venerdì 23 ottobre 2020

Alla ricerca dell'equilibrio

Uno dei migliori indicatori dello squilibrio ambientale in cui ci troviamo è dato dall'Earth Overshoot Day: si tratta del giorno nel quale l'umanità finisce di consumare (in anticipo) le risorse prodotte dal pianeta nell'intero anno.

Nel 2019 questa data era caduta prestissimo, al 29 luglio, mentre quest'anno, a causa della crisi economica dovuta all'epidemia di Covid, la data si è spostata in avanti sino al 22 agosto.

Nell'articolo che segue - scritto per Effetto Cassandra – Jacopo Simonetta cerca di fare il punto sull'attuale situazione ecologica e sulla difficile ricerca di un nuovo equilibrio.

LUMEN


<< Ci sono due cose che sono indispensabili agli umani per affrontare le difficoltà: avere una speranza e poter vedere un senso in ciò che accade, di conseguenza in ciò che si fa. Viceversa, ostinarsi a vivere nelle proprie illusioni è esattamente ciò che può trasformare una crisi in una trappola mortale.

In fondo è esattamente questo che ci ha portati nella situazione attuale: ostinarci a credere che una qualunque combinazione di arrangiamenti tecnologici, politici, economici e culturali avrebbe potuto garantire ad un numero indefinito di persone di vivere un’eccellente e lunga vita, mentre la “Natura” prosperava tutto intorno a noi.

Eppure sappiamo molto bene da almeno 50 anni che non può essere così e anche perché. Sapevamo anche, approssimativamente, quando il collasso della nostra civiltà sarebbe cominciato e perché, ma i nostri sogni erano troppo più belli e quasi solo di questi si è parlato e tuttora si parla nei vari “Earth Summit”, eccetera. Questa, alla fin fine, è la causa del loro completo fallimento.

Ora che il temuto “Picco di tutto” è passato ed il conseguente collasso sistemico è cominciato (durerà a lungo, non mettetevi fretta), esiste ancora spazio per la speranza? Secondo me si, ma solo a condizione di trovare un senso a ciò che accade e che accadrà e stavolta lo dobbiamo trovare nella realtà dei fatti e non nei sogni. La pandemia in corso può essere un buon punto di partenza.

Il Covid-19 ha infatti sparso il panico a tutti i livelli ed in praticamente tutti i paesi, ma non è tanto il virus di per sé a rappresentare un pericolo per l’umanità, mentre lo sono eccome il panico con le sue conseguenze economiche e politiche. In pratica, una malattia che probabilmente ucciderà alcune centinaia di migliaia, forse qualche milione di persone nel mondo, ha già innescato processi che rischiano di portarne alla tomba decine di milioni nel breve termine, forse miliardi nel giro di alcuni decenni. Come è stato possibile?

E’ accaduto perché alla fine del XVIII secolo una combinazione di eventi unica nella storia ha reso temporaneamente possibile una crescita economica, tecnologica e demografica che in due secoli ha surclassato di parecchi ordini di grandezza quella verificatasi nei 50.000 anni precedenti (cioè da quando è approssimativamente cominciata la diffusione planetaria della nostra specie).

Il risultato è stato esattamente quello a suo tempo previsto: il degrado delle risorse e dell’ambiente hanno condotto lo sviluppo economico in un vicolo cieco in cui siamo ora contemporaneamente minacciati dal collasso economico e da quello eco-sistemico.

In estrema sintesi, una qualunque economia funziona come una pompa che aspira risorse dall'ambiente, ci fa qualcosa che poi riscarica nell'ambiente stesso. Maggiore è l’energia che possiamo applicare alla pompa, maggiore è la quantità di beni e servizi che si possono produrre, dunque maggiore è la popolazione che può vivere e maggiore è il livello tecnologico che si raggiunge. Questo, a sua volta, consente di aumentare i flussi di energia e di materia, dunque la produzione di beni e servizi che, alla fine, diventano comunque rifiuti e via di seguito.

