domenica 4 giugno 2023

Ultima Moda

Georg Simmel è stato un importante sociologo tedesco, vissuto tra la fine dell'800 e l'inizio del '900, ed è considerato uno dei padri fondatori di questa disciplina.
Simmel fu tra i primi ad occuparsi dei fenomeni sociali legati ai grandi agglomerati metropolitani ed analizzò gli effetti sociali della modernizzazione con riferimento a tre temi fondamentali: la dimensione dei gruppi umani di riferimento (dal piccolo gruppo rurale al grande gruppo cittadino), la divisione del lavoro (con la conseguente frammentazione sociale) ed il dominio del denaro come espressione razionale del valore (ma anche priva di valori, in quanto impersonale).
Secondo Simmel: “I problemi più profondi della vita moderna scaturiscono dalla pretesa dell'individuo di preservare l'indipendenza e la particolarità del suo essere determinato di fronte alle forze preponderanti della società, dell'eredità storica, della cultura esteriore e della tecnica “.
Tra i vari settori della società moderna di cui si occupò Georg Simmel c'è anche il mondo della 'moda', con le sue stranezze ed i suoi apparenti paradossi.
Per Simmel, i veri protagonisti della moda sono coloro che hanno bisogno della moda come strumento di elevazione sociale. Per questo, la moda finisce per essere funzionale non tanto a chi la detta, quanto a chi la segue ed al riguardo si può parlare a buon titolo di 'moda di classe'.
A qusto interessante argomento è dedicato il post di oggi, tratto dal sito Sociologia-Tesionline.
LUMEN

 

 << Georg Simmel afferma che due sono le condizioni essenziali per la nascita e lo sviluppo della moda, in assenza di una delle quali, la moda non può esistere: il bisogno di conformità e il bisogno di distinguersi.

La moda, secondo Simmel, esprime quindi la tensione tra uniformità e differenziazione, il desiderio contraddittorio di essere parte di un gruppo e simultaneamente stare fuori del gruppo, affermando la propria individualità.

Malcom Barnard in 'Fashion as Communication' approfondisce il pensiero dell'autore, affermando che questi bisogni conflittuali sono centrali nell'analisi di Simmel, poiché rappresentano il punto focale della sua sociologia (…) e permea costantemente la sua analisi della cultura moderna: tutta la storia sociale, egli afferma, si riflette nel conflitto tra "conformismo e individualismo, unità e differenziazione". 

Gli individui sembrano sentire la necessità di essere sociali e individuali allo stesso tempo; sia la moda sia gli abiti sono modi attraverso cui questo complesso insieme di desideri e necessità vengono negoziate: “così la moda non è altro che una delle tante forme di vita con le quali la tendenza all'uguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale e alla variazione, si congiungono in un fare unitario.”

L'analisi di Simmel poggia sulla comprensione dell'esistenza di due diversi tipi di società: le società primitive e le società civilizzate. Nelle prime l'impulso a conformarsi è superiore a quello del differenziarsi, in quanto l'individualità dell'uno viene assoggettata ai valori e alle tradizioni della più ampia collettività.

Le società primitive sono governate da principi che fanno capo alla tradizione, ad antichi valori e credenze e che difficilmente vengono messi in discussione perché portatori di un'identità che vuole essere difesa nel tempo e a cui si vuole dare continuità: un'identità che si identifica con quella indiscussa del gruppo di appartenenza.

Conseguentemente, ci saranno relativamente pochi cambiamenti in ciò che le persone indossano in quanto il bisogno di esprimere la propria individualità non s'incontra con i bisogni della società.

Nelle società "civilizzate", caratterizzate dalla presenza di più numerosi gruppi sociali e quindi da una struttura sociale più complessa e articolata, il desiderio per esprimere la propria individualità viene incoraggiato dalla società stessa. Ciò che le persone indossano può essere usato per esprimere questa individualità, questa differenziazione dagli altri e da altri gruppi presenti nella società.

Moda, infatti, secondo Simmel, significa, da un lato, adesione di quanti si trovano allo stesso livello sociale, dall'altro, significa chiusura di questo gruppo nei confronti dei "gradi sociali" inferiori: “Il pericolo di mischiarsi e confondersi induce le "classi" dei popoli civili a differenziarsi negli abiti, nel comportamento, nei gusti…”

Oggi non parliamo più di classi sociali ma, piuttosto di stili di vita, dove [però] le dinamiche attraverso cui avviene la differenziazione non sono cambiate: continua ad esistere il bisogno di appoggiarsi ad un modello sociale (o più di uno) quale sicura piattaforma dotata di senso e il bisogno di trovare il cambiamento nell'elemento stabile, la differenziazione individuale, il distinguersi dalla generalità.

Sulla base di questi bisogni, Simmel dice, si sviluppano delle mode mediante le quali ogni gruppo accentua la propria coesione interna e la propria differenziazione verso l'esterno. L'abito alla moda, come afferma la Wilson, è usato nelle società capitalistiche occidentali per affermare sia la propria appartenenza a vari gruppi socio-culturali sia la propria personale identità, ovvero distinguendosi anche all'interno del proprio gruppo di appartenenza.

