mercoledì 24 maggio 2017

Alta velocità

Il libro “Pensieri lenti e veloci” di Daniel Kahneman è un testo davvero interessante, che consiglio a tutti, perché ci aiuta a capire meglio come funzionano i nostri processi mentali. Quella che segue è una delle migliori recensioni trovate sul web (dal sito Matitaverde). 
LUMEN


<< David Kahneman, autore di questo “Pensieri lenti e veloci”, è uno scienziato israelo-americano a dir poco versatile. Ha ricevuto il premio Nobel per l’economia nel 2002, ma i suoi studi (nonché le sue deduzioni) sono risultati validi, o più che validi, in settori che spaziano dalla statistica, alla sociologia, alle neuro-scienze.
 
Spesso, i saggi sulla mente umana fanno poco altro che riproporre con lessico scientifico teorie intuibili – se non già note - sul modo in cui ci formiamo le opinioni, senza comprovare tali teorie con studi statistici consistenti e convincenti. Kahneman si dà una compito diverso, nel libro oggetto di questa recensione.
 
La sua trattazione sul pensiero umano, e su certe cattive abitudini che noi umani possediamo e di cui non ci rendiamo conto, ha un fine pratico. Dopo aver spiegato, con la forza della statistica, quali errori spesso commettiamo nel prendere decisioni importanti durante le nostre esistenze, Daniel Kahneman suggerisce pragmaticamente alcuni stratagemmi per ridurre il più possibile le scelte sbagliate e vivere (o almeno capirci) meglio.
 
“Pensieri lenti e veloci” si propone di mostrare che raramente le scelte umane sono dettate esclusivamente dalla razionalità, anche quando sembrano molto, molto ben ponderate. Difatti, una grossa e ben celata componente delle decisioni che prendiamo tutti i giorni deriva dagli stimoli dettati del cosiddetto "sistema 1" della mente, quello primordiale, istintivo e "veloce" (come da titolo del libro), piuttosto che dal "sistema 2", quello "lento" che dà suggerimenti migliori, perché fondati su fatti concreti elaborati con criterio.
 
Un esempio pratico di questa dicotomia, supportato da uno studio statistico esteso: i giudici più esperti del tribunale della libertà vigilata israeliano sono fortemente influenzati dal proprio livello di appetito nel momento in cui prendono la decisione se garantire la libertà o no a un condannato. Per quanto la cosa appaia crudele e assurda, o kafkiana, un ampio campione statistico ha dimostrato che, nei momenti più lontani dai pasti, i giudici concedono la libertà vigilata in percentuali molto più basse rispetto a quando hanno lo stomaco pieno.
 
Questo è solo un esempio che dimostra come i circuiti primordiali del cervello influenzino pure le decisioni che necessitano di maggiore meditazione. Non solo il "sistema 2" (la nostra parte intelligente) ha molta meno voce in capitolo di quanto si pensi, ma tende anche a nascondere e giustificare l’intervento del "sistema 1".
 
Difficile, per esempio, che il "sistema 2" ammetta di non ricordare un particolare di un evento cui ha preso parte. La mente umana riesce a ricordare solo alcuni momenti salienti degli avvenimenti cui assiste. Piuttosto che riconoscere la propria fallacia, però, il "sistema 2" inventa dettagli di cui di dice convinto ma che in realtà non ha mai visto o ascoltato, e che gli servono solo per creare una storia integra e credibile per sé e per gli altri (la mente umana ama la coerenza nelle storie).
 
Il “Sistema 1” (o “veloce”) e il “Sistema 2” (o “lento”) sono i due antagonisti che dirigono le nostre decisioni, secondo Daniel Kahneman. Nello svolgersi del libro, si rincorrono, si prendono a pugni, infine si alleano. Kahneman introduce poi un terzo protagonista: il fato, inteso come un risultato inatteso dovuto alla natura caotica del nostro mondo.
 
Il sistema “2”, quello razionale e lento, odia il fato. Il pensiero “lento” è convinto di poter controllare ogni fenomeno e non solo non tollera intromissioni del sistema “1”, che tende a nascondere con grandissime panzane, ma anche della casualità, che non riesce proprio ad accettare, perché genera dubbi e incoerenze. A noi esseri umani piace pensare che il fato giochi un ruolo marginale nella nostra vita, convinti di poter dirigere le nostre esistenze dove vogliamo.
 
E' il nostro amore per le storie coerenti che ci porta ad attribuire grandi qualità alle persone di successo, mentre svalutiamo le capacità di chi rimane nell’anonimato, magari perché palesemente meno fortunato in certe circostanze. Noi umani non siamo predisposti a dare la giusta importanza al fato, nelle nostre valutazioni.
 
