venerdì 18 dicembre 2020

Il Liberalismo americano

E' ben noto che la politica USA, pur evolutasi da una evidente matrice europea, ha caratteristiche sue proprie, che la rendono peculiare, a partire dalla sua forte impronta liberale e liberista.

Il post di oggi, scritto da Moreno Pasquinelli durante le ultime elezioni presidenziali (e tratto dal sito di Sollevazione), cerca di ricostruire la storia pregressa del liberalismo americano e di ipotizzarne gli sviluppi futuri nel caso – poi verificatosi - di sconfitta elettorale del 'trumpismo'.

LUMEN


<< E’ noto come in filosofia politica (e in scienza del diritto) si presupponga la dicotomia tra 'libertà negativa' e 'libertà positiva'. Teorico della prima concezione fu Thomas Hobbes. Per il nostro la libertà consisterebbe nella assenza di limiti coercitivi esterni che impediscano ad un uomo nel fare quel che gli pare. Scriveva infatti Hobbes che la libertà si situa in tutti i campi che la legge deliberatamente omette e lascia fuori dal suo campo prescrittivo.

Essa si attua: «nella libertà di comprare, di vendere, e di fare contratti l’uno con l’altro, e di scegliere la propria dimora, il proprio cibo, il proprio modo di vita». C’è dunque, per Hobbes, tanto più libertà quanto più sono deboli le interferenze da parte dei pubblici poteri. John Locke, padre nobile del liberalismo moderno, contestò l’assolutismo di Hobbes ma ne adottò la concezione mercatistica e privatistica della libertà.

Di contro i teorici della libertà positiva posero al centro un’altra questione (del tutto dimenticata dai teorici della libertà negativa): posto che la società si deve dare delle norme, chi dev’esserne l’autore? “chi deve comandare? A chi appartiene la sovranità politica?”.

Per Rousseau, per essere davvero liberi, occorre essere autori delle norme, ovvero “non obbedire ad altre leggi se non a quelle che noi stessi ci siamo dati”. Rousseau pose poi una seconda domanda: ha senso dire che sono libero, che posso comprare o vendere ciò che voglio, se non dispongo del denaro e delle risorse per farlo? Se sono povero e non ho alcuna risorsa posso considerarmi libero? Ergo: non c’è libertà in quella società ove i cittadini non dispongano dei mezzi e delle risorse che consentano di esercitarla effettivamente.

E’ noto come in tal modo Rousseau pose le basi, ad un tempo, della teoria democratica e di quella socialista. In estrema sintesi: mentre la teoria negativa assume come proprio paradigma l’individuo privato e proprietario, quella positiva rivendica la centralità della collettività, la sua facoltà di autogovernarsi, il criterio dell’eguaglianza sociale.

E’ certo nel liberalismo individualistico europeo che affondano le radici ideologiche più profonde della cultura politica americana. Radici così potenti e pervasive che hanno impedito che prendessero successivamente piede sia il rousseauismo che il socialismo. Il fatto è che, come ogni altro prodotto d’importazione, una volta trasferitosi in America, il liberalismo ha subito un processo di nazionalizzazione, ovvero radicalizzazione assoluta.

Già nella sua patria d’elezione europea il liberalismo non è mai stato un corpo teorico omogeneo e monocorde. Di liberalismi ne esistono infatti diversi tipi. Vale ricordare la distinzione posta da Benedetto Croce nella sua polemica con Luigi Einaudi tra liberalismo e liberismo. Vero è che questa distinzione lessicale l’abbiamo solo nella lingua italiana, ciò non toglie che essa ci aiuta a capire cosa sia avvenuto negli ultimi decenni in seno alle società capitalistiche occidentali.

Per Croce il liberismo consisteva nella teoria economica smithiana per cui, posta la supremazia della “mano invisibile” del libero mercato, era da condannare qualsiasi interferenza politica che ponesse limiti alla sua provvidenza. D’altra parte il liberalismo poggiava secondo Croce su un’etica che poteva ben conciliarsi con la visione democratica e addirittura socialista, come sia con l’idea di uno stato interventista. (...)

Nel momento in cui la cultura liberal-borghese europea è approdata oltre oceano essa ha subito una metamorfosi profonda e si è venuta consolidando come identità ideologica specifica ed a sé stante; il liberismo britannico, vero padre di questa identità ideologica, ha subito una palingenesi che ha figliato quello che potremmo chiamare ultra-liberismo o meglio, come vedremo, anarco-capitalismo.

