sabato 19 gennaio 2013

Cattivik - 1

Torno a parlare di ELAINE MORGAN e del suo bellissimo libro L’ORIGINE DELLA DONNA, perché vi si trova una interessante spiegazione sull’origine di una delle caratteristiche più imbarazzanti della nostra specie: la mancanza di controllo nell’aggressività intra-specifica,
Tutto deriverebbe, secondo la Morgan, dai cambiamenti morfologici derivanti dalla vita acquatica e dalla locomozione bipede,  che hanno portato, tra le altre cose, anche al sesso ventrale. Una pratica questa che, per motivi fisiologici, continuava ad essere molto piacevole per il maschio, ma diventava molto meno soddisfacente per la sua compagna.
Ecco alcuni brani tratti direttamente dalle pagine del libro.
LUMEN


<< Decine e decine di volumi e di articoli sono stati scritti sull’argomento [dell’aggressività umana] e l’interrogativo che ci si pone di solito è press’a poco il seguente: perché la specie Homo sapiens è stata afflitta sin dagli inizi da una tendenza all’assassinio e alla violenza che non trova confronto in tutto il regno animale ?
Anthony Storr afferma chiaramente: “la tetra realtà è che siamo la specie più crudele e più spietata che abbia mai camminato sulla Terra”. E quando il suo libro “Sull’aggressività umana” venne pubblicato in edizione economica, gli editori scelsero questa frase per farla figurare a grandi caratteri in copertina, nella persuasione (giustificata, non ne dubito) che il pubblico ami leggere proprio questo genere di cose su se stesso.

Leggendo con molta attenzione tali libri e tali articoli si rileverà che non sembrano parlare della specie come un tutto. Si riferiscono soltanto alla sottosezione Homo sapiens maschio.
Dicono che i maschi umani sono più aggressivi di ogni altra specie. Vediamo di definire un po’ più precisamente questa asserzione.

L’uomo è davvero più assetato di sangue di uno squalo? O di un piraňa?  Evidentemente no: pertanto l’accusa si riferisce probabilmente soltanto ai mammiferi. E’ forse l’uomo più feroce di una moffetta ? E’ più micidiale di un topo ? No, non lo è. Forse il raffronto sarebbe preferibile limitarlo ai primati. Per esprimersi con franchezza, allora, chi esitereste di più a infastidire, un uomo o un gorilla ? (…)

Come ha fatto, precisamente, l’uomo, a divenire più aggressivo – con una furia da maniaco – di tutte queste creature ? Ma lo è divenuto davvero ?
Provate a fare qualche osservazione pratica. Uscite di casa e cercate di osservare alcuni esemplari viventi di Homo sapiens  nel loro habitat naturale.  Non dovrebbe essere difficile perché la specie è protetta dalla legge e non corre alcun pericolo immediato di estinguersi.
Osservate attentamente il comportamento  e le interazioni dei primi venti individui che incontrate a caso. (…) Sospetterete all’istante che gli autori non pensino affatto a individui del genere e penserete di avere stupidamente osservato un’altra specie. (…)

Alcuni studiosi, osservando piccoli gruppi di primati per periodi di un migliaio di ore al massimo, hanno accuratamente annotato il numero degli “scontri agonistici implicanti un contatto fisico” avvenuto ogni ora-babbuino o ogni ora-scimpanzé. Voi siete perfettamente in grado di compilare un diario analogo concernente la scimmia nuda.
Se sono trascorsi più di sei mesi dall’ultima volta che vedeste uno di essi lanciarsi contro un suo simile e infliggergli lesioni dolorose, allora avete tutto il diritto di spargere ai quattro venti la buona notizia che, per quanto concerne l’aggressività incontrollabile, questa specie non si trova affatto nei primi dieci posti della classifica:

Potrete dire: Ma il Vietnam ?  Questa, naturalmente, è la ragione per cui le asserzioni sull’aggressività dell’uomo vengono così di frequente mandate giù intere.  Gli autori pensano alla guerra. La guerra è un caso a sé e ne parleremo in un capitolo successivo.  (…)

Arriviamo ora al nocciolo di verità nascosto dietro a questa reputazione di sete di sangue che gli uomini hanno appioppato a sé stessi. Il fatto che sembra unico e sconvolgente per quanto li concerne consiste in questo: a un certo punto lungo il loro cammino evolutivo essi hanno smarrito un pezzo molto prezioso del macchinario del comportamento.

