sabato 5 aprile 2014

Infelice come una Pasqua

Quando si pensa all’Isola di Pasqua, vengono subito in mente i suoi enormi, sorprendenti, affascinanti (ma, in fondo, anche un po’ stupidi), testoni di pietra.
Ma questa piccola isola sperduta nel Pacifico, è molto studiata anche dagli antropologi, perché rappresenta un esempio “classico” (ed abbastanza recente) di come la perdita dell’equilibrio ecologico possa portare al rapido declino di una intera civiltà.
Ce ne parla Robert Krulwich in questo articolo sorprendente, ma anche un po’ inquietante, tratto da Effetto Risorse.
LUMEN


<< L'Isola di Pasqua è un piccolo lembo di terra di 63 miglia quadrate, a più di 1.000 miglia dal punto abitato più vicino nell'Oceano Pacifico.
Nel 1.200 ca. un piccolo gruppo di Polinesiani (…) si sono diretti lì, si sono insediati ed hanno cominciato a coltivare. Quando sono arrivati, il luogo era ricoperto da alberi: 16 milioni di alberi, alcuni che raggiungevano i 100 piedi di altezza.

Questi coloni erano agricoltori che praticavano l'agricoltura “taglia e brucia”, quindi hanno bruciato i boschi, aperto spazi e cominciato a moltiplicarsi. Ben presto l'isola aveva troppe persone, troppo pochi alberi e quindi, in sole poche generazioni, nessun albero.

Come racconta Jared Diamond nel suo best seller “Collasso”, l'Isola di Pasqua è “l'esempio più chiaro di una società che ha distrutto sé stessa sfruttando troppo le proprie risorse”.
Una volta iniziato l'abbattimento di alberi, non si è fermato finché l'intera foresta non era scomparsa. Diamond chiama questo comportamento auto-distruttivo “ecocidio” ed ha avvertito che il destino dell'Isola di Pasqua un giorno potrebbe essere il anche il nostro destino.

Quando il capitano James Cook ha visitato il posto nel 1774, il suo equipaggio ha contato circa 700 isolani (rispetto ad una popolazione precedente di migliaia), che vivevano vite marginali, le loro canoe ridotte a frammenti rattoppati di legno galleggiante.
E questa è diventata la lezione dell'Isola di Pasqua: di non osare di abusare delle piante e degli animali intorno a noi, perché se lo facciamo cadremo, tutti noi, insieme. (…)

Questa è la storia che tutti conosciamo, la storia del collasso. Ma ce n’è una nuova che è molto diversa.
Proviene da due antropologi, Terry Hunt e Carl Lipo, dell'Università delle Hawaii. Essi dicono “Piuttosto che un caso di fallimento abietto”, ciò che è accaduto alla gente dell'Isola di Pasqua “è un'improbabile storia di successo”.
Successo? Come può mai qualcuno chiamare ciò che è accaduto nell'Isola di Pasqua un “successo”? (…)

I professori Hunt e Lipo dicono che i cacciatori di fossili e i paleobotanici non hanno scoperto nessuna prova solida che i primi coloni Polinesiani diedero fuoco alla foresta per liberare la terra, ciò che viene chiamata “grande agricoltura preistorica”. Gli alberi sono morti, nessun dubbio. Ma al posto del fuoco, Hunt e Lipo danno la colpa ai topi.

I topi polinesiani (Rattus exulans) erano nascosti nelle loro canoe, dicono Hunt e Lipo, e quando sono sbarcati, senza nessun nemico e con molte radici di palma da mangiare, si sono dati alla baldoria, mangiando e distruggendo albero dopo albero e moltiplicandosi ad un ritmo furioso. (…)

Quando gli alberi se ne sono andati, la stessa cosa hanno fatto 20 altre specie di piante della foresta e 6 specie di uccelli di terra e diversi uccelli di mare.
Così c'è stata decisamente meno scelta di cibo, una dieta molto più ristretta, tuttavia la gente continuava a vivere sull'Isola di Pasqua e il cibo, sembra, non era il loro grande problema.
Per prima cosa, potevano mangiare topi [ehm… ndr].

Come riporta J.B. MacKinnon (…) gli archeologi hanno esaminato gli antichi cumuli di rifiuti sull'Isola di Pasqua cercando ossa di scarto ed hanno trovato “che il 60% delle ossa provenivano dai topi introdotti”. Quindi avevano trovato un sostituto di carne.
Per di più, siccome l'isola non aveva molta acqua e il suo suolo non era ricco, gli isolani hanno preso delle pietre, le hanno spaccate e sparpagliate sui campi aperti creando una superficie irregolare.

Quando soffiava il vento dal mare le pietre irregolari creavano flussi d'aria più irregolari che “rilasciavano i nutrienti minerali della pietra”, dice J.B. MacKinnon, il che ha dato ai suoli la quantità sufficiente di aumento dei nutrienti per sostenere i vegetali fondamentali.

