giovedì 14 gennaio 2016

Della disuguaglianza economica

Molti economisti attribuiscono l’attuale crisi economica ad un progressivo calo dei salari, combinato ad uno speculare aumento degli utili dei capitalisti.
Al profano, resta però una domanda apparentemente banale: ma la ricchezza sottratta ai salariati e trattenuta dai "padroni" non dovrebbe generare ugualmente una domanda di beni e servizi e quindi essere neutra a livello complessivo ?
E’ vero che ricchi spendono i loro soldi in modo molto diverso dalle persone comuni, ma (a prescindere dagli eventuali problemi etici) per l’economia globale non dovrebbe essere la stessa cosa ?
Pare proprio di no, e questo per colpa dei sempre più invadenti “mercati finanziari”, come prova a spiegarci Alberto Bagnai in questo breve post “tecnico”, tratto dal suo blog. 
LUMEN
 
 
<< L'economia della produzione di massa ha bisogno di un consumo di massa per tirare avanti. Questo comporta che una parte consistente dei profitti che vanno al capitale non si traducano (per impossibilità fisica) in domanda immediata di nuovi beni e servizi da parte dei "ricchi", ma vengano avviati al circuito finanziario (cioè si traducono nell'acquisto di "carta").

In condizioni normali (cioè non di disuguaglianza crescente) alla fine andrebbe anche bene così: in teoria, considerando per il momento un'economia chiusa, l'acquisto di "carta" (un'azione, un'obbligazione) da parte del ricco corrisponde al bisogno di un'azienda di finanziare investimenti produttivi (emettendo, appunto, "carta").

Quindi la parte dei redditi dei ricchi che non va nell'acquisto immediato di aragoste e Ferrari si tradurrebbe comunque nell'acquisto di beni fisici, mediato dal circuito finanziario, che raccorda famiglie (ricche e povere) e imprese, permettendo a queste ultime di finanziare i propri investimenti produttivi (…).

Quando però la disuguaglianza aumenta, in questa bella storia nella quale i risparmi vengono comunque convogliati verso la creazione di valore (via investimenti produttivi) comincia ad incepparsi qualcosa. Intanto, una parte dei redditi dei ricchi (mangiata l'aragosta, comprata la Ferrari), deve necessariamente andare a finanziare i consumi dei poveri (i quali altrimenti, morendo di fame, non potrebbero pescare l'aragosta che al mercato il ricco comprò...).

Poi, l'incremento della produttività da un lato (via progresso tecnico), e dei fatturati dall'altro (via finanziamento "a credito" della spesa dei "poveri"), determina una buona redditività aziendale, la quale fa sì che in effetti il settore delle imprese sia in grado di finanziare da sé gli investimenti produttivi, cioè senza ricorrere ai risparmi dei "ricchi", ovvero, senza ricorso ai mercati.

Ma noi vediamo che i "mercati" (finanziari) acquistano sempre maggiore peso. Perché? La risposta è che una buona parte delle risorse finanziarie distribuite ai "ricchi" vanno ad acquistare carta che non corrisponde a domanda di beni (in particolare, domanda "mediata" di beni capitali). E a cosa corrisponde ? (…)

La risposta breve è che le risorse finanziarie dei "ricchi" vanno ad alimentare una sorta di gigantesco gioco dell'aeroplano o schema Ponzi (se preferite), dove la creazione di "valore" corrisponde sostanzialmente alle plusvalenze realizzate nelle operazioni di fusione e acquisizione di aziende, alle quali corrisponde una produzione di "carta" il cui valore è sostenuto, appunto, dal flusso di domanda di "carta", cioè dagli eccessivi introiti dei (pochi) ricchi, che un qualche impiego dovranno pur trovarlo (mangiata l'aragosta e parcheggiata la Ferrari).

Consideriamo, per semplicità, gli Stati Uniti (che sono archetipici di questa evoluzione del capitalismo). Fra il 1980 e il 1998 nelle imprese statunitensi sono entrati 19.326 miliardi (…), a fronte dei quali il settore ha chiesto ai mercati, vendendo "nuova carta", 5.168 miliardi (…), destinati all'acquisto di attività finanziarie.

