martedì 22 aprile 2014

Il Dawkins egoista - 2

(Dal libro IL GENE EGOISTA di Richard Dawkins – seconda parte)


<< Questo libro mostrerà come sia l’egoismo individuale sia l’altruismo individuale vengano spiegati dalla legge fondamentale che chiamo egoismo del gene. Ma prima devo discutere di una particolare spiegazione errata dell’altruismo, perché è molto diffusa, ed anche molto insegnata nelle scuole.
Questa spiegazione è basata sul fraintendimento che ho già menzionato, che le creature viventi si evolvano per fare delle cose “per il bene della specie” o “per il bene del gruppo”. È facile vedere come quest’idea abbia potuto nascere nella biologia.

La maggior parte della vita di un animale è dedicata alla riproduzione, e la maggior parte degli atti di sacrificio altruistico che si osservano in natura sono compiuti dai parenti verso i figli. “La perpetuazione della specie” è un eufemismo comune per indicare la riproduzione, ed è innegabilmente una conseguenza della riproduzione.

Basta un piccolo errore di logica per dedurre che la “funzione” della riproduzione sia di perpetuare la specie.
Da questo, basta un ulteriore breve passo falso per concludere che gli animali in generale si comportano in modo tale da favorire la perpetuazione della specie. Sembra seguirne che esista l’altruismo nei confronti dei membri della stessa specie.

Questa linea di pensiero si può anche esprimere in termini vagamente darwiniani. L’evoluzione funziona per selezione naturale, e selezione naturale significa la sopravvivenza differenziata del più “adatto”. Ma stiamo parlando dell’individuo più adatto, della razza più adatta, della specie più adatta, o che cosa altro?
Per alcuni scopi questo non è molto importante, ma quando si parla di altruismo è ovviamente cruciale. Se sono le specie a competere in ciò che Darwin chiama la lotta per l’esistenza, sembra che l’individuo giochi, al massimo, il ruolo di pedina, sacrificabile quando lo richiede l’interesse della specie nel suo complesso.

Per metterla in termini leggermente più rispettabili: un gruppo (come una specie o una popolazione all’interno di una specie) i cui membri individuali siano pronti a sacrificare se stessi per il bene del gruppo, potrebbe avere meno probabilità di estinguersi rispetto a un gruppo rivale i cui membri individuali antepongono i propri interessi egoistici a qualunque altra cosa.

Quindi il mondo diviene popolato principalmente di gruppi costituiti da individui che tendono a sacrificare se stessi.
Questa è la teoria della “selezione di gruppo”, per molto tempo accettata per vera da biologi che non avevano familiarità con i dettagli della teoria evoluzionistica, pubblicata nel famoso libro di V. C. Wynne-Edwards, e resa popolare da Robert Ardrey in “The Social Contract”.
L’alternativa ortodossa è normalmente chiamata “selezione individuale”, sebbene io personalmente preferisca parlare di selezione del gene.

La risposta veloce all’argomento della selezione di gruppo potrebbe essere come segue. Anche in un gruppo altruistico, ci sarà quasi certamente una minoranza ribelle che si rifiuta di compiere alcun sacrificio.
Se c’è anche un solo ribelle egoista, pronto a sfruttare l’altruismo degli altri, allora lui, per definizione, ha più probabilità degli altri di sopravvivere e di avere figli. Ognuno di questi figli tenderà ad ereditare i suoi tratti egoistici.

Dopo molte generazioni di questa selezione naturale, il “gruppo altruistico” sarà diventato meno numeroso, fino ad essere numericamente indistinguibile dal gruppo egoistico.
Anche se vogliamo concedere l’improbabile esistenza iniziale di un gruppo puramente altruistico senza alcun ribelle, è molto difficile vedere cosa impedisca ad individui egoisti di migrare da gruppi egoistici vicini, e, accoppiandosi con loro, di contaminare la purezza del gruppo altruistico.

