venerdì 13 settembre 2019

La parabola del Sapiens – 4

Si concludono qui le considerazioni di Marco Pierfranceschi sul travolgente successo della nostra specie e le sue terribili conseguenze per l’eco-sistema (quarta ed ultima parte). LUMEN


<< A peggiorare il bilancio dell’assalto plurimillenario condotto dalla nostra specie nei confronti delle risorse globali, l’inquinamento ha aggiunto ulteriore fattore di stress agli ecosistemi naturali. Col termine inquinamento si intende l’introduzione di materiali ‘alieni’ alle dinamiche biologiche, ed in grado di interferire coi processi di riuso della materia organica. Tutto quello che la specie umana estrae dal suolo, raffina, trasforma, utilizza ed infine scarta rappresenta una forma di inquinamento.

Inizierò quindi col descrivere una modalità di inquinamento che non viene ancora individuata come tale: l’edilizia. I primi rifugi inventati dalla nostra specie furono, con molta probabilità, capanne di legno e foglie, composte interamente da materiali organici, decomponibili e biologicamente riciclabili. Col tempo ed il padroneggiare tecniche di manipolazione più evolute, la costruzione di edifici in pietra rappresentò un primo esempio di intervento umano operato in totale difformità dai processi biologici.

I materiali inerti necessari all’edilizia vengono estratti dalle cave di pietra e collocati dove poi sorgono paesi e città, luoghi di norma caratterizzati da abbondante disponibilità di suolo fertile. La costruzione di edifici e la successiva espansione delle città ha l’effetto di ridurre la disponibilità di suolo fertile. Con la crescita delle città e la nascita di regni ed imperi, l’occupazione di suolo prodotta dalle città aumenta progressivamente, mentre la produzione alimentare si trasferisce sempre più verso le periferie, processo che innesca la creazione di strade ed il consumo di ulteriore suolo fertile.

Il gigantismo delle attuali metropoli, e le trasformazioni avvenute nella produzione e nei trasporti grazie alla Rivoluzione Industriale, hanno di fatto totalmente scollegato le aree urbane dalla necessità di un’autonomia alimentare di ‘prossimità’, creando condizioni di estrema criticità. Qualunque riduzione nell’efficienza della produzione agricola, o di quella della rete di trasporti, si tradurrebbe in un’incapacità delle popolazioni inurbate di far fronte al proprio stesso sostentamento.

In epoche passate, un limite alla crescita delle dimensioni urbane è consistito nella disponibilità di cibo in relativa prossimità. Con la Rivoluzione Industriale questo limite è stato rimosso, consentendo alle città di espandersi seppellendo le aree agricole di prossimità. Questo processo non è più reversibile nel breve periodo, perché i terreni scavati e cementificati non recuperano la propria fertilità a fronte del semplice abbattimento degli edifici.

I materiali edili presentano quantomeno il vantaggio di essere inerti rispetto ai processi organici. Lo stesso non si può dire di gran parte delle sostanze che sono diventate parte della nostra vita di tutti i giorni. Dalla rivoluzione industriale in poi la chimica ha infatti provveduto a sviluppare una varietà pressoché infinita di sostanze tossiche e nocive, in grado di interferire a vari livelli coi processi biologici.

Queste sostanze sono successivamente entrate a far parte dei manufatti, o divenute parte integrante dei relativi processi produttivi, e molto poco si è fatto per gestirne uno smaltimento sicuro al termine del ciclo d’utilizzo. Parliamo di un ventaglio di sostanze che va dai veleni veri e propri agli acidi, a materiali variamente irritanti, tossici o cancerogeni. Tutta roba che per decenni è stata rilasciata nei fiumi, seppellita, conferita nelle discariche o bruciata e dispersa nell’atmosfera.

Anche materiali biologicamente inerti come la plastica presentano un risvolto negativo, perché la loro diffusione e successivo degrado sta creando problemi agli animali che tentano di nutrirsene, causandone spesso la morte. Soprattutto negli oceani la quantità di frammenti di plastica trasportata da fiumi e correnti sta rappresentando un problema significativo per la fauna marina. Questo senza contare che il processo di frammentazione, al momento ancora parziale (si parla infatti di ‘microplastiche’), procederà gradualmente fino al livello molecolare, saturando l’ambiente di quantità enormi di catene di polimeri di origine non biologica, con effetti, allo stato attuale, totalmente non quantificabili.

Un’altra parte rilevante di inquinamento deriva dall’impiego di diserbanti ed antiparassitari nell’agricoltura, che cresce di anno in anno. Si tratta di composti chimici dichiaratamente ostili ai processi biologici (la loro funzione è uccidere le varietà vegetali che competono con le specie coltivate e gli insetti che di queste ultime si nutrono), che finiscono con l’accumularsi nella catena alimentare portando morte anche alle specie (rettili, uccelli e mammiferi) che di tali insetti si nutrono.