Nella grande maggioranza delle specie, i conflitti tra due animali dello stesso tipo cessano quasi inevitabilmente prima della strage. La lotta continua finché uno dei contendenti cede e, o fugge, o emette un segnale di sottomissione. (…)
Il lupo che si arrende volta la testa e presenta la vena giugulare ai denti dell’assalitore; il topo sottomesso si volta supino ed espone al vincitore il tenero ventre; il tacchino che riconosce la sconfitta allunga il collo come Anna Bolena sul patibolo; e così via.
Possono far questo con assoluta sicurezza, perché l’effetto sul vincitore è imperativo. Esso non deve decidere tra sé e sé se accetterà la resa, non più di quanto voi decidiate se contrarrete o meno le pupille quando una luce troppo forte vi abbaglia. È una cosa che gli succede. Riceve il segnale e smette di battersi.

Orbene, nel caso dell’uomo non potete far conto su questo. (…) Il processo nell’uomo, in confronto a quello delle altre specie è lento e insicuro. Se l’uomo cerca la vendetta e non soltanto il bottino della diligenza, potete alzare le mani fino al cielo con tutto il vostro slancio, ma vi sparerà ugualmente.
Se fa parte di un plotone di esecuzione, potete essere bendato, inginocchiato, potete implorare pietà – e non riuscirete ad essere più sottomessi di così – ma non fermerete le pallottole. (…)

Il tabù culturale contro l’uccisione casuale può essere forte, ma se il suo settore della società ammette o approva un assassinio (come in guerra, nel caso di esecuzioni o vendette, di rappresaglie, di delitto d’onore, di sacrifici umani, ecc.), sembra che egli commetta l’atto con alquanta naturalezza.
Questo non è soltanto un male. E’ sconcertante. >>

ELAINE MORGAN

(continua)

17 commenti:

  1. Una tesi di Lorenz è che l'uomo ha sviluppato armi micidiali senza acquisire nuovi comportamenti inibitori: è chiaro che uccidere a distanza l'avversario non è la stessa cosa che strangolarlo.
    Tuttavia in passato la nostra specie ha dimostrato inaudita ferocia e sadismo verso i propri simili pur disponendo di armi molto meno sofisticate. Bisognerà pure ammettere una predisposizione a una forte aggressività, come in altri primati che uccidono individui di un altro gruppo. Rispetto ai primati l'h. sapiens ha un cervello più sviluppato che gli ha permesso di inventare ogni sorta di strumenti, comprese armi e congegni per infierire sugli avversari in modo spaventoso (chi ha uno stomaco forte può cercare su Wikipdia gli strumenti di tortura inventati da questo diabolico essere). Si potrebbe ancora capire la necessità di uccidere o eliminare l'avversario in determinate circostanze, ma perché accrescere le sue sofferenze, torturarlo in modi che dire bestiali è un'offesa alle bestie innocenti che uccidono solo per sopravvivere e quasi mai individui della stessa specie?
    Quando l'uomo tortura o infligge punizioni terribili, anche psichiche, ad altri individui lo fa anche o soprattutto per "vendicarsi". Maggiore è l'offesa subita, maggiore è il desiderio di ripagare con gli interessi. E grazie alla sua inventiva ha escogitato modi di punizione davvero terribili.
    L'aggressività latente e probabilmente genetica può inoltre acuirsi in determinati contesti. Già Aristotele aveva notato un comportamento più aggressivo dei ratti relativo al loro numero.

    Bisogna anche osservare che l'educazione ha per fine l'incivilimento degli individui, che significa concretamente la riduzione dell'aggressività, l'acquisizione di comportamenti pacificatori. Purtroppo quest'opera di educazione, che ha dei costi proibitivi, non dà sempre i risultati sperati. Tanto che il filosofo Sloterdjk ha proposto l'intervento sul patrimonio genetico per ridurre l'aggressività. Solo che un tale intervento è particolarmente delicato e non si può mai sapere quali controindicazioni comporti. L'aggressività è infatti anche un'arma nella lotta per la sopravvivenza. Chi non si sa difendere, a tutti i livelli, è in genere perdente.
    Il consiglio (o ordine?) gesuano di "porgere l'altra guancia" avrebbe un senso se tale comportamento inibisse l'aggressività dell'avversario come nel regno animale. A volte può anche funzionare: chi si arrende non è ucciso, non sempre. In genere però il sapiens sapiens non si fida e la guancia non la porge.