Il selezionista individuale non nega che i gruppi si estinguono, e che l’estinzione di un gruppo possa essere influenzata dal comportamento degli individui di quel gruppo.
Potrebbe anche ammettere che, se solo gli individui di un gruppo avessero il dono della lungimiranza, potrebbero capire che, a lungo termine, la cosa migliore per loro è resistere alle tendenze egoistiche, per impedire la distruzione dell’intero gruppo. Quante volte questa cosa è stata detta negli anni recenti alla classe operaia della Gran Bretagna?
Ma l’estinzione di un gruppo è un processo lento rispetto alla rapida morsa di eventi nella competizione individuale.

Anche quando il gruppo sta lentamente e inesorabilmente declinando, ci sono individui egoistici che fanno carriera a breve termine, alle spese degli altruisti. I cittadini della Gran Bretagna possono avere o non avere il dono della lungimiranza, ma l’evoluzione è cieca al futuro.
Sebbene la teoria della selezione di gruppo goda oggi di poco sostegno in quei circoli di biologi professionisti che comprendono l’evoluzione, è molto accattivante intuitivamente. Molte generazioni successive di studenti di zoologia restano sorpresi, quando escono da scuola, di scoprire che questo non è il punto di vista ortodosso.

Non si possono colpevolizzare per questo, perché nella “guida per insegnanti di biologia di Nuffield”, scritta per insegnanti di biologia di livello avanzato in Gran Bretagna, troviamo ciò che segue: “Negli animali superiori, il comportamento può assumere la forma di suicidio individuale per assicurare la sopravvivenza della specie”.
L’autore anonimo di questa guida è beatamente ignorante del fatto che ha appena detto qualcosa di controverso. In questo è accompagnato da alcuni vincitori di premi Nobel. Konrad Lorenz, in “sull’aggressione”, dice che il comportamento aggressivo ha delle funzioni di “preservazione delle specie”, e che una di queste funzioni sia assicurarsi che solo gli individui più adatti riescano a riprodursi.

Questa è una gemma di argomento circolare, ma ciò che voglio evidenziare è che l’idea della selezione di gruppo è così radicata che Lorenz, come l’autore della “guida Nuffield”, evidentemente non capiva che la sua affermazione contraddiceva la teoria darwiniana ortodossa. (…)
Robert Ardrey, ne “Il contratto sociale”, utilizzò la teoria della selezione di gruppo per spiegare l’ordine sociale nel suo complesso. Chiaramente egli considera l’uomo una specie che ha deviato dal percorso di rettitudine seguito dagli altri animali.

Almeno Ardrey è stato accurato. La sua decisione di distaccarsi dalla teoria ortodossa è stata una decisione conscia, e questo gli va riconosciuto.
Forse una delle ragioni per cui la teoria della selezione di gruppo è accattivante è che è molto in linea con gli ideali politici e morali che la maggior parte di noi condividono. Frequentemente potremmo comportarci egoisticamente come individui, ma nei nostri momenti più idealistici onoriamo e ammiriamo quelli che antepongono il bene degli altri al proprio.

Però ci impasticciamo un po’ quando si tratta di decidere l’interpretazione della parola “altri”. Spesso l’altruismo all’interno di un gruppo va di pari passo con l’egoismo tra i gruppi. Questo sta alla base delle corporazioni.
Su un livello diverso, la nazione è il più grande beneficiario del nostro sacrificio altruistico di noi stessi, e ci si aspetta che dei giovani uomini muoiano per il bene maggiore della patria nel suo complesso. Inoltre, essi vengono incoraggiati ad uccidere altri individui dei quali non sanno nulla tranne che appartengono a una nazione diversa. (…)

Recentemente c’è stata una reazione contro il razzialismo e il patriottismo, e una tendenza a sostituire la specie umana nel suo complesso come oggetto del nostro altruismo. Questo allargamento all’umanità dell’obiettivo del nostro altruismo ha una conseguenza interessante, che, ancora una volta, sembra sostenere l’idea del “bene della specie” in evoluzione.
I politici liberali, che normalmente sono quelli che parlano con maggiore convinzione dell’etica di specie, ora si indignano fortemente verso le persone che si spingono un po’ oltre nell’allargamento dell’altruismo, in modo da includere anche altre specie.

