mercoledì 11 dicembre 2024

Alle radici del Populismo

Vi sono dei movimenti politici particolari, definiti 'populisti', che sorgono soprattutto nei momenti di crisi ed hanno caratteristiche peculiari, perchè non seguono la tradizionale distinzione tra destra e sinistra.
La storia ce ne ha fornito numerosi esempi ed anche oggi movimenti di questo tipo compaiono in varie zone del mondo.
A questo argomento è dedicato il post che segue, scritto a sei mani da R. Rojas, S. Mazzolini e J. Custodi, e tratto dal sito di Sollevazione,
LUMEN



<< Ernesto Laclau definisce il populismo come la costruzione di una frontiera che polarizza la società attorno a un unico antagonismo: il popolo contro un nemico, accusato di frustrare sistematicamente le sue richieste.

Un’operazione politica populista cerca quindi di unificare queste lamentele popolari, che possono essere molto diverse tra loro e che hanno poco a che fare l’una con l’altra. Come? Facendo leva sulla loro caratteristica comune: il confronto faccia a faccia con l’élite.

Quando questi gruppi così diversi hanno un nemico comune, smettono di vedersi come diversi e questo genera una nuova identità popolare: una nuova soggettività politica che prima sembrava impossibile a causa delle loro differenze interne. Le crisi politiche, economiche o sociali aiutano naturalmente in questo processo. Favoriscono il malcontento popolare, fornendo un terreno fertile per la creazione di un’opposizione frontale all’establishment.

Ciò implica due cose. In primo luogo, le caratteristiche specifiche di ciascun gruppo devono essere messe da parte, almeno in una certa misura, per consentire l’emergere di questa nuova identità condivisa. In secondo luogo, chiunque aspiri a guidare il popolo deve essere identificabile come suo rappresentante.

Anche per questo motivo, chi aspira a tale leadership deve minimizzare i propri tratti specifici, mantenere un certo grado di ambiguità e scegliere con cura le caratteristiche che adotta se vuole diventare il simbolo di una comunità così ampia e diversificata, quindi non ben definita — il cosiddetto “significante vuoto” nella terminologia di Laclau.

Karl Marx sapeva già che non basta difendere gli “interessi” di qualcuno affinché si identifichi con l’opzione politica che si vuole rappresentare. (...)

Quando parliamo di “establishment”, immaginiamo un mondo fatto di pavimenti in moquette, abiti ben stirati, linguaggio educato e maniere impeccabili che si addicono a un presidente. Questo è ciò che il politologo Pierre Ostiguy chiama la dimensione “alta” della politica.

Nei periodi di stabilità, quando i governi soddisfano sufficientemente le richieste popolari per essere considerati legittimi, queste forme e questa etichetta sono ciò che ci si aspetta da un leader politico. Ma, come sostiene Ostiguy, quando lo status quo perde legittimità, i nuovi leader tendono ad allontanarsi da questa immagine e a incarnare la dimensione popolare. Al suo posto, optano per un’orgogliosa esibizione del “basso”, della plebe (che, ovviamente, varia da Paese a Paese).

Di conseguenza, una strategia populista comporta non solo un livello descrittivo (cioè l’articolazione di richieste non soddisfatte in una nuova identità e l’identificazione di un nemico comune), ma anche un livello performativo: il “popolo” deve sentirsi rappresentato nei modi, nei modi di parlare e di agire del presunto leader, non solo nel contenuto letterale del suo discorso.

Lo vediamo in leader attuali come Donald Trump, Jair Bolsonaro, Javier Milei, Andrés Manuel López Obrador o il defunto Hugo Chávez, famosi per il loro modo di parlare rude e diretto, senza ammorbidire o trattenere le dichiarazioni controverse.

Questa identificazione con un leader o un progetto politico richiama le riflessioni freudiane sul super-io. Il soggetto con cui ci identifichiamo politicamente ha una doppia natura: deve essere irraggiungibile e imitabile allo stesso tempo. Irraggiungibile perché è sempre fuori dalla nostra portata: proprio per questo può funzionare come ideale morale.

Tuttavia, deve anche essere abbastanza vicino a noi per essere imitabile e soddisfare così il nostro bisogno di sentirci bene con noi stessi, con la nostra immagine, attraverso l’identificazione con quel leader (ciò che Freud chiamava “soddisfazione narcisistica”).

Cosa succede quando questo non accade, quando un modello diventa irraggiungibile? Inizia a diventare un mero elemento repressivo: genera sentimenti di inferiorità e frustrazione. Rispetto a lui sono carente, cattivo, stupido, pigro, irresponsabile... (a seconda dei valori incarnati da quell’ideale). Così, a lungo andare, il desiderio di imitare questo modello svanisce perché non porta benefici psicologici e la superiorità di chi “sta sopra” non viene riconosciuta come giusta. Emerge quindi lo spazio politico per nuovi leader.

