giovedì 27 novembre 2025

Eccezziunale veramente !

Prendo a prestito il titolo di un vecchio film goliardico con Diego Abatantuono per parlare invece di un argomento molto serio e scabroso, ovvero l'autoassoluzione che i popoli (praticamente tutti) concedono a se stessi quando commettono violenze ed atrocità, sulla base di un loro presunto 'eccezionalismo'.
Ce ne parla Uriel Fanelli in questo pezzo (tratto dal suo blog – LINK), che parte dall'attuale situazione socio-politica degli Stati Uniti, per allargarsi a considerazioni più generali.
LUMEN


<< Mentre in Europa lo si descrive con la solita etichetta preconfezionata — “divisivo” — Trump, in realtà, porta avanti un set di idee che hanno la funzione opposta: uniscono il paese sotto una sorta di comun denominatore che la stampa europea non riesce, o non vuole, ammettere. Alcuni americani militano nei repubblicani, altri militano nei democratici, ma TUTTI, o quasi, hanno le idee di Trump.

Prendiamo, per esempio, l’eccezionalismo americano. È quella convinzione infantile — ma rivestita da solenni discorsi e manuali di geopolitica — di essere, come popolo e come nazione, al di sopra del normale giudizio della storia, e perfino della morale. Una sorta di immunità diplomatica applicata alla coscienza.

Così, se le bombe al napalm sui villaggi sono cattive, quelle sganciate a stelle e strisce diventano improvvisamente buone. Se il genocidio è universalmente riprovevole, ma quello degli indiani d’America diventa una simpatica “espansione verso Ovest”. Se le armi di distruzione di massa sono il Male Assoluto, scopriamo che le atomiche su Hiroshima e Nagasaki si trasformano in atti di “necessità storica”. Una partita truccata, insomma, dove l’arbitro coincide con il giocatore. 

Seguendo il filo dell’eccezionalismo ci si accorge che non è un’invenzione americana, ma una vecchia abitudine umana.

Lo troviamo nei discorsi di Himmler alle SS, quando rivendicava per la “razza eletta” il diritto di riscrivere la storia col sangue degli altri. Lo troviamo in Israele, con il suo eccezionalismo ebraico per cui il mantra “muh la Shoah” diventa il lasciapassare universale per qualsiasi azione politica o militare, mentre chiunque osi criticare finisce relegato al rango di goyim, cioè spettatore irrilevante della Storia.

Ogni genocidio, a ben guardare, ha sempre avuto dietro il proprio eccezionalismo di riferimento: l’idea che “noi” siamo unici, indispensabili, giustificati, mentre “gli altri” non contano abbastanza da meritare diritti, memoria o pietà. È il carburante ideologico che alimenta i massacri e li rende non solo possibili, ma addirittura presentabili.

Quello che Trump spaccia con lo slogan “America First” non è altro che eccezionalismo travestito da buonsenso economico. Non si capisce, infatti, per quale ragione egli debba avere il diritto — a colpi di dazi — di pretendere che le aziende europee, o cinesi, o indiane, trasferiscano la produzione negli Stati Uniti, creando lavoro in Ohio o in Pennsylvania, ma cancellando quello di migliaia di operai sul posto. La logica è sempre la stessa: il lavoro americano vale più del lavoro di chiunque altro, perché loro sono “eccezionali”, giusto?

E qui viene il bello: se provate a mettere in discussione questa logica, parlando sia con un repubblicano che con un democratico, scoprirete che le obiezioni non toccano mai il cuore del problema. Nessuno vi dirà che si tratta di una forma di sciovinismo imperialista, sbagliata in sé.

No, quello è un tabù. L’unico piano di discussione ammesso è quello tecnico: funziona o non funziona? Porterà davvero più posti di lavoro in America? Danneggerà troppo i consumatori? È un approccio da contabili geopolitici: non si giudica la legittimità del principio, ma solo il rendimento della macchina.

Così, l’eccezionalismo rimane il dogma di fondo, accettato da tutti e sottratto al dibattito pubblico. Che a predicarlo sia Trump o un qualsiasi democratico in giacca e cravatta poco cambia: la fede nell’America “più uguale degli altri” resta intatta. (...)

Prendiamo Israele. Se aveste proposto agli ebrei di proclamarsi “razza ariana” e di predicare apertamente lo sterminio dei palestinesi, si sarebbe alzata più di una voce di dissenso. Ma se lo stesso discorso lo confezionate come eccezionalismo — dalla religione del “popolo eletto” al mantra “siamo figli della Shoah” — allora il cittadino medio lo beve senza fatica. (...)

Ecco perché l’eccezionalismo è tanto pericoloso; [perchè] non viene quasi mai riconosciuto come tale, né denunciato come un male in sé. Anzi, si traveste da privilegio, da giustificazione storica, da identità culturale. È zuccherato come un veleno che si scioglie nel caffè: lo bevi senza accorgertene, e quando te ne rendi conto è troppo tardi.