Queste attività corrispondono di fatto a plusvalenze derivanti da operazioni di fusione e acquisizione di aziende, che se dal lato reale traggono il loro fondamento nella (pretesa) esigenza di "razionalizzare ed efficientare" (grande è bello, facciamo economie di scala, ecc…), dal lato finanziario sono sostanzialmente un modo per vendere a 125 due aziende che valgono 50. (…)

Se infatti una azienda A comprasse un'azienda B ai valori di libro queste due operazioni di compenserebbero, dando come risultato zero. Ma se l'azienda A compra per 125 una azienda B che vale 100 (o due aziende C e D che valgono 50 l'una), ecco che sorgono 25 (…), corrispondenti a "creazione" di valore puramente speculativa, determinata dall'operazione di acquisizione, e non a un incremento del 25% dei macchinari, capannoni e attrezzature dell'azienda B (che fisicamente quella è, e quella rimane).

Ora, il punto è: cosa permette di vendere al 25% in più (nell'esempio, ovviamente) una cosa che vale 100 ? Semplice: il fatto che qualcuno abbia i soldi per comprarla ! Come in ogni schema Ponzi [famoso sistema di truffa finanziaria “a piramide” ideato dall’italo-americano Charles Ponzi - NdL], sono i nuovi entranti che garantiscono la prosecuzione del gioco.

Il capitalismo finanziario comprime lo Stato come intermediario del risparmio (riducendo, ad esempio, le pensioni), e così i redditi dei ricchi (che sono sempre più ricchi) e anche quelli dei meno ricchi si orientano sempre più a comprare carta privata, alimentandone (artificialmente) il valore.

La lotta ideologica ai sistemi pensionistici a ripartizione [quelli in cui si usano i contributi correnti per pagare le pensioni correnti - NdL], per dirne una, ha il suo fondamento non tanto nell'invecchiamento della popolazione e via dicendo, quanto nell'evoluzione verso questo tipo di capitalismo.

Non è più un circuito, dove la famiglie comprano la carta delle imprese: è uno schema che ha al centro il mercato secondario dei titoli (cioè il mercato della carta già esistente), che diventa il motore e l'arbitro del sistema. Questo è quello che (…) viene chiamato il capitalismo finanziario.

Le imprese ora non rispondono alle famiglie ma ai "mercati" (il mercato secondario), e quindi la loro logica diventa una logica di breve periodo. Prezzo e quantità dei titoli presenti nel pool non dipendono più solo dalle necessità delle imprese "produttive" di finanziare investimenti in capitale fisico, ma da tante altre cosette che poco hanno a che vedere con la produzione e con l'acquisto di quei beni per acquistare i quali nel frattempo il "povero" si sta indebitando. (…)

La storia, quindi, è quella di un capitalismo che produce carta a mezzo di carta, e che quindi, ovviamente, avvantaggia chi ha gli strumenti culturali e tecnici per trarre profitto da questo gioco (ovviamente i più ricchi), lasciando, come in ogni Ponzi game, il cerino acceso in mano a una sterminata platea di fessi, ovvero i contribuenti, che quando il sistema salta sono costretti a tappare i buchi, cioè a mettere di tasca loro quel famoso 25 che non c'era (e che quando nessuno vuole comprarlo più - per qualsiasi motivo - diventa il granello di sabbia che inceppa l'ingranaggio).

