sabato 8 marzo 2014

Lettere moderne

L’intervista virtuale di oggi ha come vittima Alessandro Gilioli, l’ottimo giornalista de L’Espresso, il cui blog “Piovono rane”  è una delle lettura più interessanti (e piacevoli) per chi vuole seguire l’attualità politica. Con lui parleremo dell’evoluzione subita dal mondo del giornalismo dopo l’esplosione di Internet. LUMEN


LUMEN – Signor Gilioli, voi fate il giornalista da quasi trent’anni e siete ormai un veterano. Com’era la situazione all’epoca ?
GILIOLI - Quando ho iniziato a fare questo mestiere, noi venivamo educati all’idea che i giornalisti giudicano ma tendenzialmente non devono essere giudicati. Era una sorta di immunità presunta, derivata dal postulato secondo il quale il giornalista raccontava fatti e/o esprimeva opinioni sempre in buona fede, senza cointeressenze personali, senz’altre ambizioni che non fossero quelle di fare il cronista o di contribuire al dibattito politico, culturale, economico, etc.

LUMEN – Ed era proprio così ?
GILIOLI - Era una balla, naturalmente. I giornalisti – in buona parte – non sono mai stati così, almeno in Italia. Siamo sempre stati una categoria in cui alle non moltissime schiene diritte si mescolavano le penne a zerbino: per conformismo, convenienza, ambizione personale, fedeltà di partito, subalternità ai poteri, complicità, privilegi piccoli o grandi e altre ragioni ancora. Ed occorre smontare l’idea che ci sia stata un’epoca in cui in questo Paese i professionisti dell’informazione facevano i cani da guardia del potere (con le dovute eccezioni, naturalmente). Poi, per fortuna, a poco a poco, questa immunità e questa finzione scenica hanno iniziato a sgretolarsi.

LUMEN – Come è successo ?
GILIOLI – Io l’ho visto con i miei occhi, questo processo. È iniziato con un’invenzione tecnologica: la mail. Prima, quando un giornalista scriveva una sciocchezza (o comunque qualcosa di contestabile) al massimo arrivavano in redazione un paio di lettere cartacee che finivano rapidamente nel cestino. Con la posta elettronica, ecco che le contestazioni, le rettifiche, le correzioni (ma anche le prese per i fondelli) hanno iniziato a moltiplicarsi a dismisura. Poi sono arrivati i blog, il web 2.0, i social network : insomma qualsiasi cittadino è diventato potenzialmente produttore di contenuti accessibili in qualsiasi luogo del pianeta. E la fessura nella diga è diventata un’alluvione: di verifiche, analisi, attacchi, debunking etc etc su quello che il giornalista scriveva. Il tutto, appunto, in pubblico.

LUMEN – Un cambiamento epocale.
GILIOLI - Io me lo ricordo, il trauma, nelle redazioni. La brusca discesa dal piedistallo. Cacchio: se sparavi balle adesso ti beccavano. Se scopiazzavi in giro, venivi ridicolizzato in un quarto d’ora. E quanto stupore nello scoprire che spesso il crowd, su un determinato tema, ne sapeva più di te! Diciamo la verità: non è stato indolore, il passaggio. Pochi colleghi l’hanno colto come strumento per migliorarsi. Molti l’hanno sofferto come la fine di un’epoca felice. È umano, è normale: per quanto fosse sbagliato.

LUMEN - Ma non c’è stato solo quello, vero ?
GILIOLI – No, perché in Italia la ‘caduta dal piedistallo’ della categoria è coincisa con un cambiamento storico di umore diffuso, di “sentiment”. E con una fase economica in cui il Paese si è diviso tra sommersi e salvati. Con l’odio crescente dei primi verso i secondi. E i giornalisti – tutti, più o meno – sono stati identificati con i salvati, con la “Casta”, con l’establishment, con la vicinanza al potere. Ma  anche questa era una percezione solo in parte fedele della realtà fattuale.

