domenica 27 luglio 2025

Energy Mix

Tre brevi approfondimenti sul tema dell'energia, un elemento fondamentale che condizona tutta la nostra vita, sia economica che politica. 
LUMEN


ENERGIA AMERICANA
Il peggioramento delle condizioni economiche per gli americani medi è iniziato negli anni ’70, quando si è esaurito il boom del dopoguerra.
La produzione petrolifera statunitense ha raggiunto il picco nel 1970 e il paese è diventato molto rapidamente il più grande importatore di petrolio. Le importazioni di petrolio statunitense sono aumentate di 5 volte entro il 1977 e di 7,5 volte entro il 2006.
Pagare aziende straniere per il petrolio drena la ricchezza interna, aumenta i deficit commerciali e riduce il capitale disponibile per gli investimenti nelle industrie locali, rallentando la crescita economica. (...)
La vittoria di Trump riflette l’insoddisfazione degli elettori nei confronti di un sistema che sta raggiungendo i limiti della crescita, sintomo di realtà economiche più profonde.
Nate Hagens descrive il “carbon pulse” come un breve, straordinario capitolo della storia umana, quando l’estrazione di combustibili fossili, in particolare del petrolio, ha guidato un’espansione economica senza precedenti.
Tale impulso ha alimentato l’industrializzazione, le infrastrutture moderne e il progresso tecnologico, elevando gli standard di vita in tutto il mondo.
Quell’era sta finendo. Il futuro economico non riguarda la crescita infinita, ma la gestione del declino.
La nuova amministrazione Trump non l’ha capito, e nemmeno il pubblico americano. “Making America Great Again” è una fantasia, un rifiuto di riconoscere la storia degli ultimi 50 anni. Finge che le sfide da affrontare non siano il risultato di limiti strutturali, bensì di cattive politiche e di un governo strabordante.
È più facile vendere nostalgia che affrontare dure verità di un mondo in cui la crescita non è più garantita.
IGOR GIUSSANI (dal sito Apocalottimismo)


RINNOVABILI DA TESTARE
Le energie rinnovabili, quel miracolo tecnologico che dovrebbe salvarci dal collasso climatico, soffrono dello stesso problema di qualsiasi sistema giovane: sono testate ma non mature. (…) La differenza tra “funziona in teoria” e “funziona nella realtà” si misura in decenni di prove ed errori.
Le centrali a combustibili fossili hanno avuto un secolo per affinarsi, per capire come comportarsi quando tutto va storto. Le rinnovabili no. Sono adolescenti brillanti ma inesperti a cui stiamo affidando le chiavi di casa.
Prendiamo il caso del fotovoltaico. Sì, sappiamo produrre pannelli efficienti. Ma sappiamo davvero cosa succede quando una tempesta di sabbia copre metà dei pannelli di un'intera regione mentre la domanda energetica raggiunge il picco? O quando il ghiaccio si accumula sulle pale eoliche in contemporanea a un'ondata di freddo che fa impennare i consumi?
La verità è che stiamo facendo un enorme esperimento collettivo. Abbiamo sostituito sistemi prevedibili, anche se inquinanti, con una rete fragile che dipende da variabili incontrollabili.
E lo abbiamo fatto senza avere un vero 'piano B', senza aver accumulato quell'esperienza che solo il tempo può dare. (…)
Il blackout in Spagna [dello scorso Aprile] è stato un assaggio di quello che potrebbe accadere su scala più ampia. Un campanello d'allarme che nessuno vuole sentire.
Perché ammettere il problema significherebbe rallentare la transizione, e questo è politicamente inaccettabile.
Così continueremo, testardamente, a correre verso il futuro con un sistema energetico acerbo, sperando che la legge di Murphy non ci presenti il conto al momento sbagliato.
URIEL FANELLI (dal suo Blog personale)