Questo è riscontrabile in molti ambiti, compreso (tristemente per le nostre tasche) quello della finanza. Kahneman riesce a dimostrare, dati alla mano, che non esistono “esperti di finanza”: le decisioni azzeccate sui mercati un certo anno da un certo gruppo di “guru” vengono puntualmente sconfessate l’anno successivo, data la natura totalmente erratica dei valori finanziari.
 
Ciononostante, a noi umani piace pensare che ci siano persone che hanno talento, anche dove il talento non può giocare alcun ruolo, e compriamo libri di "auto-miglioramento" scritti da gente che ha ottenuto successo, grazie a un po’ di intelligenza e probabilmente molta fortuna. Libri che, intima Daniel Kahneman, non ci serviranno assolutamente a nulla.
 
“Pensieri lenti e veloci” fa presa perché, a differenza di altri saggi sui comportamenti umani, cerca di (e spesso riesce a) rafforzare le teorie con analisi statistiche ben estese. Quest’approccio riflette uno degli argomenti di cui si fa paladino Kahneman: l’invalidità degli studi statistici compiuti su campioni poco rappresentativi della popolazione.
 
L’autore scrive: siccome il cervello umano ama avere ragione, dà grande significato a studi chiaramente poco significativi, in cui il caso gioca un ruolo importante, purché provino le proprie convinzioni superficiali. Una statistica calcolata su piccoli gruppi (esistono formule precise per decidere se un gruppo è valido o no, rispetto alla popolazione totale) può distorcere totalmente la realtà dei fatti che vuole spiegare, eppure spesso la accettiamo, perché fa comodo all'ostinazione della mente di ricevere conferme per le proprie impressioni. (…)
 
Un altro elemento originale di questo tomo è che, a differenza - per esempio - dello studio sul cervello di Leonard Mlodinow, esso non rimane lettera morta, ma suggerisce azioni concrete che si possono intraprendere per cercare di migliorare la qualità della propria vita.
 
Nello specifico, alla fine di ogni capitolo Kahneman propone di “cambiare gli argomenti alla macchinetta del caffè”. Al posto delle chiacchiere dettate dal “sistema 1” (il quale è molto attratto dall’errore e dal gossip sull’errore), la persona addomesticata dalle tesi di “Pensieri lenti e veloci” può dare una prospettiva diversa a quello che ascolta, ponendo l’interpretazione razionale (“sistema 2”) a un livello superiore rispetto all’istinto.
 
E’ pretenzioso immaginare che questo atteggiamento possa migliorare il mondo, ma è apprezzabilissimo che il nostro premio Nobel voglia dare una mano.
 
Nelle classifiche internazionali di vendita libri, questo saggio occupa le prime posizioni da mesi: è innovativo e dà consigli davvero utili nei processi decisionali a tutti i livelli (non solo aziendali: anche quando si compra l’auto, si vota, si sceglie il fidanzato, si prendono cantonate evitabilissime).
 

E’ uno dei pochi saggi che riguardano la mente di cui ci siamo ricordati (o meglio, cui il nostro sistema “2” fa riferimento aggiungendo dettagli a scelta) in occasioni di vita vissuta. Non ci lanceremmo a dire che si tratta di un testo illuminante, ma spenderemo l’aggettivo di utile. >>

MATITAVERDE.IT

15 commenti:

  1. Mah, sì, abbastanza interessante, ma non comprerò e leggerò questo libro, pur pensando che contenga tante cose non solo interessanti, ma anche utili.
    Mi basta aver letto questa presentazione, grazie Lumen.
    Ma poi questi sistemi 1 e 2, veloce e lento, mi sembrano semplicemente altre denominazioni di cose note: il cervello primitivo o rettiliano, costituito mi sembra dall'amigdala, e il cervello nobile costituito dalla corteccia cerebrale, quella che "pensa" e ha trasformato e trasforma continuamente l'ambiente e le nostre vite e ci permette di osservare le galassie, d'inventare sofisticatissimi apparecchi. Il cervello primitivo è veloce perche reagisce istitnitivamente a sollecitazioni esterne di primaria importanza per la sopravvivenza (caldo-freddo, gradevole-sgradevole, favorevole-sfavorevole, amico-nemico ecc.). Il cervello nobile è per forza più lento, ma ... va più lontano. Ed è anche in concorrenza col cervello rettiliano. Ma sembra che il nostro benessere, la sensazione di stare davvero bene e talvolta felici (Faust: "mi sento bene come un cannibale o cinquecento troie") dipenda soprattutto dall'amigdala, sistema semplice e refrattario ai cambiamenti. Tuttavia il cervello nobile può influire sull'amigdala. Insomma, sono due sistemi in concorrenza ma che possono trovare un punto di equilibrio da cui dipende il nostro benessere.