Questo, secondo Freud, è ciò che spiega la psicologia di massa: la collettività trova nel suo leader carismatico una sorta di super-io comune esteriorizzato e incarnato. È qualcuno da imitare e nel cui riflesso ci si sente meglio che in qualche precedente specchio morale.

Ad esempio, la crisi del 2008 e la successiva recessione hanno condannato milioni di persone a vedersi come dei falliti, che avevano vissuto al di sopra delle proprie possibilità e che erano responsabili della propria improvvisa rovina.

Era solo questione di tempo prima che emergessero leader di entrambi gli schieramenti politici per offrire nuovi quadri di riferimento che permettessero alle persone di reinterpretare il proprio destino in modo da placare il senso di colpa e la frustrazione.

Come sostiene Thomas Piketty in 'Capitale e ideologia', la composizione socio-demografica della sinistra occidentale è cambiata molto dagli anni Settanta. Fino ad allora, essa si rivolgeva principalmente alla classe operaia, da cui riceveva il principale sostegno elettorale, mentre la destra si rivolgeva e faceva leva sulle élite economiche e culturali.

Negli ultimi anni, però, la tendenza è cambiata. La destra ha continuato a fare appello alle élite economiche, la sinistra si è rivolta sempre più alle élite culturali e la classe operaia manuale è caduta nell’astensione, almeno fino agli ultimi anni, quando il populismo di destra ha iniziato a raccogliere quel voto abbandonato. (...)

Come hanno sostenuto Pierre Bourdieu e Jean-Claude Passeron, le élite mantengono il loro status accumulando “beni di distinzione” che permettono loro di essere visti come esclusivi, diversi e speciali (non volgari).

Nel caso dei beni materiali, questa esclusività è garantita da prezzi molto elevati. Nel caso dei beni culturali è assicurata rendendoli difficili da capire, anche se questo non significa che le élite culturali limitino deliberatamente e premeditatamente l’accesso alla cultura.

Perché? Perché questa ritualizzazione della cultura, che la rende inaccessibile (incomprensibile) alla maggioranza, viene appresa insieme all’acquisizione della cultura stessa. Tutte le élite acquisiscono, di solito fin dall’infanzia, modi di agire che le differenziano dal resto della popolazione, come i modi educati di parlare, di mangiare a tavola, persino di camminare o di sedersi in una sala d’attesa. Questo è ciò che Bourdieu chiama habitus.

Così, quando si acquisisce una cultura, ad esempio all’università, la si acquisisce insieme al modo in cui viene formulata, in modo che venga naturalmente (non premeditatamente) riformulata nello stesso modo in seguito. E questa è una modalità (soprattutto nelle scienze umane e sociali) che spesso è oscura.

Ovviamente, l'elitarismo culturale non equivale all'elitarismo economico e l’appartenenza all’élite culturale non è affatto una garanzia di ricchezza economica, soprattutto nel mondo di oggi. Ma gioca un ruolo importante nella non identificazione tra persone che possono avere bassi mezzi economici ma un diverso capitale culturale. >>

ROJAS, MAZZOLINI, CUSTODI

20 commenti:

  1. Secondo gli autori, molti progetti populisti falliscono perchè non viene colmata la distanza 'culturale' tra i leader ed il popolo, come nel caso di Podemos in Spagna:

    << A differenza del fervore esuberante — a volte disorganizzato, caotico e “sporco” — del populismo latinoamericano (e della destra europea), il populismo di Podemos non sembrava autentico.
    Una sorta di “populismo da laboratorio” — troppo cerebrale, troppo asettico — le cui origini di “strategia ideata dagli accademici” non potevano essere completamente cancellate.
    Ciò ha contribuito a rendere più difficile l’identificazione del tanto decantato “popolo” con questo progetto. Sì, i leader devono essere in qualche modo “al di sopra” per ispirare l’imitazione e quindi guidare. Ma non devono essere così al di sopra del popolo da non poter essere imitati e quindi seguiti.
    A causa del loro elitarismo culturale, i leader di Podemos sono diventati irraggiungibili. Sono riusciti a generare ammirazione intellettuale, ma non identificazione politica, e questo ha favorito il cortocircuito della loro operazione populista.
    Durante l’ascesa iniziale di Podemos, la strategia populista è riuscita a tenere sotto controllo questa contraddizione. Tuttavia, era troppo ingombrante per non rivelarsi quando il partito ha inevitabilmente affrontato importanti sfide politiche e ha dovuto abbandonare la sua ambiziosa strategia discorsiva. >>