LUMEN – In che senso ?
GILIOLI - Prima di tutto perché proprio mentre cresceva il disprezzo per i giornalisti, questi perdevano non solo la loro precedente immunità, ma anche gli stipendi che ne avevano fatto, per decenni, una categoria di privilegiati. Lo sanno bene quelli entrati nella professione di recente, quasi sempre precari e spesso con redditi da “call center”. Ma tant’è, ormai la frittata era fatta. I giornalisti hanno iniziato non solo a essere giudicati per quello che scrivevano (e giustamente messi ai raggi X parola per parola), ma sono diventati obiettivo conflittuale nella lotta alla Casta e all’establishment, proprio come i politici.

LUMEN – Una specie di legge del contrappasso.
GILIOLI – Che ci può anche stare, diciamo. Nel senso che se guardiamo quello che abbiamo fatto, come categoria, per tanti decenni, probabilmente questa condanna ce la meritiamo. Anche se spesso poi a pagarne il fio non sono quelli che hanno fatto i danni, ma quelli che non c’entrano niente. Forse però sarebbe ora di arrivare a una sintesi, superando sia la fase in cui i giornalisti erano tutti immuni sul piedistallo sia quella in cui invece sono tutti casta cui sputare in faccia.

LUMEN – E come ci si arriva ?
GILIOLI – Con la buona pratica dell’onestà intellettuale e della trasparenza:  cioè della verifica e del confronto tra le persone per quello che le persone fanno e scrivono anziché per la categoria a cui appartengono. Abbiamo tutti il dovere di essere giudicati. Giornalisti e no. Politici e no. Tutti quelli che scrivono, sui giornali o sui social network o in qualsiasi altro posto. Perché l’informazione migliora solo quando chi la fa viene sottoposto ogni giorno a un check – anche feroce – su quello che scrive, che fa o che dice. Ma che sia un controllo concreto, fattuale, puntuale, onesto, autentico, con una contrapposizione di argomenti, di visioni, di idee, di fatti; non di “partito preso” o di categorie.

LUMEN – L’esplosione del web ha anche ingigantito il problema del precariato. Chi sono, oggi, i precari del giornalismo ?
GILIOLI - Bisogna prima di tutto distinguere tra collaboratori esterni e abusivi. I primi sono colleghi – con o senza il tesserino in tasca - che non lavorano in redazione, non hanno una scrivania abituale, un telefono fisso o una casellina mail fornitagli dalla testata etc. Una volta venivano in redazione «a consegnare il pezzo», da almeno 10-15 anni ovviamente lo mandano per mail e se si fanno vedere in redazione è per una chiacchierata alla macchinetta del caffè, da cui possono scaturire idee, collaborazioni future e magari a volte anche rapporti professionali e umani di stima. In tutto ciò, ci mancherebbe, non c’è nulla di eticamente o deontologicamente scorretto: anzi, per ogni testata è indispensabile avere un polmone di free lance (magari specializzati su qualcosa).

LUMEN – E gli “abusivi” ?
GILIOLI - Altra cosa, completamente diversa, sono gli abusivi in redazione, quelli che svolgono mansioni interne da una scrivania interna: e che sono illegali, anche se fanno mezza giornata o due giorni alla settimana. Per quel che ne so – anche grazie alle ispezioni – la pratica di tenere esterni in redazione è calata negli ultimi vent’anni, almeno nei gruppi maggiori e nei giornali nazionali. Non so nelle piccole realtà editoriali e nei gruppi locali. Ad ogni modo, come sempre, per quanto riguarda l’abusivato bisogna uscire dal ricatto del «meglio così che niente».

LUMEN - Quanto sono pagati i collaboratori esterni ?
GILIOLI - Qui il casino è enorme e c’è di tutto, perché a decidere è ovviamente il mercato (non l’etica) e, come noto, quello dei giornali è un declining market che porta a compensi altrettanto declinanti. A tutto ciò si aggiunge il fatto che molti collaboratori lavorano per siti web che non hanno mai visto un bilancio in utile: e come si fa a spiegare al CEO di un grande gruppo editoriale che deve aumentare i compensi per un sito in “rosso” ? Quindi, VIP a parte, c’è chi per un pezzo (sul cartaceo) arriva a prendere 500 lordi e chi (per un sito di solito, ma a quanto leggo non solo) si ferma a 10 euro o poco più.