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    1. << Insomma, sono due sistemi in concorrenza ma che possono trovare un punto di equilibrio da cui dipende il nostro benessere. >>

      Esatto.
      Purtroppo troppo spesso ci dimentichiamo della nostra parte ancestrale e finiamo per dare troppa importanza ai nostri ragionamenti razionali.
      Il cui eventuale successo, secondo l'autore, è più spesso conseguenza della fortuna che non della nostra abilità nel ragionamento.

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  2. Copio e incollo dal web a proposito del nostro autore:
    << In uno degli esperimenti presso la scuola di volo militare israeliana, Kahneman ci fa capire come ignorare certi concetti può portare ad errori di valutazione.
    Gli istruttori di volo erano convinti che lodare i piloti che si erano comportati bene nella prima prova fosse deleterio visto che nella fase successiva peggioravano la performance.
    Diverso il convincimento nel caso opposto: strigliare i piloti che nella prima prova si erano comportati male solitamente aveva effetti migliorativi nella seconda, questo almeno nella convinzione degli istruttori.
    Kahneman fece osservare che quello era il classico caso di regressione verso la media.
    Chi veniva lodato aveva messo in pratica performance nettamente sopra gli altri (e la volta dopo peggiorava per un semplice processo di mean reversion), chi sentiva sbraitare nelle cuffie urli e rimproveri era stato protagonista di un performance nettamente inferiore agli altri (e la volta dopo migliorava la prestazione anche qui per una semplice mean reversion). (...)
    Per i piloti di aereo, come per i giocatori di golf o i gestori di denaro che emergono o che sprofondano, la fortuna conta molto più del talento nella maggior parte dei casi e questo rende assolutamente normale un appiattimento delle prestazioni nel lungo periodo. >>

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  3. Prendi uno come Leopardi che ha spaccato il capello in quattro per comprendere la realtà. E a cosa gli è servito? A niente, a parte passare (ammazzare) il tempo e illudersi di aver capito l'essenziale. Non gli è servito nemmeno a guadagnarsi la vita visto che è dipeso fino all'ultimo dall'assegno di casa elargito molto malvolentieri da quella taccagna di sua madre. Un mezzo disastro, anzi completo. E lo stesso Leopardi ammette che amoreggiare con una bella ragazza è molto meglio che filosofare. Per star bene infatti bisogna soddisfare certe esigenze elementari come nutrirsi, far l'amore, giocare et similia. È il primum vivere, il resto viene dolpo. O con Brecht: prima viene lo strafogare, poi la morale (che è già un'astrazione).
    Ortega sostiene che quattro sono le cose che hanno sempre reso felice l'uomo: ballare, chiacchierare, andare a caccia (la quarta non mi viene in mente). Può sembrare strana la caccia. Ma nelle sue Meditazioni sulla caccia Ortega spiega bene il perché del piacere che prova l'uomo cacciando. È un ritorno alla pura natura del predatore che richiede accurata preparazione, grande sforzi, molta sagacia per stanare la selvaggina che è sempre rara (e se la manchi chissà quando si ripresenterà l'occasione - e non di rado si torna a mani vuote - o come dicono i francesi: rentrer bredouille). Se la selvaggina fosse abbondante la caccia non sarebbe un piacere ma un tirassegno. La vita è sempre un'impresa dura, un dramma (secondo Ortega). Quando va a caccia l'uomo è di nuovo un puro animale predatore, depone il pesante fardello di essere uomo (un capitolo ha per titolo: vacaciones de humanidad - smettere di essere uomo per qualche ora o un giorno) - con grande soddisfazione del sistema limbico.
    Per favore, non tiratemi fuori la storia che la caccia è una cosa barbara. Lo so bene, io non vado a caccia e detesto i cacciatori (ma da ragazzo andavo a caccia col nonno e sparavo anch'io agli uccelli che poi cucinavo e trovavo buoni). Cosa che ovviamente oggi non faccio più, oggi pratico il bird watching.

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    1. Su 2 delle 4 attività di Ortega, direi che non ci sono dubbi nemmeno oggi: le chiacchiere con gli amici e l'ultima (che non nomino neppure io) restano fondamentali per tutti.

      Sulla prima e sulla terza, invece, visti i tempi, si potrebbe fare un piccolo aggiornamento, inserendo lo sport a fianco del ballo e gli hobby al posto della caccia.
      Che ne pensi ?

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    2. Be', la caccia come attività ludica è ormai squalificata. Le attività sportive, ma non quelle agonistiche, mi sembrano piacevoli come il ballo e le chiacchiere (o stare in compagnia). Ma l'importante è che sono proprio queste attività elementari a procurare piacere e soddisfazione senza dovere spremere le meningi. Le parole ingannano (spesso), ma il corpo non si fa ingannare (facilmente).