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  2. << Il consiglio (o ordine?) gesuano di "porgere l'altra guancia" avrebbe un senso se tale comportamento inibisse l'aggressività dell'avversario come nel regno animale. A volte può anche funzionare: chi si arrende non è ucciso, non sempre. In genere però il sapiens sapiens non si fida e la guancia non la porge. >>

    Caro Sergio, trovo azzeccatissimo questo parallelo tra l'aggressività intraspecifica umana ed uno dei più famosi precetti di Gesù.
    Il quale, con questo suo buonismo sostanzialmente inapplicabile, dimostra una volta di più la sua incapacità di comprendere veramente il genere umano e quindi la sua pochezza anche solo come profeta "laico".

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    1. "Gesù ... dimostra una volta di più la sua incapacità di comprendere veramente il genere umano e quindi la sua pochezza anche solo come profeta "laico".

      Povero Gesù che non capiva un accidente! Ma ti rendi conto di quel che hai scritto? Il figlio di Dio all'oscuro della nostra natura?! Davvero non c'è più religione!

      Però credo che hai proprio ragione, anche se a volte Gesù ci azzecca, non so se per caso o per "genialità" - anche atei famosi come M. Hack considerano Gesù un genio, cosa che francamente non capisco: Gesù è a volte buono e misericordioso e raccomanda di perdonare settanta volte sette (geniale!), ma poi si scatena ed è un profluvio di minacce: guai a voi di qua, guai a voi di là, finirete all'inferno ecc. In questi frangenti è tutt'altro che geniale, è semplicemente incazzato e piuttosto aggressivo e incattivito come un comunissimo mortale.

      In effetti Gesù ha dato un ordine: "mandamentum do vobis, ut diligatis vos alterutrum". Ora ordinare di voler bene o amare qualcuno è un po' assurdo. Per amare qualcuno non abbiamo bisogno di ordini, viene piuttosto spontaneo.
      E se non ce la facciamo ad amare gli altri (tutti gli altri) come noi stessi una ragione ci deve pur essere: l'aggressività innata, appunto, che ci serve per sopravvivere o per difenderci. Amare poi tutti gli altri o il genere umano significa poi non amare nessuno in particolare. Si può certamente essere gentili e cortesi con tutti (qui l'educazione può dare qualche risultato positivo), ma amare qualcuno è ben altra cosa: è un coinvolgimento totale della persona.

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    2. << Si può certamente essere gentili e cortesi con tutti (qui l'educazione può dare qualche risultato positivo), ma amare qualcuno è ben altra cosa: è un coinvolgimento totale della persona. >>

      Caro Sergio, direi che hai centrato perfettamente il problema.
      Tutti i grandi pensatori buonisti, che parlano di AMORE reciproco tra tutti gli uomini non sanno, letteralmente, di cosa parlano.
      Il gene egoista replicatore non ci permetterebbe MAI di comportarci in questo modo.
      Essere gentili e cortesi, invece, mi pare un obbiettivo più ragionevole e, forse, raggiungibile.
      Ed un mondo guidato dalla gentilezza e dalla cortesia sarebbe già cento volte migliore di quello attuale.

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  3. Il primo filosofo a sviluppare un'antropologia empirica e' stato Hobbes che riprese il famoso "Homo homini lupus" dai latini per descrivere l'aggressività intraspecifica. Anche il contemporaneo Machiavelli che ben conosceva Hobbes, si era valso dell'antropologia empirica per applicarla alla politica degli stati. Purtroppo il romanticismo antropocentrico d Russeau ci ha successivamente sviato, dandoci l'idea di un uomo originariamente buono, corrotto dallla società . (fu il primo a dire che la colpa non e' nostra ma della societa'....). L'illusione di Kant era che la ragione e uno stato illuminato potessero controllare gli istinti malvagi e sopraffattori dell'uomo. Il XX secolo ci ha riportato alla realtà di un uomo in grado di distruggere se stesso. Oggi l'aggressività umana si rivolge al pianeta stesso mettendo a repentaglio la vita sulla Terra.

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  4. Caro Agobit, quanti danni ha fatto al pensiero umano il "buon selvaggio" di Rousseau....
    E poi, dare la colpa alla "società" cosa risolve ?
    La società non siamo forse noi stessi ?