Oltre agli antiparassitari l’agricoltura fa anche un largo uso di fertilizzanti azotati, che hanno un effetto positivo a breve termine sulle colture, ma nel lungo termine alterano gli equilibri chimici dei suoli rendendoli meno ospitali per le popolazioni di insetti ed altre forme di vita che li abitano. Quel che è peggio: ancora non è chiaro quali siano gli effetti cumulativi relativi al dilavamento di tutte queste sostanze venefiche, al loro assorbimento nei suoli ed alla loro diffusione nei fiumi e nei mari.

Un forte segnale di allarme giunge proprio riguardo alle quantità e varietà di insetti rilevate in prossimità delle aree agricole europee, che hanno subito un collasso repentino negli ultimi anni in diversi paesi. Per la loro importanza nella produzione del miele l’attenzione è attualmente capitalizzata dalle api, specie di cui si sono registrati diversi casi di collasso di interi alveari, fino alla totale scomparsa in diversi paesi, al punto che in alcune zone della Cina gli agricoltori devono impollinare gli alberi da frutta a mano.

Un caso a sé è rappresentato dai sottoprodotti dell’industria nucleare civile e militare. L’evoluzione delle tecnologie atomiche ha generato, mediante un processo detto ‘arricchimento’, tonnellate di materiali radioattivi in forme estremamente concentrate. Materiali che, essendo instabili, non sono mai venuti a contatto con le forme viventi. infatti, pur essendo presenti nella fase di formazione del sistema solare, essi erano già scomparsi, dalla crosta terrestre, ben prima che i processi vitali avessero inizio.

Parliamo di sostanze in grado di rendere pericolose ed inabitabili ampie porzioni di pianeta, come abbiamo visto in occasione degli incidenti di Chernobyl in Ucraina e Fukushima in Giappone. Su scala più ridotta il riutilizzo di uranio impoverito nella fabbricazione di proiettili ha già causato decine di casi di leucemia, anche mortali, fra gli stessi militari utilizzatori di tali munizioni. Molto poco è poi dato sapere sulle condizioni delle migliaia e migliaia di testate nucleari tattiche, il cui semplice potenziale esplosivo, già ai tempi della Guerra Fredda, era dato come in grado di annientare completamente l’intera umanità più volte.

L’ultima e più subdola forma di inquinamento riguarda i gas rilasciati in atmosfera a seguito dell’utilizzo massivo di combustibili fossili per i trasporti, le macchine utensili e la produzione di energia elettrica. Questi gas stanno lentamente ma inesorabilmente alterando l’equilibrio millenario tra il riscaldamento prodotto dalla radiazione solare di giorno, ed il raffreddamento causato dall’irraggiamento notturno, con l’effetto di surriscaldare l’atmosfera ad un ritmo mai visto prima (essendo, per l’appunto, un fenomeno artificiale) ed innescando ulteriori eventi caratterizzati da feedback positivo, ovvero in grado di accelerare il riscaldamento: scioglimento delle calotte polari, con ulteriore riduzione dell’albedo, e rilascio di gas metano dal permafrost artico.

Stiamo già misurando, in questi anni, una variazione delle temperature globali talmente repentina da non lasciare, a molte specie viventi, il tempo di adattarsi, e causando, assieme a fattori concomitanti, un collasso a catena di interi ecosistemi, dalle barriere coralline del pacifico alle popolazioni di orsi bianchi non più in grado di cacciare le foche artiche per la scomparsa dei ghiacci.

Riassumendo: caccia alle specie animali edibili, allevamento e sostituzione della naturale biodiversità con specie ‘simbionti’ (quelle di cui ci nutriamo), distruzione delle foreste per far spazio a coltivazioni, distruzione della residua biodiversità con fertilizzanti, erbicidi ed antiparassitari, consumo di suolo fertile causato dall’edilizia, dalla costruzione di strade ed infrastrutture, oltreché dall’erosione chimica e meccanica prodotta dai macchinari agricoli, rilascio di sostanze velenose e tossiche nell’ambiente, inquinamento da materie plastiche, riscaldamento globale del clima.

Come ultimo risultato, conseguenza di tutto questo gran daffare, la popolazione umana è cresciuta esponenzialmente fin quasi a raggiungere gli otto miliardi di individui, con una impennata negli ultimi decenni che ha prodotto una progressiva invasione antropica dei residui habitat intatti: le foreste vergini dell’Amazzonia e della Polinesia. Un surplus di popolazione umana la cui sussistenza può essere garantita solo attraverso l’inasprimento delle forme di saccheggio ambientale descritte fin qui. >>

MARCO PIERFRANCESCHI

5 commenti:

  1. Dopo le 4 puntate che ho riportato, Pierfranceschi ha pubblicato altri 2 post, un po' più propositivi, in cui cerca di analizzare i possibili rimedi alla crisi ambientale.