      P.S. La quarta attività che procura(va) grandissimo piacere e felicità era per Ortega il cavalcare. Quanto alla caccia è stata la grandissima passione dei re, ma anche del popolo quando se lo poteva permettere. La caccia era un privilegio dei ricchi, i cacciatori di frodo erano severamente puniti.

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    3. << La quarta attività che procura(va) grandissimo piacere e felicità era per Ortega il cavalcare. >>

      Ooops...
      Io pensavo a tutt'altra cosa !
      (che sarebbe poi la prima che viene in mente, almeno a noi maschietti).

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    4. "Io pensavo a tutt'altra cosa ! "

      E te pareva? Ma questo appartiene alla pura fisiologia come il mangiare bere e respirare (cose anche queste che procurano piacere e soddisfazione, non per nulla la Chiesa considera la "gola" uno dei setti vizi capitali - con la lussuria!). E i Romani vomitavano per riprendere a pasteggiare (ma che schifosi).
      Ma il collezionare varie scemenze (francobolli, monete ecc.) rientrano nelle attività che rendono "profondamente" felici? Direi di no. Però zio Paperone che fa la doccia di dollari sembra felicissimo ...

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    5. Zio Paperone, secondo me, riesce ad essere felicissimo perchè ha uno scopo ben preciso nella vita e quindi non ha problemi "esistenziali".
      Credo che i fumetti di Topolino contengano, sotto traccia, pensieri molto più profondi di quanto sembra.

      Quanto al collezionismo, ovviamente, "ogni scarrafone è bello a mamma sua".
      Però il collezionismo è solo uno dei tanti possibili hobby.
      Ce ne sono mille altri e non c'è che l'imbarazzo della scelta.

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    6. "riesce ad essere felicissimo perchè ha uno scopo ben preciso nella vita e quindi non ha problemi "esistenziali".

      Già, i problemi esistenziali. Ricordo un argentino rifugiato in Svizzera all'epoca della dittatura e che faceva il tassista (mi portò una sera da Zurigo a casa, 120 km, 200 franchi pattuiti) e che osservava: voi europei siete pieni di problemi ovvero pseudoproblemi, insomma i nostri crucci da ricchi benestanti, mentre la gente normale ha ben altre gatte da pelare, appunto i problemi quotidiani e concreti, altro che filosofia. E poi mi fece una domanda a bruciapelo che mi colpì tanto mi sembrava azzeccata (ma che non riferirò qui).
      Poi c'è quell'altra battuta che conoscerai: "il c...o non vuole pensieri" (per funzionare ...).

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    7. Caro Sergio,
      mi sono fatto la convinzione che sia quasi impossibile, per un essere umano, non essere preoccupati per qualcosa.
      Se abbiamo un problema serio, la nostra mente è occupata (giustamente) da quello.
      Ma non appena lo abbiamo risolto, ecco che subito siamo occupati da un altro, che magari esisteva anche prima, ma era messo in ombra dall'urgenza del precedente.
      E così via.

      Forse la nostra capacità (unica tra i viventi) di prefigurare con largo anticipo gli eventi futuri, per meglio pesarli ed affrontarli, è anche la nostra peggiore condanna.

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    8. "quasi impossibile, per un essere umano, non essere preoccupati per qualcosa"

      Faccenda su cui speculano alla grande i venditori di paura del nostro tempo, che nella migliore delle ipotesi diffondono angoscia e distolgono risorse da dove sarebbe piu' utile impiegarle, e nella peggiore spingono verso il totalitarismo.

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  4. Il saggio di Kahneman si inserisce in quel filone teorico-pratico chiamato 'neuroscienza/psicologia cognitiva', di conio relativamente recente ma tra i più dinamici e fecondi della ricerca scientifica contemporanea e al quale afferiscono studiosi del calibro di P.Legrenzi (probab.te abbastanza noto anche al grande pubblico a seguito di alcune apparizioni televisive)...

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  5. http://www.ilgiornale.it/news/spettacoli/niente-nel-nostro-universo-pi-instabile-tempo-1403557.html

    Interessante, ma ...
    (ma che me ne faccio)

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  6. Quello di Paolo Legrenzi è un nome che proprio non conoscevo, ma ho visto sul web che ha un bel numero di pubblicazioni al suo attivo.
    Sarà il caso di approfondire.

    Certo però che lo studio pratico della psicologia resta un campo per autodidatti appassionati (i soliti quattro gatti).
    Nessuno - per quanto ne so - si cura di insegnare psicologia applicata nei percorsi scolastici.
    Che sia voluto, per evitare cittadini troppo consapevoli ?

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