Finché il sistema economico è piccolo rispetto alla Biosfera, il gioco funziona, ma via via che l’economia cresce, la qualità delle risorse si degrada e la disponibilità di servizi eco-sistemici si riduce, mentre la popolazione aumenta.

Se una tendenza alla crescita eccessiva si trova in tutte le economie, il capitalismo ha fatto di questa il suo fondamento. Il sistema capitalista è infatti strutturato su una ridondanza di retroazioni positive, senza alcun freno al suo interno. Anzi, con efficaci sistemi per ritardare l’effetto frenante del degrado ambientale e della sovrappopolazione. I principali di questi sistemi sono lo sviluppo tecnologico, il debito e la globalizzazione.

Il loro effetto combinato è stato amalgamare tutte le economie del mondo in un’unica mega-macchina spaventosamente efficace nell'estrarre risorse dalla Terra e produrre beni o servizi di ogni sorta, ma che funziona solo se riesce a mantenere un costante tasso di crescita dei flussi di merci, persone e denaro attraverso l’intero Pianeta. E' sufficiente che il tasso di crescita rallenti ed il sistema va in affanno.

Se l'economia si contrae in misura significativa, come sta accadendo, entra in una crisi strutturale dai risultati del tutto imprevedibili perché le stesse retroazioni che auto-alimentano la crescita, possono auto-alimentare la decrescita. Detto in termini fisici, ciò che mantiene funzionale la rete economica globale è un tasso costante di aumento nella dissipazione di energia. Cosa che, alla fine, è la causa prima ed ultima del degrado del Pianeta con tutte le conseguenze del caso.

Nel nostro caso, abbiamo il problema ulteriore che la produzione industriale, anche di cibo, è efficiente solo entro una ristretta variazione dei flussi; se questi si riducono eccessivamente, la produzione si ferma del tutto. In pratica, possiamo produrre molto o nulla, non siamo attrezzati per il "poco" e questo rischia di rimbalzarci di colpo da una crisi di sovrapproduzione ad una di carenza.

Già molte società del passato hanno degradato il proprio ambiente fino a provocarne il collasso, ma finora il fenomeno era rimasto delimitato a specifiche regioni. L’energia dei combustibili fossili, e soprattutto del petrolio, ha invece permesso alla nostra civiltà di crescere fino a minare la struttura portante della Biosfera a livello planetario, scatenando fenomeni come la catastrofe climatica, l’estinzione di massa, l’alterazione di tutti i cicli bio-geo-chimici e molto altro ancora.

Tecnicamente, questa situazione si definisce “overshoot”. Un termine che in ecologia indica quando una determinata popolazione supera la “capacità di carico” del territorio in cui vive (solitamente indicata con “K”). Cioè quando la popolazione supera la capacità del territorio di sostentarla a tempo indeterminato. In pratica, lo possiamo considerare un sinonimo di “sovrappopolazione” perché, con buona approssimazione, se c’è sovrappopolazione, c’è degrado dell’ambiente e, di solito, viceversa.

Tuttavia, l’impatto delle popolazioni umane (solitamente indicato con “I”) non dipende solo dalla loro consistenza, bensì da una combinazione di fattori demografici, economici e tecnologici. Per poter parlare di sovrappopolazione, occorre poi tener conto anche dei fattori ambientali e di come questi variano in rapporto alla nostra presenza. In pratica, siamo in overshoot ogni volta che I supera “K”.

Una condizione che non può durare a lungo perché, quali che ne siano le cause, quando una popolazione supera la capacità di carico, il suo habitat comincia a degradarsi, costringendo la popolazione stessa, prima o poi, a diminuire. E “prima o poi” è esattamente il punto su cui focalizzare l’attenzione perché “rientrare nei ranghi” è inevitabile, ma le cose possono andare molto diversamente a seconda di quanto tempo ci si impiega.

Se, infatti, il declino di “I” è più rapido del degrado del suo ambiente, si potrà tornare ad un relativo equilibrio abbastanza presto e ad un livello demografico elevato. Se, invece, il declino di “I” è più lento di quello di "K", lo stato di sovrappopolamento perdura a lungo e l’equilibrio non sarà raggiunto che più tardi e più in basso.