CASA DOLCE CASA
Agli occhi di molta gente l'edilizia è un settore “povero” e poco tecnologico. In realtà proprio sugli immobili si sta giocando una partita fondamentale per il miglioramento o no dell'ambiente: un edificio d'inverno disperde all'esterno una parte del calore prodotto dall'impianto di riscaldamento, mentre d'estate il calore esterno si propaga al suo interno.
L’energia consumata nell’edilizia residenziale per riscaldare e condizionare gli ambienti e per l’acqua calda sanitaria rappresenta circa il 30% dei consumi energetici nazionali, e il 25% delle emissioni totali nazionali di anidride carbonica.
Per cui case meno impattanti da un punto di vista energetico, cioè isolate meglio termicamente, consentirebbero di contenere questi numeri a valori molto inferiori: mediamente sul 100% di energia finale consumato in casa, soltanto il 2% serve all'illuminazione, il 5% per cucina e elettrodomestici, mentre ben il 15% viene impiegato per il rifornimento di acqua calda e il 78% per il riscaldamento; se poi nell'immobile esiste un impianto di raffrescamento/condizionamento estivo, questo aggiunge il 25% in più di consumi energetici.
Questi numeri dimostrano come edifici più termicamente performanti migliorino l'ambiente e la situazione finanziaria delle famiglie, come pure la bilancia commerciale del nostro Paese, vista la pochezza di energia prodotta con fonti rinnovabili e la nostra cronica dipendenza energetica dall'estero.
E' noto come i picchi dei consumi di elettricità assumono valori allarmanti durante le ondate di caldo estive ed è quindi proprio il settore abitativo a tirare la corda.
Mediamente un edificio in Italia ha un consumo energetico annuo di 300 Kw al metro quadro. E' possibile quasi dimezzare questo valore sull'esistente, mentre esistono nuove costruzioni che hanno valori di un decimo rispetto alla media. (…) Quindi migliorare si può.
ALDO PIOMBINO (dal blog Scienze-e-dintorni)

lunedì 21 luglio 2025

C'era una volta il Patriarcato

Questo post vuole essere il completamento di un altro post, dal titolo molto simile ('C'era una volta il Matriarcato'), che avevo pubblicato circa un anno fa.
L'argomento è sicuramente delicato, ma, proprio per questo, più viene approfondito e meglio è.
Il testo, dal tono leggero e brillante, ma scientificamente impeccabile, è tratto dalla pagina Facebook “Scienziati, filosofi e altri animali”.
LUMEN


<< Mi è stato chiesto se il patriarcato è un fenomeno lamarckiano (eredità dei caratteri "culturali" acquisiti) o darwiniano. In pratica se la dominanza (l’aspirazione alla d.) del sesso maschile nell’uomo è filogenetica o culturale.

Dal punto di vista “storico”, il momento in cui c'è stata la differenziazione dei ruoli e della taglia/forza tra i sessi è stato quello dell’uomo cacciatore-raccoglitore, cioè prima che diventassimo stanziali per allevare/coltivare.

Si devono difendere i raccolti e le case (?), ma difendersi ogni giorno da bestioline come i grandi felini, i nostri principali predatori, e altra grande fauna carnivora, era un pelo più impegnativo, fisicamente. Anche acchiappare bestie enormi per mangiarle senza farsi ammazzare, richiede più prestanza fisica rispetto a coltivare il cibo o mungere animali domestici e ucciderne qualcuno ogni tanto con tutto comodo.

Nei siti paleontologici occupati da grandi felini ci sono mucchi di ossa umane, praticamente tutte di individui di sesso maschile. Le donne le lasciavano a casa: puro patriarcato.

E’ successo che l'evoluzione ha premiato i gruppi sociali nei quali le femmine, preziosissime perché erano il vero limite riproduttvo e per l'altissimo investimento parentale (gravidanza e allattamento), non si esponevano mai a rischi, venivano strenuamente difese da grossi, forzuti e pure un po' 'coglioni' maschi, dal punto di vista riproduttivo decisamente più sacrificabili.