Per inciso: va da sé che quando l'ingranaggio si inceppa, chi ci ha messo i soldi pensando di avere una vecchiaia agiata si ritrova sotto i ponti. (…) Ecco quindi perché, in un capitalismo che distribuisce troppo ai pochi e poco ai molti, i soldi che vanno ai pochi non sono destinati ad acquistare i beni che i molti non si possono più permettere (e nemmeno il loro controvalore in beni fisici "da ricchi"). >>

ALBERTO BAGNAI

12 commenti:

  1. Questo qui sopra e' il solito cumulo di stronzate economicistiche che vedono le questioni solo dal punto di vista politico che interessa, col paraocchi: se non ci fosse il debito, la gente si riposerebbe, e' il debito che le costringe a correre e produrre, per ripagarlo. Quindi l'economia del debito non e' solo quella che impedisce alla gente di comprare cio' che produce perche' non ha i soldi: e' anche quella che COSTRINGE la gente a produrre per procurarsi i soldi per ripagare il debito. Risultato netto, zero, con tutti che corrono come criceti impazziti. Cio' che non da' risultato netto zero, invece, e' produrre cose che non servono ad un cazzo e nessuno vuole, costringendolo poi a comprarle con la forza (o col debito pubblico senza chiedere prima il suo consenso, che e' il caso nostro italiano, ed era il caso dell'unione sovietica dove la produzione non rispondeva ad una LIBERA domanda di mercato ma veniva imposta dalla pianificazione centrale dei vari tecnici esperti di economia).

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  2. E' noto che Keynes era un ammiratore dell'unione sovietica e del nazismo in quanto riteneva che solo in quel tipo di regimi politici la sua teoria economica avrebbe potuto funzionare al meglio. Non e' un caso che il new deal roosveltiano si fosse ispirato in gran parte alla politica economica mussoliniana.

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  3. Peraltro con risultato netto zero: la grande crescita economica si ha solo DOPO la seconda guerra col cambiamento REALE del modo di vita della gente dovuto alle mutate condizioni MATERIALI di vita: avere il bagno in casa invece che in un buco sul campo a 50 metri di distanza, avere l'acqua corrente che esce calda dai tubi girando un rubinetto, avere caldo d'inverno premendo un bottone, cucinare in ogni momento senza dover accendere un "inquinantissimo" falo'a legna, prendere una pastiglia di antibiotico e cosi' rimandare la morte di qualche decennio CAMBIA la vita delle persone. Il vantaggio marginale di quelle innovazioni non e' ripetibile, furono innovazioni che aumentarono tantissimo la qualita' della vita, ad un costo molto basso. Ora invece si pagano costi altissimi (tipo le piste ciclabili da un milione di euro al km, o le costosissime cure sanitarie ai moribondi allettati) per avere vantaggi marginali NULLI, cio' non migliora di NULLA le nostre vite, e anzi il debito che ne consegue e si accumula ci trascina a fondo in un gorgo che ci pare senza fine di infelicita' e di angoscia.

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  4. Mah, Keynes avrà i suoi difetti e i suoi limiti, ma non aveva nessuna simpatia per Marx (riteneva il Capitale privo di considerazioni valide o significative) e considerava il capitalismo un po' come Churchill considerava la democrazia (pieno di difetti ma difficile da sostituire).

    Inoltre aveva grande diffidenza per i mercati finanziari, tanto da definire la borsa come una "bisca di lusso", ed affermare che in campo economico-finanziario "è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale".

    Sono considerazioni ironiche e disincantate, che me lo rendono, tutto sommato, abbastanza simpatico.

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    1. Keynes ha detto tutto e il contrario di tutto, se e' per questo: dimostrando di essere il perfetto capostipite dell'economista moderno: inutile o dannoso, e in quanto tale, da cassare e dimenticare.

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  5. Eppure l'economia è, a mio parere, psicologia applicata e la psicologia è (dovrebbe essere ?) una scienza.
    Quindi, se molte delle teorie degli economisti sono sballate, ciò non significa che - in linea puramente teorica - non sia possibile elaborarne altre più centrate, come è sempre avvenuto nella lunga storia della scienza.

    Io credo che molti degli errori delle teorie economiche classiche derivi da una inadeguata conoscenza dei nostri meccanismi neurali.
    I classici, infatti, attribuivano all'agente economico il massimo della razionalità, salvo poi sorprendersi (ex post) per le mille sciocchezze irrazionali che venivano compiute dai mercati.