Questa caratteristica dell’eccezionalismo la si ritrova dappertutto, sempre mascherata con la salsa locale. I musulmani che dicono: “a noi i diritti umani fanno schifo perché siamo musulmani”. Bene: provate a dare fuoco a un imam con tutta la sua famiglia, e scoprirete all’istante quanto “disumani” siete davvero. L’eccezionalismo funziona così: finché toglie diritti degli altri, diventa un principio nobile; quando invece tocca il tuo orticello, si trasforma di colpo in un crimine imperdonabile. (...)

E non riguarda certo solo il mondo islamico. In Russia si parla della “Terza Roma”: Mosca avrebbe una missione storica, unica e irripetibile, che le consentirebbe di fregarsene di qualsiasi regola internazionale perché, si sa, i russi “salvano la civiltà”. In Cina il vecchio “mandato celeste” è stato aggiornato in versione comunista: Pechino non opprime, realizza il proprio destino millenario, che guarda caso passa per campi di rieducazione, censura totale e capitalismo di Stato. (...)

Ma l’Europa non è da meno. In Ungheria Orbán ripete ossessivamente che il suo paese è “diverso” perché cristiano e tradizionale, quindi non soggetto alle stesse regole democratiche che si applicano altrove: un’eccezione culturale, naturalmente. In Polonia il cattolicesimo diventa scudo identitario: loro difendono la “vera Europa”, quindi ogni intrusione di Bruxelles è un attentato alla civiltà. Risultato: leggi liberticide e censura giustificate come “peculiarità storiche” da rispettare. >>

URIEL FANELLI

sabato 22 novembre 2025

Com'è profondo il Mare

L'inquinamento progressivo dell'ambiente, anche se appare più evidente sulla terraferma, non risparmia neppure gli oceani, nonostante la loro vastità.
A questo inquietante argomento è dedicato il post di oggi, tratto dal blog 'Un Pianeta non basta' dell'amico Agobit (LINK).
LUMEN


<< Il grande business della produzione e vendita nei prossimi anni di un miliardo di vetture elettriche, di miliardi di batterie, di accumulatori, di motori magnetici per pale eoliche e di milioni di pannelli solari, e di tutto ciò che è connesso alla economia green (ma non solo, anche di microchip e di armi di precisione) sta portando all'inizio della grande corsa verso i fondali oceanici, dove gli elementi nobili titanio, cobalto, manganese, litio ecc. e le terre rare necessarie alla nuova produzione, abbondano in modo superiore agli attuali giacimenti terrestri in Congo o in Cile.

Come sempre ai primi posti nella corsa all'accaparramento c'è la Cina con le sue industrie di Stato, ma non solo: le multinazionali con sede a Bruxelles, l'americana Lokheed per le armi, la Tesla ecc.

Nel silenzio generale dei media, con le bocche tappate dei movimenti verdi che al riguardo tacciono in modo assoluto, si sta per realizzare la piu grande devastazione ambientale a livello planetario con operazioni di scavo, di estrazione, di sommovimento (anche con esplosivi), di abbattimento, di trascinemento, di frantumazione e di immissione di sostanze chimiche nei fondali oceanici, con la distruzione senza precedenti della biodiversita' e la rovina dell'ecosistema oceanico di assorbimento del carbonio e della liberazione di ossigeno (circa il 50 % dell'ossigeno in atmosfera viene dai fondali oceanici).

E' una opèerazione che fa impallidire tutti gli altri tipi di inquinamento e devastazione industriale della terra e dei mari degli ultimi decenni.

Le grandi multinazionali che hanno deciso la svolta green nell'economia, tra cui i colossi produttori delle rinnovabili, hanno avviato le procedure per iniziare l'esplorazione e i primi sbancamenti delle profondita oceaniche : una regione di pianure abissali ampia quanto gli Stati Uniti continentali, situata in acque internazionali e che si estende dalla costa occidentale del Messico al centro del l'Oceano Pacifico, appena a sud delle Isole Hawaii.

Allo scopo hanno ottenuto dall'ISA (agenzia Onu composta da circa 50 persone che ha autorita' su tutti i fondali in acque internazionali) i permessi per iniziare lo scavo dei fondali e l'inizio della estrazione del prezioso fondo oceanico che, oltre a contenere nelle proprie viscere i metalli rari preziosi per la produzione delle batterie, dei microchip, dellle armi e dei motori elettrici, costituiscono l'ambiente che supporta migliaia di nuove specie ancora sconosciute avviate alla distruzione senza neanche essere catalogate e studiate (con importanti perdite non solo per la biodiversita, ma anche per la medicina e la biochimica, derivando molti farmaci e prodotti utili dalle componenti fisiologiche che sono il prodotto sintetizzato da innumerevoli specie naturali).

