venerdì 27 novembre 2020

Amare tutti ? No, grazie !

Uno dei saggi socio-politici più importanti di Sigmund Feud è sicuramente “Il disagio della civiltà”, in cui il padre della psicanalisi mette in luce la tensione fondamentale tra la civiltà e l'individuo.

Il contrasto principale, secondo Freud, nasce dalla ricerca, da parte dell'individuo, della libertà istintiva, mentre la civiltà tende a richiedere l'esatto contrario, ovvero una limitazione della libertà istintuale degli individui che la compongono.

E' evidente infatti che molti degli istinti primitivi (e per nulla sopiti) degli esseri umani - quali: l'aggressività, il desiderio sessuale ecc. - possono diventare pesantemente dannosi per gli equilibri di una comunità umana. Perciò la società crea leggi che vietano severamente i comportamenti più antisociali e prevede delle punizioni anche molto gravi per chi viola tali norme.

Questo processo, sostiene Freud, è una caratteristica intrinseca e necessaria della civiltà, che inevitabilmente però genera sentimenti di insoddisfazione perpetua nei suoi cittadini, in quanto la repressione degli istinti provoca inevitabilmene della frustrazione.

Da questo saggio è tratto il beve post di oggi, nel quale Freud affronta ed analizza il ben noto (e teoricamente rivoluzionario) comandamento cristiano che ci invita ad “amare” il nostro prossimo senza riserve. Le sue conclusioni sono chiarissime e non lasciano spazio ad alcuna ambiguità.

LUMEN


<< Una delle cosiddette pretenzioni ideali della società civilizzata [è] quella che dice: “amerai il prossimo tuo come te stesso”.

E’ una pretesa nota in tutto il mondo, certamente più antica del cristianesimo, che la ostenta come la sua più grandiosa dichiarazione, ma certamente non antichissima; sono esistite perfino epoche storiche in cui era ancora estranea al genere umano.

Proponiamoci di adottare verso di essa un atteggiamento ingenuo, come se ne sentissimo parlare per la prima volta. Impossibile in tal caso reprimere un senso di sorpresa e disappunto. Perché mai dovremmo far ciò? Che vantaggio ce ne può derivare? Ma soprattutto, come arrivarci? Come ne saremo capaci?

Il mio amore è una cosa preziosa, che non ho il diritto di gettar via sconsideratamente. Mi impone degli obblighi e devo essere pronto a fare dei sacrifici per adempierli. Se amo qualcuno, in qualche modo egli se lo deve meritare. (trascuro i vantaggi che egli mi può arrecare e anche il suo eventuale significato come mio oggetto sessuale; relazioni di questi due tipi non hanno nulla a che vedere col precetto di amare il prossimo).

Costui merita il mio amore se mi assomiglia in certi aspetti importanti, talché in lui io possa amare me stesso; lo merita se è tanto più perfetto di me da poter io amare in lui l’ideale di me stesso; devo amarlo se è figlio del mio amico, poiché il dolore del mio amico, se gli accadesse qualcosa, sarebbe anche il mio dolore, un dolore che dovrei condividere.

Ma se per me è un estraneo e non può attrarmi per alcun suo merito personale o per alcun significato da lui già acquisito nella mia vita emotiva, amarlo mi sarà difficile. E se ci riuscissi, sarei ingiusto, perché il mio amore è stimato da tutti i miei cari un segno di predilezione; sarebbe un’ingiustizia verso di loro mettere un estraneo sullo stesso piano.

Ma se debbo amarlo di quell’amore universale, semplicemente perché anche lui è un abitante di questa terra, al pari di un insetto, di un verme, di una biscia, allora temo che gli toccherà una porzione d’amore ben piccola e mi sarà impossibile dargli tutto quello che secondo il giudizio della ragione sono autorizzato a serbare per me stesso.

A che pro un precetto enunciato tanto solennemente, se il suo adempimento non si raccomanda da se stesso come razionale.

Se osservo le cose più da vicino, le difficoltà aumentano. Non solo questo estraneo generalmente non è degno d’amore, ma onestamente devo confessare che avrebbe piuttosto diritto alla mia ostilità e persino al mio odio.

Sembra non avere il minimo amore per me, non mi mostra la minima considerazione. Se gli fa comodo, non esita a danneggiarmi, senza nemmeno domandarsi se il vantaggio che ricava sia proporzionato alla gravità del danno che mi procura.

Anzi, non c'è nemmeno bisogno che ne tragga un vantaggio; pur di soddisfare in tal modo una sua voglia qualunque, non ci pensa due volte a schernirmi, offendermi, calunniarmi, ad ostentare il potere che ha su di me, e quanto più lui si sente sicuro, quanto più io sono privo di difesa, tanto più sicuramente posso aspettarmi da lui un tale comportamento contro di me.

Se si comportasse diversamente, se verso di me estraneo mostrasse rispetto e indulgenza, io a buon conto, a parte qualsiasi precetto, sarei disposto a trattarlo nella stessa maniera. Se quel grandioso comandamento avesse ordinato: “ama il prossimo tuo come il prossimo tuo ama te”, non avrei niente in contrario.

C’è un secondo comandamento che mi sembra ancora più incomprensibile e che solleva in me un’opposizione ancora più violenta. E’: “ama i tuoi nemici”. Riflettendoci, ho torto a considerarlo una pretesa ancora più assurda. In fondo è la medesima cosa. (...)