Se dico che sono più interessato ad impedire il massacro delle balene di quanto sia interessato a migliorare le condizioni domestiche delle persone, è probabile che alcuni miei amici restino sconvolti. C’è l’antico e profondo sentimento che i membri della propria specie meritino una considerazione morale speciale rispetto ai membri di altre specie.
Uccidere persone al di fuori della guerra è, tra i crimini più comuni, quello che viene punito più severamente. L’unica cosa che è vietata più fortemente dalla nostra cultura è mangiare le persone (anche se sono già morte).

Però mangiamo con piacere i membri di altre specie. Molti di noi rabbrividiscono quando viene giustiziato anche il più orribile dei criminali umani, mentre tolleriamo allegramente il massacro senza processo di animali che causano inconvenienti piuttosto secondari. Addirittura uccidiamo membri di altre specie innocue per divertimento o come diversivo. Un feto umano, che non possiede sentimenti umani più di quanto li possieda un’ameba, gode di una reverenza e di una protezione legale che sorpassano di gran lunga quelle garantite ad uno scimpanzé adulto.

Eppure lo scimpanzé sente, pensa, e — secondo recente evidenza sperimentale — è persino capace di imparare una forma di linguaggio umano. Il feto appartiene alla nostra specie, e per questo acquisisce automaticamente privilegi speciali e diritti.
Io non so se questa etica dello “specismo”, per usare il termine di Richard Ryder, sia sul piano logico più coerente e sostenibile del “razzismo”. Ciò che so è che non ha alcuna base scientifica nella biologia evoluzionistica.

La controversia nell’etica umana su quale sia il livello giusto in cui l’altruismo è desiderabile — la famiglia, la patria, la razza, la specie, o tutte le cose viventi — è accompagnato da una parallela controversia in biologia sul livello a cui ci si deve attendere altruismo secondo la teoria dell’evoluzione.
Anche il sostenitore della selezione di gruppo non si sorprenderebbe di trovare membri di gruppi rivali che si comportano in modo ostile tra di loro: in questo modo, come i membri di un sindacato o i soldati, essi favoriscono il proprio gruppo nella competizione per risorse limitate.

Ma allora vale la pena di chiedere al sostenitore della selezione di gruppo come decide quale livello è quello importante. Se la selezione avviene tra i gruppi diversi all’interno di una specie, e tra le specie, perché non dovrebbe anche avvenire tra raggruppamenti più larghi?
Le specie si raggruppano in generi, i generi in ordini, e gli ordini in classi. I leoni e le antilopi appartengono entrambi alla classe dei mammiferi, come noi.
Allora non dovremmo aspettarci che i leoni si astengano dall’uccidere le antilopi, “per il bene dei mammiferi”?

Certamente dovrebbero cacciare gli uccelli o i rettili piuttosto, al fine di impedire l’estinzione della classe. Ma allora, che dire del bisogno di perpetuare l’intero filone dei vertebrati?
È semplice per me ridurre all’assurdo queste tesi, ed evidenziare le difficoltà della teoria di selezione di gruppo, ma resta ancora da spiegare l’evidente esistenza dell’altruismo individuale. Ardrey arriva a dire che la selezione di gruppo è l’unica spiegazione possibile per un comportamento come i “salti” delle gazzelle di Thomson.

Questo salto vigoroso ed eclatante della gazzella di fronte al predatore è l’analogo dei richiami d’allarme degli uccelli, poiché sembra avvisare i compagni del pericolo mentre apparentemente attira l’attenzione del predatore sulla gazzella stessa che effettua il salto. Abbiamo la responsabilità di spiegare questi fenomeni, ed è ciò che io affronterò nei capitoli successivi.

Prima di far ciò devo argomentare la mia credenza che il modo migliore di guardare l’evoluzione sia in termini di selezione che avviene al livello più basso di tutti. In questa mia opinione sono stato influenzato pesantemente dal grande libro di G. C. Williams “Adaptation and natural selection”. (…).
Avanzerò la tesi che l’unità fondamentale di selezione, e quindi dell’interesse egoistico, non è la specie, né il gruppo, e neppure, in senso stretto, l’individuo. È il gene, cioè l’unità di ereditarietà.

