LUMEN – Messer Vasari, buongiorno. Voi avete dedicato la vostra vita a narrare di arte e di artisti.
VASARI – Gli è vero.
LUMEN – Di grandi artisti e di grandissime opere d’arte.
LUMEN – Di grandi artisti e di grandissime opere d’arte.
VASARI – Le più grandi del mondo, ovvia.
LUMEN - Cosa pensate dell’arte moderna ? Ed in particolare della scultura ?
VASARI – Davvero poco di bono. Gli è pieno di birboni che si approfittano della credulità della gente.
LUMEN – Avete qualche storia divertente o curiosa da raccontare ?
VASARI – Tantissime, ne avrei. Ma la mia preferita gli è quella della porta di Duchamp.
LUMEN – Bene. Raccontatela, allora, che siamo curiosi.
VASARI – Siamo nel giugno 1978. Gli operai, che stanno finendo di dipingere i padiglioni della Biennale d'Arte di Venezia, si accorgono che c'è ancora una vecchia porta da verniciare. In quattro e quattr'otto, dato che c'è poco tempo perché l'inaugurazione è ormai prossima, la dipingono tutta bianca, così la porta risplende come se fosse nuova.
LUMEN – Un lavoro da professionisti.
VASARI - Non potevano sapere, quei ragazzotti coi pennelli in mano, che avevano verniciato niente meno che un' opera d' arte.
LUMEN – Un’opera d’arte ? Una scultura ?
VASARI – Non saprei se possa essere definita una scultura. Comunque era una porta in legno del dadaista francese Marcel Duchamp, prestata alla Biennale di Venezia per la mostra “Dalla natura all'arte e dall'arte alla natura“ e debitamente assicurata - come opera d’arte - per duecentomila dollari.
LUMEN – Oh, santo cielo !
VASARI – In effetti la porta, alta 2 metri e 20 per 62 centimetri di larghezza, aveva proprio bisogno di una ritoccatina, perché nel 1978, quando venne messa in mostra, compiva 51 anni.
LUMEN – Addirittura.
VASARI – La porta risaliva infatti al 1927 e proveniva da una casa di Rue Larry a Parigi, dove Duchamp aveva abitato. L'artista, che era noto per il suo temperamento dissacratorio, amava infatti trasportare fuori dal loro contesto abituale gli oggetti di uso comune, ironici o assurdi, sostenendo che in questo modo persino un orinatoio rovesciato - e lui una volta lo presentò davvero - poteva diventare un' opera d' arte.
LUMEN – Povera arte…
VASARI - Convinto che l'arte sia un mezzo per auto-intossicarsi (come l'oppio), Duchamp era stato protagonista di numerose provocazioni, come quella volta che portò in America delle sfere di vetro riempite di aria di Parigi, o come quando si mise a costruire dei complicati meccanismi assolutamente privi di una qualsiasi utilità.
LUMEN – Immagino che qualche critico compiacente avesse già dato un nome, magari altisonante, a questa specie di corrente artistica.
VASARI – Certamente. L’avevano definita “Nichilismo estetico”.
LUMEN – Bellissimo. Ma torniamo alla nostra Biennale.
VASARI - All' esposizione d'arte del 1978, ideata da una commissione composta da famose personalità del mondo dell’arte, c'erano due opere di Duchamp: uno “scolabottiglie” e, appunto, la “Porte, 11 Rue Larrey, Paris”.
LUMEN – Anche l’idea dello scolabottiglie non è male.
VASARI – La porta era stata strategicamente piazzata nel “Padiglione Italia”, in posizione di angolo fra due locali, in modo che desse vita ad un curioso gioco, con una stanza che restava con la porta sempre chiusa e l' altra con la porta sempre aperta o viceversa.
LUMEN – Sarà anche divertente, ma l’arte cosa c’entra ?
VASARI – E chi lo sa ? L' allestimento però era così realistico che trasse in inganno i pittori del colorificio G. che stavano dipingendo il padiglione nei giorni frenetici della vigilia, e che di fronte a quella vecchia porta il legno non ebbero dubbi nel decidere che occorreva, e subito, una bella mano di bianco.
LUMEN – E dopo il “sacrilegio” cosa successe ?
VASARI – Successe che il padrone della porta, il collezionista romano F.S., fece causa alla Biennale, e l'ente a sua volta tirò in ballo il colorificio G. e poi – essendo l’opera assicurata – le sei compagnie di assicurazioni coinvolte.