Un decimo dell'isola aveva questi “giardini” di pietre spaccate e producevano cibo sufficiente “a sostenere una densità di popolazione simile a posti come l'Oklahoma, il Colorado, la Svezia e la Nuova Zelanda di oggi”.
Secondo MacKinnon, gli scienziati dicono che gli scheletri dell'Isola di Pasqua di quel tempo mostrano “meno malnutrizione degli Europei”. (…)
E, naturalmente, la gente che ha fame di solito non ha tempo ed energia per scolpire ed innalzare statue di 70 tonnellate intorno alla loro isola.

Perché questa è una storia di successo? Perché, dicono gli antropologi hawaiiani, i clan e le famiglie sull'Isola di Pasqua non sono crollate.
E vero, l'isola è diventata desolata, più vuota. L'ecosistema era severamente compromesso. Tuttavia, dicono gli antropologi, gli abitanti dell'Isola di Pasqua non sono scomparsi. Si sono adattati.

Non avevano legno per costruire canoe per andare a pescare al largo. Avevano meno uccelli da cacciare. Non avevano noci di cocco. Ma hanno continuato mangiando carne di topo e piccole porzioni di vegetali. Si accontentavano. (…)
Bene, forse non c'è stato “ecocidio”. Ma è una buona notizia? Dovremmo celebrare? Me lo chiedo.
Ciò che abbiamo qui sono due scenari che riguardano apparentemente il passato dell'Isola di Pasqua, ma che riguardano in realtà ciò che potrebbe essere il futuro del nostro pianeta.

Il primo scenario – un collasso ecologico – nessuno lo vuole. Ma pensiamo un attimo a questa nuova alternativa – in cui gli esseri umani degradano il loro ambiente ma in qualche modo “se la cavano”.
E' migliore? In qualche modo, penso che questa storia di “successo” sia altrettanto spaventosa. (…)

Gli esseri umani sono una specie molto adattabile. Abbiamo visto la gente crescere abituata alle baraccopoli, adattarsi ai campi di concentramento, imparare a vivere con qualsiasi destino gli si ponga davanti.
Se il nostro futuro è quello di degradare continuamente il pianeta, perdendo pianta dopo pianta, animale dopo animale, dimenticando ciò di cui una volte godevamo, adattandoci a circostanze inferiori, senza mai gridare “E' finita!” - accontentandosi sempre, questo non lo chiamerei “successo”.

Le persone non riescono a ricordare ciò che hanno visto i loro bisnonni, mangiato e amato del mondo. Sanno solo ciò che sanno. Per evitare una crisi ecologica, dobbiamo allarmarci.
E allora che tutti noi agiamo. La nuova storia dell'Isola di Pasqua suggerisce che gli esseri umani potrebbero non vedere mai l'allarme. (…).

Sull'Isola di Pasqua, la gente ha imparato a vivere con meno e dimenticato com'era avere di più. Forse è questo che ci accadrà. Eccola la lezione. E non è una lezione allegra.
Come dice MacKinnon: “Se state aspettando che una crisi ecologica persuada gli esseri umani a cambiare le loro relazioni problematiche con la natura, potreste aspettate molto, molto a lungo”. >>

ROBERT KRULWICH

6 commenti:

  1. Caro Massimo,

    ti confesso che delle teorie sulla fine della civiltà dell'isola di Pasqua mi sono stufato. Come posso verificarle io? Alcune sembrano plausibili, altre fantasiose e improbabili. Il disboscamento può essere in parte spiegato (credo io) con l'innalzamento di quelle brutte e ridicole statue di chissà quali divinità. Fai bene tu a parlare di quei "testoni di pietra anche un po' stupidi". Per trasportarle nei vari punti dell'isola era necessario tanto ma tanto legname. Quante energie ha speso l'umanità - per la verità un po' ovunque - per innalzare templi e statue agli dèi (a parte gli ebrei, con l'eccezione del tempio). Però lo stesso non vorrei paragonare il Partenone, il Pantheon e alcune mirabili opere dell'arte greco-romana, ma anche araba ecc. con gli "sgorbi" dell'isola di Pasqua. Che hanno un valore storico ma non credo proprio artistico. Ovviamente questo mio pensiero non è politicamente corretto poiché - secondo certi deficienti di Bruxelles - perché offensivo e discriminatorio (affermo - nientopopodimeno - che la superiorità della nostra cultura su quella di Rapa Nui - non è razzismo questo e fascismo?). Siamo tutti uguali, un testone di Rapa Nui vale la Venere di Milo. Una sinfonia di Mozart non vale di più del suono di un flauto di canna.

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  2. << Quante energie ha speso l'umanità - per la verità un po' ovunque - per innalzare templi e statue agli dèi >>

    Una considerazione molto acuta, caro Sergio, che conferma quanto la cultura (ed il tempo extra reso disponibile dalla tecnologia) ci possano portare lontano dalle esigenze primarie di cibo e sicurezza.
    Gli animali, quando sono al sicuro ed hanno la pancia piena, semplicemente si riposano.
    Noi abbiamo il tempo e la voglia (e le energie) di fare molte altre cose, a volte utili, a volte inutili.

