sabato 17 giugno 2023

La settima Arte

Il post di oggi contiene la recensione di 3 film famosi, scelti fra i miei preferiti. Spero che li conosciate anche voi e che vi siano piaciuti. 
I testi sono tratti da sito di cinema 'Gli Spietati'. Buona lettura.
LUMEN


LE IDI DI MARZO

TRAMA - Le primarie democratiche in Ohio sono fissate per il 15 marzo: Stephen Meyers lavora per uno dei candidati alla presidenza, il governatore Morris, e si trova pericolosamente coinvolto negli inganni e nella corruzione che lo circondano.

<< Al quarto film da regista (...), Clooney riprende in mano il discorso sulla politica e sul potere adattando per lo schermo un'opera teatrale (...), di cui utilizza le tematiche più come fucina di elementi drammatici e come sfondo, che in una chiave di denuncia o di schieramento a favore di una tesi.

In politica, nelle campagne elettorali in particolare, quello che appare è quello che conta, il rispetto delle regole è un handicap, la contromossa – anche sporca – una cartuccia da tenere sempre a disposizione; dietro la patina immacolata si attorciglia, dunque, un groviglio di intrighi, di malaffare, di compromessi indicibili che resta sostanzialmente irrinunciabile, il prezzo da pagare per arrivare all’immagine proposta: limpida, senza increspature, icona che diventa propaganda e sostanza (...); a dire: il governatore Morris sembra un uomo affidabile, ma la sua immagine è solo la punta visibile di un iceberg sommerso.

Il film vorrebbe squarciare il velo sul dietro le quinte della strategia mediatica: il protagonista, Stephen Meyers, vero e proprio guru della comunicazione, regista della campagna che decide le tattiche, dispone le pedine in campo, muovendole secondo le esigenze, ha il compito di rendere interessanti le questioni proposte dal suo candidato, di umanizzare i dati, di fare delle statistiche un elemento attrattivo; è un uomo che ha fascino, grandi capacità, tremendamente sicuro di sé.

Ma l’eccesso di disinvoltura crea mostri: il rivale Tom Duffy, riconoscendone la bravura e la conseguente pericolosità, gli chiede di incontrarlo; ingenuamente il nostro accetta: con quel suo semplice consenso Stephen perde la partita, avendo messo in discussione, senza accorgersene, la lealtà al team al quale appartiene (Non hai fatto un errore, hai fatto una scelta).

Da quel momento la storia si complica, accumula elementi, vuole spiazzare di continuo lo spettatore dando avvio ad un’escalation che non ha battute d’arresto; fidando sulle sue ambiguità, prende strade sorprendenti, ma questa imprevedibilità diviene talmente puntuale da mostrarsi programmatica, risultando il film un thriller meccanico dalla tensione ipotetica, vittima della sua stessa metodica implacabilità.

Clooney, da parte sua, gestisce con mestiere tutti i risvolti della narrazione, i complotti e i piani cospirativi che si incrociano, ma non elabora a dovere il cambio di segno del protagonista: Stephen, provato dal suicidio della stagista-amante, messa incinta da Morris (l’aborto viene finanziato dal fondo cassa, l’eliminazione del fattaccio è del resto vitale per la riuscita della campagna) diventa improvvisamente cinico e calcolatore; da collaboratore fedele ed entusiasta, di fronte alla necessità di mettere da parte la sua fede nel candidato per le logiche impietose dei giochi di potere, avvelenato dalla politica che aveva idealizzato, si trasforma in una macchina di vendetta.

Il regista si affida a un linguaggio visivo tanto semplice quanto efficace (le silhouette di Meyers e Zara sull’enorme bandiera americana illuminata, ombre che manovrano la campagna; l’incipit e la sua eco distorta nel finale), può contare su una sceneggiatura di buon livello (i dialoghi sono il punto forte dell’opera: “Sono le puttanate che fanno i repubblicani. E sono le puttanate che li fanno vincere”), e lancia un paio di proclami veri quanto ovvi (puoi fare qualsiasi porcata, invadere un paese straniero e gettare il tuo in una crisi economica gravissima, nulla ti accadrà, ma se scopi con una stagista sei finito). (...)

E' la grande tragedia scespiriana, in cui tutti i personaggi (paradigmi contemporanei: il candidato, il portavoce, la stagista, la giornalista) possono ricoprire qualsiasi ruolo, a seconda della prospettiva che si decide di assumere, fa un lavoro sopraffino con lo scintillante cast (Gosling è un tantino granitico, ma la Tomei, in un ruolo di chiara marca maschile, come sottolineato da quell’impermeabile informe e dagli sfiguranti occhialoni, è meravigliosa).