LUMEN - Ma è giusto che si paghi un pezzo pochi euro ?
GILIOLI - No, è una porcheria, ma soprattutto è un autogol per il giornale (o sito che sia). Una porcheria per evidenti motivi, ma soprattutto un autogol perché se una testata valuta un suo articolo dieci euro, vuol dire che valuta pochissimo se stessa, il prodotto che offre (e fa pagare ai suoi lettori, direttamente o con la pubblicità). Vuol dire quindi che se ne frega della sua qualità e che decide di affogarsi nel mare della comunicazione scadente anziché cercare le ragioni della sua sopravvivenza e del suo successo emergendo per qualità, originalità e merito dal rumore di fondo. Insomma, si vota al suicidio.

LUMEN - Ma perché, un articolo pagato poco dev’essere per forza scarso qualitativamente?
GILIOLI - Non per forza, ma è probabile. Intanto per una questione di tempo: se a un collaboratore vengono dati dieci euro lordi per un pezzo, difficilmente ci investirà molto tempo. Anche perché altrimenti – al netto delle telefonate che deve fare etc – finisce per prendere quasi nulla. Quindi sará il più delle volte un pezzo frettoloso e ‘tirato giù in qualche modo’. Poi c’è ovviamente una questione di investimento emotivo: che incentivazione può avere un collega pagato così poco? ‘Tirerà giú’ il minimo indispensabile, appunto. Terzo: paghe cosí basse riempiono le testate anche di gente che viene illusa di poter fare questo mestiere pur non avendone le capacità.

LUMEN – State dicendo che i precari sono scarsi ?
GILIOLI - No, c’è di tutto, è ovvio. Ce ne sono di ottimi e a volte mi viene il sangue caldo a vedere in giro collaboratori più bravi e creativi di molti mediocri che invece hanno il sedere al caldo. All’estremo opposto ci sono quelli convinti di poter fare i giornalisti senza averne minimamente le capacità. In mezzo c’è un po’ di tutto. Comunque il dumping salariale non è certo una dinamica meritocratica. A pagare pochissimo difficilmente si attraggono e si conservano i collaboratori più bravi.

LUMEN – E poi c’è il problema dell’illusione personale.
GILIOLI – Certo, perché continuare a far lavorare collaboratori scarsi – solo perché si crede che convengano economicamente – significa illuderli, far credere loro che potranno fare un mestiere che sognano ma che non hanno le capacità di fare. Quindi si creeranno infelici e sottopagati a vita. Molto meglio rendersi conto a 25 anni che a 40 di aver preso la strada sbagliata.

LUMEN - Nei giornali c’è pure chi lavora gratis, vero ?
GILIOLI - Non solo: vedo che cresce il numero di quanti si propongono di lavorare gratis per ‘far girare la firma’ per ‘mettere un piede in una redazione’ etc. Il che ovviamente non ha nulla a che fare con casi molto diversi di giornalisti ‘inseriti’ che decidono di fare pezzi gratis per motivi etico-politici-culturali-ideali etc.

LUMEN – Comunque gli editori non sono tutti uguali.
GILIOLI – No di certo, e lo dico anche per esperienza personale. Essendo imprenditori, è ovvio che hanno come obiettivo l’utile in bilancio, non sono  l’Opera Pia. Ma c’è chi lo fa in modo corretto e chi in modo banditesco. Nella vita ho lavorato anche con un editore che un bel giorno ha deciso che tutti i borderò del mese di agosto non andavano pagati. Tutti. Una bella letterina ai collaboratori, «scusate, c’è la crisi etc etc questo mese non si paga, confidiamo nella vostra comprensione». Risultato: una buona metà dei collaboratori ha fatto buon viso a cattivo gioco pur di continuare a collaborare; un quarto ha semplicemente smesso di collaborare; un altro quarto ha fatto causa. Con questi ultimi l’editore ha mediato prima di andare per avvocati, versando circa metà di quanto loro dovuto. Alla fine era tutto orgoglioso che il mese di agosto, a conti fatti, gli era costato un decimo della media. Da vomitare.