Coglioni abbastanza da affrontare degli smilodon o equivalenti [grossi felini dai denti a sciabola - NdL] armati di asce e lance di pietra, abbastanza da affrontare bufali, mammuth e altra merce letale con le stesse armi per procurare il cibo.

Femmine e cuccioli erano i raccoglitori, e se c'era pericolo si rintanavano; ai maschi, più spendibili, i rischi: cacciare e difendere il loro prezioso investimento genetico. Ha senso, ha vinto quella strategia, prendetevela con l'evoluzione, a monte, perché ha inventato i sessi separati e le differenze fisiche tra i sessi -> divisione e specializzazione dei ruoli, che pare aver funzionato.

Quindi è vero che è un fenomeno a radice biologica ed è basato sulla maggior forza fisica dei maschi, non è corretto farlo risalire alla fase stanziale (villaggi, comunità, “società”), è precedente; quando si è passati alla fase agricola la grossa differenza di taglia e forza c'era già e anzi si è ridotta, dicono i reperti fossili.

Altro discorso: socialità ed ecologia comportamentale comparata. La faccio breve altrimenti è un macello: tra orche ed elefanti l'animale "alpha" è sempre una femmina, una matriarca. 

Tra i lupi all'atto pratico si parla di "coppia dominante", perché il maschio esercita il suo status con i maschi e la femmina con le femmine. Nelle uniche due specie di felini sociali (quasi), leoni e gatti domestici, i maschi, mediamente più grossi (gatto) e parecchio più grossi (leone) non solo pestano le femmine e si appropriano anche del loro cibo, le ammazzano pure, se capita.

Infine le due specie di primati più vicine a noi. Tra gli scimpanzé il patriarcato va alla grande, maschi, più grossi e forzuti, comandano e quando capita picchiano le donne senza ritegno. La difesa, la gestione delle risorse comuni e le "guerre" sono compito loro. Tra i bonobo, distanza genetica di un capello, è il contrario o quasi.

Ho fatto solo qualche esempio per dire che non è che "il patriarcato" ce lo siamo inventati noi, è diffuso, normale, ha un suo perché evolutivo = Darwiniano, in partenza. Anche per noi.

Quindi, per quanto riguarda la biologia, l'etologia, la dominanza maschile non è la norma, ma non è un fenomeno raro, per niente. Si è evoluta con modalità darwiniane. Al solito nel nostro caso, animali culturali per eccellenza, non si può del tutto ignorare l'aspetto culturale e la degenerazione del fenomeno (come di tantissimi altri che ci riguardano) a livelli di complicazione mai visti. (…)

[Il patriarcato, quindi,] c'è, anche se in occidente oggi non è istituzionalizzato, ma anzi è condannato; è debole ma non è defunto, a livello sociale e individuale, strisciante ma c'è.

E' comunque niente confronto a quello dei regimi teocratici arabi (che, è fondamentale tenere ben presente, sono tutti roba recente, prima non era affatto così). E' a matrice culturale e la forza fisica non c'entra un accidente: è una delle varie e vaste devianze che ci caratterizzano come specie. Ma qui si esce dal mio campo e si entra in altri (psicologia, sociologia etc.) e io non mi sento di pontificare.

La mia idea, ma è proprio un'idea, è che il patriarcato umano "moderno" esista perché gli uomini, stringi stringi, hanno paura delle donne. Il sistema non consiste nel tenerle in condizioni di inferiorià, ma nel farle il lavaggio del cervello dalla nascita convincendole del fatto che è giusto e naturale così, in modo da non correre rischi.

Nei paesi di cui sopra sono le donne a volersi coprire come mummie, a ripudiare le figlie che rifiutano le regole, a portarle a subire infibulazione. Sempre a mio parere, è solo questione di tempo, il fenomeno perde forza ogni giorno, e finirà. E la famigerata globalizzazione ha e avrà una parte del merito, in questo.