Mi par di sentire ora una voce che mi ammonisce gravemente: proprio perché il prossimo non è amabile ed è anzi tuo nemico, lo devi amare come te stesso. Ma allora io capisco che questo è un caso simile a quello del credo quia absurdum.

Ora, è molto probabile che il prossimo, se è invitato ad amarmi come se stesso, risponderà esattamente come me e mi respingerà con le stesse ragioni. Spero non con lo stesso diritto oggettivo, ma lo stesso penserà anche lui. >>

SIGMUND FREUD

6 commenti:

  1. Freud ha naturalmente ragione da vendere. Un estraneo non è il mio prossimo. Di lui non so nulla, non conosco le sue intenzioni nei miei riguardi: forse vuole derubarmi o persino ammazzarmi. Come posso amare un tale essere? Perciò non gli butterò subito le braccia al collo, ma sarò guardingo. Forse un giorno diventeremo persino amici, ma per cominciare manterremo le distanze (specie di questi tempi!) e ci daremo del lei. La diffidenza verso gli estranei è iscritta nei nostri geni ed è grazie a questa diffidenza istintiva che evitiamo brutte sorprese. La piena fiducia presuppone la conoscenza e la familiarità delle persone con cui abbiamo a che fare, non possiamo essere amici di tutti, men che meno dei nostri nemici. E poi lo constatiamo spesso: quelli che dicono di amare tutti in effetti non amano nessuno, come le varie Madri Terese. Il nostro amore è un sentimento esclusivo di cui possono godere poche, pochissime persone. Verso le altre persone possiamo essere garbati, gentili, premurosi, ma per loro non rischieremmo la vita, non siamo disposti a tutto.
    Freud ha ragione: amare tutti è impossibile, ma sarebbe anche immorale!

    E come la mettiamo con il comandamento di Gesù? "Vi do un comandamento nuovo, amatevi l'un l'altro come vi ho amato io". Si può comandare a qualcuno di amare?

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    1. << E come la mettiamo con il comandamento di Gesù? "Vi do un comandamento nuovo, amatevi l'un l'altro come vi ho amato io" >>

      Semplice: basta intenderlo alla lettera.
      'Amarsi l'un l'altro' significa - propriamente - amarsi in maniera reciproca.
      E non vedo nessuna particolare difficoltà (neppure a livello di istinti genetici) ad amare qualcuno che ama me.

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    2. Non mi aspettavo questo commento. Io volevo far notare la "stranezza" di comandare di amare. Io non amo o voglio bene a qualcuno perché me lo dice o comanda un altro. L'amore è un sentimento che nasce spontaneamente per i più svariati motivi. Quando i preti parlano di amore mi viene da ridere. Il giornale dei vescovi, Avvenire, gronda ammmore da ogni articolo, paragrafo e riga - insopportabile! Essere solidali, caritatevoli, premurosi, gentili ecc. verso il prossimo - idealmente verso tutti - è una cosa (direi positiva), ma l'amore è un'altra cosa, come descrive bene Freud. L'amore, quel che si dice amore, è un sentimento esclusivo. Ciò non esclude che verso gli altri si sia cortesi e garbati. Ma a nessuno basta la sola cortesia, vogliamo qualcosa di più, anzi molto di più. Siamo o non siamo unici?

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    3. Caro Sergio, in effetti il mio commento era (e voleva essere) un po' spiazzante.
      Però, ho sempre avuto la sensazione che l'invito della Chiesa all'amore universale ed indiscriminato sia una palese forzatura del messaggio orginale attribuito a Gesù.

      Il quale, come è ben noto, predicava agli ebrei della sua terra, per cui il suo concetto di "prossimo" era ben preciso e limitato.
      Poi è arrivato San Paolo con il suo ecumenismo ad uso dei gentili ed è avvenuta la deriva mondialista che vediamo.
      Ma il 'non sequitur' mi pare abbastanza evidente.

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    4. Insomma, Gesù e Freud vanno perfettamente d'accordo! Il mio prossimo non può essere l'intera umanità, ma innanzi tutto i miei parenti e amici e poi magari anche i connazionali. Gesù chiama porci i non ebrei! ("non gettate le perle ai porci").
      C'è però una novità: siamo la bellezza di otto miliardi di esseri umani interconnessi che volendo sanno tutto di tutti. Questo è indubbiamente un salto di qualità nella storia del mondo. In passato le culture, anche le grandi culture, vivevano isolate ignorando tutte le altre. Questo oggi non è più possibile e ciò ha delle importanti implicazioni come vediamo proprio nell'attuale pandemia. Mattarella e il papa ci ricordano che "nessuno può cavarsela da solo". Siamo costretti a collaborare, volenti o nolenti. Siamo una sola famiglia sull'astronave Terra (vedi anche l'ultima enciclica papale, "Frateli tutti"). Però Mattarella e soci dispongono di più risorse dei connazionali e degli altri esseri umani: come la mettiamo?
      Caro Lumen, nel nostro futuro c'è il socialismo (mannaggia!).

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    5. << Caro Lumen, nel nostro futuro c'è il socialismo (mannaggia!) >>

      Può darsi, ma non è detto.
      Io ci vedo piuttosto una sorta di dittatura politica con economia semi-capitalistica, del tipo attualmente praticato dalla Cina.
      In ogni caso non credo che l'attuale dittatura soft (con semplice rimbambimento consumistico delle masse) possa durare ancora a lungo, per via dei limiti ambientali alla crescita, che ben conosciamo.

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