L'insistenza di Simmel nell'opposizione tra "nazioni primitive e civilizzate", quando egli si riferisce a società più o meno complesse, trova [oggi] poca fortuna e approvazione in quanto appare essere alquanto offensiva e discriminante. Egli infatti sostiene che la moda non sia possibile nelle prime, mentre trovi terreno fertile al suo sviluppo nelle seconde. >>

VALENTINA BETUOL

6 commenti:

  1. COMMENTO di SERGIO

    Interessante questo confronto tra conformismo e individualismo.
    Moravia ha scritto un romanzo, Il conformista, da cui è stato
    tratto anche un film. Il conformista passa per persona priva
    di personalità, mediocre, magari anche un po’ vigliacco e
    quindi spregevole. Ma un po’ conformisti lo siamo tutti,
    visto che per vivere in società dobbiamo rispettare almeno
    certo regole, seguire certe mode, almeno fino a un certo punto,
    altrimenti sarebbe impossibile intendersi.
    E tuttavia tutti apprezziamo anche chi brilla
    per certe sue qualità, gli “originali” ci incuriosiscono e divertono.
    C’è in tutti il bisogno di conformarsi, è
    persino una necessità, una difesa, ma non pochi vogliono distinguersi,
    è anche questo un bisogno, legittimo, utile alla società.
    Si tratta di non strafare, di non esagerare. Le personalità ci attraggono,
    suscitano la nostra ammirazione, ma per fortuna esistono
    anche i conformisti, i mediocri, sono anzi forse la
    maggioranza - e direi per fortuna. Un mondo di
    forti personalità sarebbe molto conflittuale. Uno o due
    professori in gamba sono una fortuna per lo studente,
    ma dieci professori in gamba e forti personalità
    sarebbero forse troppi.

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  2. E' incredibile quante cose, nella vita degli uomini, devono essere mantenute in un delicato equibrio tra opposti.
    Forse, alla base di tutto, c'è la contrapposizione tra le esigenze del singolo (guidate dall'egoismo) e quelle della società (guidate dall'altruismo), che ci costringono a difficili compromessi.
    Questo avviene perchè siamo una specie altamente sociale, ma in fondo tutti gli esseri viventi devono mantenersi (anche solo a livello genetico) in un delicato equilibrio tra esigenze diverse.
    E' la 'condanna' della vita.

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  3. COMMENTO di GP VALLA

    Mi pare che sia necessario necessario distinguere la moda vera e propria dalla consuetudine di indossare abiti (o portare acconciature o simili) che rappresentano un segno distintivo politico, etnico o religioso. Questi sono indossati non per motivi estetici, ma per sottolineare un'appartenenza, per riconoscersi - e farsi riconoscere - come membri di gruppi separati e minoritari, contrapposti, e anche ostili, a quelli maggioritari. È l'equivalente funzionale di una divisa.
    Mi pare invece che la moda vera e propria sia sempre stata prodotto ed emanazione dei gruppi dominanti, economici, sociali e politici. Durante l'Ancien Régime era imposta dalla Corte e dall'aristocrazia; nell'Ottocento anche dall'alta borghesia. Nella seconda metà del Novecento i destinatari si sono enormemente moltiplicati; non per questo il fenomeno si è democratizzato: è ora il frutto dell'attività di grandi gruppi economici controllati dalle oligarchie finanziarie.
    Proprio per questo mi pare che seguire la moda sia manifestazione di conformismo, un mero adguarsi a scelte altrui. Può darsi che qualcuno creda davvero, vestendosi in un certo modo, di distinguersi ed assimilarsi alla élite che ha lanciato la moda (o, meglio ai personaggi - attori, sportivi etc. - scelti come "testimonials"). Ma quando gli stessi abiti sono proposti in migliaia di punti vendita, imposti da martellanti campagne pubblicitarie e indossati da milioni di persone, come si può parlare fi originalità?

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    1. Caro Beppe, in effetti, come aveva acutamente rilevato Simmel, le contraddizioni della moda sono proprio le contraddizioni della gente: che vuole ad un tempo conformarsi e distinguersi.
      Il che, ovviamente, è impossibile, "per la contraddizion che nol consente" (tanto per citare il padre Dante).

      La cosa più rievante non è la contraddizione in sè (i comportamenti umani sono pieni di queste cose, quasi in ogni campo), ma l'assoluta inconsapevolezza delle persone comuni, che seguono la moda (anzi l'ultima moda) con impegno (e dispendio) degno di miglior causa.
      E chi gestisce il business, che invece quese cose le conosce benissimo, ne approfitta largamente e se ne arricchisce.

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  4. In generale, SI all'anti-conformismo "liberale' e ragionato, NO al piatto conformismo dell'anti-conformismo.

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    1. Giusto, anche perché
      il primo è una scelta privata, del tutto personale, mentre il secondo è solo un modo diverso di seguire il gregge.

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