LUMEN – Immagino che, tra perizie e controperizie, la causa sia andata avanti per un bel pezzo.
VASARI – Sì. La causa è durata in tutto nove anni, e alla fine i giudici del Tribunale di Venezia hanno dato ragione al proprietario della porta (pardon, dell'opera), condannando l'ente culturale veneziano ad un risarcimento di quattrocento milioni di vecchie lire.
LUMEN – Che botta ! E i poveri operai ?
VASARI – Ne sono usciti senza danno. I giudici hanno deciso infatti che la colpa non era né degli operai né del colorificio, ma solo della Biennale per la leggerezza e la mancanza di diligenza nella direzione dei lavori e perché non avvertì i dipendenti del colorificio dell'esistenza dell' opera d' arte.
LUMEN – Beh, una vera opera d’arte non dovrebbe avere bisogno di cartelli.
VASARI – Sono d’accordo.
LUMEN – Ma la porta, in fondo, non era andata distrutta: era stata danneggiata solo superficialmente.
VASARI – Ma era stata alterata. Nel corso della causa, i giudici veneziani avevano chiesto una perizia sull’opera al professor R.D.G., il quale aveva così concluso: ”Siamo di fronte ad un vecchio oggetto mitizzato e sacralizzato che ha un senso artistico solo in quanto quella vecchia porta, sporca e insignificante, è stata a suo tempo utilizzata da Duchamp che l'ha firmata e datata, dandole da quel momento in poi un valore di feticcio”.
LUMEN – E quindi ?
VASARI – Quindi, secondo il Tribunale di Venezia, l'imbrattamento della porta di Duchamp, con la parziale abrasione della firma e della data, e la perdita della patina originaria, avevano costituito un nocumento irreparabile al pregio dell'opera, traducendosi in un grave danno economico, sicuramente risarcibile.
LUMEN – E come venne stato calcolato, in concreto, il danno subito dal proprietario collezionista ?
VASARI – Venne quantificato – un po’ salomonicamente, direi - nella metà del valore a suo tempo assicurato, trasformato in lire. A questo si sono poi aggiunti gli interessi maturati nel frattempo, fino ad arrivare così alla somma indicata nella sentenza.
LUMEN - Cosa pensate dell’arte moderna ? Ed in particolare della scultura ?
VASARI – Davvero poco di bono. Gli è pieno di birboni che si approfittano della credulità della gente.
LUMEN – Avete qualche storia divertente o curiosa da raccontare ?
VASARI – Tantissime, ne avrei. Ma la mia preferita gli è quella della porta di Duchamp.
LUMEN – Bene. Raccontatela, allora, che siamo curiosi.
VASARI – Siamo nel giugno 1978. Gli operai, che stanno finendo di dipingere i padiglioni della Biennale d'Arte di Venezia, si accorgono che c'è ancora una vecchia porta da verniciare. In quattro e quattr'otto, dato che c'è poco tempo perché l'inaugurazione è ormai prossima, la dipingono tutta bianca, così la porta risplende come se fosse nuova.
LUMEN – Un lavoro da professionisti.
VASARI - Non potevano sapere, quei ragazzotti coi pennelli in mano, che avevano verniciato niente meno che un' opera d' arte.
LUMEN – Un’opera d’arte ? Una scultura ?
VASARI – Non saprei se possa essere definita una scultura. Comunque era una porta in legno del dadaista francese Marcel Duchamp, prestata alla Biennale di Venezia per la mostra “Dalla natura all'arte e dall'arte alla natura“ e debitamente assicurata - come opera d’arte - per duecentomila dollari.
LUMEN – Oh, santo cielo !
VASARI – In effetti la porta, alta 2 metri e 20 per 62 centimetri di larghezza, aveva proprio bisogno di una ritoccatina, perché nel 1978, quando venne messa in mostra, compiva 51 anni.
LUMEN – Addirittura.
VASARI – La porta risaliva infatti al 1927 e proveniva da una casa di Rue Larry a Parigi, dove Duchamp aveva abitato. L'artista, che era noto per il suo temperamento dissacratorio, amava infatti trasportare fuori dal loro contesto abituale gli oggetti di uso comune, ironici o assurdi, sostenendo che in questo modo persino un orinatoio rovesciato - e lui una volta lo presentò davvero - poteva diventare un' opera d' arte.