    Oggi invece si è scoperto che anche in campo economico l'uomo si comporta molto spesso in modo irrazionale, cioè controproducente.
    Il che, però, non vuol dire che questo comportamento non possa essere analizzato e - entro certi limiti - previsto.
    Se non l'hai ancora fatto, leggiti PENSIERI LENTI E VELOCI di Daniel Kahneman, che dedica alcuni capitoli proprio ai comportamenti economici "irrazionali".

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  6. Il comportamento e' SEMPRE razionale, dato che se avviene ci deve essere una ragione per cui e' avvenuto, per cui stare a dare arbitrari giudizi di valore basati su una "vera" razionalita' alternativa arbitrariamente stabilita, travestendoli di necessita' meccanica, e' un non senso, oltre che molto disonesto.

    Se c'e' una cosa che con gli anni sono arrivato a detestare profondamente e' il comportamentismo, gia' in psicologia, figuriamoci in economia, con i suoi infantili esperimenti e giochetti pavloviani.

    D'altra parte l'economia pratica, e teorica, contemporanea e' tutta e solo stupidi schemi di stimolo-risposta.

    Ormai detesto la metafora della macchina applicata a qualsiasi cosa, anche alle macchine ;)

    Il tecno-meccanicismo lo considero la malattia mentale del nostro tempo.

    L'economia e' la pseudoscienza delle correlazioni spurie:
    http://tylervigen.com/spurious-correlations

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  7. << Il comportamento e' SEMPRE razionale >>

    Non sono d'accordo.
    Il comportamento può essere razionale (c.d. pensiero lento) oppure istintivo (c.d. pensiero veloce) a seconda delle circostanze.
    Nel primo caso si privilegia la precisione della risposta, nel secondo caso la rapidità.

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    1. "Non sono d'accordo.
      Il comportamento può essere razionale (c.d. pensiero lento) oppure istintivo (c.d. pensiero veloce) a seconda delle circostanze."

      Non credo: spessissimo il pesiero che si maschera da razionale (o lento che dir si voglia) lo e' (razionale) solo in apparenza (lento no, dato che non si muove di un millimetro), mentre ha un fondo del tutto irrazionale, e lo si vede contrariandolo: quasi sempre chi veicola un certo presunto "pensiero razionale" non lo abbandona qualunque controprova gli si porga dinnanzi.

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    2. Leggiti Kahneman, ascolta me, poi ne riparliamo.
      Il libro è un po' lunghetto (e a volte ridondante), ma molto interessante.

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  8. E visto che stiamo "parlando male" dei mercati finanziari, ecco alcune recenti considerazioni sull'argomento di Michele Serra:
    << Il valore convenzionale del capitale finanziario, secondo attendibili studi un valore sette volte più alto (!!) del prodotto interno lordo mondiale.
    La smaterializzazione della ricchezza — la colossale ricchezza di chi fa soldi con i soldi — è il caso più eclatante di sparizione del bottino di tutta la storia umana. >>

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  9. Tutti geni dell'economia, ultimamente...

    Sembra, che si tratti di un valore sette volte piu' alto, e solo finche' quelli come michele serra ci credono... sono solo pezzi di carta, e oggi nemmeno quello, solo scritture elettroniche, "promesse di credito".

    E' poi quando mai la ricchezza e' stata materiale? Il valore che noi diamo alle cose e' intrinsecamente immateriale, anche quando si tratta di valore che attribuiamo alla materia.

    I mercati finanziari... avrete anche voi amici, conoscenti, parenti, idioti che hanno trovato lucroso parcheggio nei "mercati finanziari", dallo sportello di banca al trader di borsa cocainomane...

    Invece, un articolo interessante su una vecchia diatriba inconcludente, al solito fra guelfi e ghibellini, che avrete seguito in quanto dotati come me di molto tempo da perdere, ecco:
    http://noisefromamerika.org/articolo/se-tassassimo-solo-ricchi
    in cui si dimostra che calare le tasse per tutti ha sia aumentato il gettito, sia la quota pagata dai piu' ricchi.

    Comunque se avete voglia di scandalizzarvi sul denaro vi consiglio "il denaro sterco del demonio" di massimo fini, bel libro di spessore umanistico come tutti i libri di fini.

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