Il risultato finale è lodevole per costruzione e freddo nell’esito, un film che resta intrappolato nella sua solida impalcatura. >> (Luca Pacilio)


CASABLANCA

TRAMA - Marocco, 1941. Rick (Humphrey Bogart), che gestisce un locale a Casablanca, incontra per caso Ilse (Ingrid Bergman), la donna da lui amata diversi anni prima e mai dimenticata, ma che ora è sposata.

<< Intreccio inverosimile (specie nello scioglimento), personaggi piatti, dialoghi pomposi, realizzazione e recitazione di solida maniera: davvero, questo film non ha nulla di speciale. Anzi, tutto. Casablanca non è solo una proverbiale variazione sul tema chiave della tradizione narrativa occidentale (il triangolo erotico), né si esaurisce nel trionfo dei suoi divini interpreti.

È un teorema sul cinema in quanto isola felice da qualche parte fra Storia e Mito, universo impermeabile ai decreti del buon senso e del buon gusto perché soggetto solo alla propria natura spudoratamente lavica. Assolutamente perfetto nella miscela di azione, umorismo, disillusione e rimpianto (tanto da risultare irritante), il film individua nell’iperbole e nell’essenzialità le proprie regole supreme.

Come dice il titolo della pièce all’origine della travagliata sceneggiatura, tutti vengono da Rick: scientifica perfidia e dissimulato eroismo sostano a pochi metri di distanza, le contraddittorie metamorfosi dell’esistenza intrecciano macabre danze fra i tavoli.

Il tempo passa ma non può nulla nei confronti di un sentimento sepolto e tutt’altro che estinto, tanto forte da rendere tremendamente plausibile il sospetto che tutto (guerra in testa) sia solo una conseguenza dell’amore (è il rombo del cannone o il battito del mio cuore?). Un’inquadratura, una battuta bastano a fissare il tono di una scena, rendendo immortale una manciata di immagini (una per tutte, Sam alle prese con la canzone proibita). Rick e Ilsa avranno sempre Parigi. E noi con loro. >> (Stefano Selleri)


TAXI DRIVER

TRAMA - Travis Bickle, ventiseienne alienato e sessualmente frustrato, reduce del Vietnam, soffre di un’insonnia cronica e lavora come tassista notturno. Affascinato da Betsy, un’assistente del senatore di New York Charles Palantine, che è candidato per le elezioni presidenziali, le dà un appuntamento.

<< Taxi Driver rappresenta uno dei punti apicali del cinema della New Hollywood. Fin dal 1967 all’interno del panorama Hollywoodiano si affermano nuovi autori, nuove modalità produttive e nuovi volti attoriali che andranno a sostituire quelli della Grande Hollywood (…) portando con sè anche un nuovo tipo di narrazione figlia dal punto di vista tematico di alcuni cruciali eventi storici e da quello formale di un diretto dialogo tra il cinema hollywoodiano e la modernità europea.

Taxi Driver si presenta come un amalgama perfettamente riuscito di tutte queste istanze. Al suo interno emergono in maniera ricorsiva, mordace le pulsioni storico/sociali che hanno contraddistinto gli Stati Uniti nella storia recente: il film di Scorsese è fondamentale anche perché riesce a farsi carico dell’onere di essere generazionale, figlio legittimo della contestazione.

La società americana mostra attraverso il film la sua ferita indelebile, la sua debolezza, la sua mancanza di speranza che vede nella morte di Kennedy la matrice generativa. I “fatti di Dallas” hanno reso debole un popolo che si sentiva invincibile, hanno creato un vuoto in un mondo dove, senza eroi, ci si sente inesorabilmente spaesati. La contestazione, la morte di JFK, ma anche il Vietnam.

Taxi Driver in fondo è anche un film sul reducismo, su un “eroe di guerra” che non riesce ad integrarsi nel mondo che ha abbandonato definitivamente dal momento che l’ha lasciato per andare in guerra, che non trova la tranquillità per addormentarsi, la cui insonnia lo trasporta in uno stato allucinatorio, che lo fa sprofondare definitivamente in uno stato d’alienazione per cui diventa normale anche far colazione con pane e whisky.