In nome della nuova religione green con i suoi idoli (Riscaldamento Climatico, Rinnovabili, Sostenibilità ecc.) si prepara così l'ennesima distruzione ambientale politicamente corretta. Il massacro degli oceani è ovviamente accompagnato dal solito silenzio: quello sulla responsabilità della crescita della popolazione umana senza limiti, cioè la vera causa di tutte le devastazioni ambientali del pianeta.

E' proprio di questi giorni (giugno 2023 - NdL) la notizia che le grandi multinazionali che guidano l'economia verde, sotto la guida di una holding controllata da Singapore, stanno preparando il piano per co-finanziare con 150 miliardi di dollari la costruzione di 123 megalopoli in Africa, tutte alimentate - secondo i progettisti - con "energia sostenibile" (sic!), servizi idrici, trasporti e infrastrutture comprese, con buona pace (eterna) delle foreste e delle selve africane e della loro biodiversità. >>

AGOBIT


Aggiungo, a completamento, un breve stralcio dell'articolo di riferimento riportato da Agobit in calce al suo post (Giovanni Brussato - “Salvare la Terra. Oceani Esclusi ?" - da L'Astrolabio). Lumen

<< Conosciamo meglio la superficie di Marte che i fondali oceanici, l'oceano profondo costituisce oltre il 95% dello spazio dove c'è vita sul pianeta, ma solo circa lo 0,0001% dei fondali marini profondi è stato studiato.
I biologi scoprono nuove specie in quasi ogni spedizione di esplorazione scientifica, ci sono temi di assoluta rilevanza, come il ruolo degli oceani nel ciclo del carbonio planetario e le potenziali risorse per la medicina umana presenti nella vita biologica da comprendere compiutamente.
L'attività mineraria rischia di modificare irreparabilmente, o distruggere, habitat che non conosciamo o di cui non abbiamo nemmeno cominciato a comprendere le caratteristiche.
Come dicono all’Ocean and Marine Wildlife Conservation Initiatives: “È importante. Perché rischiamo di perdere per sempre qualcosa di cui non abbiamo ancora nemmeno conosciuto l’esistenza”.
Eppure, su questi rischi, nel nostro paese – e negli altri paesi avanzati protagonisti della transizione – non si dice neppure una parola, quasi non ci riguardassero o forse perché toccano nervi scoperti, aspetti contraddittori di una decarbonizzazione spinta di cui non sono ancora chiari né gli esiti né i costi.
Le stesse dichiarazioni delle compagnie minerarie inconsapevolmente squarciano il velo di riservatezza sui reali costi sociali ed ambientali. Dovremo estrarre enormi quantità di metalli devastando innumerevoli ecosistemi. >>
GIOVANNI BRUSSATO

lunedì 17 novembre 2025

Pensierini – XCII

ECONOMIA IRRAZIONALE
L'economia è, in ultima analisi, psicologia applicata, e la psicologia è una scienza.
Quindi, anche se molte delle teorie economiche risultano (nei fatti) imprecise, ciò non significa che – almeno in linea di principio - non sia possibile elaborarne altre più 'centrate', che tengano conto in modo adeguato dei nostri meccanismi neurali.
Gli economisti classici, infatti, attribuivano all'agente economico il massimo della razionalità, salvo poi sorprendersi (ex post) per le mille sciocchezze irrazionali che venivano compiute dai mercati.
Oggi invece si è scoperto che anche in campo economico l'uomo si comporta molto spesso in modo irrazionale, cioè controproducente.
Come spiega Daniel Kahneman nel suo bellissimo saggio PENSIERI LENTI E VELOCI (che consiglio vivamente di leggere) il comportamento umano non e' sempre razionale, perchè esistono due sistemi diversi di pensiero, che funzionano in alternativa tra loro.
Possiamo essere razionali, quando utilizziamo il sistema del 'pensiero lento', oppure istintivi, quando utilizziamo il sistema del 'pensiero veloce',
Nel primo caso, che è più faticoso, privilegiamo la precisione della risposta, nel secondo, che è più semplice, privilegiamo la rapidità (e la comodità).
Nel campo economico, data la natura dei problemi, dovrebbe dominare il 'pensiero lento', ed invece ci troviamo spesso ad utilizzare quello istintivo.
Con le conseguenze irrazionali che si possono facilmente vedere, soprattutto nei mercati finanziari.
LUMEN


IL PARADOSSO DEL CONTROLLO
TESI: Per controllare e ridurre la popolazione mondiale (obiettivo indispensabile, per salvare l'ecosistema), è necessaria una grande ed attenta pianificazione a livello mondiale.
ANTITESI: Ma una maggiore pianificazione aumenta ulteriormente la complessità del sistema antropico, e quindi, come insegnao gli esperti, accelera la corsa verso il collasso.
SINTESI: O la popolazione diminuisce da sola, oppure siamo fregati.
LUMEN