LUMEN – Avete qualche idea per migliorare la situazione ?
GILILIOLI - Sì, tante. Prima di tutto bisognerebbe polverizzare il 90 per cento delle scuole di giornalismo che ci sono in Italia, il cui unico scopo è riempire il portafogli dei loro proprietari e ‘insegnanti’, illudendo tanti ragazzi di poter entrare in una professione in crisi. Piacerebbe che sparisse anche un’altra sovrastruttura che serve solo a imporre gabelle e a dare una segretaria a chi ne occupa le poltrone, cioè l’Ordine. Sarebbe poi utile che chi vuole fare questo mestiere cercasse di mettere in luce la propria bravura con un blog o in altro modo autonomo e creativo piuttosto che andando ad arruffianarsi caporedattori che poi potranno pagarli dieci euro lordi.

LUMEN – Grazie per la chiacchierata, dottor Gilioli, e tanti auguri per il vostro lavoro.

2 commenti:

  1. Un'intervista davvero illuminante ma anche deprimente. Questo Giglioli sembra un tipo in gamba e a posto (cioè onesto), coraggioso pure. Però la situazione che descrive così bene è disperata e non so se ne accorga anche lui. Perché la mail e la rete hanno ormai affossato ogni autorità ed è praticamente impossibile "emergere", farsi un nome. Ti parlavo ultimamente dell'uomo-massa secondo Ortega y Gasset. Ormai siamo tutti uomini-massa, con un'infarinatura di tutto che ci fa credere di essere competenti in ogni ramo del sapere e in grado di dire la nostra, di essere persino capaci d'incidere sulla realtà. Illusi. Come si esce da questa situazione? È impossibile - perché siamo troppi. Una volta la scuola selezionava e autorizzati a parlare erano pochi che acquisivano così anche notorietà e autorevolezza. Oggi abbiamo sette miliardi di professori che sputano sentenze. È impossibile tornare indietro, anzi la situazione è destinata a peggiorare. C'è però nonostante tutto ancora una élite - penso soprattutto agli scienziati - che sono almeno una spanna sopra la massa vociante e nel silenzio dei laboratori fanno avanzare l'umanità. Purtroppo accanto a questa élite c'è anche l'élite del potere che pensa solo a protrarre la sua egemonia e si serve allo scopo anche dell'élite del sapere - che dipende a sua volta dalla politica. Per finanziare il CERN Rubbia e soci hanno dovuto convincere i politici dell'assoluta necessità di questo progetto e quindi anche di foraggiarli.

    Per tornare terre-à-terre. Oggi un qualsiasi cretinetto di scolaro può mettere in crisi il suo insegnante - perché lui ha sentito, ha letto su Wikipedia, e poi tutti dicono che ecc. ecc. Cosa può fare un povero insegnante? Cambiare mestiere. Del resto - oggettivamente - anche un bravo insegnante sa ben poco. Mi chiedo se la scuola abbia ancora senso. Oggi tutti hanno accesso alla conoscenza. Già quarant'anni fa Ivan Illich propugnava la "descolizzazione" della società.

    Forse ci vuole un reset! Un ritorno alla meritocrazia: parlino solo i veri competenti che sono tali per meriti acquisiti, meriti reali. Ma sarà difficile, per non dire impossibile. Ovvero i limiti della democrazia, il potere degli incompetenti.

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  2. << Del resto - oggettivamente - anche un bravo insegnante sa ben poco. Mi chiedo se la scuola abbia ancora senso. >>

    Caro Sergio, il tuo dubbio è senz'altro fondato, ma io voglio fare l'ottimista e dico che la scuola un senso ce l'ha ancora eccome, solo che non è più quello nozionistico di una volta, figlio di una società diversa, in cui le informazioni di base NON c'erano ed andavano pertanto insegnate sui banchi.
    Oggi le informazioni ci sono tutte (anche troppe), per cui forse la scuola dovrebbe insegnare altre cose, a partire dall'amore per la conoscenza, per finire alle tecniche di ricerca ed analisi delle informazioni, con in mezzo tante altre cose utili, come il saper lavorare insieme ed avere rispetto per gli altri.
    Ma, probabilmente, sto solo sognando...

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