Per alcuni biologi potrebbe sembrare un punto di vista estremo. Spero che, quando capiranno cosa intendo, saranno d’accordo che, in sostanza, è un punto di vista ortodosso, sebbene espresso in un modo non familiare. >>

RICHARD DAWKINS
 

7 commenti:

  1. Caro Lumen,

    questa seconda parte mi è piaciuta molto di più della prima. Ma che significa "piaciuta"? Innanzi tutto perché l'ho capita meglio (non capire provoca frustrazione) e poi perché l'argomentare di Dawkins mi pare convincente, condivisibile. Ma suscita anche domande, riflessioni, il che è positivo. E last but not least mi fa venire voglia di leggere il libro di Dawkins che comprai anni fa e che non ho nemmeno aperto e sfogliato ("L'orologiaio cieco").

    Mi sembra corretto e convincente pensare che alla base di tutto ci sia l'interesse individuale: l'interesse di ogni essere vivente è la propria sopravvivenza, non quella del gruppo. E la catastrofe massima è la propria distruzione.
    Tuttavia è un fatto che alcune specie hanno tendenza ad associarsi, a formare gruppi, e tra queste la nostra. Tanto che c'è chi afferma che una persona, un singolo individuo, non può sopravvivere da solo (Ida Magli). Questo è tanto più vero nel momento attuale della storia umana in cui ognuno di noi è legato a mille doppi con tutti gli altri individui del gruppo e di altri gruppi. È addirittura ipotizzabile una interdipendenza della intera specie umana già ora. Ciò sarà ancora più visibile in tempi ormai non più lontani nel futuro: saremo ben presto tutti alle prese con problemi maledettamente concreti come l'approvvigionamento idrico, alimentare, energetico.
    È chiaro che in una specie sociale come la nostra e in un gruppo il fondamentale egoismo individuale deve essere contrastato. Tutta l'educazione è focalizzata sul contrasto dell'egoismo e dell'individualismo "originari" (vedi anche le attuali prediche e denunce di Franceschiello - che non è il borbone napoletano) e l'esaltazione di valori come l'altruismo, la generosità, la disponibilità a mettersi al servizio del gruppo, fino addirittura al sacrificio della propria vita. Quest'ultimo punto però è oggi - almeno nelle società opulente occidentali - chiaramente respinto dalla maggioranza (il sacrificio supremo è esaltato ormai solo in certi gruppi estremisti come i corpi militari). Viviamo ormai in una società "post-eroica": non è un caso che non si elevino più monumenti a singole personalità o anche ai "caduti per la patria": a noi questi eroi fanno una strana impressione, appartengono chiaramente a un'altra epoca. Complice anche lo sviluppo economico, che favorisce l'individualismo e quindi rafforza ancora di più l'egoismo originario, non siamo più tanto disposti a "lavorare per il re di Prussia" ovvero per il collettivo.
    (continua)

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    1. (continuazione)

      Alcuni (soprattutto le Chiese, i gruppi comunitaristi) pongono l'accento sui "beni comuni", tra cui anche il mantenimento della pace, l'equa distribuzione dei beni ecc. A me - e penso anche a te - quest'accentuazione non piace troppo perché è repressiva, tende a circoscrivere se non addirittura a soffocare le aspirazioni individuali. E tuttavia anche le "società chiuse" non possono fare a meno dell'apporto dell'individuo, della sua immaginazione, del suo desiderio di affermarsi, espandersi, creare. Tanto è vero che la selezione (degli individui migliori) era uno degli obiettivi dell'educazione (e al riguardo ho un ricordo personale dai salesiani: persino i preti coccolavano gli allievi più intelligenti - di cui la società non può fare a meno, pena stasi e regresso e quindi anche pericolo di estinzione).
      L'ideale è dunque la promozione degli elementi migliori, con lo scopo della sopravvivenza e del progresso del gruppo. Che non deve quindi reprimere le aspirazioni individuali, ma però deve ovviamente incanalarle, controllarle: l'individuo non deve prevaricare, "allargarsi" troppo a spese del gruppo.
      E con ciò torniamo al ... punto di partenza: all'eterna dialettica tra egoismo individuale (originario, naturale, fondamentale, inestirpabile, utile) e necessità del gruppo, anche questo comprensibile e persino spesso necessario all'affermazione individuale.
      I sistemi collettivisti (tra cui quelli religiosi) tendono a circoscrivere il l'azione individuale, il protagonismo dei singoli. Le società aperte (o più aperte) come quelle occidentali allentano le briglie all'individualismo, anzi lo promuovono (per vendere di più!). L'equilibrio tra le due tendenze - individuali e collettive - è precario, mai definitivo.