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  5. Ma chi lo stabilisce che l'uomo è il più crudele degli esseri? Non può essere semplicemente che la crudeltà aumenta secondo l'intelligenza? Chi ci dice che un leone non si "diverta" a sbranare un'antilope? Anzi, a vedere certi documentari, pare proprio così? E il comune gatto donestico con il passerotto e il topolino? Non si limita a mangiarlo, ma lo stuzzica e lo massacra piano piano, con gusto, direi ... per non parlare degli insetti che depongono uova nel corpo degli animali ... beh, forse qui di gusto non si può parlare, però è di sicuro una strategia di sopravvivenza alquanto spietata ...
    In ogni caso la superiore corteccia cerebrale dell'uomo porta sia a una maggiore crudeltà che a una maggiore compassione. Entrambi gli aspetti sono presenti. Proprio perché possiamo essere crudeli, possiamo essere anche compassionevoli, recare sollievo al prossimo, persino, in alcuni casi dare la vita per esso. Gesù, Buddha, Hitler e Pol Pot, sono tutti umani. Maschi per altro.
    E' la nostra maledizione e benedizione, oserei dire.
    E' quello che ci ha portato sulla Luna e quello che sta rischiando di portarci all'estinzione, non solo nostra, ma di molte specie.
    Questa feroce scimmia nuda è proprio un enigma.

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    1. Non sono un etologo ma io escluderei che gli animali provino piacere a tormentare le loro vittime, anche se il gatto sembra divertirsi col topo. Quanto agli insetti poi non ne parliamo proprio: si tratta di meccanismi naturali che a noi appaiono spietati - la larva mangia l'insetto vivo badando a non ledere subito parti vitali - ma non penso si possa dire che la larva provi "piacere", quel piacere perverso che provano gli umani nel tormentare i propri simili.
      Non direi nemmeno che l'uomo provi compassione "proprio perché" può essere anche crudele, come ci fosse una correlazione tra crudeltà e compassione.
      Alcuni primati, ma anche cani e gatti, provano a volte sicuramente compassione per i loro simili, li aiutano se sono in difficoltà.
      Rispetto agli altri esseri viventi però noi abbiamo un cervello molto più sviluppato e complesso: il risultato è una maggiore spietatezza, ma anche probabilmente una maggiore capacità di immedesimarci nei nostri simili.
      Nel regno animale la vittima è in genere più debole e non può opporre grande resistenza a un predatore. Gli esseri umani invece possono opporre ai loro simili valida resistenza e tenerli a bada: ciò accresce l'aggressività e il desiderio d'infierire. Del resto anche un animale ferito diventa più "cattivo": in realtà lotta per sopravvivere.

      Probabilmente la scimmia nuda non è affatto un enigma ma un prodotto naturale dell'evoluzione e i suoi comportamenti - anche quelli che non ci piacciono e che possono risultare addirittura letali per la specie viste le armi di offesa moderne - altrettanto naturali.
      Il nostro cervello è fantastico e ancora in gran parte inesplorato (è più complesso di una galassia, diceva Dürrenmatt). Ma forse non ci salverà dall'estinzione. L'uomo di Neandertal aveva un cervello di massa superiore al nostro ma si è estinto, sopraffatto dal sapiens sapiens. Che non è probabilmente il massimo.

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    2. Forse gli animali non provano un piacere complesso come quello dell'uomo, ma credo che i predatori provino anche a piacere a cacciare. Non intendevo dire che c'è correlazione tra crudeltà e compassione, bensì più o meno quello che hai scritto tu.
      E? vero che noi siamo prodotti naturali. se invece dei primati, che so, si fossero evoluti i felidi o i canidi, non c'è garanzia che il risultato sarebbe stato migliore.
      E' un peccato che una complessità cosi colossale rischi di svanire come se non fosse mai esistita. D'altra parte il Buddha diceva che tutto è impermanente.
      Mi viene voglia di cose belle.

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  6. L’argomento è molto complesso e controverso.
    Vorrei però sottolineare che l’anomalia dell’homo sapiens non risiede nella aggressività verso le prede, che appare del tutto normale, ma in quella contro i propri simili, che davvero ci rende diversi da tutti gli altri animali.
    Certo, i predatori si comportano anche crudelmente verso le prede, ma non potrebbe essere altrimenti, perché la sofferenza e la morte della preda sono condizioni indispensabili per la loro sopravvivenza.

    Ma un uomo che prova piacere nel torturare e fare soffrire un suo simile, spesso in modo gratuito, che vantaggio potrà mai avere per la propria sopravvivenza ?
    E’ questo il lato oscuro del nostro (meraviglioso) cervello.