    Li trovate qui:
    https://mammiferobipede.wordpress.com/2019/07/04/la-questione-ambientale-quinta-parte/
    https://mammiferobipede.wordpress.com/2019/07/17/la-questione-ambientale-sesta-parte/

    Le sue considerazioni finali, però, non lasciano spazio a grande ottimismo:
    << La lungimiranza non è mai stata la caratteristica principale della nostra specie, così come non lo è per qualunque specie vivente.
    La natura premia, nell’immediato, l’individuo, la popolazione e la specie in grado di razziare la maggior quantità di risorse, riservando al lungo periodo l’opera di ristabilire un equilibrio.
    Che può anche comprendere la totale scomparsa della specie ‘eccessivamente aggressiva’, non solo un suo ridimensionamento. >>

    RispondiElimina
  2. Caro Lumen,

    hai fatto benissimo a segnalare anche la quinta e sesta puntata di Pierfranceschi - da cui ho tratto qualche motivo di speranza. Stavo infatti per scrivere, dopo aver letto le prime quattro puntate:
    va bene, tutto giusto quello che scrive e descrive, ma avrei voglia di ripetere con Faust: "Da stehe ich nun, ich armer Tor, und bin so klug als wie zuvor". (Ed ora eccomi qua, io povero diavolo: ne so quanto prima!).
    Invece la quinta e la sesta puntata mi sono davvero piaciute perché finalmente si leggono delle proposte ragionevoli e realizzabili, anche se prevale in me lo scetticismo riguardo alla loro attuazione. Il mondo è ormai troppo complesso per sperare di salvarci senza troppi dolori. La riduzione della complessità per permettere la sopravvivenza della specie non può avvenire che con qualche catastrofe.
    Comunque Pierfranceschi non è un catastrofista, un apocalittico
    (a parer mio). Sarebbe interessante una replica o qualche osservazione di Lorenzo. Sono quasi sicuro che lo farebbe a pezzi ridicolizzandolo - ma con argomenti di peso. Già quell'idea di ridurre la popolazione mondiale a una quota sostenibile (due - tre miliardi di individui al massimo) lo manderebbe in bestia. Ho seguito Lorenzo nel suo blog per molto tempo, ma mai ha accennato al problema demografico che per lui sembra non esistere. Una volta ti diede persino del criminale insinuando che volevi far fuori miliardi di individui. In effetti noi proponiamo un rientro dolce, non lo sterminio degli esseri umani esistenti.
    Fra parentesi, l' "assalto alla diligenza" - l'invasione dall'Africa e dall'Asia - è il risultato proprio dell'esplosione demografica piuttosto che la realizzazione del piano delle Elite apolidi.
    A me è sembrato che Lorenzo indulga a un darvinismo sociale: mors tua, vita mea, come ai tempi del Neandertal.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. << Fra parentesi, l' "assalto alla diligenza" - l'invasione dall'Africa e dall'Asia - è il risultato proprio dell'esplosione demografica piuttosto che la realizzazione del piano delle Elite apolidi. >>

      Caro Sergio, direi che una cosa non esclude l'altra.

      Leggevo ieri un post che parlava del cosiddetto "esercito industriale di riserva", rappresentato da quell'eccesso di forza lavoro disponibile che consente alle elites industriali di tenere bassi i salari.

      L'autore sosteneva (ed io sono d'accordo con lui) che l'attuale immigrazione organizzata in occidente ha proprio la funzione di ricostruire il suddetto esercito di riserva, in sostituzione della popolazione autoctona in via di riduzione.

      Elimina
  3. Dopo avere dato un'occhiata alle parti 5a e 6a dell'Art.lo, anch'io ne ho tratto l'impressione che in P. prevalga un amaro scetticismo di fondo sulle possibilità di un'autentica inversione di tendenza sul problema ambientale (in gen.le) e climatico (in partic.re), tuttavia forse è opportuno aggiungere/ricordare che il collasso ecologico da più parti preconizzato entro la fine del XXI secolo NON colpirà con eguale intensità e in contemporanea tutte le aree del mondo, alcune delle quali anzi (in partic.re tutte quelle settentrionali) ne potranno ricavare (almeno a breve-medio termine) alcuni benefici non indifferenti...
    Applaudo inoltre alla lucida critica espressa da P. all'ampiamente strombazzato modello antropologico-filosofico-sociologico della Città, sempre più spesso inquinata e sovraffollata e sempre meno "a misura d'uomo"... Saluti

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Pierfranceschi, nel suo blog, si è occupato spesso dei problemi di vivibilità delle nostre città e le sue considerazioni sono sempre molto acute e illuminanti.

      Uno dei suoi post, per esempio, comincia così:
      << Avendo speso svariati anni a ragionare sul perché le città non funzionino correttamente, è giunto finalmente il momento di provare a ragionare su come aggiustare queste città malfunzionanti.
      Probabilmente quest’idea non mi sarebbe mai passata per la mente se non fossi stato cresciuto nella convinzione che “tutto si può riparare”.
      Le città non fanno eccezioni. >>

      Il seguito lo trovate qui: https://mammiferobipede.wordpress.com/2019/05/26/come-riparare-una-citta/

      Elimina