Tanto più tardi e tanto più in basso quanto più a lungo la popolazione rimane in overshoot. (…) La diminuzione di “I” dipende infatti da una combinazione di declino demografico, riduzione dei consumi e della tecnologia. Tutto ciò comporta certamente sofferenze e morti, ma lungi da essere la malattia, è invece metà della medicina.

L’altra metà della cura è sostenere “K”, il che vuol dire, in sintesi, conservare / ripristinare il funzionamento degli eco-sistemi e proteggere la biodiversità. All'interno di questa meta-strategia rientrano infinite combinazioni di provvedimenti in tutti i campi che dovrebbero essere modulati in base alle molteplici situazioni locali, ma in ogni caso abbiamo una “pietra di paragone”:

Tutto ciò che contribuisce a ridurre “I” e/o a sostenere “K” ci avvicina ad una possibile salvezza; tutto il resto ce ne allontana. Per esempio, su “I” si può agire riducendo i redditi eccessivi, la mobilità intercontinentale, i consumi di energia e di risorse primarie o la natalità; oppure abbandonando determinate tecnologie, per citare solo alcune azioni possibili che non sono però valide ovunque nella stessa misura. Per fare un esempio banale, in alcuni paesi è più urgente ridurre i consumi, mentre in altri la natalità.

Contemporaneamente, su “K” si può agire proteggendo boschi e paludi, o ampliando i parchi nazionali, rinaturalizzando porzioni di territorio, fermando il consumo di suolo, eccetera. La rapidità con cui abbiamo visto piccoli, ma interessanti miglioramenti non appena la quarantena ci ha costretti a ridurre temporaneamente il nostro impatto sostiene la speranza. Certo, la strategia non può essere quella di tenere metà dell’umanità agli arresti, ma abbiamo visto che la Biosfera non ha ancora esaurito la sua resilienza e questa è la migliore notizia che fosse possibile avere.

In estrema sintesi, la sostenibilità non è una scelta, bensì un'ineluttabile destino. La scelta è come arrivarci, ma i nostri gradi di libertà diminuiscono col tempo. Oramai le occasioni per evitare la fine della nostra civiltà le abbiamo lasciate passare, accecati dei nostri sogni; ora possiamo in una qualche misura governare il collasso, oppure continuare a bruciare tutto quello che ci rimane, sperando di riportare indietro le lancette della storia.

Ci adatteremo comunque, ma lo possiamo fare in modo stupido, subendo i colpi del Fato senza capire; oppure attivamente, accettando l’inevitabile e cercando di portare la barca fuori dalla tempesta il prima possibile. >>

JACOPO SIMONETTA

7 commenti:

  1. A proposito dell'earth overshoot day, trovo su wiki questo breve riepilogo relativo agli ultimi 50 anni:

    - 1970 = 31 dicembre (eravamo ancora in equilibrio).
    - 1980 = 4 novembre
    - 1990 - 13 ottobre
    - 2000 - 23 settembre
    - 2010 - 9 agosto

    Direi che stiamo correndo un po' troppo.

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  2. "...avere una speranza e poter vedere un senso in ciò che accade, di conseguenza in ciò che si fa. Viceversa, ostinarsi a vivere nelle proprie illusioni è esattamente ciò che può trasformare una crisi in una trappola mortale."

    Sì, il senso è tutto o quasi tutto. Avere la sensazione che le cose vadano per il verso giusto, stiano bene così come sono. I credenti per es. accettano anche la sofferenza in base alla loro fede. Il disorientamento, il senso di vuoto proviene dall'assenza di senso che può essere l'effetto di un'accelerazione eccessiva dei mutamenti sociali, del progresso o cosiddeto tale.
    Ma cosa distingue le speranze dalle illusioni? Sì, le speranze possono essere fondate al contrario delle illusioni. Ma queste ultime possono anche aiutare a vivere, anzi Leopardi le considerava indispensabili, addirittura il sale dell'esistenza. Ma da fine, anzi geniale filosofo (non riconosciuto tale dalla casta filosofica) considerava che le illusioni erano volteggi sulla rete di protezione della ragione.