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    1. Basta chiedere a qualunque tossicodipendente. Non è primaria la sopravvivenza, bensì la soddisfazione continua progressiva e senza limiti dei propri desideri. La razza umana è tossicodipendente in senso collettivo. Le sostanze tossiche sono varie, oguno ne può nominare una.

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    2. L'aggressione intraspecifica non è una peculiarità umana. Anche nel regno animale non umano è presente, seppure in poche specie soltanto (ratti, scimpanzé ecc.).
      I predatori non sono crudeli, non hanno altra scelta che uccidere (confesso che devo fare uno sforzo per guardarli nei vari documentari sulla natura: non è certo un bello spettacolo). Ma guardo controvoglia perché la natura è anche questo.

      I rapporti fra gli esseri umani sono molto più complessi che fra gli altri esseri viventi. Ciò implica anche una maggiore varietà di comportamenti tra cui appunto il piacere perverso di tormentare i propri simili e dal quale non si può trarre alcun vantaggio concreto.
      Forse due fattori inducono ad accrescere le sofferenze del nemico: l'abilità tecnica dell'uomo e la sua fantasia.
      Tuttavia c'è da dire che la stragrande maggioranza degli esseri umani rifugge da comportamenti sadici: non so se ciò sia più frutto dell'educazione o della capacità di empatia dell'uomo, probabilmente di entrambe le cose.

      "Schadenfreude": questa espressione tedesca (Schaden = danno, Freude = gioia) è nota anche da noi. Indica la gioia maligna che si prova quando una persona, a cui ovviamente non vogliamo troppo bene, è nei guai. Tanto che si arriva perfino ad affermare che la Schadenfreude è la gioia più grande. Probabilmente un po' tutti provano occasionalmente questa gioia. Ma si può spiegare psicologicamente, penso che non sia qualcosa d'incomprensibile e perverso e che occorra scomodare la "colpa di Adamo" per spiegarlo.

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  7. @ Massimo Villivà
    << la soddisfazione continua progressiva e senza limiti dei propri desideri >>, come la chiami tu, è sicuramente alla base di molte delle miserie umani.
    Non a caso, già gli antichi romani dicevano che "in medio stat virtus".

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  9. @ Sergio
    Mi piace molto il concetto di "Schadenfreude" che tu hai citato e ritengo che possa essere molto importante per comprendere sino in fondo i comportamenti più sgradevoli dell’essere umano.

    E forse (dico forse), potrebbe esserci una spiegazione “darwiniana” anche per questo.
    Siccome il gene egoista vuole la supremazia del suo fenotipo nei confronti di tutti gli altri (in quanto concorrenti nella corsa alla massima riproduzione), la "Schadenfreude" potrebbe servire, dal punto di vista psicologico, a farci sentire “superiori” allo sfortunato di turno e, quindi, almeno per un momento, felicemente appagati.

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    1. Visto che ti piace il concetto di Schadenfreude mi permetto di indicarne anche la pronuncia: sciadenfroide (forse lo sapevi già, conoscerai l'Inno alla gioia di Schiller, che è l'inno dell'UE (Freude, schöner Götterfunke - Gioia, bella scintilla divina).

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  10. 1 Machiavelli non pote' conoscere Hobbes dato che Hobbes e' proprio di un secolo diverso).
    Niccolo' Machiavelli nacque il 3 maggio 1469 e mori' il 21 giugno 1527, mentre Hobbes nacque solo nel 1588, cioe' 119 anni dopo la nascita, e 61 anni dopo la morte di Machiavelli.
    2 Verissimo invece che il mito del buon selvaggio e' una delle rovine dell'umanita'.

    3 Mi pare che un esempio di shadenfreude assolutamente innata e generalizzata al 100% dell'umanita' sia anche il meccanismo per cui vedere uno che inciampa e cade rovinosamente ci provoca del tutto automaticamente e dunque innocentemente il riso.
    Probabilmente ha perfetta ragione Lumen a scrivere che ""potrebbe servire, dal punto di vista psicologico, a farci sentire “superiori” allo sfortunato di turno e, quindi, almeno per un momento, felicemente appagati"". Interessante e' pero' notare che per essere un comportamento cosi' diffuso proprio presso tutta la specie umana, deve essere un comportamento antichissimo, ancestrale, presumo pre-umano. Insomma anche gli ominidi probabilmente avevano proprio stretto bisogno di meccanismi psicologici compensatori del loro precario stato. (Eppoi ci meravigliamo del bisogno di religione!)

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