    Quanto agli stupidi testoni dell'Isola di Pasqua, mi fanno sempre venire in mente, chissà perchè, le false sculture della famosa beffa dei Modigliani, anch'esse molto brutte e, per un certo periodo, ammirate e idolatrate.
    In fondo passano i secoli, ma nihil sub sole novi.

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    1. "Noi abbiamo il tempo e la voglia (e le energie) di fare molte altre cose, a volte utili, a volte inutili."

      Purtroppo non solo inutili, ma spesso - e sempre più spesso per il moltiplicarsi dei soggetti pazzoidi - anche nocive per non dire catastrofiche.

      Con tutto il rispetto e l'affetto per gli animali - per alcuni versi più fortunati di noi perché non si pongono domande stupide come quella del senso della vita -
      noi siamo pur qualcosa non di meglio ma di più complesso e interessante Tanto che - ammettiamolo - abbiamo creato opere ammirevoli, sublimi, e abbiamo fatto passi da gigante nello studio del cosmo. Cosa di cui non possiamo "inorgoglirci" (che cosa stupida l'orgoglio) ma che lo stesso ci distingue chiaramente dai nostri fratelli minori, per altro bellissimi (be', non proprio tutti), affettuosissimi e carissimi.

      Leopardi, che si annoiava a morte, dice che i servitori hanno una miglior sorte perché non hanno il tempo di pensare dovendo lavorare per gente come lui. Non è un caso che la gente semplice raramente si suicida (a parte in certi regimi criminali o quando proprio non ce la fanno più - e capita ancora, persino in Italia). Noi facciamo di tutto per risparmiare tempo e energie (è una legge naturale), ma poi il tempo guadagnato bisogna impiegarlo per qualcosa se no incombe il taedium vitae. Ma i modi pessimi di impiegarlo possono fare aumentare il tedio, il disgusto. Certo siamo esseri complicati, capaci del peggio e del meglio.

      (come vedi le cose col computer si sono aggiustate - però stamattina ho dovuto conferire un'ora col servizio tecnico della Swisscom perché non funzionava più niente - il modem non riusciva a stabilire la connessione con i server, vattelapesca perché - alla fine però le cose si sono un po' misteriosamente risolte senza dover fare intervenire un tecnico che sarebbe comunque potuto passare solo domani. Motivo per cui posso mandarti i miei saluti. Però come siamo dipendenti dalla tecnica: andiamo in crisi al minimo intoppo).

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  3. << Leopardi, che si annoiava a morte, dice che i servitori hanno una miglior sorte perché non hanno il tempo di pensare dovendo lavorare per gente come lui. >>

    Però forse anche Leopardi (che era Leopardi), se anche avesse potuto, non avrebbe mai fatto il cambio.
    Mentre i suoi servitori probabilmente sì.
    Siamo proprio complicati noi umani...

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    1. "Però forse anche Leopardi (che era Leopardi), se anche avesse potuto, non avrebbe mai fatto il cambio.
      Mentre i suoi servitori probabilmente sì."

      E te credo che Giacomino non avrebbe fatto il cambio! Pur essendo un democratico non poteva esserlo fino al punto da rinunciare ai privilegi. Che però non dovevano apparirgli come privilegi, ma per così dire come uno stato di natura. Privilegi che però lui pagava con la noia.
      Conosci il concetto di "stressori". Sono le circostanze o i fattori che ci tenono in uno stato di tensione - e sono molto positivi (ci tengono svegli e attivi e stimolano certe capacità). Insomma c'è uno stress buono, persino necessario (così non ti annoi ...).
      È chiaro che passati certi limiti lo stress ti distrugge. Come sempre o spesso la virtù sta anche qui nel mezzo: non troppo stress, ma nemmeno troppo poco a addirittura niente stress (sai che noia ...). Siamo macchine che per funzionare bene devono essere sempre in movimento. Ultimamente ho fatto conoscenza con il deterioramento degli oggetti "da inattività". Avevo fatto riparare la Gaggia ma poi non l'ho usata per un anno e più. Quando ho voluto farmi di nuovo un caffè con la mia vecchia Gaggia non funzionava ed ero piuttosto incazzato perché la riparazione m'era costata 700 euro. Allora il negoziante mi ha spiegato che era proprio per quello che non funzionava, perché non l'avevo più usata a lungo (e le guarnizioni di gomma, per esempio, si erano cotte ...).

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  4. << Come sempre o spesso la virtù sta anche qui nel mezzo: non troppo stress, ma nemmeno troppo poco a addirittura niente stress (sai che noia ...). >>

    Caro Sergio, sono tantissime le cose per le queali l'uomo deve barcamenarsi tra due estremi, cercando di non essere troppo X, ma neppure troppo Y.
    Da un punto di vista psicologico, forse è questa la nostra condanna peggiore, anche perchè il punto di equilibrio è diverso da persona a persona e da questo ("anche" da questo) possono nascere moltissimi contrasti ed incomprensioni.
    .

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