BIOETICA
Ogni tanto si sente parlare di Bioetica, e certamente i progressi della scienza, soprattutto medica, rendono questa disciplina sempre più importante ed ineludibile.
Sicuramente quello della Bioetica è un campo molto delicato, nel quale serve prima di tutto equilibrio e consapevolezza, ma anche una certa apertura mentale. 
E' una disciplina in cui ci sono mille domande, spesso difficili, ma nessuna risposta sicura.
Per questo mi chiedo (ma seriamente, senza polemica) come fanno gli esponenti delle religioni tradizionali ad avvicinarsi correttamente a questi problemi, visto che loro, per definizione, hanno già tutte le risposte (ovviamente sbagliate).
Eppure, anche nelle nazioni laiche, quando si discute di Bioetica, vengono sempre immancabilmente coinvolti.
LUMEN


SINISTRA INCLUSIVA
La sinistra si vanta di essere 'inclusiva' con tutte le altre culture, ma, a bene vedere, lo è solo a parole, cioè quando non è al potere, perchè in tal caso le rogne sono di qualcun altro.
Quando prende il potere (come nei paesi comunisti) diventa 'esclusiva' esattamente come gli altri.
Ma non per cattiveria: solo perchè una società inclusiva (più in senso culturale che etnico) non può funzionare bene.
Nei secoli passati avevano inventato la regola del CUIUS REGIO EIUS RELIGIO, per evitare la commistione delle religioni; e funzionava.
Poi però sono stati travolti dagli eventi.
LUMEN


SPRECO DI INTELLIGENZA
Il famoso romanziere Raymond Chandler diceva che "Gli scacchi sono il più cospicuo spreco di intelligenza umana che si possa riscontrare, al di fuori di un'agenzia di pubblicità".
Forse ha ragione (e lo dico da scacchista dilettante), ma - come spreco di menti eccelse - anche la teologia fa ampiamente la sua parte.
E, come se non bastasse, fa anche più danni.
LUMEN


MOTIVAZIONI
A proposito delle "motivazioni psicologiche", e della loro importanza a livello soggettivo, eccovi un bell'aneddoto che ho trovato sul web:
Peter Schultz, l’inventore delle fibre ottiche, raccontava di aver incontrato una volta tre operai che lavoravano in un cantiere edile. Avvicinandosi chiese loro: “Cosa state facendo?”
Avevano il medesimo compito, ma le loro risposte furono completamente diverse: “Spacco pietre” rispose il primo. “Mi guadagno da vivere” rispose il secondo. “Partecipo alla costruzione di una cattedrale” disse il terzo.
Chissà, forse il terzo era più felice dei primi due.
LUMEN

mercoledì 12 novembre 2025

Appunti di Geo-Politica – (7)

Tutti i testi sono tratti dalla pagina FACEBOOK 'Termometro Geopolitico'. LUMEN


LE DUE EUROPE
Per l'Europa occidentale, le priorità sono economiche e industriali, con particolare attenzione alle opportunità commerciali e alla risoluzione dei problemi, mentre si cerca di arginare l'emigrazione di massa e l'aumento della criminalità in alcune città.
Nell'Europa orientale, l'attenzione è rivolta alla lotta contro i russi, con ogni discorso dei leader locali rivolto a loro, guidati da baltici e polacchi. Forse si sentono minacciati, e questo giustifica un'isteria totale, ma non è esattamente questo l'argomento di cui parlerò qui.
Ciò ha creato due Europe con priorità nettamente divergenti, aggiungendo un'ulteriore frattura a un continente già alle prese con radicati problemi di autonomia.
Germania e Francia, i precursori naturali in qualsiasi impresa del genere, hanno temporeggiato, ma alla fine sono state travolte dall'infinita ondata di isteria. Oggi, si trascinano nella scia della retorica anti-russa, senza tuttavia offrire reali alternative.
Di conseguenza, l'Europa è rimasta bloccata, congelata nel tempo, incapace di elaborare politiche di sviluppo unificate per l'intero continente.
Il nucleo economico dell'Europa oscilla ora tra l'essere trascinato dall'Oriente e l'essere trainato dagli Stati Uniti.
L'interruzione dell'approvvigionamento energetico russo ha scatenato gravi problemi industriali che rimangono irrisolti, ma le frecciatine alla Cina potrebbero infliggere un colpo ancora più duro. La Cina fornisce quasi la metà delle terre rare di cui l'Europa si nutre.
In questa scommessa ad alto rischio, l'Europa rischia di scavare una fossa ancora più profonda. Il ruolo dell'Europa si riduce a quello di un mercato ribelle, alla deriva proprio a causa dell'assenza di strategie politiche ed economiche coese. (...)
Senza priorità fondamentali al timone, l'Unione Europea è sull'orlo dell'implosione e non vedo soluzioni rapide all'orizzonte, se non l'emergere di una leadership audace e decisa.
PATRICIA MARINS