Morale della favola: se ci si riferisce all'ultimo mezzo millennio, in particolare al periodo tra rinascimento e illuminismo, il patriarcato è culturale, anche se la matrice è biologica; se si parte dalla preistoria, è nato prima delle prime forme di "civiltà", quando ancora gli antenati vagavano per savane e foreste spostandosi da una caverna all'altra; oltre al fatto che non è per niente una prerogativa umana, facciamocene una ragione. >>

SCIENZIATI, FILOSOFI E ALTRI ANIMALI

martedì 15 luglio 2025

L'Immigrazione come Problema Sociale

Il post di oggi riporta le considerazioni del movimento progressista 'Fronte del Dissenso' (pubblicate dal sito di Sollevazione - LINK), sul problema dell'immigrazione eccessiva in Italia.
Come si vede, non è necessario essere dei biechi reazionari 'di destra' per rendersi conto del tragico problema sociale che ci attende.
LUMEN


<< Ci sono problemi sociali che possono trovare soluzione senza sovvertire il sistema sociale che li ha prodotti. Altri, data la loro natura e dimensione, possono invece avere soluzione soltanto con la fuoriuscita dal sistema che li ha generati.

Il fenomeno delle migrazioni, degli esodi di massa, dello sradicamento di intere popolazioni, siccome connaturato al sistema capitalistico, non può trovare una soluzione definitiva nel suo seno.

La peculiarità del capitalismo è che gli esseri umani sono considerati una merce, forza-lavoro, manuale o intellettuale, la cui essenziale funzione è valorizzare il capitale. (…) È una legge inesorabile quella per cui la forza lavoro debba spostarsi dove il capitale chiama.

Più è grande la calamita del capitale più forte la sua capacità d’attrazione e ampio il suo raggio di cattura e saccheggio. Il capitale è un vampiro che si sposta ovunque trovi migliori opportunità, la dove ci siano umani a cui poter succhiare sangue per metterlo a valore e trarne profitto, ovunque possa depredare risorse naturali per alimentare la sua vorace macchina produttiva.

Più intenso e veloce il ciclo di “crescita” economica, tanto maggiori sono il disordine e il livello di entropia sistemica, e tanto più massicci saranno i fenomeni migratori.

Nel contesto della ultima globalizzazione capitalistica, segnata dal più radicale libero-scambismo e dal più prodigioso sviluppo delle sue forze produttive, il fenomeno delle migrazioni è diventato una piaga di dimensioni globali: intra e trans-continentale, tra le diverse nazioni, interno alle nazioni.

Possono mutare o addirittura invertirsi, a seconda dei movimenti e delle delocalizzazioni del capitale, le direzioni dei flussi, non il loro carattere sistemico. D’altra parte, come la forza-lavoro è destinata a inseguire il capitale, vale anche il movimento in direzione opposta, ciò accade ove il trasferimento e la delocalizzazione del capitale si presenti più agevole e prometta migliori risultati.

L’emigrazione non è dunque un fenomeno naturale bensì storico-sociale. In natura non esistono il giusto e l’ingiusto, il buono e il cattivo, e per questo non ha valore esprimere giudizi etico-morali o politici; i fenomeni sociali non solo meritano ma esigono che siano sottoposti alla valutazione etico-politica.

Ogni umana comunità, tra gli altri fattori, si fonda sulla dualità oppositiva tra ciò che è bene per la società e la singola persona e ciò che non lo è, tra condotte giuste e condotte sbagliate e nocive, di qui le leggi e le relative prescrizioni, dunque le sanzioni nei casi di trasgressione.

Così come sarebbe aberrante confondere la facoltà di muoversi e spostarsi liberamente con la condanna al confino o all’esilio, così è inaccettabile, come fa la retorica globalista, scambiare il diritto alla libera circolazione con gli attuali esodi di massa causati dalle ingiustizie e dalle storture abissali che il capitalismo più cresce più produce.