Un cinema rivoluzionario anche nell’uso del linguaggio e nei codici specifici filmici, figlio della lezione del cinema della modernità (...), che rimedia la decostruzione del montaggio grazie all’uso del 'jump cut' e del piano sequenza. (…)

I film della New Hollywood rappresentano anche una svolta del cinema americano verso il realismo ed in particolare l’attenzione per la città e il rapporto tra individuo e metropoli diventano due temi centrali, campi semantici che Taxi Driver implementa in modo esemplare:

Travis Bikle (un De Niro strepitoso, vera icona del cinema di Scorsese degli anni settanta e non solo) tassista insonne, che sia aggira di notte in una New York distrutta dalla malavita e dalla prostituzione è diventata una figura archetipica dell’immaginario americano. >> (Attilio Palmieri)



4 commenti:

  1. Per chi fosse stato incuriosito dal titolo del post, preciso che le 6 arti classiche (a cui si è aggiunto poi il Cinema) erano le seguenti: Pittura, Scultura, Architettura, Letteratura, Musica, Danza.

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  2. "Fermate i soliti sospetti", intima il capitano Renault si suoi scagnozzi, a conclusione del mitico lungometraggio Casablanca. Splendido bianco-nero.

    La bella si sta involando con il melenso marito verso Lisbona, da lì un salvacondotto verso New York, forse i sobborghi. Jersey City, Newark.... Si sfugge ai nazisti. Non si sfugge ad una vita ordinaria a venire. Un paio di marmocchi, ore davanti alla TV, raccolta punti sui cartoni dei corn flakes, sui barattoli di burro di noccioline. Mostruoso girovita, naticoni da far invidia ad un cavallo belga da tiro pesante...

    Il buon vecchio Rick, avventuriero, uso proferire frasi ad effetto a getto continuo, un vecchio lupo di mare, di terra, a suo agio all terrain, come I mezzi anfibi da sbarco. "Se tu non prendi quell'aereo, piccola, non ora, ma tra 1 anno, tra 10 te ne pentirai. È sicuro. E forse pure io (me ne pentirei). Suonala ancora Sam, meglio fra uomini, l'ho scansata un'altra volta....

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    1. Caro Mauro, io vidi Casabalnca per la prima volta in gioventù e mi colpì moltissimo.
      Poi, per una serie di motivi, non sono più riuscito a rivederlo per molti anni (non passava nè sulla RAI nè su Mediaset) e ne sentivo la mancanza.
      Per fortuna, circa un anno fa, i diritti del film sono stati acquisiti da SKY (a cui sono abbonato da anni per vari motivi) ed adesso, per compensare, me lo sono già rivisto 3 volte.
      Sempre mitico.

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  3. Ancora su 'Casabanca', tratto da un altro sito web:

    << Classico dei classici, quintessenza del miglior cinema hollywoodiano, un racconto dai risvolti imprevedibili, emozionante nel pericolo e commovente nell'impossibile storia d'amore, con controcanto di dialoghi brillanti e delle note di "As time goes by" di Herman Hupfeld (e ‘La Marsigliese’ rivista da Max Steiner).

    Magicamente baciato dalla contingenza storica, per cui il racconto su esiliati e rifugiati con leitmotiv del sacrificio si specchia nei molti “esuli” ingaggiati per il film. L’aura magica è anche figlia dell’alchimia fra una Ingrid Bergman seducente e un Humphrey Bogart con carattere ambiguo che segna il film (duro dal buon cuore, né eroe né malvagio, fa quel che va fatto), rinforzato da comprimari che svelano progressivamente le proprie propensioni (Sydney Greenstreet e Peter Lorre si riuniscono a Bogart dopo Il mistero del Falco).

    Grande messinscena in studio (tranne sequenze all’aeroporto e panoramiche su Parigi), montaggio da manuale (Owen Marks, con Don Siegel incaricato della direzione e montaggio della seconda unità), sapiente uso della fotografia (Arthur Edeson, che fa miracoli con il viso della protagonista), prodigio di una sceneggiatura con, alla base, una commedia teatrale di Murray Burnett e Joan Alison mai rappresentata, incompleta durante le riprese e perfetta alla loro conclusione, con tira e molla fra le iniezioni politiche e melodrammatiche di Koch e la ricerca di momenti romantici da parte dei coniugi Epstein e del regista: la sinergia (governata dal produttore Hal B. Wallis) dà vita ad un’atmosfera penetrante, che culla fra dolcezza e mestizia. >>

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