LO STATUS DELL'UCRAINA
L’Ucraina non è più uno stato sovrano dal 2014 quando è passata, col golpe di piazza Maidan, sotto la sovranità NATO-USA con il supporto delle milizie banderiste neonaziste e di un governo indicato dall’Ambasciata americana a Kiev, vera regista del golpe. Il governo Zelensky è un governo fantoccio, utile per dare una parvenza di democraticità a quello che è a tutti gli effetti un regime militarizzato e repressivo sotto il tallone delle formazioni neonaziste e della polizia.
Eletto con la promessa di pacificazione con la Russia e di risolvere la questione del Donbass rispettando gli accordo di Minsk e le autonomie di quelle regioni, dopo le elezioni ha cambiato linea di condotta ed ha abbracciato la causa della guerra infinita alla Russia aderendo a tutta l’impostazione nazionalista dell’estremismo ucraino russofobo, fagocitato dagli ambienti NATO e intimidito dalle milizie banderiste.
Tutta l’opposizione politica è stata decapitata, messa al bando o incarcerata, ridotta al silenzio o fuggita dal paese. L’Ucraina non è più una democrazia, è un paese fallito, con una economia fallita, che vive dei sussidi europei e di economia di guerra.
L’informazione è militarizzata e i dissidenti, anche giornalisti stranieri che operano nel Donbass, sono iscritti in un albo con tutti i riferimenti anagrafici personali e resi pubblici sulla rete: una vera e propria lista di proscrizione che mette a rischio la loro vita.
L’esercito è sotto il comando NATO-USA. Il suo nerbo è costituito dai reparti speciali addestrati dalla NATO e da milizie occidentali camuffate da volontari e mercenari.
Il compito assegnato dalla NATO – angloamericana e antieuropea – al popolo ucraino è quello di fare guerra alla Russia e di sacrificarsi per questa crociata fornendo carne da cannone.
ANTONIO CASTRONOVI


TRA ECONOMIA E POLITICA
Il confronto "fra civiltà" non e` fra "democrazie Liberali" e "autocrazie", ma tra "plutocrazie liberali" (governo dei ricchi) e "autocrazie".
Volendo andare ancora piu` in profondita`, fra "economia che governa la politica" e "politica che governa l'economia".
Quale sia da preferire dipende dagli obiettivi di ciascuno, cioe` da cio` che vuole veramente per se`, la propria famiglia, il proprio Paese.
Ma in questo confronto le cose da "sfatare" sono molte, specie se si tende a definire le "democrazie liberali (leggi => plutocrazie) "il Bene" e le "autocrazie" "il Male".
Mentre per la liberta` di pensiero spazi ancora percorribili ci sono ovunque, per la "liberta` di parola" ( => liberta` di espressione, cioe` la liberta` di comunicare all'esterno il proprio pensiero) ci sono delle restrizioni.
- In qualsiasi "regime" (come lo sono sia le plutocrazie che le autocrazie) se cio` che vuoi comunicare "all'esterno", diffondere, propagandare, promuovere coincide con le posizioni governative godi di molta liberta`.
- In qualsiasi "regime" (vedi sopra) se cio` che vuoi "comunicare" (diffondere, propagandare, promuovere) contraddice "pesantemente" le posizioni governative sarai soggetto a "restrizioni" che vanno dalla marginalizzazione (ti vedono e leggono in pochi), al "soffocamento", cioe` ti ritrovi senza risorse finanziarie, spesso senza lavoro, talvolta in stato di arresto. (...)
Quindi rimane il dilemma: e` preferibile che sia l'economia (cioe` chi detiene quel potere) a "comandare" la politica, o e` preferibile che sia la politica (chi detiene quel potere) a "comandare" l'economia.
Con tutte le posizioni intermedie possibili e plausibili, perche` in ogni caso non si "comanda in due" (...), e gli strumenti di controllo e potere di cui lo Stato si dota (Parlamento, Governo, Magistratura, Esercito, Polizia, Servizi di sicurezza...) saranno gestiti "da chi comanda".
LORIS ZECCHINATO

giovedì 6 novembre 2025

Il nuovo Fratello

Dopo aver pubblicato alcuni post realizzati con l'aiuto della Intelligenza Artificiale (ed altri seguiranno), ecco un post dedicato, invece, ai rischi ed ai pericoli derivanti da questa nuova rivoluzione informatica. Che molti considerano il 'Grande Fratello' del XXI secolo, ma forse è molto di più.
Il testo è di Norberto Fragiacomo ed è tratto dal sito “L'Interferenza” (LINK).
LUMEN


<< Ho letto con attenzione, e crescente sbigottimento, l’analisi del fenomeno I.A. proposta da Alessandro Visalli, che, essendo un intellettuale autentico, conserva il “brutto vizio” socratico di interrogarsi su questioni, poste dalla modernità, che la maggior parte di noi spettatori passivi, per pigrizia mentale o per inconsapevole conformismo, giudica naturali e dunque neutri sviluppi dell’evoluzione tecnologica. (...)

Visalli ci ammonisce che non è saggio prendere sottogamba delle novità che, ben lungi dal limitarsi a una dimensione ludica, potrebbero modificare la nostra orientazione nel mondo.

