sabato 29 settembre 2012

Old Economy

Ormai, col perdurare della crisi mondiale, si parla quasi solo di economia, come se fosse l’unica cosa che conta.
L’economia sarà anche importante (è importante) ma, come osserva acutamente  Antonio Turiel, può solo spiegare come si dividono le risorse, non crearle di per sé, in quanto le risorse vengono dall’energia, che segue leggi diverse.
Vale la pena di rifletterci sopra.
LUMEN


<< La teoria economica vigente si è sviluppata in uno scenario di abbondanza di risorse ed in modo implicito presuppone che le risorse non siano mai un problema.
Dal punto di vista formale, la teoria che domina il discorso accademico e pratico presume che la scarsità delle risorse insostituibili non arriva mai a prodursi perché o il mercato rende sfruttabili risorse che prima erano economicamente non sfruttabili attraverso un aumento dei prezzi (visione progressiva del mercato) o trova sostituti adeguati (principio delle sostituibilità infinita).

Serve poco argomentare con questi campioni del libero mercato e del liberismo economico, che l’economia non può sostenere un prezzo troppo alto per l’energia, o che nel caso del petrolio la sostituibilità non sta funzionando (…).
Tali obiezioni, ragionevoli ed avallate da dati e studi, vengono subito ignorate, se non sommariamente svalutate, con cliché ripetuti (…) e chi le formula viene offeso con sufficienza (“lei non sa di economia”). (…)

Il grande fallimento della teoria economica che viene applicata oggi a spron battuto, anche al di fuori dei suoi ambiti di competenza naturale, è quello di non comprendere che l'economia ha, fondamentalmente, una funzione di assegnazione delle risorse nella società.
Cioè, il nostro sistema economico non è altro che un complicato congiunto di regole per decidere come si assegnano le risorse, chi si prende cosa. L'economia è importante perché spiega come si dividono le risorse, ma non crea di per se le risorse.

Si può pensare che in certi momenti l'economia funga da catalizzatore, accelerando l'accesso o anche rendendo possibile l'accesso a risorse che in altro modo resterebbero inaccessibili, ma di sicuro non le crea.
La distinzione è importante, perché gli economisti sono soliti abusare di questa capacità delle regole economiche di migliorare la disponibilità di risorse come se le creasse realmente e pensano che in una situazione di esaurimento delle risorse fisiche “il mercato fornirà alternative”, senza capire che il mercato non crea nulla. (…)

Viviamo un momento in cui le risorse non sono soltanto scarse, ma si assottigliano. Fino ad ora il cittadino medio della società occidentale era soddisfatto da una piccola percentuale delle risorse che arrivavano nei nostri paesi, perché copriva troppo bene le sue necessità, mentre i ricchi facevano grande festa.
Ora che le risorse diminuiscono, riappare una tensione dialettica: i ricchi non vogliono rinunciare alla loro parte della torta, ma su una torta più piccola il loro pezzo rappresenta una percentuale maggiore e lascia al resto di noi la carestia.

E il cittadino medio reclama, esige e protesta di fronte ad abusi e corruzione ai quali solo cinque anni fa non faceva nemmeno caso, visto che percepisce che gli stanno strappando via le briciole delle quali viveva. (…)
Se la torta non ha intenzione di crescere ma di diminuire, (…) [ne consegue] che le briciole diminuiscano anche più rapidamente e che lo scontento del cittadino sia sempre maggiore. >>

ANTONIO TURIEL (Effetto Cassandra)

9 commenti:

  1. Caro Lumen,

    ho letto con piacere (!) queste osservazioni di Turiel: si vede che le trovo condivisibili e giuste. Lo stesso qualche noterella di dissenso o piuttosto delle domande.

    Il rendere accessibili risorse prima non disponibili (difficoltà di reperimento, costi troppo elevati) non significa però in un certo senso anche "crearle"? Prima era come non esistessero ed adesso saltano fuori grazie al capitale. Non si può dunque escludere che domani si trovino (= creino) altre risorse.