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  2. << E con ciò torniamo al ... punto di partenza: all'eterna dialettica tra egoismo individuale (originario, naturale, fondamentale, inestirpabile, utile) e necessità del gruppo, anche questo comprensibile e persino spesso necessario all'affermazione individuale. >>

    Il tutto ulteriormente complicato dal piccolo, intrigante e cinico "gene egoista" che, come se non bastasse la dialettica individuo/gruppo, ci mette in mezzo anche i propri interessi di replicatore assoluto.
    Un bel guazzabuglio, probabilmente senza una soluzione, come dimostra l'andamento, eternamente oscillatorio, delle varie società umane.

    Ma siccome "ogni rrovescio ha la sua medaglia", probabilmente è proprio dall'eterno squilibrio dell'uomo che sono nate le opere artistiche più belle e commoventi.
    Chissa ?



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    1. "Ma siccome "ogni rrovescio ha la sua medaglia", probabilmente è proprio dall'eterno squilibrio dell'uomo che sono nate le opere artistiche più belle e commoventi."

      Più che probabile. Puoi immaginarti la Divina commedia o I Canti di Leopardi o persino I Promessi Sposi senza un'umanità straziata dalle sue contraddizioni? Il che potrebbe anche significare che - tolte le contraddizioni - non ci sarebbe nemmeno più bisogno di opere d'arte di quel valore. Allora sai che ti dico? Ben vengano le contraddizioni e i tentativi (provvisori, mai risolutivi) di superarle. A meno che non si preferisca un'umanità "pacificata" e ben pasciuta dedita ai consumi ... Una frase di Sartre mi colpì una volta: "Meglio creare un'opera importante che godere di buona salute." Certo a volte preferirei essere in buona salute piuttosto che artista con l'ulcera gastrica o le ossessioni titaniche. Però è anche vero che creare qualcosa di veramente bello - per te e i posteri che te ne saranno grati - può essere gratificante anche se ti costa qualcosa, magari la salute. Federico de Roberto sembra essersi rovinato la salute attendendo a quel capolavoro tuttora semi sconosciuto che sono "I Viceré" - l'Italia gli preferì I Promessi Sposi - e lo posso anche capire perché I Viceré sono diabolici, poco adatti ad un'educazione civica e religiosa. Eppure anche dall'abisso dei Viceré si esce rinfrancati a riveder le stelle (perché più in basso non si può scendere, si può solo risalire).

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  3. << Meglio creare un'opera importante, che godere di buona salute. >>

    Caro Sergio, con tutto il rispetto, non sono molto d'accordo con Sartre.
    Ma io non sono un artista, nè ho l'aspirazione (e men che meno il talento) per diventarlo.

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  4. Dire "non sono molto d'accordo con Sartre" è cosa ben diversa da "non sono affatto d'accordo con lui". Nel primo caso concedi che qualcosa di vero o di accettabile ci sia nell'affermazione di Sartre. Meglio non essere al massimo del benessere fisico che essere un qualsiasi fesso che scoppia di salute e non ha cervello. Comunque ho espresso anch'io una riserva su quella frase di Sartre: basta un bel mal di denti o un callo dolorosissimo per farti desiderare di non esserci più (be', esagero un po'). E poi tutti vogliamo sentirci bene, essere in forma, perché se no non ti puoi godere la vita. Lo stesso le persone troppo attente alla salute, gli ipocondriaci, ti danno un po' ai nervi. Per Lorenz uno dei segni della decadenza umana è l'incapacità e il rifiuto di sopportare un dolore anche lieve (e su questa carenza l'industria farmaceutica ci marcia ...).

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  5. << Meglio non essere al massimo del benessere fisico che essere un qualsiasi fesso che scoppia di salute e non ha cervello. >>

    Gran bel dilemma, questo.
    La salute è importantissima perchè, in fondo, è alla base di tutto quello che possiamo o non possiamo fare.
    Ma anche il cervello...
    Insomma, non si potrebbe fare una via di mezzo ? :-).

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