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    1. << Ma cosa distingue le speranze dalle illusioni? >>

      Caro Sergio, credo che si tratti, ex ante, della stessa cosa.
      La differenza, se mi passi il cinismo, la fa il famoso "senno di poi".
      Nel senso che se le cose poi si avverano erano speranze, se invece non si avverano erano illusioni.

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  3. "In estrema sintesi, la sostenibilità non è una scelta, bensì un'ineluttabile destino. La scelta è come arrivarci, ma i nostri gradi di libertà diminuiscono col tempo. Oramai le occasioni per evitare la fine della nostra civiltà le abbiamo lasciate passare, accecati dei nostri sogni; ora possiamo in una qualche misura governare il collasso, oppure continuare a bruciare tutto quello che ci rimane, sperando di riportare indietro le lancette della storia."

    Bella considerazione finale. Che rischia di essere un'illusione invece di una fondata speranza. Perché l'esplosione demografica continuerà anche se ci dicono che rallenterà e persino di molto fra qualche decennio (intanto fra dieci-dodici anni saremo un miliardo in più - un miliardo! Con gli stronzissimi verdi e rossi che dicono: embè? C'è da mangiare per tutti. E da bere? E poi non di solo pane vive l'uomo).
    L'attuale pandemia fa il gioco di qualcuno. Jacques Attali, framassone: "Una piccola pandemia accelererà l'instaurazione di un governo mondiale" (dichiarazione al settimanale francese l'Express nel 2009 (!!!)). E magari anche a Bill Gates e persino al papa (che subito straparla: vaccino per tutti! Siamo tutti fratelli!).
    A pensar male si fa peccato ma talvolta ci si azzecca pure (diceva Andreotti). E se questa pandemia, casuale o indotta, fosse una prova generale per ben altri progetti (per es. il controllo di una massa di popolazione praticamente ingestibile - ben 7,8 miliardi attualmente). Tutti girano con la museruola, che spettacolo!

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    1. << C'è da mangiare per tutti. E da bere? E poi non di solo pane vive l'uomo). >>

      Secondo me il problema è proprio il primo, quello fisico del mangiare e del bere.
      Se la natura collassa, non ci sarà più cibo adeguato sufficente per tutti ed acqua pulita disponibile per le nostre esigenze primarie.

      Il resto oltre il pane è molto più facile da ottenere, in quanto si tratta di sovrastrutture sociali e culturali che possono essere godute anche a costo zero: i piaceri derivanti dall'amicizia, dal sesso, dagli hobby, dalla narrazione di storie, dal contatto con la natura, dai ragionamenti, ecc., non sono poi così costosi.

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  4. Sostenibilità, equilibrio. Ma a che livello? 9, 10, 12, 15 miliardi? Per Giovanni Sartori buonanima anche 6 erano troppi alla lunga. Alla lunga è importante. Forse si potrebbe sopravvivere anche in 15 miliardi, ma difficilmente a lungo. E poi in condizioni per noi inimmaginabili e inaccettabili.
    La Chiesa ha abbandonato la sessuofobia e incoraggia l'omosessualità con questo ridicolo papa (anche l'omosessualità è un dono di Dio - ovvero: chi è lui per giudicare?). Forse il cambio di rotta, che porrebbe un freno all'esplosione demografica, arriva troppo tardi.


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    1. << Sostenibilità, equilibrio. Ma a che livello? >>

      Caro Sergio, se noi ci stessimo ponendo il problema, a livello di governi mondiali, la risposta sarebbe tutt'altro che semplice, ed impegnerebbe le menti migliori del pianeta per trovarla.
      Ma noi, al momento, non ci stiamo interessando a queste quisquilie, per cui ci penserò 'madre natura' a trovare il nuovo equlibrio, nei modi ed alle condizioni che deciderà lei.
      Peccato.

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