Emigrare per sfuggire alla miseria, abbandonare la propria comunità, la propria famiglia, il proprio Paese, non è esercitare un diritto di libertà, è una condanna all’esilio, una deportazione camuffata. A maggior ragione non saranno pertanto tollerate organizzazioni che pratichino il trasferimento programmato di migranti con la scusa di prestare soccorso in mare.

Non dimentichiamo né l’amara sentenza di Hegel, quella per cui la storia è simile ad un mattatoio “in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli stati e la virtù degli individui”, e con lui non possiamo non chiederci “a vantaggio di chi, e di qual finalità ultima siano stati compiuti così enormi sacrifici”.

Sappiamo che gli indiscutibili progressi conosciuti dall’umanità si sono realizzati a costo di privazioni e sofferenze indicibili per i popoli e gli oppressi. Questo dato di fatto non può tuttavia essere utilizzato come alibi per giustificare che la storia continui ad essere il banco di un macellaio. (...)

Occorre contrastare il fenomeno delle migrazioni caotiche e forzate di massa non solo per ragioni etico-morali, ma politiche e sociali: esso infatti, mentre impoverisce e depreda i paesi ed i popoli che producono l’esodo, generano nei paesi che lo subiscono guasti crescenti: aumento delle povertà, forme di sfruttamento neo-schiavistiche che concausano l’erosione di salari e diritti per i lavoratori tutti, marginalità sociale, tribalizzazione conflittuale su basi etno-linguistiche e/o religiose.

Come Giano la tradizione ideologica capitalista ha due facce, quelle del nazionalismo e quella del cosmopolitismo (che certa sinistra transgenica scambia con l’internazionalismo). Così come contestiamo entrambi respingiamo con la medesima fermezza le due loro specifiche ramificazioni: la xenofobia razzista e la xenofilia caritatevole.

Se è inammissibile respingere a priori l’immigrazione in base all’idea reazionaria della difesa “purezza etnica” e/o di una concezione mistica della patria, altrettanto sbagliata è la posizione dell’accoglienza indiscriminata, universale, senza regole: ciò che avviene infatti in nome del rifiuto delle sovranità statuali e della cancellazione delle identità nazionali e culturali, ovvero l’ideologia che il massimo progresso sarebbe il melting pot.

Tra le opposte utopie del “respingimento” e della “accoglienza” indiscriminata c’è lo spazio dell’azione articolata per frenare, regolamentare, quindi governare i flussi migratori, non solo in entrata ma pure in uscita visti i gravi danni che produce al Paese ed al suo futuro il fenomeno dell’emigrazione di giovani italiani all’estero.

Governare un fenomeno richiede la capacità di sapere con esattezza quali siano i bisogni della società sul medio lungo periodo, richiede un calcolo quanto più preciso delle risorse pubbliche e private disponibili, richiede che l’economia sia programmata e non lasciata in balia delle cieche leggi di mercato, richiede quindi farla finita col neoliberismo.

Tutte azioni che implicano uno Stato che non sia subordinato ma sovraordinato rispetto alla sfera economica, un governo effettivamente sovrano che metta al primo posto il bene comune, che quindi protegga la nazione dalle scorrerie delle multinazionali, che attivi un processo di sganciamento dalla globalizzazione e l’uscita dall’Unione Europea. >>