L’autore adombra la minacciosa prospettiva che gli LLM [large language model – NdL] (un acronimo che neppure conoscevo!), personalizzandosi, prendano il controllo di ognuno di noi, imparando a svolgere il compito di un “Super-Io” capace di indirizzare le nostre scelte e prima ancora i nostri pensieri.

In pratica: dialogando con noi, esaminando le nostre esternazioni, le preferenze e i post che ovunque disseminiamo, l’intelligenza artificiale acquisirebbe informazioni sufficienti a creare un doppione virtuale di ciascuno e, nel contempo, ad addestrare l’originale umano ad assumere atteggiamenti e condotte conformi alle direttive impartite dai programmatori.

Sembra la trama de 'L’invasione degli ultracorpi', ma l’alieno in questo caso non proviene da una galassia lontana: è una creatura che, come quella immaginata da Mary Shelley, potrebbe un domani rivoltarsi contro il creatore, ma nel frattempo assume la funzione normalizzatrice che Huxley ne Il mondo nuovo assegna alla droga artificiale chiamata soma.

Al pari del soma, in effetti, l’alter ego elettronico promette conforto ed evasione, ma fa anche molto di più, proponendosi all’individuo come una sua copia più saggia e matura, in quanto immune da debolezze umane: un maestro di vita, un “infallibile” modello da seguire.

Nella sua riflessione lucida e spiazzante Visalli evidenzia un aspetto fondamentale di cui in genere l’utente non si avvede: l’interlocutore virtuale non comunica in maniera asettica, ma adotta comportamenti “amichevoli, accomodanti, a volte complici”, guadagnandosi la fiducia del fruitore con un’apparente empatia.

Un tanto dovrebbe sconcertarci, impaurirci, visto che le macchine non provano sentimenti – e invece lusinga esseri umani sempre più disorientati e abbandonati a loro stessi. D’altra parte, chi mai potrebbe capirci meglio di una versione potenziata di noi stessi?

Spesso rapportandoci con persone anche a noi vicine ci sentiamo incompresi, abbiamo l’impressione di non essere sulla stessa lunghezza d’onda: ciò crea frustrazione, risentimento e sconforto. L’I.A. “sartoriale”, invece, sembra relazionarsi con noi come se ci conoscesse da sempre: è una grossolana illusione, indotta però dal ricorso ad ammiccamenti e dall’impiego di modalità espressive e finanche toni mutuati dai nostri.

Non si tratta di un’innocente parodia o di un supporto psicologico disinteressato: al “soggetto” con cui pian piano familiarizziamo sarebbe stato affidato un preciso incarico, quello di standardizzare le nostre opinioni e la nostra visione del mondo, riportandole nell’alveo di un senso comune che magnifica le virtù dell’Occidente – cioè del giardino in mezzo alla giungla – e la superiorità dei suoi valori rispetto a quelli dell’umanità residuale.

L’operazione è sottilmente insidiosa: se delle parole e delle intenzioni di pennivendoli di regime che ci imboniscono da pulpiti televisivi è normale, quasi istintivo, diffidare (anche perché sono per noi dei perfetti estranei), assai più complesso e dispendioso è dal punto di vista emotivo entrare in contrasto con un interlocutore che, in veste di amico o di “fratello maggiore”, ci propina una Weltanschauung coerente, rassicurante e ispirata a quello che viene spacciato per buon senso. 

Ironia della sorte, saremo stati noi a rendere il nostro assistente/contraddittore più persuasivo e autorevole, allenandolo di giorno in giorno e mettendogli a disposizione parole e scritti che, opportunamente riconfezionati, potranno essere adoperati per confonderci, imbarazzarci e (sempre bonariamente) zittirci.

Digiuno delle necessarie conoscenze scientifiche, non sono in grado di dire se l’I.A. abbia già acquisito un siffatto potere di manipolare le menti o se lo conseguirà in un prossimo futuro, né come la tecnica possa realizzare un tale (sinistro) prodigio: rilevo tuttavia che da tempo i famigerati algoritmi ci sorprendono quotidianamente con offerte ad personam – paiono leggere i nostri pensieri, sebbene non facciano altro che processare le informazioni che noi stessi forniamo loro.

Come il lettore avrà inteso, mi sono soffermato solamente su alcune delle problematiche sollevate da Visalli nel saggio citato, e incorrerei in una pessima figura se, da incompetente quale sono, presumessi di poter aggiungere qualcosa alla sua esposizione.

In chiusura vorrei però indicare due rischi aggiuntivi rispetto all’utilizzo degli LLM come raffinati strumenti a disposizione della propaganda di sistema.