    La torta non si assottiglia: è sempre uguale o addirittura si può fare una torta più grande (trovando = creando nuove risorse). Il problema è che i mangiatori di torta aumentano in modo iperbolico per cui per quando grande sia o possa diventare la torta le fette per ognuno si fanno inevitabilmente più piccole. Si tratterebbe dunque di mantenere un certo equilibrio tra le dimensioni della torta disponibile in un certo periodo e il numero dei "commensali al tavolo della vita" (mi piace usare sempre questa bella formula di Paolo VI che lui la sua fetta di torta ce l'aveva garantita, anche dai contribuenti italiani).
    Ma mantenere in equilibrio risorse disponibili e numero di commensali è difficile e forse impossibile. In natura l'equilibrio si ristabilisce automaticamente: se le risorse non ci sono o svaniscono per varie cause il numero degli animali cala subito drasticamente.
    Potrebbe succedere la stessa cosa per gli esseri umani: improvvisa scarsità di risorse, lotte per l'accaparramento delle ultime risorse compresa l'acqua, guerre, carestie, epidemie, catastrofi naturali potrebbero falcidiare l'umanità (e alla natura non gliene fregherebbe niente: "sta natura ognor verde ... e l'uom di eternità s'arroga il vanto").

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    1. Grazie, Sergio, per la bella citazione della Ginestra di Leopardi, forse una delle più belle poesie di tutti i tempi (almeno per me).
      E direi che sta proprio a pennello per le considerazioni che stiamo facendo.
      In fondo il problema non è se torneremo in equilibrio ecologico (ci torneremo, ci torneremo) ma se riusciremo a farlo senza troppi lutti, massacri e crudeltà.
      E su questo, ahimè, non sono molto ottimista.

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  2. (continua)

    Ma perché l'uomo - col suo cervellone e capace come nessun altro animale di studiare il passato e fare proiezioni per l'avvenire - non è capace di mantenere l'equilibrio tra torta e mangiatori di torta? Il numero dei mangiatori è via via aumentato: dai trecento milioni di abitanti del globo ai tempi di Cesare siamo passati ai 1,9 miliardi di inizio Novecento. Certamente un bel salto, ma per secoli grazie (!) alla peste nera, l'alta mortalità infantile, carestie eccetera la popolazione europea è rimasta abbastanza costante intorno ai 180 milioni. Poi il salto nel XX secolo, preparato dal XIX secolo (ovvero dalla industrializzazione e dal progresso). Ortega y Gasset (1863-1955) salutava entusiasta l'incremento demografico europeo: finalmente il lungo periodo di stasi demografica era superato! Cito Ortega perché - malgrado questa mal riposta soddisfazione nell'incremento - è il mio filosofo preferito. Ma mi chiedo cosa direbbe oggi, sarei proprio curioso (nel 1955 eravamo "appena" 3 miliardi circa, e lo stesso Ortega osservava che senza il progresso tecnologico non sarebbe stato possibile rifornire una grande metropoli come Parigi o Madrid del necessario).

    Il fatto è che viviamo - siamo probabilmente sempre vissuti - in regime di concorrenza, concorrenza che si è via via accentuata col numero crescente dei concorrenti che vogliono assicurarsi la loro fetta di torta. Apparentemente il cervellone dell'homo sapiens sapiens (due volte saggio, perbacco) non basta per poter organizzare in modo accettabile la cittadella terrena. Solo i Cinesi finora hanno capito che il numero dei mangiatori poteva diventare ingestibile e sono corsi ai ripari con la politica del figlio unico che da noi non si può applicare per tanti motivi, soprattutto per la contrarietà della Chiesa - ma vi sono contrari anche gli islamici - e della stessa economia che vede nella crescita economica e demografica - che si sostengono a vicenda - la sola panacea a tutti i problemi.

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    1. << Solo i Cinesi finora hanno capito che il numero dei mangiatori poteva diventare ingestibile e sono corsi ai ripari con la politica del figlio unico >>

      Anche io ho ammirato la scelta dei Cinesi, pur consapevole dei problemi e delle difficoltà che dovevano affrontare.
      Purtroppo (notizia recente), pare che stiano per fare marcia indietro anche loro, non so bene per quale motivo.
      Poveri noi !!!!

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  3. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  4. (continuazione)

    Ho letto centinaia di articoli sulla crisi economica mondiale - ne ho letti anche oggi - senza capirci molto, anzi più ne leggo meno ci capisco. Per semplificare - e non impazzire - mi dico: ma in fondo è semplice. Qual è il problema? Come dividere le risorse e i beni, specie quelli assolutamente necessari, tra cui acqua, cibo, energia, aria (pulita), territorio. E in base a cosa dividiamo beni e risorse, quali sono i criteri? In linea di massima siamo d'accordo che l'impegno, lo sforzo, anche l'intelligenza vadano onorati con un'assegnazione maggiore di beni che non può però significare arricchimento eccessivo, anzi scandaloso di alcuni che si arricchiscono ulteriormente speculando su beni di cui gli altri hanno assoluto bisogno (cibo, territorio). Un buon uomo, un buon cattolico come Monaldo Leopardi trovava lecito speculare sulle derrate alimentari!