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  2. Con i termini populismo, populisti si vogliono squalificare gli avversari politici. I populisti sarebbero infatti dei deficienti e semianalfabeti - che purtroppo hanno diritto di voto. I discorsi su cosa sia il populismo, addirittura la o le definizioni del populismo mi fanno ridere. Sembra che i populisti non capiscano niente, propongono soluzioni facili per problemi complessi che evidentemente non possono capire. I problemi sono ormai talmente complessi che nemmeno gli esperti ci capiscono qualcosa, figurarsi i populisti. Eppure questi deficienti di populisti possono votare, uno scandalo. Forse sarebbe una soluzione vietare loro di votare. Ci sono sicuramente dei test per accertare se uno è populista o meno.
    I test sono naturalmente elaborati dai dottissimi antipopulisti, gente seria che non propone soluzioni facili e inapplicabili per problemi complessi. Energia nucleare sì o no? Il populista scemo spara un sì o un no a casaccio, che ne capisce di energia nucleare e di fissione dell'atomo. Io quando qualcuno tira fuori questo termine per denigrare gli avversari mi trasformo in ... Goebbels, tiro fuori la pistola. Certo la vita è sempre più complessa, ma così complessa che presto non ci capirà più niente nessuno. Il mondo è ormai diviso tra populisti scemi (la maggioranza) e complessisti (meno numerosi ma buoni). Per fortuna abbiamo ora l'IA che risolverà tutti i problemi complessi.

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    1. Caro Sergio, ho apprezzato la tua ironia, ma il problema è serio.
      Il suffragio universale presuppone un cittadino informato, ma, come dici giustamente tu, ormai i problemi sono talmente complessi che ci vogliono i super-esperti (che, a volte, non sono neppure d'accordo tra loro).

      In ogni caso, come dicono gli autori all'inizio dell'articolo, il populismo si caratterizza come movimento CONTRO un nemico (di destra o di sinistra, secondo i casi), il quale - tramite le sue elites - ha tutto l'interesse a dipingere i populisti come un branco di ignoranti.
      I quali, spesso, lo sembrano, anche solo per il fatto di semplificare eccessivamente i problemi e le soluzioni.

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  3. Il populismo dei regimi sinistrorsi, comunisti, è solo di facciata, chimera fatta balenare agli strati bassi della popolazione, speranza di riscatto fine a sé stessa. I preti ed i comunisti non danno nulla, solo prendono e pure per le speranze occorre versare qualcosa nella cassettina delle offerte.

    Mi pare che il popolo, in ultima analisi, abbia qualche briciolo di concessioni più nei regimi di destra, periodi di interregno che vengono instaurati o prima dell'avvento di un regime di sinistra o democrazia oligarchica, oppure subito dopo, come panacea, precauzione eccetera eccetera.

    Mescolando nazionalismo e populismo, i regimi di destra sono obbligati a far qualcosa per il popolo. Preti e comunisti no, ché i primi rimandano il nirvana al post mortem. I secondi al mese del poi, al giorno della mai....

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    1. Una buona sintesi, la tua, che mi pare accettabile (l'unico appunto è che i regimi di destra tendono ad essere più guerrafondai).
      E' vero che a vincere sono sempre le elites, ma non tutte le elites sono uguali.

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    2. Destri più bellicosi?
      Mmh, a me pare il contrario.
      Destri e sinistri devono risolvere il problema della legna per la cucina economica e dei fagioli e verdura e lardo per cuocerli in una zuppa, per la sera.
      I destri, qui, possono essere soddisfatti, si calmano.
      I sinistri hanno una marcia in più per farti la guerra: son così pieni di problemi che non riescono a risolvere che devono migliorare la tua vita di troglodita non-sufficientemente-puro-progressista bombardandoti la democrazia, accogliendo in casa tua i fratelli gioiosi (dell'islam religione di pace), gheddafierabruttocattivoidiritti, etc .

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    3. Credo che la bellicosità sia abbastanza ben distribuita, sia tra i destri che tra i sinistri.
      Forse la differenza sta nelle motivazioni: i regimi nazionalisti (definiti convenzionalmente di destra) fanno la guerra per espandere i propri possedimenti; i regimi ideologici (definiti di sinistra) la fanno per cambiare il mondo.

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  4. Vero, più guerrafondai i regimi di destra, più spietati col loro popolo quelli di sinistra, tonache incluse.....

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    1. Condivido.
      E sono convinto che la differenza la facciano i diversi tipi di elite: più materialisti i primi, più idealisti i secondi.