FRONTE DEL DISSENSO

mercoledì 9 luglio 2025

Pensierini – LXXXVIII

LA VERITA' DEGLI ALTRI
Il mito della 'conoscenza personale' come unica guida valida ed affidabile della nostra vita è, purtroppo, solo un mito.
Le nostre esperienze dirette, infatti, anche dopo molti anni, restano modestissime se paragonate alle complessità del mondo, per cui non sono assolutamente sufficienti per consentirci una adeguata comprensione della realtà.
Per ovviare a questo inconveniente è necessario pertanto seguire l'opinione degli altri, ovvero, nei primi anni, quella dei nostri genitori e poi, da adulti, quella della maggioranza delle persone.
Ci sono campi, però, in cui l’opinione comune è vittima di pregiudizi infondati e va accolta con molte riserve; occorre pertanto alzare l'asticella e cercare l'opinione prevalente non di tutti, ma dei più competenti (che sono, in genere, gli uomini di scienza).
Questo non modifica il 'criterio di maggioranza', ma ci aggiunge, per usare un termine giuridico, la necessità di una 'maggioranza qualificata'.
Come dice acutamente Gianni Pardo: 
<< L’opinione della maggioranza dei competenti costituisce, nella vita concreta, l’unico criterio di verità. Quando essi pensano tutti la stessa cosa, si ha una verità assoluta, anche nel caso in cui non corrisponda alla realtà: si pensi al sistema tolemaico.
Quando alcuni dissentono, la verità diviene discutibile. Quando i competenti si dividono in due gruppi opposti e pressoché uguali, non esiste verità ufficiale, ma solo un dibattito. La realtà non offre di più. >>
LUMEN


LE CONSEGUENZE DEL POTERE
E' opinione comune che le persone che raggiungono il potere cambino la loro personalità, e la cambino in peggio.
Qualcuno però non è del tutto d'accordo, a giunge ad una conclusione più sottile.
Come, per esempio, il grande attore Anthony Hopkins, che ha fatto questa riflessione:
<< Il potere non cambia le persone, semplicemente toglie loro il bisogno di fingere. Il giusto protegge, l’ambizioso abusa, l’insicuro diventa un tiranno. Non è il potere a corrompere, è il vero volto di ciascuno che emerge quando non si ha più paura delle conseguenze. >>
E se è vero (come sono convinto anche io) che il carattere profondo delle persone non cambia con gli anni, ma resta sempre quello, credo che Hopkins abbia colto nel segno.
LUMEN


IL TEMPO
Hanno perfettamente ragione coloro che sostengono che se non esistesse nulla, cioè non esistessero le 'cose' che compongono l'universo, non esisterebbe neppure il tempo.
Il concetto di tempo, infatti, è strettamente connesso con la legge fisica dell’Entropia (2′ legge della termodinamica), secondo la quale tutte le strutture passano inevitabilmente da uno stato di ordine ad uno di disordine; e questo passaggio costituisce, appunto, lo scorrere del tempo, la cui freccia, come ben sappiamo, può andare solo in avanti e mai indietro.
E siccome il ritmo dell’entropia non è uniforme, questo può forse spiegare (ipotesi mia) la soggettività che proviamo di fronte al passaggio del tempo, che sembra scorrere ora più veloce, ora meno veloce.
LUMEN


ELOGIO DELLA SINTESI
Io adoro la sintesi: la apprezzo ogni volta che la trovo e cerco di utilizzarla ogni volta che posso.
Sono consapevole del fatto che, a volte, una sintesi eccessiva può rendere più difficile la comprensione di un concetto, che rischia di non essere adeguatamente sviluppato, ma in genere la cosa è più forte di me.
Mi ha pertanto molto consolato queste considerazioni sulla sintesi, che Alida Pardo ha pubblicato sul blog del marito Gianni:
<< La sintesi è un momento di gratificazione della mente.
L’essere umano può dire alla realtà: “Cara realtà, ho intaccato la tua durezza, ti ho fatta a fettine e alla fine sono riuscito a penetrare la tua essenza. Le mie conclusioni ti inchiodano, ti imprigionano in un punto chiaro e fermo da cui non puoi uscire”.
La sintesi rappresenta il piacere intellettuale della comprensione. Limitatamente al problema esaminato, ovviamente. Subito dopo comincia un’altra sfida. >>
LUMEN