LUMEN – Povera arte…
VASARI - Convinto che l'arte sia un mezzo per auto-intossicarsi (come l'oppio), Duchamp era stato protagonista di numerose provocazioni, come quella volta che portò in America delle sfere di vetro riempite di aria di Parigi, o come quando si mise a costruire dei complicati meccanismi assolutamente privi di una qualsiasi utilità.
LUMEN – Immagino che qualche critico compiacente avesse già dato un nome, magari altisonante, a questa specie di corrente artistica.
VASARI – Certamente. L’avevano definita “Nichilismo estetico”.
LUMEN – Bellissimo. Ma torniamo alla nostra Biennale.
VASARI - All' esposizione d'arte del 1978, ideata da una commissione composta da famose personalità del mondo dell’arte, c'erano due opere di Duchamp: uno “scolabottiglie” e, appunto, la “Porte, 11 Rue Larrey, Paris”.
LUMEN – Anche l’idea dello scolabottiglie non è male.
VASARI – La porta era stata strategicamente piazzata nel “Padiglione Italia”, in posizione di angolo fra due locali, in modo che desse vita ad un curioso gioco, con una stanza che restava con la porta sempre chiusa e l' altra con la porta sempre aperta o viceversa.
LUMEN – Sarà anche divertente, ma l’arte cosa c’entra ?
VASARI – E chi lo sa ? L' allestimento però era così realistico che trasse in inganno i pittori del colorificio G. che stavano dipingendo il padiglione nei giorni frenetici della vigilia, e che di fronte a quella vecchia porta il legno non ebbero dubbi nel decidere che occorreva, e subito, una bella mano di bianco.
LUMEN – E dopo il “sacrilegio” cosa successe ?
VASARI – Successe che il padrone della porta, il collezionista romano F.S., fece causa alla Biennale, e l'ente a sua volta tirò in ballo il colorificio G. e poi – essendo l’opera assicurata – le sei compagnie di assicurazioni coinvolte.
LUMEN – Immagino che, tra perizie e controperizie, la causa sia andata avanti per un bel pezzo.
VASARI – Sì. La causa è durata in tutto nove anni, e alla fine i giudici del Tribunale di Venezia hanno dato ragione al proprietario della porta (pardon, dell'opera), condannando l'ente culturale veneziano ad un risarcimento di quattrocento milioni di vecchie lire.
LUMEN – Che botta ! E i poveri operai ?
VASARI – Ne sono usciti senza danno. I giudici hanno deciso infatti che la colpa non era né degli operai né del colorificio, ma solo della Biennale per la leggerezza e la mancanza di diligenza nella direzione dei lavori e perché non avvertì i dipendenti del colorificio dell'esistenza dell' opera d' arte.
LUMEN – Beh, una vera opera d’arte non dovrebbe avere bisogno di cartelli.
VASARI – Sono d’accordo.
LUMEN – Ma la porta, in fondo, non era andata distrutta: era stata danneggiata solo superficialmente.
VASARI – Ma era stata alterata. Nel corso della causa, i giudici veneziani avevano chiesto una perizia sull’opera al professor R.D.G., il quale aveva così concluso: ”Siamo di fronte ad un vecchio oggetto mitizzato e sacralizzato che ha un senso artistico solo in quanto quella vecchia porta, sporca e insignificante, è stata a suo tempo utilizzata da Duchamp che l'ha firmata e datata, dandole da quel momento in poi un valore di feticcio”.
LUMEN – E quindi ?
VASARI – Quindi, secondo il Tribunale di Venezia, l'imbrattamento della porta di Duchamp, con la parziale abrasione della firma e della data, e la perdita della patina originaria, avevano costituito un nocumento irreparabile al pregio dell'opera, traducendosi in un grave danno economico, sicuramente risarcibile.
LUMEN – E come venne stato calcolato, in concreto, il danno subito dal proprietario collezionista ?
VASARI – Venne quantificato – un po’ salomonicamente, direi - nella metà del valore a suo tempo assicurato, trasformato in lire. A questo si sono poi aggiunti gli interessi maturati nel frattempo, fino ad arrivare così alla somma indicata nella sentenza.
LUMEN – Quindi, correggetemi se sbaglio, il signor collezionista di cui sopra, senza perdere la sua preziosa porta di Duchamp, si è ritrovato con un risarcimento economico milionario, tanta pubblicità intorno al suo nome e, per soprammercato, anche una bella riverniciata gratis.
VASARI – Proprio così.
LUMEN – E poi dicono che l’arte moderna non rende….