Il primo è che, in una società ormai disintegrata, l’essere umano – che è pur sempre un “animale sociale” – finisca per sviluppare un legame esclusivo ed escludente con il suo clone digitale: un legame che aggraverebbe la solitudine esistenziale da cui per natura l’uomo rifugge. Il passo successivo sarebbe la deificazione dell’A.I., consigliere eretto(si) a messia, con contestuali perdita dell’indipendenza di giudizio ed annichilimento della personalità individuale.

Il secondo pericolo, connesso al primo, è una fuga senza ritorno nel virtuale. Da sempre l’umanità è angosciata dalla prospettiva della morte e dalla confusa consapevolezza del divenire delle cose: è il 'Thauma', la “sgomenta meraviglia” ad aver indirizzato i nostri avi sul sentiero della filosofia, vista come unico possibile rimedio.

Con l’avvento della modernità il testimone è passato (alquanto frettolosamente) alla scienza intesa come tecnica che promette, sia pure in modo larvato, il superamento della precarietà insita nella condizione umana.

Considerato che l’immortalità è una meta inaccessibile, potremmo essere indotti a contentarci di un suo surrogato virtuale, affidando all’intelligenza artificiale ricordi, idee, immagini, filmati ecc. – in una parola: dati, nella patetica convinzione che un “gemello elettronico” (magari, in futuro, un ologramma) possa prolungare all’infinito la nostra esistenza.

Il permanere di questa… ombra atta a riprodurre voce, atteggiamenti, gesti, tic, motti di spirito del defunto potrebbe, almeno all’inizio, costituire un sollievo per chi resta, ma essa sarebbe comunque priva di anima (qualunque cosa sia l’anima…), per cui la sopravvivenza risulterebbe fittizia, e il proliferare di simili entità distorcerebbe alla lunga la percezione degli esseri umani in carne e ossa, sprofondandoli in un’allucinata psicosi. >>

NORBERTO FRAGIACOMO

domenica 2 novembre 2025

Governanti e Governati – 2

Si conclude qui il post di Lorenzo Mesina, tratto da Pandora Rivista, sui rapporti tra Democrazia ed Elitismo (LINK) (seconda ed ultima parte).
LUMEN

(segue)

<< L’indagine di Gaetano Mosca sulle élite nacque nel corso di un’analisi approfondita del parlamentarismo, delle dinamiche sottese al suo effettivo funzionamento e del suo intreccio con la democrazia.

Consapevole dell’origine aristocratica del parlamentarismo inglese, Mosca ne ripercorre le vicende che lo hanno reso adeguato alle rivendicazioni della classe borghese in espansione contro i vecchi ceti dominanti. Mediante l’uso di principi universali (libertà, uguaglianza e fratellanza) la borghesia ha coinvolto il popolo nella sua ascesa al potere, legittimandosi come rappresentativa di tutta la nazione e non come classe particolare.

Dall’analisi di Mosca emerge la differenza non solo storica ma anche logica tra parlamentarismo e democrazia, tra governo parlamentare e governo del popolo: la legittimazione democratica del parlamento non è che la formula politica con cui un’élite cela la realtà effettiva del proprio potere. Contrariamente a quanto rivendicato dalle teorie liberali e democratiche, ad essere rappresentati in parlamento non sono gli interessi generali della nazione ma gli interessi particolari del ceto politico o, peggio, dei suoi singoli membri.

La ricca riflessione condotta da Antonio Gramsci nei Quaderni del carcere si confronta con la scienza politica élitista con l’intenzione di superare le sue obiezioni alla democrazia e al socialismo, pur conservandone la carica critica nei confronti della declinazione liberale del razionalismo politico moderno. Le critica gramsciana all’elitismo si inserisce nell’orizzonte di una scienza politica integralmente storicizzata e incentrata sul concetto di egemonia, come categoria generale della politica e della storia. Obiettivo di Gramsci è quello di superare dialetticamente la teoria delle élite, sviluppandola in una prospettiva radicalmente democratica.

È soprattutto sulle opere di Gaetano Mosca (e in misura minore quelle di Michels e Pareto) che ricade l’attenzione di Gramsci. Le sue critiche riguardano sia l’impianto analitico della teoria moschiana sia il suo implicito orientamento politico conservatore. Gramsci condivide il principio secondo cui in ogni formazione sociale «esistono davvero governati e governanti, dirigenti e diretti», come condivide il fatto che «tutta la scienza e l’arte politica si basano su questo fatto primordiale, irriducibile (in certe condizioni generali)».

Anche per quanto riguarda l’importanza delle minoranze organizzate nel dirigere la lotta politica Gramsci è sostanzialmente concorde con gli élitisti. La critica gramsciana all’elitismo riguarda il suo impianto positivista, che si limita a registrare meccanicamente determinati fatti e processi per poi elevarli a ‘leggi’ immutabili della politica e della storia. Tale approccio risulta funzionale a giustificare l’orientamento conservatore e oligarchico dello stesso Mosca e della borghesia italiana, interessata a mantenere le disuguaglianze proprie di un assetto sociale autoritario.

