni che fa Giannuli percio' sono sballate, sono inattuali, parla di finanza e di classi dominanti, di propaganda... ma non si accorge che in quella dicotomia in sostanza fra produttori e sfruttatori, su cui insiste, fa parte anche lui del mondo degli sfruttatori, dei narratori di favole, di storie, di fandonie, il mondo della "classe inutile", se non come consumatrice, burocratica e sfruttatrice, come vi apparteniamo ormai quasi tutti?

    Il mondo non e' finanziarizzato, e' burocratizzato, la finanziarizzazione e' un sottoprodotto della burocratizzazione, senza di essa non potrebbe sussistere. E la maggior parte della gente di oggi usa ed e' usata nella burocrazia, in un circolo vizioso, un meccanismo cieco e insulso, privo di alcun senso se non quello di alimentare e accrescere sempre di piu' se stesso.

    La vita dell'uomo, il suo senso, si e' ormai traferito in quelle nuove sfere, e lo e' gia' da decenni, perlomeno nelle societa' avanzate occidentali.

    E il problema e' che di "senso", se si prende atto di questa nuova realta', e' difficile parlare senza sentirsi stupidi.

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    1. "Ma oggi la percentuale si e' rovesciata, la "classe inutile", a cui appartiene lo stesso Giannuli, e apparteniamo noi, e appartengono quasi tutti, è il 90 per cento della popolazione."

      Probabilmente vero, anzi quasi sicuro. Ma non è una triste constatazione sentirsi inutili, che significa anche impotenti (mi viene in mente il titolo di quel romanzo di successo di Milan Kundera che tanto piacque a Calvino, "L'insostenibile leggerezza dell'essere"). Come si fa a vivere, a resistere, con la consapevolezza di non contare un cazzo? O forse la maggioranza non ha proprio questa consapevolezza, tutta alle prese con smartphone, reti sociali, facebook ecc., ma anche con la microconflittualità permanente, col prossimo e con le autorità che almeno ti distrae dal pensiero di essere superfluo, inutile.

      Di un argomento serio si dice che ha un peso, ha quindi sostanza, realtà. Come potremmo riacquistare anche noi - parassiti, sfruttatori senza magari accorgercene, inutili - un peso, dunque anche un po' di dignità e autostima? Inutili velleità?

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  2. @ Diaz

    << Il mondo non e' finanziarizzato, e' burocratizzato, la finanziarizzazione e' un sottoprodotto della burocratizzazione >>

    Concetto interessante questo, ma che non mi convince del tutto.
    Anzi, la finanza mi pare una delle attività elitarie che maggiormente riescono ad evitare le trappole della burocratizzazione.
    Che insegue i movimenti di capitale nel mondo per controllarli e tassarli, ma senza riuscire veramente mai a raggiungerli (un po' come Ezechiele Lupo con i 3 porcellini).

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    1. Il problema e' nella presenza delle trappole, non che qualcuno riesca a sfuggirle.

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    2. Per essere piu' chiari, stai facendo il classico discorso del burocrate che vuole che tutto sia sotto il suo controllo, mettendo trappole dappertutto per chi dovesse uscire dal sentiero da lui predeterminato.

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  3. @ Sergio

    << Come si fa a vivere, a resistere, con la consapevolezza di non contare un ca**o ? >>

    Si può, si può.
    Basta liberarsi dai condizionamenti genetici (che ci vogliono importanti per massimizzare le nostre chances riproduttive), e vivere come dei "fenotipi consapevoli".
    (chiedo scusa per l'ennesima auto-citazione :-))

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  4. Due articoli interessanti, dove il secondo spiega la fine che spettera' a quelli che non si piegheranno alla pianificazione ecologica cittadina (senza alcuna novita', in certo qual modo e' quanto succede dall'inizio del'olocene, visto che dai primi assembramenti urbani sede del potere, chi ne sta fuori e' tollerato solo se utile):

    http://www.lescienze.it/edicola/2017/09/04/news/il_futuro_dell_era_urbana-3635116/

    http://www.repubblica.it/ambiente/2017/09/11/news/amazzonia_indigeni_delle_tribu_incontattate_uccisi_per_l_oro-175187779/

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    1. << pianificazione ecologica cittadina >>

      Questa definizione, non so perchè, ha qualcosa di vagamente ossimorico...
      Dubito molto che una struttura cittadina (che presuppone un certo livello di popolazione) possa mai fare qualcosa di realmente ecologico.

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