COSE NUOVE
In genere, ci piace molto aggiungere cose nuove alla nostra vita, perchè pensiamo in questo modo di renderla migliore, dando per scontato (per abitudine mentale) che potremo conservare anche tutti vantaggi delle cose che già abbiamo.
Purtroppo non è sempre così.
Molto spesso per ogni cosa nuova che aggiungiamo, ne perdiamo una vecchia e i pregi della cosa nuova, anche se notevoli, non riusciranno mai a ricomprendere tutti i vantaggi che ci venivano dati dalla cosa vecchia.
Pertanto per migliorare la nostra vita non basta aggiungere, ma occorre anche accettare di perdere qualcosa. Certo, sono cose difficili da prevedere in anticipo, ma la cosa peggiore è di non esserne consapevoli.
LUMEN

giovedì 3 luglio 2025

Il vero Socialismo

Il termine 'socialismo' si presta, suo malgrado, a parecchi equivoci socio-politici e può essere opportuno fare un po' di chiarezza, cercando di distinguere tra il socialismo vero e proprio (che, per motivi storici, è quello marxista) ed i socialismi 'finti' (come fascismo, nazismo e cristianesimo).
Ce ne parla Uriel Fanelli nel post di oggi, tratto dal suo blog (LINK).
LUMEN


<< “Socialismo” non e' una parola qualsiasi. Sebbene abbia avuto dei precursori nelle comuni rivoluzionarie parigine, e abbia dei tratti di illuminismo molto marcati, il termine si riferisce ad una teoria precisa: quella di Marx, Engels, e successori vari. (...)

Quindi, per sapere se un'ideologia e' socialista, il metodo e' semplice: si verifica che la teoria da confrontare non neghi i “pilastri” della costruzione socialista [di Marx e Engels], senza i quali il socialismo non esiste. Questi pilastri, almeno quelli fondamentali, sono tre.

= La lotta di classe. Nel socialismo, le classi si scontrano violentemente mediante scioperi, occupazioni, rivolte , autogestioni e anche la rivoluzione, fino ad ottenere la cancellazione del sistema precedente, il capitalismo, molto spesso mediante l'eliminazione fisica dei capitalisti.

= L'abolizione della proprieta' privata dei mezzi di produzione. Nel socialismo, i mezzi di produzione (fabbriche e terreni agricoli, quindi, ma anche botteghe artigianali o negozi a seconda del tipo di comunismo) sono di proprieta' della societa' e dei lavoratori, che dopo la rivoluzione sono anche lo stato. Se qualcosa produce reddito , detto “plusvalore”, (non, quindi, la vostra bicicletta: potete averne due) allora e' dello stato.

= Il materialismo dialettico. Non c'e' posto , nel socialismo, per qualsiasi ente cerchi di giustificare o spiegare la storia senza passare da cause materiali. Non c'e' posto per “la tradizione”, per “Dio”, per niente che non sia materiale, e quindi economico. Con Marx nasce l'idea che “una guerra si fa per il petrolio”, per dire, mentre prima si sarebbe parlato di “ragione di stato” o di “deus lo vult”.

Senza queste tre cose, il socialismo crolla; non sta in piedi nemmeno a morire. Almeno, non quello Marxista (…) 

Prendiamo per esempio il nazismo: in che modo si relaziona con i tre pilastri del socialismo? 

Partiamo dal primo: la lotta di classe. Non si relaziona proprio. I nazisti hanno sempre stroncato la lotta di classe, i Frei Korps e le SA prima, e le SS poi, hanno sempre negato qualsiasi istanza sindacale, e si fanno vanto di aver messo dalla stessa parte tutti i tedeschi. RIvolte comuniste come gli spartachisti vengono soppresse nel sangue.

Idem per il fascismo, che vanta la “pacificazione sociale”, si definisce totalitarista in quanto rappresenta tutte le classi sociali (volenti o nolenti) e sopprime scioperi e rivolte, dai semplici scioperi dei contadini e mezzadri nel nord, alla rivolta di Parma, giusto come esempi.

Andiamo al secondo: abolizione della proprieta' privata dei mezzi di produzione. Non se ne parlava proprio , ne' col fascismo ne' col nazismo. Il nazismo incamero' molti mezzi di produzione, ma pratico' anche una politica di privatizzazione per fare cash (…).