Il combinato disposto tra questo ultra-liberismo e le radici religiose del messianismo puritano-calvinista (Weber) costituisce l’ideocrazia americanista — ciò che Hegel avrebbe chiamato volks-geist o spirito del popolo americano; dopo la seconda guerra mondiale, in una lotta senza quartiere contro il suo avversario comunista a trazione russa, questo spirito è venuto avanzando come weltgeist o “spirito del mondo”, fino ad affermarsi come egemone a scala mondiale dopo il catastrofico crollo dell’URRS.

Hegel considerava che il popolo-avanguardia che fosse riuscito ad incarnare lo “spirito del mondo” sarebbe diventato invincibile. Com’è evidente il grande filosofo tedesco si sbagliava. A trenta anni dalla propria apoteosi l’egemonia americana traballa, è già allo stadio della decadenza, quello spengleriano della Zivilisation, della civiltà moribonda condannata a lasciare il posto a quella successiva.

In questo quadro si dovrebbe intendere il 'trumpismo' [come] manifestazione di un doppio fenomeno: da una parte il fatto del tramonto dell’egemonia globale dell’imperialismo americano, dall’altra il tentativo disperato di opporsi a questo destino.

L’icastico slogan trumpiano “Make america great again” esprime plasticamente questo dilemma. Esso non è tuttavia solo un mero back-lash, un contraccolpo di natura interna e/o geopolitica, si presenta come una catarsi dell’americanismo, un ambizioso e radicale tentativo di rinascere riscoprendo e tornando appunto a certe peculiari radici.

Se l’americanismo originario si distingueva per portare alle estreme conseguenze l’individualismo di marca euro-liberale, la vera cifra dell’americanismo trumpiano sta nella tradizione teorica e politica del libertarianism: non si tratta solo dell’idea dello Stato minimo, c’è quella di uno Stato tendente a zero. Evanescente è il confine con l’anarco-capitalismo yankee, la concezione per cui si debba mercatizzare ogni sfera sociale nonché le principali funzioni dello Stato.

Se per democrazia si debbono intendere la sovranità popolare e l’autogoverno dei cittadini attraverso la partecipazione ai processi di decisione politica - quindi il concetto di uno Stato che non possiamo altrimenti qualificare che come Stato etico -, per i libertarians e ancor più per gli anarco-capitalisti una democrazia così intesa non è solo riprovevole, ma una minaccia ai diritti indisponibili dell’individuo.

Se in democrazia la persona è anzitutto cittadino politico, titolare di diritti ma soggiacente alla primazia della comunità, alla base dell’americanismo abbiamo la tesi opposta, quella per cui né la comunità né i poteri pubblicipossono intromettersi nella sfera privata dell’individuo come agente del mercato.

Il libertarismo americano parte dal paradigma lockiano ma lo porta alle estreme conseguenze, alla sacralizzazione del mercato, alla deificazione dell’individuo proprietario. Andando ben oltre il liberismo di Hayek o Milton Friedman, sarà Robert Nozick a cristallizzare questa dogmatica individualista, vera e propria anima oscura dell’americanismo.

Secondo Nozick “lo stato non può usare il suo apparato coercitivo allo scopo di far sì che alcuni cittadini ne aiutino altri, o per proibire alla gente attività per il suo proprio bene o per la sua propria protezione”. Siamo oltre lo Stato minimo, siamo allo Stato ultra-minimo. Siamo, a ben vedere, oltre la stessa concezione dello Stato come “guardiano notturno”, protettore armato della privata proprietà e dei traffici mercantili (…).

C’è chi teorizza che il populismo trumpiano sia solo una meteora, che vivrà di vita breve come il Partito Populista della fine dell’800 (...). Noi ne dubitiamo e tendiamo a pensare che non possano stabilirsi analogie di destino tra allora (imperialismo nascente) e l’oggi (imperialismo tramontante). L’onda che sorreggeva il trumpismo è lunga, e profondo il solco scavatosi tra popolo ed élite. Il suo impatto sarà quindi duraturo. >>

MORENO PASQUINELLI

1 commento:

  1. A proposito della situazione politica americana, ecco una riflessione di Gianni Pardo sul ruolo del nuovo presidente Biden:

    << Il mondo – e lo stesso Biden – si illudono se pensano che si possa rimettere indietro l’orologio. Gli Stati Uniti non sono più la superpotenza ebbra di vittoria della fine della Seconda Guerra Mondiale.
    Sono un Paese superindebitato, stanco, pieno di problemi, e più pronto a leccarsi le ferite che ad imbarcarsi in crociate idealistiche e costose, lontano dai suoi confini.
    Inoltre Biden è un politico di seconda categoria, scelto proprio perché tale, da un’America allarmata da un lato dall’intraprendenza di Donald Trump, e dall’altro dal “socialismo idealistico e demente” del campo democratico. >>

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