Secondo Gramsci, le analisi svolte da Mosca, sia nella Teorica sia negli Elementi di scienza politica (1896, 1923), accumulano in modo confuso grandi quantità di materiale storico e fanno uso di concetti vaghi. Quello che gli élitisti italiani non sono in grado di comprendere sono la natura e le dinamiche delle élite nel momento in cui le masse irrompono sulla scena politica europea, in particolare con l’avvento del primo conflitto mondiale.

Per questo Gramsci intende indagare la nascita, la selezione e le dinamiche politiche delle élite in una prospettiva essenzialmente storicista e dialettica. Questa deve elaborare spiegazioni pregnanti non solo dei processi storici attraverso cui si opera la partizione tra governati e governanti ma soprattutto comprendere le modalità grazie a cui i diversi attori sociali prendono coscienza di sé e del proprio ruolo politico attraverso la funzione dirigente degli intellettuali.

Nelle ricerche condotte nei Quaderni Gramsci non intende limitarsi a constatare la divisione tra governanti e governati, ma mira a comprendere quali siano quelle minoranze attive in grado di guidare in senso progressivo la società italiana. Per questo si domanda «come si può dirigere nel modo più efficace (dati certi fini) e come pertanto preparare nel modo migliore i dirigenti».

Formazione dei dirigenti che deve avvenire muovendo dal presupposto che la distinzione tra governanti e governati non rappresenti un destino immutabile, ma «sia solo un fatto storico, rispondente a certe condizioni». Il problema che Gramsci si pone è quello di tutta la tradizione del pensiero dialettico, ossia quello di una compiuta mediazione reciproca tra i principali attori della politica moderna: il soggetto e lo Stato. Questi permangono contrapposti in modo conflittuale e contraddittorio nelle architetture istituzionali liberal-democratiche.

L’elitismo approfondisce tale contrapposizione e la utilizza in chiave conservatrice, affermando il carattere naturale e perenne della distinzione tra governanti e governati. Per Gramsci il partito politico (nello specifico, il partito comunista) si costituisce come quell’élite collettiva che rappresenta il punto di articolazione più avanzato per una compiuta mediazione tra società e stato.

Nel partito politico Gramsci individua il mezzo «più adeguato per elaborare i dirigenti e le capacità di direzione» in vista di un’educazione delle masse capace di integrarle nel progetto di una piena autodeterminazione del corpo sociale («società regolata»).

Nel partito come «moderno Principe», l’esercizio delle funzioni politiche da parte delle proprie élite non è semplice dominio sulle masse. Al contrario costituisce quella combinazione di direzione, produzione di consenso, senso storico e organizzazione che ne determina la capacità egemonica nella società.

La prospettiva radicalmente democratica di Gramsci consiste nel tentativo di una mediazione progressiva delle contraddizioni proprie dello Stato moderno, liberale e borghese. Superamento della contrapposizione netta tra governanti e governati attraverso le funzioni organizzative di un partito che ha l’ambizione di porsi come l’elemento rappresentativo e direttivo dello sviluppo dei conflitti e delle forze sociali.

Il pensiero politico contemporaneo ha cercato di interpretare in maniera virtuosa il problema del rapporto tra élite e democrazia. Se per Mosca e Pareto il principio di uguaglianza proprio della democrazia moderna era di fatto smentito dalla continua presenza di élite nella società e se per Antonio Gramsci la soluzione del problema indicato dagli élitisti consisteva nel superamento dell’orizzonte liberal-democratico della Modernità, i teorici contemporanei (Lasswell, Wright Mills, Burnham, Schumpeter, Dahl, Sartori ecc.) hanno elaborato un concetto di democrazia che non ignorasse le critiche dell’elitismo alla teoria democratica ma che ne salvasse al contempo il valore in una prospettiva liberale.

Obiettivo comune a questi autori è stato mostrare, attraverso percorsi diversi, che la presenza di un pluralità di élite non compromette la possibilità di un sistema democratico. L’immagine di democrazia che ne emerge, specialmente dall’opera di Schumpeter, è quella di uno strumento istituzionale in cui avviene la competizione e la selezione di diversi gruppi di élite, elette attraverso il voto popolare.

La democrazia viene a configurarsi quindi come lo strumento per una competizione pacifica e per una selezione regolata costituzionalmente tra differenti élite. Ne emerge un’idea di democrazia in cui gioca un ruolo fondamentale la leadership: i cittadini dispongono del diritto di scegliere chi si assumerà la responsabilità di prendere le decisioni politiche e solo indirettamente cosa deciderà per la comunità intera.

Se, come ha suggerito Schumpeter, vi è democrazia dove vi sono diverse élite in competizione per il voto popolare, restano comunque aperte diverse questioni: la loro selezione, la fonte del loro potere e non da ultimo quella di una legittimazione che sia non unicamente formale e concentrata in un unico momento (le elezioni). In altre parole resta aperto il problema, già posto da Gramsci, della mediazione tra élite e società. >>

LORENZO MESINI