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  5. Da un punto di vista "liberaldemocratico" tra Populismo di Dx, Populismo di Sx e Qualunquismo le differenze sostanziali sono poche o nessuna. Il Popolo tout court è un concetto metafisico che NON corrisponde ai Cittadini in carne e ossa che nelle moderne Società complesse abbisognano cmq della mediazione di loro Rappresentanti eletti nelle principali Istituzioni. E (come diceva il buon vecchio Pannella) da parte loro gli Eletti davvero responsabili devono avere la forza di essere a volte impopolari per NON essere antipopolari. Merce (purtroppo) abbastanza rara... Saluti

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    1. << Il Popolo tout court è un concetto metafisico che NON corrisponde ai Cittadini in carne e ossa >>

      Questo è vero, ma fino ad un certo punto, in quanto la sociologia (al contrario della psicologia) è costretta ad occuparsi solo del modo di pensare e di agire della popolazione nel suo insieme, o almeno di gruppi rilevanti di essa.
      Quindi quello di 'Popolo' sarà anche un concetto astratto, ma che ha una sua utilità pratica.

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    2. << gli Eletti davvero responsabili devono avere la forza di essere a volte impopolari per NON essere antipopolari. Merce (purtroppo) abbastanza rara >>

      Rarissima !

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    3. Si si, il concetto di Popolo ha un'utilita' di tipo pratico-classificatorio, i guai iniziano quando esso viene arbitrariamente/strumentalmente "assolutizzato" in un'entità metafisica di cui lo scaltro leader opportunista di turno può rendersi appunto Capopopolo sentendosi dunque autorizzato a bypassare tutti i corpi politico-sociali intermedi (Istituzioni democatico-liberali comprese) Esempio paradigmatico: Masaniello Per dirla con Lauzi: "Non è cambiando slogan o il nome del Padrone che il Popolo ha finito di esser preso per cog...ne" Tutto qui

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    4. Senza dubbio.
      E questo è uno dei (tanti) pregi della democrazia liberale.

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    5. È sufficiente osservare le mille faglie che fondono il-popolo per capire che il-popolo non esiste come unica entità.
      Non esistono neppure le-oligarchie, Soros e Musk hanno visioni molto diverse.

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    6. Si e no.
      Certo il popolo è suddiviso in varie entità, ciascuna con la propria sfera di interessi, ma tutte concorrono a rappresentare la 'base economica' che arricchisce le elites.
      Le quali, a loro volta, pur con qualche differenza (e magari contrasto), sono ben ferme nel difendere la proprie posizioni di privilegio.

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    7. Per quanto strumento potente, nei processi inferenziali ed analitici, il sistema dicotomico (e.g popolo - oligarchie, sx - dx, etc.) non riesce quasi mai a fornire spiegazioni per processi e realtà che non sono attinenti ai criteri assunti per la dicotomia.
      Torno a Musk: egli ha visioni antitetiche a quelle di Soros. Eppure ha una sorta di grave contraddizione interna tra le politiche populistiche che sembra voler appoggiare e il colossale accentramento di risorse e potere che egli domina.
      Egli non è meno grottesco di Gad Lerner che ebbe il fegato di predicare, da un terrazzo di una villa a Portofino, col Rolex (non è una battuta, successe veramente!) di integrazioni, accoglienze, etc. .
      Se noi volessimo adottare il criterio potere-risorse, sia Soros che Musk sarebbero ugualizzabili come oligarchi (se volessimo usare un lessico meno scorretto in l'inglesano, infinocchiante, roboante, di moda, come taicuun).
      Ci sono alcune differenze, alcuni grandi differenze, parti e caratteristiche comuni.

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  6. Il populismo è una strategia di comunicazione che in campo politico è finalizzata a creare consenso. Per metterla in atto un partito e i suoi esponenti devono cavalcare il malcontento e interpretare i più diffusi luoghi comuni del pensiero dei cittadini. La cosa interessante è che non sapremmo mai riconoscere quanto opportunismo, e quindi quale livello di falsità, ci sia nella dichiarazione di un singolo o in una linea politica. Davanti a una telecamera, un esponente di partito può dire ciò che pensa ma anche l'esatto contrario. La questione non è di poco conto perché da ciò dipende l'affidabilità di una persona.

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    1. Giusta osservazione Agostino.
      Io sono convinto che nelle dichiarazioni pubbliche, sia dei politici che dei governanti, sia sempre presente un impasto di verità e di menzogne, di sincerità e di riserve mentali, ma noi che li ascoltiamo non sappiamo come distinguerli.
      Ne consegue che rischiamo o di respingere tutto, o di prendere tutto per buono.
      Non è una bella alternativa.

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    2. In questo, la fede politica finisce per aiutare: se chi parla è della mia parte ha ragione, se è della parte avversa ha torto.
      Ma anche questa non è una soluzione.

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