Hjalmar Schacht, l'ideatore della politica economica nazista, può essere considerato un precursore del keynesismo. (...) La sua politica economica presentava diversi elementi in comune con l'approccio keynesiano: Schacht implementò una politica di investimenti nei lavori pubblici e di deficit spending, mirando a ridurre la disoccupazione e aumentare la domanda attraverso le commesse statali. (...)

Di abolire la proprieta' privata, dunque, non si parlava proprio.

Idem per il fascismo italiano, che, come al solito, faceva un pochino il cavolo che gli pareva. Incamerava le proprieta' degli oppositori politici, ma non perche' odiasse la proprieta' privata, ma fece anche una vasta campagna di privatizzazioni. Non si parlava proprio di abolizione della proprieta' privata dei mezzi di produzione.

Materialismo storico. Questa va via in fretta, perche' qualsiasi regime fascista ha uno strato mistico da far paura, e di certo non esiste posto, nel materialismo dialettico, per gente come Evola, o per degli idealisti hegeliani come Gentile, che mettevano “lo spirito” a guida delle forze razionali.

La Tradizione per il socialismo e' poco piu' di un' “ideologia”, una specie di vezzo che la gente puo' permettersi dopo aver soddisfatto le esigenze materiali, anche quando si decida di tollerarla perche' parte della “cultura del popolo”, ma sono interpretazioni del comunismo abbastanza discutibili e discusse. Non per nulla il sistema di Pechino viene chiamato, da loro stessi, “Socialismo con caratteristiche cinesi”.

Qui proprio non c'e' terreno in comune: l'infatuazione fascista (nel secondo decennio) per il cattolicesimo, cosi' come il misticismo delle SS che facevano battezzare i figli dal proprio tenente, non hanno alcun senso per il socialismo.

Andiamo adesso all'equivoco per il quale fascisti e cristiani vengono chiamati “socialisti”, lo stesso equivoco che ha consentito ad Hitler e Mussolini di autonominarsi “socialisti”, sino a quando qualcuno non si e' accorto della cosa e li ha cacciati. Qualcosa e' andato storto nel travestimento.

L'errore e' di confondere per “socialista” chiunque abbia un interesse per la societa', e in particolare si preoccupi di aiutare economicamente i poveri. Quindi ci ricadono le politiche del cristianesimo, come la beneficenza o l'elemosina, e ci ricadono le politiche sociali di fascismo e nazismo.

C'e' solo un piccolo problemino. Il socialismo marxista non si e' mai occupato dei poveri in quanto tali. Si e' occupato dei lavoratori, e se c'erano poveri disoccupati, questo era dovuto semplicemente a un effetto del capitalismo.

Lo stesso Marx parla molto male del welfare, dell'elemosina e della beneficenza, perche' li considera palliativi che distraggono dal vero problema, ovvero la diseguaglianza di classe.

Non puo' esistere nel mondo del socialismo marxista (...) una chiesa che distribuisce l'elemosina, perche' quei soldi sono gia' plusvalore, che doveva gia' andare ai beneficiati. Idem per il welfare: non esiste, dal punto di vista socialista, che tu prenda soldi del plusvalore tolto ai ricchi con le tasse, e li ridistribuisca: se tutto e' dello stato non c'e' plusvalore, e quindi non ci sono soldi delle tasse da redistribuire.

Nel mondo socialista, cioe', sono TUTTI lavoratori. Non esiste il pasto gratis, e tutti contribuiscono – come possono – alla societa'. Il socialismo non si occupa di poveri, ma di lavoratori, e considera un incidente storico il fatto che i lavoratori siano anche i poveri.

Cristo, quindi, non e' un “socialista”. E' cristiano. Mussolini col suo stato sociale non e' “socialista”, e' fascista. Idem per Hitler, che almeno ha un capro espiatorio per la sua politica sociale. >>

URIEL FANELLI