    Come sai io sono un ex sessantottino e ho creduto nel comunismo e nel socialismo.
    Oggi l'egualitarismo perfetto mi sembra non solo irrealizzabile, ma nemmeno auspicabile perché significherebbe la fine della libertà (come nell'ideale "città del sole" di Campanella).
    E tuttavia in qualche modo - se non vogliamo scannarci o vivere alle spalle di altri - qualche forma di equità bisognerà trovarla. E ciò significa darsi delle regole condivisibili da tutti (senza regole e statuti non può nemmeno sopravvivere una società degli scacchi).

    Io sento sempre parlare della necessità di innovazione, competitività, libero mercato ecc.
    Pensa che la Svizzera è al primo posto nel mondo per spirito innovativo! Ma che significa competitività? Battere la concorrenza, piazzare i propri prodotti fregando gli altri. E a che scopo vogliamo fregare la concorrenza? Per fare soldi ovviamente, coi quali si possono comprare tante belle cose, a cominciare dal petrolio senza il quale non si produce quasi niente. Siamo insomma tutti in concorrenza per assicurarci una fetta maggiore di torta. Non può funzionare alla lunga. Libertà e libero mercato, va bene, ma non per fregare gli altri nella lotta all'accaparramento dei beni necessari a tutti.
    Insomma, più che concorrenza ci vorrebbe cooperazione. Una società poi numericamente stabile - come vorremmo - non tollererebbe disuguaglianze spinte e ingiustificabili.

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    1. << Insomma, più che concorrenza, ci vorrebbe cooperazione >>

      Direi che questa è proprio la tensione irriducibile dell'uomo, sospeso tra gene e cultura.

      Il gene egoista (che ci guida dal di dentro) vuole la concorrenza più spinta, perchè più risorse vogliono dire più successo riproduttivo.
      La cultura invece, vuole la cooperazione, per consentire il benessere dell'intera società in cui siamo inserirti.

      Chi vincerà ?
      Per il momento, mi pare che stia ancora vincendo il piccolo gene. Ma sperare non costa nulla.

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  5. «Direi che questa è proprio la tensione irriducibile dell'uomo, sospeso tra gene e cultura.»

    Devo ammettere che a me la retorica del "bene comune" tanto cara alla Chiesa non piace tanto. Il bene comune è in qualche misura nemico del bene particolare di ognuno di noi, perché è chiaro che il singolo deve rinunciare a qualcosa perché la comunità prosperi o persino possa semplicemente sopravvivere.
    Ma al punto in cui siamo (ma anche al tempo di Cesare) il singolo non può fare a meno della comunità che gli garantisce beni che lui da solo non potrebbe procacciarsi (e forse tra i primi beni la sicurezza). Il singolo dunque dipende dal gruppo, ma il gruppo non può fare a meno dell'intelligenza e creatività del singolo (per progredire, ma anche per difendersi). C'è dunque una reciproca dipendenza. I regimi totalitari e comunitaristi (comunismo, religioni) vorrebbero far prevalere il bene comune, a scapito delle aspirazioni del singolo. Come dici tu, forse si tratta di una tensione irriducibile. Ma al punto in cui siamo (con non so quante atomiche pronte all'uso) penso che una riduzione della tensione sia auspicabile, nell'interesse del singolo e della comunità.
    Dunque tassazione sì, lavoriamo pure fino al 30 giugno per lo Stato (che già mi sembra troppo), ma non fino a metà dicembre come vorrebbero la sinistra e la Chiesa. Che se poi si dovesse davvero lavorare per gli altri fino a metà dicembre credo che non lavorerebbe più nessuno (a che scopo? tanto è tutto garantito).

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    1. La cosa curiosa della tensione gene/cultura è che, in genere, funziona bene, nel senso che crea una sorta di equilibrio (instabile) tra le opposte esigenze, che consente alla barca dell'umanità di procedere alla meno peggio.
      Quando però si tratta della demografia, sia il gene che la cultura tirano entrambi dalla stessa parte.
      Ed è - purtroppo - la parte sbagliata.

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